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Concorso in usura: la riscossione basta per condanna

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di tre imputati condannati per usura ed estorsione. La sentenza stabilisce un principio fondamentale sul concorso in usura: anche la sola partecipazione alla fase di riscossione del credito, senza aver preso parte all’accordo iniziale, è sufficiente per integrare la piena responsabilità penale. La Corte ha ribadito che l’usura è un reato a consumazione prolungata e che i ricorsi basati su una rivalutazione dei fatti non sono ammissibili in sede di legittimità.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in usura: la riscossione basta per la condanna

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale in materia di reati patrimoniali, stabilendo che per la configurabilità del concorso in usura non è necessario aver partecipato all’accordo originario, ma è sufficiente intervenire nella fase esecutiva, come quella della riscossione dei crediti. Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale volto a colpire tutte le condotte che contribuiscono alla realizzazione del piano criminoso, offrendo una tutela più ampia alle vittime.

I fatti del processo

La vicenda giudiziaria nasce dalla condanna, confermata in primo e secondo grado, di tre persone per i reati di usura e, per una di esse, anche di estorsione. I fatti contestati riguardavano prestiti concessi a un imprenditore in difficoltà economiche con l’applicazione di tassi di interesse esorbitanti, pari al 120% annuo.

Due degli imputati erano accusati di aver erogato in concorso un prestito di 10.000 euro, mentre il terzo era coinvolto in ulteriori episodi di usura ed estorsione ai danni della stessa vittima, agendo in concorso con altri soggetti. Le corti di merito avevano ritenuto provata la responsabilità di tutti gli imputati sulla base delle dichiarazioni della persona offesa e di altre evidenze probatorie.

I motivi del ricorso in Cassazione

Gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione lamentando diversi vizi. In particolare:

* Un ricorrente sosteneva di essere estraneo all’accordo usurario iniziale e di essersi limitato a partecipare alla fase di riscossione del credito, senza esercitare pressioni sulla vittima. A suo dire, tale condotta non poteva integrare il concorso in usura.
* Un altro imputato contestava la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito e la presunta disparità di trattamento sanzionatorio rispetto al coimputato.
* Il terzo ricorrente, condannato anche per estorsione, negava il travisamento della prova e l’esistenza di una minaccia, sostenendo che le sue comunicazioni con la vittima esprimessero solo preoccupazione per eventuali ritorsioni da parte dei finanziatori, non una minaccia diretta.

Le motivazioni della Corte di Cassazione e il principio sul concorso in usura

La Suprema Corte ha dichiarato tutti i ricorsi inammissibili, ritenendo le censure proposte come tentativi di ottenere una nuova valutazione del merito dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità, specialmente in presenza di una “doppia conforme” (due sentenze di condanna uguali nei gradi precedenti).

Il punto centrale della decisione riguarda la configurabilità del concorso in usura. I giudici hanno chiarito che l’usura è un reato a condotta frazionata e a consumazione prolungata. Ciò significa che il reato non si esaurisce con la pattuizione degli interessi illeciti, ma si protrae per tutto il tempo in cui vengono pagati gli interessi usurari. Di conseguenza, chiunque intervenga in un momento successivo alla stipula dell’accordo, ad esempio occupandosi della riscossione delle rate, fornisce un contributo causale alla realizzazione del reato e risponde di concorso in usura a pieno titolo. La riscossione non è un mero “post factum non punibile”, ma una parte integrante della condotta illecita.

Per quanto riguarda il reato di estorsione, la Corte ha ribadito che la minaccia non deve essere necessariamente esplicita e diretta. Può essere anche larvata, implicita o indiretta, purché sia idonea a coartare la volontà della vittima. Nel caso di specie, prospettare alla persona offesa il rischio di una reazione violenta da parte dei finanziatori in caso di mancato pagamento è stato ritenuto sufficiente a integrare la minaccia estorsiva.

Le conclusioni

La sentenza conferma la linea dura della giurisprudenza contro l’usura e l’estorsione, ampliando la portata del concorso di persone nel reato. La decisione stabilisce che ogni contributo, anche se fornito nella sola fase esecutiva come la riscossione, è penalmente rilevante e sufficiente a fondare una condanna per concorso in usura. Questo principio rafforza la tutela delle vittime, permettendo di perseguire tutti i soggetti che, a vario titolo, partecipano e traggono profitto dal meccanismo usurario.

Per essere condannati per concorso in usura è necessario aver partecipato all’accordo iniziale del prestito?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il reato di usura si consuma in modo prolungato nel tempo, con il pagamento delle rate. Pertanto, anche chi interviene in un momento successivo, ad esempio occupandosi solo della riscossione, fornisce un contributo consapevole alla realizzazione del reato e risponde di concorso.

La riscossione dei pagamenti di un debito usurario è considerata un’attività successiva al reato e quindi non punibile?
No. Secondo la sentenza, i pagamenti effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto usurario compongono il fatto lesivo penalmente rilevante e segnano il momento consumativo. L’attività di riscossione non è un “post factum non punibile”, ma una parte integrante della condotta criminosa.

Una minaccia velata o indiretta è sufficiente per configurare il reato di estorsione?
Sì. La giurisprudenza consolidata, confermata da questa sentenza, ritiene che la minaccia costitutiva del delitto di estorsione possa manifestarsi in modi e forme differenti, anche in maniera implicita, larvata o indiretta, essendo sufficiente che sia idonea a incutere timore e a coartare la volontà della vittima.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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