Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26956 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26956 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: FILOCAMO COGNOME
Data Udienza: 16/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a REGGIO CALABRIA il 24/03/1990
avverso la sentenza del 14/01/2025 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il PG, in persona di NOME COGNOME che ha concluso chiedendo una dichiarazione d’inammissibilità del ricorso; udito il difensore;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Reggio Calabria, con la sentenza sopra indicata decidendo in sede di giudizio rescissorio e in parziale riforma della sentenza del Tribunale della medesima città condannava NOME COGNOME insieme ad un altro concorrente nel reato, alla pena di mesi sei di reclusione per i fatti descritti al capo A), seconda condotta, ovvero per aver ostacolato l’eserciz del diritto di passaggio di NOME COGNOME e della moglie sulla stradella privata “Trapan confinante con il proprio fondo – stradella che NOME COGNOME riteneva essere di sua esclusiva pertinenza – contestualmente proferendo la seguente frase nei confronti di NOME COGNOME “ca’ non si passa, finisce a pistolettate”, riqualificata l’originaria imputazione di cui all’art. 612 art. 610 cod. pen.
La Corte territoriale, decidendo rispetto a più episodi, avvenuti in giorni diversi, rela al tentativo da parte degli imputati di impedire il passaggio su una stradella vicinale alle perso offese – proprietarie di un fondo ad essa adiacente – escludeva la responsabilità penale di NOME COGNOME per tutti gli episodi a lui contestati salvo quello del 18 agosto 2019, giorno in cui – d lettura della sentenza di primo grado – le persone offese stavano passando per tale strada al fine di raggiungere il proprio garage quando si trovarono l’accesso occluso da una transenna e un carrello della spesa (“cfr. fotografia”) e videro NOME e NOME COGNOME. A quel punto, NOME COGNOME disse loro la frase riportata nell’imputazione di cui sopra, mentre il figlio NOME sostenuto di essersi limitato dapprima a spiegare le cose civilmente e poi, infastiditosi del fat che, secondo lui, i Patticò “non capio”, di aver detto soltanto: “Guarda non parlo più co te. Mi sono seccato”». Da ciò la Corte d’appello, in sede di giudizio rescissorio e in parzi riforma della sentenza di primo grado, attribuita la frase al solo NOME COGNOME ha affermato che “la condotta di materiale apposizione dell’impedimento a raggiungere luoghi in proprietà della persona offesa e l’espressione proferita sono certamente prova non solo del reato di violenza privata, in quanto costrizione a tollerare il violento comportamento, ma anche prova della piena consapevolezza dell’atteggiamento da parte di ambo gli imputati”.
Avverso tale provvedimento ricorre, con rituale ministero difensivo, NOME COGNOME affidandosi ad un unico motivo.
Con tale motivo, il ricorrente denuncia la violazione e l’erronea applicazione della legge in relazione agli artt. 110 e 610 cod. pen., nonché il vizio della motivazione in relazione contributo concorsuale offerto dal ricorrente, poiché la Corte d’Appello, pur avendo dato atto che la frase minacciosa era stata proferita solo dal padre del ricorrente, ha condannato questo ultimo “solo perché presente”. Non vi sarebbe prova della concertazione, ovvero del concorso morale, tra i due di rivolgere tale minaccia alle persone offese.
3. Il Procuratore generale presso questa Corte, con la sua requisitoria scritta, ha chiesto una dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato, quindi, meritevole di accoglimento.
2. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo affermato che, in tema di concorso di persone, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro
soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, mentre
il secondo richiede un contributo partecipativo positivo – morale o materiale – all’altrui condot criminosa, che si realizza anche solo assicurando all’altro concorrente lo stimolo all’azione
criminosa o un maggiore senso di sicurezza, rendendo in tal modo palese una chiara adesione alla GLYPH
condotta GLYPH
delittuosa
GLYPH
(Sez. 3, n. 544 del 12/12/2024,
GLYPH
dep. COGNOME
2025, GLYPH
Rv. 287403;
Sez. 5, n. 2805 del 22/03/2013, dep. 2014, Rv. 258953; Sez. 1, n. 15023 del 14/02/2006, Rv.
234128).
Alla stregua del citato principio di diritto che si condivide e ribadisce, dalla lettura sentenze di merito, emerge che l’episodio per cui è intervenuta la condanna si inserisce in una serie di episodi tra loro simili – come ricostruiti dai giudici della cognizione – in cui i M hanno cercato di ostacolare il passaggio su una stradella di cui ritenevano di avere il dirit esclusivo di passaggio, nonostante vi fosse stato un contenzioso civile che, di fatto, aveva escluso tale diritto in via esclusiva. In relazione alla contestazione, come ricostruita in fatto, em chiaramente il concorso morale del ricorrente che, in presenza degli ostacoli posti al passaggio e il padre che proferiva la minaccia, ne rafforzava l’intento con la frase sopra riportata, c supportando l’altro concorrente nell’azione criminosa infondendogli un maggiore senso di sicurezza e rendendo in tal modo palese la sua chiara adesione alla condotta delittuosa.
Il ricorso, per tale ragione, deve essere rigettato con condanna del ricorrente a pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. <n
Così deciso il 16/4/2025