Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27129 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27129 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a Noicattaro il 09/02/1973 COGNOME NOME nato a Noicattaro il 05/03/1952 COGNOME NOME nato a Rutigliano il 06/11/1949 avverso la sentenza della Corte di appello di Bari in data 05/03/2024 udita la relazione del consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni con le quali il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi; udite le conclusioni dell’avv.NOME COGNOME, difensore di COGNOME NOME il quale si è riportato ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento e la pronuncia di sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione; udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME NOME il quale si è riportato ai motivi di ricorso ed alla memoria depositata in data 29/04/2025 chiedendo altresì sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione
RITENUTO IN FATTO
1.COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, ricorrono avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari in data 05/03/2024, confermativa di quella del Tribunale di Bari del 14/07/2022 che li aveva condannati alle pene ritenute di giustizia in ordine ai delitti di usura a loro rispettivamente ascritti : prestito usurario di euro 10.000,00 con interessi mensili del 10% di cui al capo a), contestato a COGNOME NOME e COGNOME NOME, in concorso; prestiti usurari ed estorsione di cui ai capi b),c), d), e), f) contestati a COGNOME NOME, in concorso con altri soggetti, separatamente giudicati, non ricorrenti, tutti posti in essere in danno di COGNOME NOME.
2.Con autonomi atti impugnatori i ricorrenti deducono:
2.1. COGNOME NOME: violazione di legge (art. 606 lett. b) cod. proc. pen.) in relazione all’art. 110 cod.pen. Sostiene il ricorrente, nell’unico unico motivo di ricorso, duplicato, che la Corte d’appello ha confermato la penale responsabilità per il delitto di usura, ipotizzando la sua partecipazione nella fase di riscossione dei crediti, pur ammettendo la sua estraneità all’originario accordo usurario, di cui sconosceva i termini.
Il ricorrente contesta detta partecipazione nella fase esecutiva del delitto ed evidenzia che i pagamenti dei ratei del debito usurario vennero eseguiti da COGNOME (persona offesa), spontaneamente, senza alcuna pressione o sollecito da parte del ricorrente.
2.2.All’odierna udienza il difensore ha chiesto dichiararsi la prescrizione, in quanto il reato risulta consumato da luglio 2008 a settembre 2010.
COGNOME NOME nel suo ricorso articola due motivi.
3.1.Con il primo deduce violazione di legge (art. 606 lett. b) cod. proc. pen.) in relazione all’art. 644 cod. pen. La Corte di appello nel confermare il giudizio di penale responsabilità del ricorrente per il delitto di usura non avrebbe ricostruito i termini dell’accordo asseritamente usurario, e non avrebbe verificato il superamento del tasso soglia nella pattuizione e nel pagamento degli interessi.
3.2.Con il secondo motivo eccepisce il difetto di motivazione in relazione all trattamento sanzionatorio avuto riguardo all’entità della pena detentiva irrogata (anni due, mesi otto di reclusione, partendo dalla pena base di anni quattro di reclusione) e la disparità di trattamento rispetto al coimputato COGNOME cui è stata inflitta la pena di anni due di reclusione ( partendo dalla pena di anni tre di reclusione).
COGNOME NOME con il ricorso principale articola un unico motivo con il quale lamenta illogicità della motivazione (art. 606 lett. e) cod. proc. pen.), in
relazione ai capi e) ed f) dell’imputazione, deducendo il travisamento della prova. In particolare, con riferimento al delitto di estorsione (capo f) contesta l’affermazione di responsabilità evidenziando che dai colloqui intercorsi tra COGNOME e COGNOME, diversamente da quanto affermato in sentenza, non emergeva la minaccia, neppure larvata, dell’imputato verso la persona offesa quanto piuttosto la preoccupazione del ricorrente per eventuali ritorsioni nei confronti della sua persona qualora COGNOME NOME non avesse onorato il debito usurario. Assume poi il ricorrente che la Corte di appello avrebbe trascurato di rispondere alle doglianze difensive con le quali era stata prospettata una lettura alternativa della vicenda, evidenziando che le dichiarazioni della persona offesa, ritenute dalla Corte di merito decisive, erano state smentite da quanto affermato dal pentito COGNOME e dal teste COGNOME
4.2.Con memoria depositata in data 29/04/2025, il ricorrente ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per la rideterminazione della pena avuto riguardo alla ricorrenza della lieve entità del fatto, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 120/2023.
4.3. In udienza, infine, il difensore ha chiesto dichiararsi la prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono tutti inammissibili.
2.1 motivi proposti attengono a valutazioni di merito che sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999, Rv. 214794; Sez. U., n. 12 del 31.5.2000, Rv. 216260; Sez. U. n. 47289 del 24.9.2003,Rv. 226074). Ed inoltre, nel caso di specie, ci si trova dinanzi ad una “doppia conforme” e cioè doppia pronuncia di eguale segno (nel nostro caso, di condanna) per cui il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla legge n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata
decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche de motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (sez. 2 n. 5223 del 24/1/2007, Rv. 236130). Nel caso di specie, invece, il giudice di appello ha riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunto alla medesima conclusione in ordine alla responsabilità degli imputati per i fatti a loro ascritti.
Orbene, fatta questa doverosa premessa e sviluppando coerentemente i principi suesposti, deve ritenersi che la sentenza impugnata regge al vaglio di legittimità, non palesandosi assenza, contraddittorietà od illogicità della motivazione, ovvero travisamento del fatto o della prova.
Si tratta, poi, di questioni che erano già state proposte in appello e sulle quali la Corte si è già pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici.
3.Passando all’esame dei singoli ricorsi, osserva il collegio che il motivo proposto da COGNOME NOME è reiterativo di doglianze prospettate in appello cui la Corte ha dato risposte giuridicamente e logicamente corrette.
Il giudice di appello ha spiegato le ragioni del proprio convincimento circa la consapevole partecipazione dell’imputato alla vicenda estorsiva e, contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, ha congruamente osservato che, seppure l’imputato non avesse partecipato all’originario patto usurario (la natura usuraria del prestito non viene posta in discussione) fu lui a mettere in contatto COGNOME con COGNOME e ad erogare materialmente alla persona offesa la somma concordata ricevendo i due assegni bancari a garanzia, ciò a dimostrazione della piena consapevolezza e condivisione dell’accordo illecito (cfr. pagg. 7 e 8 della sentenza impugnata). La Corte ha anche sottolineato che COGNOME assunse, nella fase esecutiva del delitto, un ruolo significativo occupandosi della “riscossione” del credito, esercitando pressioni ( in forma larvata) e ricevendo dalla persona offesa, presso la sede della sua società RAGIONE_SOCIALE, i pagamenti dei ratei di interessi, contribuendo materialmente alla realizzazione dell’illecito.
I giudici di merito hanno ricavato, dunque, da un complesso di circostanze, i particolare la consegna dei 10.000,00 euro, la ricezione degli assegni in garanz e dei ratei di interessi presso la RAGIONE_SOCIALE, oltre alle sollecitazioni direttamente a COGNOME, di rispettare i patti e di pagare l’intero d manifestandogli anche la necessità, a fronte dei reiterati ritardi, di chi
quanto prima “la trattativa” perché i suoi ritardi gli stavano creando problemi con NOME (cfr. pag. 8 della sentenza impugna e pag. 4 della sentenza di primo grado), la prova del concorso del medesimo nel delitto di usura, sottolineando come dal complesso delle richieste avanzate emergeva la piena consapevolezza dell’imputato anche in ordine all’importo usurario degli interessi.
I giudici di merito hanno correttamente applicato i principi affermati in materia di concorso di persone nel delitto di usura, concorso che ricorre anche per colui che interviene in un momento successivo alla formazione del patto usurario, atteso che il reato di usura appartiene al novero dei reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata perché i pagamenti effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto usurario compongono il fatto lesivo penalmente rilevante, di cui segnano il momento consumativo sostanziale, e non sono qualificabili come “post factum” non punibile della illecita pattuizione (Sez. 2, n. 33871 del 02/07/2010, Rv. 248132; Sez. 2, n. 37693 del 04/06/2014, Rv. 260782; Sez. 2, n. 40380 del 11/06/2015, Rv. 264887; Sez. 2, n. 35878 del 23/09/2020, Rv. 280313).
La motivazione dei giudici di merito congrua perché aderente ai fatti di causa ed esente da errori in diritto, rende le deduzioni difensive inammissibili in quanto fondate sostanzialmente su interpretazioni alternative delle medesime prove già analizzate dai giudici del merito, interpretazioni che, ove ben motivate come nella specie, risultano non censurabili in questa sede, ove il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, se abbiano analizzato il materiale istruttorio facendo corretta applicazione delle regole della logica, delle massime di comune esperienza e dei criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
Il ricorrente censura la sentenza sotto il profilo della violazione di legge, ma trascura di considerare che la motivazione impugnata, fondata sulle dichiarazioni accusatorie della persona offesa, non contestate, ha fatto buon governo delle regole ermeneutiche in tema di concorso nel delitto di usura che rendono evidente l’infondatezza delle censure proposte riguardo all’affermazione di penale responsabilità e al merito della condanna a titolo di concorso, con conseguente
inammissibilità del ricorso.
4.11 ricorso di COGNOME NOMECOGNOME è parimenti inammissibile.
4.1.11 primo motivo è manifestamente infondato. La Corte di appello ha puntualmente risposto alle doglianze difensive con le quali in sede di appello si contestava l’attendibilità della persona offesa, rilevando come dal racconto di COGNOME NOME NOME, ritenuto pienamente attendibile e della sorella dello stesso, si ricavava non solo lo stato di grave difficoltà economica in cui versava l’imprenditore, costretto a ricorrere al prestito usurario, ma anche il tasso di interessi praticato dall’imputato, pari al 120% annuo posto che a fronte di un prestito di euro 10.000,00, COGNOME aveva consegnato a titolo di interessi, a COGNOME 24.000,00 euro ( cfr. pag. 6 della sentenza di appello).
Va poi ricordato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone ( Sez. Unite 41461/2012, rv. 253214; Sez. 2, 41505/2013, rv.257241; Sez. 2 432782015, rv. 265104).
4.2.Anche il secondo motivo è palesemente infondato. La Corte di merito ha giustificato l’irrogazione di una pena superiore al minimo edittale avuto riguardo alla gravità della condotta posta in essere dal prevenuto (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata) senza che possa darsi rilievo in questa sede alla censura in ordine alla disparità di trattamento con il coimputato COGNOME avuto riguardo al differente coefficiente causale dei correi nella vicenda usuraria che non rende affatto assimilabili le loro posizioni.
Il motivo di ricorso con cui COGNOME NOME contesta la responsabilità per il delitto di usura ( capo e) e di estorsione ( capo f) è aspecifico e manifestamente infondato.
Il ricorrente reitera questioni già prospettate in grado di appello, circa il presunto ruolo amicale da lui svolto in favore della persona offesa alle quali la Corte di merito ha risposto con argomentazioni logico giuridiche corrette (cfr. pag. 11 della sentenza). Le deduzioni difensive con le quali la difesa denuncia il travisamento della prova, in particolare delle intercettazioni, lungi dal prospettare reali difformità rispetto al contenuto dei colloqui intercettati, si
limitano ad una reinterpretazione del significato probatorio dei dati processuali, non ammessa in sede di legittimità (Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, Rv. 237994; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, Rv. 259516;Sez.5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370).
Deve ricordarsi che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere palese, esplicita e determinata, può essere manifestata in modi e forme differenti, anche in maniera implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima ed alle condizioni ambientali in cui questa opera (Sez. 2, n. 37526 del 16/06/2004, Rv. 229727; Sez. 2, n. 2833 del 27/09/2012, Rv. 254297). Tuttavia deve pur sempre essere una minaccia strettamente collegabile alla condotta dell’agente, quale rappresentatasi e voluta dall’agente stesso, che deve porre la controparte in condizione di non avere scelte e di essere costretta a subire la situazione minatoria.
Nella specie la Corte di appello, ai fini della affermazione di penale responsabilità per il delitto di estorsione, ha congruamente valorizzato il collegamento finalistico tra la condotta di COGNOME, pacificamente diretta ad ottenere il pagamento degli interessi usurari e la minaccia di un male ingiusto, prospettata dal ricorrente come proveniente dai soggetti finanziatori, dalla cui reazione, nel caso di mancato pagamento, faceva intendere il ricorrente, non sarebbe più riuscito a proteggerlo.
La Corte di appello ha anche preso in carico le doglianze difensive con le quali il ricorrente ha contestato l’affidabilità del propalato della persona offesa in ordine al prestito usurario perché in contrasto con quanto dichiarato dal collaboratore COGNOME COGNOME pacificamente attendibile e dal teste COGNOME
In particolare i giudici di appello hanno logicamente spiegato le ragioni della discrasìa riguardante la data di erogazione del prestito usurario (2010 e non 2009) riferita da COGNOME ritenendola non decisiva a fronte della sostanziale coincidenza del racconto della persona offesa con quello del collaboratore di giustizia.
La Corte di merito ha poi illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto che le dichiarazioni del teste COGNOME non avvalorassero la tesi difensiva (pagg. 10 e 11) con la conseguenza che la decisione impugnata, non è in questa sede censurabile. In altri termini i giudici di merito hanno esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, hanno dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti e,
interpretando le prove secondo le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, hanno
fornito la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
6. Da ultimo preme precisare che le richieste difensive avanzate in udienza, con le quali è stata sollecitata la declaratoria di estinzione del reato dovuta a
prescrizione, sono inammissibili in quanto non proposte con il ricorso (Sez. 3, n.
23929 del 25/02/2021, Rv. 282021); ciò preclude la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609 comma secondo, cod. proc. pen.,
l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure
dedotta con i motivi di ricorso ( Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, Rv. 266818).
In motivazione la Corte ha precisato che l’art. 129 cod. proc. pen. non riveste una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al
giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola
di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione.
Alla stregua di quanto complessivamente esposto i ricorsi vanno dichiarati inammissibili e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 15/05/2025