Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11927 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11927 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a POTENZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/03/2023 della CORTE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo per il rigetto del ricorso.
udito il difensore AVV_NOTAIO COGNOME, in difesa di NOME COGNOME, che conclude per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d’appello di Salerno, giudicando in sede di rinvio disposto da Sez. 5 n. 36.198 del 2022, ha confermato la sentenza pronunciata in data 19 luglio 2016 all’esito del giudizio abbreviato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Potenza con la quale NOME COGNOME è stato condannato alla pena di otto mesi di reclusione per il reato ex art. 110 e 611 cod. pen. di concorso nella induzione di NOME COGNOME a commettere il reato di false dichiarazioni per costringerlo a ritrattare le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria sulla base delle quali era stata riapplicat a NOME COGNOME, cliente dell’imputato, la misura della custodia in carcere.
1.1. La vicenda – contestata,anche a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, separatamente giudicati – riguarda la spedizione punitiva perpetrata, con sequestro di persona, in danno di NOME COGNOME, finalizzata, mediante costrizione, alla ritrattazione delle dichiarazioni dal medesimo rese agli inquirenti nel corso di un procedimento penale pendente a carico di NOME COGNOME nell’ambito del quale era stata ripristinata la misura cautelare della custodia in carcere dopo che – in seguito ai controlli disposti sull’attività lavorativa che aveva giustificato l’autorizzazione a lasciare il domicili concessa al predetto indagato agli arresti domiciliari – era stato accertato che l’impresa, figurante quale datrice di lavoro di COGNOME e formalmente amministrata da NOME COGNOME, era, invece, inattiva.
In particolare, all’AVV_NOTAIO COGNOME è contestato di avere concorso nella violenta coartazione di COGNOME per indurlo a rendere false dichiarazioni in favore del cliente dell’imputato.
1.2. Secondo quanto risulta dalla sentenza di annullamento con rinvio, «se resta incontestato che l’imputato – difensore di NOME COGNOME (N.d.R.: NOME COGNOME), – indagato nei cui confronti era stata ripristinata la misura della custodia cautelare in carcere all’esito dell’accertamento della fittizietà del rapporto d lavoro documentato al fine di ottenere l’autorizzazione ad allontanarsi dall’abitazione, dove il medesimo era ristretto agli arresti domiciliari – non abbia impiegato alcuna violenza e minaccia in danno del COGNOME, ma gli abbia rivolto senz’altro l’invito a ritrattare le dichiarazioni rese agli inquirenti rigu l’inattività della società della quale lo stesso figurava quale amministratore, in tal modo ponendo in essere una condotta potenzialmente qualificabile in termini di istigazione alla consumazione di un reato, dalla sentenza impugnata non risulta adeguatamente esplicata la consapevolezza tanto del previo impiego di violenza
e minaccia in danno della persona offesa, che dello stato di costrizione di questa nel corso dell’incontro della sera del 9 settembre 2015».
Nello specifico, il mandato conferito al giudice di rinvio era il seguente: «proceda a nuovo esame sul punto dell’elemento soggettivo del reato contestato in concorso, tenendo in considerazione gli elementi dimostrativi introdotti dalla difesa ed alla luce di questi verificando la consapevolezza della condotta violenta e minacciosa posta in essere dai coimputati».
Ricorre NOME COGNOME, a mezzo dei difensori AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata, sviluppando due motivi.
2.1. Il primo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento all’art. 611 cod. pen. e all’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., e il vizio della motivazione, anche per travisamento, perché il giudice di rinvio non si è attenuto al mandato conferitogli dalla Corte di legittimità.
Il giudicato assolutorio formatosi con riferimento alle altre ipotesi di reato originariamente contestate all’imputato (artt. 110 e 605 cod. pen.; 110 e 374-bis cod. pen.), non consente di dubitare della sua inconsapevolezza dei fatti che costituiscono il prologo dell’estemporaneo incontro avvenuto tra i protagonisti della vicenda nelle immediate vicinanze dello studio professionale del ricorrente.
La partecipazione, a qualunque titolo, dell’imputato alla fase antecedente all’incontro, è stata esclusa, sicché in mancanza di prova di una deliberazione unitaria delle varie condotte attuate ai danni della persona offesa, non residuano elementi a carico del ricorrente, essendo già stata esclusa la rilevanza dei segni di lesioni riportati sul viso della persona offesa.
D’altra parte, l’incontro con il ricorrente non era stato programmato ed è irrilevante che esso si sia svolto lungo la strada e non presso lo studio professionale.
Del resto, la persona offesa non ha mai riferito che l’imputato gli abbia prospettato un male ingiusto, mentre gli astanti restavano in silenzio.
Manca, in sostanza, una motivazione rafforzata che consenta di superare i rilievi della Corte di legittimità, non risultando esaustiva l’argomentazione secondo la quale la condotta del ricorrente si sarebbe innestata su un sostrato di
coartazione violenta alla ritrattazione che è stato commesso da altri, nella totale inconsapevolezza del ricorrente.
La sentenza travisa la prova, costituita dalla consulenza tecnica di parte, che ha escluso l’esistenza di visibili lesioni.
2.2. Il secondo motivo denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla mancata applicazione della causa di non punibilità dell’art. 131-bis cod. pen. tenuto conto della episodicità e modestia del fatto nonché della revoca della costituzione di parte civile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, che contiene varie doglianze inammissibili, è nel complesso infondato.
Il primo motivo di ricorso, sulla responsabilità, è nel complesso infondato poiché deduce un insussistente travisamento della prova e non si confronta, per il resto, con la motivazione del provvedimento impugnato, oltre a formulare delle censure intrinsecamente contraddittorie.
2.1. È, infatti, inconsistente la denuncia di travisamento della prova in merito alla consulenza tecnica di parte, poiché, come ampiamente chiarito nella sentenza impugnata, le ecchimosi sul volto, che il consulente non ha rilevato, erano di tale entità da essere divenute non rilevabili dopo pochi giorni (ì fatti risalgono al 9 settembre 2015, mentre le fotografie, impiegate per la consulenza tecnica, sono quelle scattate in Questura in data 17 settembre 2015).
La consulenza di parte, lungi dall’essere stata travisata, è stata, piuttosto, logicamente ritenuta inconsistente per escludere l’esistenza e percepibilità delle lesioni al volto della persona offesa, poiché, appunto, effettuata su alcune fotografie scattate a diversi giorni di distanza dal fatto.
2.2. Del resto, come il ricorso non contesta, l’esistenza di dette lesioni al volto risulta attestata da numerosi testimoni, oltre alla persona offesa ritenuta credibile e attendibile, nonché dalle stesse parole proferite dall’imputato nell’occasione della coartazione.
In detta circostanza, COGNOME ebbe a suggerire alla vittima di attendere qualche giorno, prima di recarsi in Questura a ritrattare le dichiarazioni, perché altrimenti i poliziotti si sarebbero insospettiti per i segni sul volto.
2.3. Tali decisivi elementi, che attengono non soltanto alla esistenza delle lesioni, sulle quali mai vi è stato dubbio, ma anche alla piena consapevolezza dell’imputato dell’esistenza di tali inequivoci segni, non sono specificamente contestati dal ricorso.
2.4. Analogamente, il ricorso omette di criticare che, secondo la non controversa ricostruzione operata dai giudici di merito, la vittima fu portata “a viva forza” al cospetto del ricorrente dai coimputati, che pochi istanti prima avevano finito di percuoterlo, e trattenuto, sempre con la forza, da due di essi che gli impedivano, tra l’altro, di muoversi, e lo obbligavano a subire le ulteriori vessazioni dell’imputato che lo “invitava” a ritrattare le precedenti dichiarazioni sfavorevoli al proprio assistito.
2.5. Del resto, la natura del luogo prescelto per l’incontro nonché le modalità di esso (in piena notte sulla pubblica via in zona appartata, piuttosto che nello studio professionale del patrocinatore) hanno indotto il giudice di merito, che non riceve una specifica critica in proposito, a qualificare l’apporto del ricorrente quale concorso nel reato previsto dagli artt. 110 e 611 cod. pen.
In proposito, il giudice d’appello, che fa ampio richiamo alla motivazione del primo giudice, che il ricorso non sottopone a una critica specifica, nella quale è posto in evidenza che l’incontro non era affatto estemporaneo, ma anzi risultava già programmato per il giorno seguente, evidentemente con l’assenso del professionista, e con il preciso fine di indurre la persona offesa alla ritrattazione.
Così concludono i giudici di merito, sulla base dell’esame dei tabulati telefonici relativi ai contatti anche con il professionista, nonché delle dichiarazioni della persona offesa che ha da subito riferito che i suoi aggressori lo avevano già “pacificamente” invitato a recarsi dall’AVV_NOTAIO COGNOME per ritrattare e che, una volta realizzato il sequestro di persona, l’incontro era stato anticipato perché “urgente”.
Il professionista si è quindi precipitato all’incontro notturno procuratogli dal suo cliente con la persona offesa al preciso scopo di indurla a “ritrattare”; in tale occasione, dinnanzi alla persona offesa, che era fisicamente coartata nella libertà da parte di coloro che lo avevano appena finito di malmenare e che mostrava
evidenti segni delle lesioni subite, lo ha “invitato” a compiere l’atto che già stato violentemente ordinato di fare.
2.6. A fronte della generica contestazione difensiva circa la mancat identificazione dell’imputato, è sufficiente ricordare come questi è s pacificamente riconosciuto dalla persona offesa e la sua presenza non è ma stata messa seriamente in discussione da alcuno, sicché la doglianza è generica
2.7. Il giudice di rinvio, dunque, ha proceduto a colmare il vuo motivazionale che era stato rilevato dalla Corte di legittimità, mentre il rico privo di specifica capacità critica.
Il secondo motivo di ricorso, sulla causa di non punibilità dell’art. 131 cod. pen., è inammissibile perché non si confronta con la motivazione de provvedimento impugnato che ha posto in evidenza la particolare gravità della condotta e la pervicacia dell’azione dell’imputato.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali.
Così deciso il 2 febbraio 2024.