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Concorso in usura: la prova e la consapevolezza

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per concorso in usura ed estorsione. La sentenza chiarisce i criteri di valutazione delle dichiarazioni della persona offesa e i requisiti per provare la consapevolezza di chi partecipa alla riscossione di un credito usurario.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in usura e valore delle dichiarazioni della vittima: l’analisi della Cassazione

Il reato di concorso in usura solleva complesse questioni probatorie, specialmente quando si tratta di dimostrare la consapevolezza di chi non ha stipulato direttamente il patto illecito ma è intervenuto in una fase successiva, come quella della riscossione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti su come valutare le dichiarazioni della persona offesa e su quali elementi fondare la prova della consapevolezza del concorrente nel reato.

I fatti di causa

Il caso riguarda un uomo condannato in appello per i reati di usura aggravata ed estorsione, commessi in concorso con il proprio padre, poi deceduto. L’attività illecita si era svolta ai danni di un imprenditore in stato di bisogno, costretto a ricorrere a prestiti con tassi di interesse mensili del 10%. Mentre il padre era la figura che materialmente erogava il prestito e stabiliva le condizioni usurarie, il figlio era intervenuto nella fase di riscossione del credito, utilizzando minacce per ottenere il pagamento degli interessi illeciti.

La Corte d’Appello aveva confermato la condanna, pur riformando parzialmente la pena, basandosi principalmente sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa. L’imputato ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando diversi vizi della sentenza.

I motivi del ricorso: prova e consapevolezza nel concorso in usura

L’imputato ha basato il suo ricorso su tre motivi principali:

1. Inattendibilità delle dichiarazioni della vittima: Secondo la difesa, le dichiarazioni della persona offesa erano generiche, contraddittorie e non sufficientemente riscontrate per provare con certezza l’entità del capitale, la durata del prestito e, di conseguenza, la natura usuraria degli interessi.
2. Mancanza di motivazione sul concorso nel reato: L’imputato sosteneva che la Corte non avesse adeguatamente motivato la sua consapevolezza riguardo la natura usuraria del credito che stava riscuotendo. In assenza di tale prova, non poteva essere ritenuto responsabile di concorso in usura né di estorsione finalizzata al recupero di interessi illeciti.
3. Errata applicazione della legge sullo stato di bisogno: La difesa contestava che la condizione dell’imprenditore costituisse un vero e proprio “stato di bisogno”, ritenendola piuttosto una generica necessità di liquidità non sufficiente a integrare l’aggravante.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutti i motivi e confermando la solidità del ragionamento dei giudici di merito.

In primo luogo, la Corte ha stabilito che la valutazione delle dichiarazioni della persona offesa era stata logica e coerente. I giudici di appello avevano correttamente analizzato le testimonianze, spiegando le lievi discrepanze tra le dichiarazioni rese in fase di indagine e quelle dibattimentali con il notevole lasso di tempo trascorso. Il nucleo centrale dell’accusa, ovvero l’applicazione di un tasso del 10% mensile, era rimasto un dato costante e fermo nelle dichiarazioni della vittima, sufficiente a fondare il giudizio di colpevolezza.

Per quanto riguarda il concorso in usura, la Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: risponde del reato anche chi, pur non avendo partecipato alla stipula del patto usurario, interviene in un momento successivo per recuperare il credito, essendo consapevole della sua natura illecita. Nel caso di specie, la consapevolezza dell’imputato era stata desunta da elementi concreti emersi nel primo grado di giudizio, come le espressioni utilizzate durante le richieste di pagamento (ad esempio, riferimenti agli interessi “da rinfrescare”), che indicavano una piena conoscenza del meccanismo usurario gestito dal padre. La Corte ha sottolineato che, quando la motivazione dei giudici di merito è congrua e logicamente coerente, essa non può essere messa in discussione in sede di legittimità.

Infine, è stato confermato che il reato di estorsione concorre con quello di usura quando la violenza o la minaccia sono utilizzate proprio per ottenere il pagamento degli interessi usurari.

Sulla questione dello stato di bisogno, la Corte ha chiarito che tale condizione non implica una totale indigenza, ma una situazione di difficoltà economica che compromette la libertà di autodeterminazione del soggetto, spingendolo ad accettare condizioni capestro. La situazione della vittima, caratterizzata dall’impossibilità di accedere al credito legale e da una persistente necessità di liquidità per la propria attività, integrava pienamente i requisiti dell’aggravante.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma principi consolidati in materia di usura ed estorsione. Insegna che la prova del concorso in usura può basarsi su elementi indiziari che dimostrino la consapevolezza del partecipe, anche se il suo ruolo è limitato alla fase esecutiva della riscossione. Inoltre, le dichiarazioni della vittima, se valutate con rigore e logica dal giudice, possono costituire la fonte principale di prova, anche in presenza di marginali incongruenze. Infine, viene ribadita una nozione ampia di “stato di bisogno”, che tutela le persone la cui libertà negoziale è seriamente compromessa da difficoltà economiche, rendendole vulnerabili allo sfruttamento usurario.

Come si dimostra la consapevolezza di chi partecipa alla riscossione di un credito usurario?
La consapevolezza può essere provata anche attraverso elementi indiziari e logici. Nel caso specifico, le espressioni utilizzate dall’imputato durante le richieste di pagamento sono state ritenute indicative della sua piena conoscenza della natura illecita del credito che stava riscuotendo per conto del padre.

Una condanna per usura può basarsi esclusivamente sulle dichiarazioni della vittima, anche se presentano delle incongruenze?
Sì, a condizione che il giudice valuti le dichiarazioni in modo logico e coerente, considerandole nel loro complesso. La Corte ha ritenuto che le lievi difformità nelle dichiarazioni della vittima fossero giustificabili dal lungo tempo trascorso e non intaccassero il nucleo essenziale e costante della sua testimonianza, in particolare riguardo al tasso di interesse del 10% mensile.

Cosa si intende per ‘stato di bisogno’ nel reato di usura?
Lo ‘stato di bisogno’ non richiede una condizione di povertà assoluta, ma una particolare situazione psicologica determinata da un pressante assillo di natura economica. Questa condizione deve limitare la volontà di autodeterminazione della persona, inducendola a ricorrere al credito e ad accettare condizioni usurarie, come nel caso di un imprenditore impossibilitato ad accedere al credito bancario e con necessità di liquidità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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