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Concorso in usura: prova del dolo e motivazione

La Corte di Cassazione ha analizzato un caso di concorso in usura, annullando parzialmente una condanna per vizio di motivazione. La sentenza sottolinea che, per affermare la responsabilità penale, i giudici devono confutare con argomentazioni logiche le prove a discarico presentate dalla difesa che offrono una spiegazione alternativa e lecita dei fatti. L’appello di un altro imputato è stato invece dichiarato inammissibile per genericità.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in usura: la Cassazione annulla la condanna per motivazione insufficiente

In tema di concorso in usura, la prova della consapevolezza di partecipare a un’operazione illecita deve essere rigorosa e fondata su una motivazione logica e completa. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12637 del 2024, è tornata su questo principio fondamentale, annullando parzialmente una condanna proprio per un difetto nel percorso argomentativo dei giudici di merito. La decisione offre spunti cruciali sulla differenza tra leciti rapporti commerciali e il finanziamento consapevole di attività usurarie.

I Fatti del Processo

La vicenda giudiziaria ha origine da una sentenza della Corte d’appello di Napoli, che aveva confermato la responsabilità penale di due individui per reati di usura. Un primo imputato era accusato di aver fornito i capitali necessari per le operazioni illecite, mentre il secondo, dipendente del principale esecutore dei prestiti, era ritenuto un suo collaboratore attivo. Entrambi avevano impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, lamentando vizi di motivazione e violazioni di legge.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa del primo imputato, il finanziatore, ha contestato la sentenza d’appello su due fronti principali:

1. Mancanza di prova del dolo: Sosteneva che i giudici non avessero dimostrato la sua consapevolezza circa la destinazione usuraria delle somme e il carattere illecito delle pattuizioni. In particolare, per un capo d’imputazione, la difesa aveva prodotto documentazione bancaria che attestava l’emissione di assegni a favore di una società terza per regolari rapporti commerciali, offrendo una spiegazione alternativa e lecita ai movimenti di denaro.
2. Vizio di motivazione sul trattamento sanzionatorio: Criticava l’immotivato diniego delle attenuanti generiche.

Il secondo imputato, il collaboratore, ha invece presentato un ricorso basato su una pluralità di motivi, tra cui la presunta assenza di prove del suo coinvolgimento, la mancata escussione di un testimone e la richiesta di prescrizione dei reati.

La Decisione della Corte sul concorso in usura

La Suprema Corte ha emesso una decisione differenziata per i due ricorrenti, evidenziando l’importanza della specificità dei motivi di ricorso e della completezza della motivazione della sentenza impugnata.

L’accoglimento parziale del ricorso del finanziatore

Per il primo imputato, la Corte ha ritenuto il ricorso parzialmente fondato. Mentre ha respinto le censure generiche, ha accolto la doglianza relativa a un specifico capo d’imputazione. I giudici di legittimità hanno osservato che la Corte d’appello aveva basato la condanna sull’emissione di un assegno, senza però confrontarsi adeguatamente con la tesi difensiva. La difesa aveva dimostrato, tramite estratti conto, che in quel periodo la società dell’imputato emetteva assegni verso un’altra impresa (diversa da quella del coimputato) per saldare fatture commerciali. Di fronte a questa prova, l’affermazione della sentenza impugnata circa un’avvenuta esecuzione di un prelievo in contanti è rimasta “indimostrata”. Questa carenza ha reso la motivazione insufficiente, portando all’annullamento della sentenza su quel punto con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello.

La declaratoria di inammissibilità del ricorso del collaboratore

Il ricorso del secondo imputato è stato invece dichiarato inammissibile. La Cassazione ha ritenuto i motivi del tutto generici e manifestamente infondati. Il ricorrente, secondo la Corte, non si era confrontato con il tenore complessivo della decisione impugnata, che lo descriveva come un “alter ego” del datore di lavoro, pienamente inserito nell’organizzazione criminale. I suoi motivi erano una mera riproposizione di argomenti già esaminati e respinti nei gradi di merito, senza individuare vizi logici o giuridici specifici nella sentenza d’appello. Di conseguenza, la sua condanna è diventata definitiva.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha ribadito un principio cardine del processo penale: la condanna deve reggersi su una motivazione che non sia solo esistente, ma anche logicamente coerente e completa. Nel caso del finanziatore, la Corte d’appello è incorsa in un vizio di motivazione perché ha omesso di valutare e confutare un elemento probatorio a discarico potenzialmente decisivo. La presenza di una possibile e documentata spiegazione alternativa (i rapporti commerciali) avrebbe richiesto ai giudici di spiegare perché tale versione fosse da scartare, anziché ignorarla o liquidarla con un’affermazione non supportata da prove.

Per il secondo imputato, la decisione si fonda sul principio secondo cui il giudizio di Cassazione non è un terzo grado di merito. Il ricorso non può limitarsi a contestare la valutazione dei fatti operata dai giudici precedenti, ma deve individuare errori di diritto o vizi logici manifesti. L’appello del collaboratore è stato giudicato inammissibile proprio perché tentava di ottenere una nuova valutazione delle prove, senza però smontare il percorso logico-argomentativo che aveva portato alla sua condanna.

Le conclusioni

La sentenza in esame offre una lezione fondamentale: nel processo penale, e in particolare in reati complessi come il concorso in usura, la difesa ha l’onere di fornire elementi concreti a sostegno delle proprie tesi. Tuttavia, una volta che tali elementi sono introdotti nel processo, il giudice ha il dovere di prenderli in seria considerazione e di motivare esaurientemente le ragioni per cui li ritiene non attendibili o irrilevanti. Una motivazione che ignora o travisa le prove a discarico è una motivazione carente, che espone la sentenza al rischio di annullamento da parte della Corte di Cassazione.

Quando la motivazione di una condanna per concorso in usura è considerata carente?
Secondo la sentenza, la motivazione è carente quando non si confronta adeguatamente con le deduzioni difensive che offrono una spiegazione alternativa e lecita dei fatti, supportata da elementi probatori (come documenti bancari), e basa invece la condanna su affermazioni rimaste “allo stato indimostrate”.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando i motivi sono generici, manifestamente infondati o si limitano a riproporre le stesse argomentazioni già respinte nei precedenti gradi di giudizio, senza individuare specifici vizi di violazione di legge o di manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.

Cosa significa “annullamento con rinvio” da parte della Cassazione?
Significa che la Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte d’appello limitatamente a uno o più punti specifici. La causa viene quindi rinviata a un’altra sezione della stessa Corte d’appello affinché emetta una nuova decisione su quei punti, attenendosi ai principi di diritto stabiliti dalla Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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