Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1776 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1776 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato a Napoli il 30/06/1978
avverso la sentenza del 13/12/2023 della Corte d’appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore enerale NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile in quanto proposto per motivi manifestamente infondati;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13/12/2023, la Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del 13/05/2015 del Tribunale di Napoli: 1) assolveva NOME COGNOME dal reato di usura aggravata (dall’avere commesso il reato in danno di chi si trova in stato di bisogno) in concorso (con il padre NOME COGNOME) ai danni di NOME COGNOME di cui al capo A) dell’imputazione relativamente «all’usura commessa nel 2003»; 2) confermava la condanna di NOME COGNOME per i reati di: 2.a) usura aggravata (dall’avere commesso il reato in danno di chi si trova in stato di bisogno) in concorso (con il padre NOME COGNOME) ai danni di NOME COGNOME di cui al capo A) dell’imputazione relativamente al residuo
episodio iniziato nel 2006 (cioè quello relativo al “cambio” degli assegni a firma di tale COGNOME, da questi girati a tale COGNOME, cliente dell’impresa edile che era fatto gestita dal COGNOME, e successivamente girati dal COGNOME al COGNOME, che se li faceva “cambiare” da NOME COGNOME); 2.b) estorsione in concorso (sempre con il padre NOME COGNOME) ai danni sempre di NOME COGNOME di cui al capo B) dell’imputazione (per avere costretto con minaccia il COGNOME a corrispondere gli interessi usurari di cui al capo “A” dell’imputazione); 3) rideterminava in cinque anni e undici mesi di reclusione ed C 12.000,00 di multa la pena irrogata a NOME COGNOME per i suddetti due reati; 4) dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per essere gli stessi reati estinti per morte del reo.
Avverso la menzionata sentenza del 13/12/2023 della Corte d’appello di Napoli, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.: 1) la violazione degli artt. 192 e 500, comma 2, cod. proc. pen.; 2) la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione «con riferiment alla prova dell’accordo illecito intercorso tra Russo Mauro e la p.o.»; 3) la violazione «della regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio» e/o «delle regole di giudizio di cui all’art. 530 cpv. c.p. e norme collegate».
Il COGNOME lamenta che la conferma della propria condanna sarebbe stata giustificata dalla Corte d’appello di Napoli «con argomentazioni che contrastano con le regole di valutazione della prova», in particolare, con le regole che attengono alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa.
Ciò con specifico riguardo alla ritenuta natura usuraria degli interessi sul prestito che era stato concesso dal proprio padre NOME COGNOME ad NOME COGNOME la quale era stata affermata sulla base delle sole dichiarazioni dello stesso COGNOME.
Il ricorrente rappresenta in proposito che, come era stato evidenziato nel proprio atto di appello, il COGNOME non aveva «reso dichiarazioni costanti, circostanziate e verificabili con riferimento agli accordi» che aveva concluso con NOME COGNOME e lamenta che la Corte d’appello di Napoli avrebbe superato i rilievi difensivi in ordine all’inattendibilità dello stesso COGNOME applicando erroneamente il disposto del comma 2 dell’art. 500 cod. proc. pen. e utilizzando degli argomenti contraddittori e palesemente illogici.
Con particolare riguardo all’individuazione nel 10% mensile, sulla base delle dichiarazioni del Seppione, del tasso di interesse applicato (secondo capoverso della pag. 15 della sentenza impugnata), il Russo contesta che la stessa Corte d’appello, da un lato, avrebbe trascurato le conclusioni del consulente tecnico della difesa dott. NOME COGNOME e degli stessi consulenti tecnici del pubblico ministero,
dall’altro lato, non avrebbe adeguatamente considerato che, come era stato rilevato nel proprio atto di appello, nel corso delle indagini preliminari il COGNOME «aveva narrato la vicenda in termini assai diversi», come risultava dal verbale delle informazioni che egli aveva reso ai Carabinieri il 07/08/2008, peraltro fedelmente trascritto alla pag. 17 della sentenza impugnata. Da ciò discenderebbe che le dichiarazioni della persona offesa non consentirebbero di provare con certezza la natura usuraria degli interessi, non essendovi certezza neppure del capitale che essa ricevette in prestito, se € 17.000,00 o € 29.000,00.
Né si potrebbe ritenere provata con certezza neppure la durata del prestito, atteso che, con riguardo al momento in cui era avvenuto l’accordo, la Corte d’appello di Napoli, poiché la persona offesa non aveva «fornito elementi di prova rassicuranti», aveva fatto ricorso a una mera congettura (quella esposta al secondo periodo del penultimo capoverso della pag. 15 della sentenza impugnata).
La «genericità e la contraddittorietà» delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa avrebbero pertanto dovuto comportare l’assoluzione dell’imputato, quanto meno ai sensi del comma 2 dell’art. 530 cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente, la Corte d’appello di Napoli, incorrendo sia in una contraddizione interna sia in un’erronea applicazione dell’art. 500 cod. proc. pen., non avrebbe considerato che, poiché il COGNOME aveva dichiarato in dibattimento che «e l’ho detto in quel periodo là la mente era fresca, era tanto tanto successo e vuol dire che è verità», le dichiarazioni predibattimentali dello stesso COGNOME, in quanto utilizzate per le contestazioni e da lui confermate in dibattimento, si sarebbero dovute «recepire e valutare come dichiarazioni rese direttamente dal dichiarante in sede dibattimentale».
Dall’utilizzabilità delle dichiarazioni che erano state rese dal COGNOME ai Carabinieri il 07/08/2008 discenderebbe altresì che l’argomento del «lungo tempo trascorso tra i fatti denunciati e l’escussione dibattimentale» (pag. 18 della sentenza impugnata), diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello di Napoli, non potrebbe valere a spiegare le difformità tra le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari e le dichiarazioni dibattimentali.
Il ricorrente conclude che gli «insuperabili» «contrasti interni alle dichiarazion della p.o.» non consentirebbero, in assenza di elementi probatori esterni alle stesse dichiarazioni, di ritenere provata la natura usuraria del prestito.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce: a) in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 110 cod. pen. in relazione all’art. 629 dello stesso codice; b) in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la «mancanza di motivazione con riferimento al concorso nel reato ascritto al ricorrente».
Dopo avere rammentato alcuni principi affermati dalla Corte di cassazione sul tema del concorso di persone nel reato, nonché il principio, statuito dalla stessa Corte, secondo cui il delitto di estorsione non è configurabile quando, prima dell’esercizio della violenza o minaccia, risulti accertato l’intervento di una tota novazione del rapporto tra le parti, con sostituzione, rispetto al credito originario della pretesa della sola somma capitale ovvero di altra somma gravata da interessi legittimi (Sez. 2, n. 26235 del 12/05/2017, Nicosia, Rv. 269968-01), il ricorrente lamenta l’assenza grafica di qualsiasi motivazione in ordine agli elementi e alle ragioni che avrebbero deposto nel senso della propria consapevolezza della natura usuraria dei rapporti che erano intercorsi tra il proprio padre NOME COGNOME e la persona offesa.
Il ricorrente rappresenta che, poiché anche secondo la Corte d’appello di Napoli «gli accordi (anche quello avente ad oggetto il cambio degli assegni del COGNOME) non hanno mai interessato il ricorrente», allora, «e così è, ed è così per ritenere provato il concorso del figlio nell’usura ascritta al padre, occorreva evidenziare il ruolo assunto dal primo nelle vicende che riguardano la restituzione sotto il profilo oggettivo ed anche sotto il profilo soggettivo», individuando g estremi della condotta concorsuale dell’imputato ed esplicitando i relativi elementi probatori. Del che la Corte d’appello di Napoli non si sarebbe curata.
Ne discenderebbe che, in assenza di alcuna indicazione delle ragioni che avrebbero deposto nel senso della consapevolezza della natura usuraria delle pretese del proprio padre, non sarebbe stato possibile affermare la sua responsabilità, anche nel caso in cui le richieste di pagamento fossero state effettivamente avanzate con minaccia.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 644 cod. pen. con riguardo alla ritenuta sussistenza dello stato di bisogno della persona offesa.
Dopo avere richiamato alcuni principi affermati su tale tema dalla Corte di cassazione, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Napoli, in asserito contrasto con gli stessi principi, avrebbe ricollegato lo stato di bisogn all’impossibilità del Seppione di accedere al credito bancario, «senza tuttavia correlare tale condizione ad una convincente prova dell’effettiva limitazione della libertà della p.o. nell’accesso al credito caratterizzata da uno stato di necessità sostanzialmente irreversibile».
Secondo il Russo, nella vicenda in considerazione sarebbe piuttosto emersa «una generica necessità della p.o. di effettuare il cambio di alcuni assegni postdatati ricevuti in pagamento per l’esecuzione di lavori edili effettuati», mentre niente sarebbe «stato palesato con riferimento al contestato stato di bisogno».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte d’appello di Napoli ha argomentato come il COGNOME avesse riferito in modo molto chiaro che su ogni assegno postdatato che aveva consegnato a NOME COGNOME questi calcolava sempre un interesse del 10% mensile che tratteneva, consegnandogli la somma portata dall’assegno decurtata di tale percentuale (così, ad esempio: nel caso del primo assegno “cambiato” di € 6.000,00 con scadenza a un mese, NOME COGNOME gli aveva consegnato € 5.400,00, facendosi così dare C 600,00 di interessi, cioè il 10% in un mese; nel caso del secondo assegno “cambiato” di € 6.000,00 con scadenza a due mesi, NOME COGNOME gli aveva consegnato € 4.800,00, facendosi così dare € 1.200,00 di interessi, cioè il 20% in due mesi e, quindi, il 10% mensile).
La Corte d’appello di Napoli ha perciò ritenuto, con un ragionamento che si deve ritenere privo di contraddizioni e di manifeste illogicità, che, ai f dell’individuazione del tasso di interesse che era stato praticato nel caso di specie, occorreva avere riguardo al momento della consegna degli assegni da parte del COGNOME a NOME COGNOME perché era in quel momento che il COGNOME determinava (e tratteneva) l’interesse che era da lui richiesto (penultimo capoverso della pag. 15 della sentenza impugnata), il quale, come aveva chiaramente dichiarato il Seppione, era del 10% mensile (nettamente superiore al tasso soglia oltre il quale gli interessi per operazioni della stessa natura sono considerati sempre usurari).
Ne discende che, in modo parimenti del tutto logico, la Corte d’appello di Napoli, sulla considerazione che il primo assegno “cambiato” aveva come scadenza la fine di febbraio del 2006, ha collocato la negoziazione usuraria all’inizio del 2006, come del resto era stato dichiarato dal COGNOME (che aveva parlato di gennaio del 2006; pag. 14 della sentenza impugnata).
L’individuazione dell’applicato tasso di interesse nella misura del 10%, ancorché essenzialmente fondata sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, appare pertanto logica, atteso che, sulla base delle stesse dichiarazioni, era stato possibile stabilire il capitale prestato (che ammontava a circa € 17.000,00 complessivi; pag. 15 della sentenza impugnata), la durata del prestito (dalla consegna degli assegni postdatati alla loro scadenza) e, appunto, il tasso dì interesse (che era del 10% mensile, per complessivi € 13.000,00 che erano stati trattenuti da NOME COGNOME a titoli di interessi; pag. 15 della sentenza impugnata).
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte d’appello di Napoli ha altresì chiaramente e logicamente dipanato le divergenze tra le dichiarazioni che erano state rese dal COGNOME in dibattimento e le dichiarazioni che la stessa persona offesa aveva reso nel corso delle indagini preliminari (si vedano, in particolare, le pagg. 17-18 della sentenza impugnata), chiarendo, sulla base di
una non illogica valutazione di entrambe tali dichiarazioni, che il COGNOME aveva in realtà confermato di avere “cambiato” assegni girati dal COGNOME per complessivi C 30.000,00 (e non per C 35.000,00, atteso che l’importo di C 5.000,00 era relativo al “cambio” di un altro assegno di tale geometra COGNOME) e non aveva ricordato di avere ricevuto da NOME COGNOME la somma di C 29.000,00.
La stessa Corte d’appello ha comunque logicamente sottolineato come il COGNOME avesse sempre lasciato fermo il dato che NOME COGNOME aveva anticipatamente scomputato dall’importo di ciascun assegno da lui monetizzato l’interesse del 10% mensile.
Né si può ritenere sussistente, contrariamente a quanto è sostenuto dal ricorrente, alcuna violazione del comma 2 dell’art. 500 cod. proc. pen., atteso che la Corte d’appello di Napoli ha in realtà valutato le dichiarazioni che erano state rese dal COGNOME nel corso delle indagini preliminari, insieme con quelle dibattimentali dello stesso COGNOME, legittimamente e logicamente giustificando alcune difformità tra le stesse – che comunque, come si è detto, non riguardavano la misura (del 10% mensile) dell’interesse pattuito – con il lungo tempo che era decorso tra i fatti e l’esame dibattimentale della persona offesa.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Il Tribunale di Napoli aveva motivato in ordine al fatto che NOME COGNOME era intervenuto, mediante minacce, nella fase della riscossione del credito del padre NOME COGNOME essendo consapevole che tale credito era relativo a un prestito di natura usuraria.
Il Tribunale di Napoli aveva in particolare specificamente argomentato come dalle dichiarazioni che erano state rese dal COGNOME fosse risultato che NOME COGNOME si doveva ritenere pienamente a conoscenza di stare agendo (con minacce) per recuperare un credito usurario, come emergeva dalle espressioni che erano state utilizzate dall’imputato e, in particolare, dal suo riferimento agli interessi rinfrescare », il quale si doveva ritenere indicativo della piena consapevolezza, da parte di NOME COGNOME, dell’esatto contenuto degli accordi tra il COGNOME e suo padre NOME COGNOME compresa la pretesa del padre di imputare i pagamenti dapprima agli interessi e solo dopo alle sorte capitale (pag. 9 della sentenza di primo grado).
Tale motivazione non era stata specificamente contestata nell’atto di appello degli imputati (come risulta dalla lettura dello stesso atto), sicché la Cort d’appello di Napoli si è del tutto legittimamente limitata a ribadire la provat consapevolezza di NOME COGNOME di partecipare alla fase esecutiva di una condotta usuraria (pag. 11 della sentenza impugnata).
Pertanto, posto che le due sentenze di merito possono senz’altro essere lette congiuntamente, ne discende: a) da un lato, che non si può ritenere sussistente il
denunciato vizio di mancanza della motivazione in ordine alla consapevolezza della natura usuraria dell’azionato credito del proprio padre; b) dall’altro lato, che ricorrente non si è mai adeguatamente confrontato con le argomentazioni che le conformi sentenze dei giudici di merito hanno esposto al riguardo.
Accertata la consapevolezza, in capo all’imputato, della natura usuraria del credito da lui riscosso con minacce, la Corte d’appello di Napoli ha fatto corretta applicazione dei principi, affermati dalla Corte di cassazione, secondo cui: a) risponde del delitto di concorso in usura il soggetto che, in un momento successivo alla formazione del patto usurario, ricevuto l’incarico di recuperare il credito, riesc a ottenerne il pagamento (Sez. 5, n. 42849 del 24/06/2014, Lagala, Rv. 26230801; Sez. 2, n. 41045 del 13/10/2005, COGNOME, Rv. 232698-01), come era avvenuto nella specie (pag. 12 della sentenza impugnata); b) il reato di estorsione concorre con quello di usura quando la violenza o la minaccia sono esercitate al fine di ottenere il pagamento degli interessi pattuiti o degli altri vantaggi usurari (Sez. 2 n. 38551 del 26/04/2019, COGNOME, Rv. 277090-02; Sez. 2, n. 26235 del 12/05/2017, Nicosia, Rv. 269968-01; Sez. 2, n. 9931 del 01/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262566-01; Sez. 2, n. 6918 del 25/01/2011, COGNOME, Rv. 249399-01), come era avvenuto, appunto, nella specie.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
La Corte di cassazione ha chiarito che l’aggravante speciale del reato di usura della commissione di tale reato in danno di chi si trova «in stato di bisogno» (n. 3 del quinto comma dell’art. 644 cod. pen.) è configurabile nel solo caso in cui sussista una particolare condizione psicologica, determinata da un impellente assillo di natura economica, in presenza della quale il soggetto passivo subisca una limitazione della volontà di autodeterminazione che lo induce a ricorrere al credito e ad accettare condizioni usurarie (Sez. 2, n. 1255 del 04/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284286-01. In termini sostanzialmente analoghi: Sez. 2, n. 18778 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 259962-01).
Nel caso in esame, si deve anzitutto rilevare che, con il proprio atto di appello, come risulta dalla lettura di esso (pag. 17), NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano contestato, come è stato evidenziato anche dalla Corte d’appello di Napoli (pag. 24 della sentenza impugnata), non tanto lo stato di bisogno del COGNOME quanto la loro consapevolezza di tale stato della persona offesa.
Ciò posto, si deve ritenere che, con l’evidenziare sia il pregresso pluriennale ricorso del COGNOME al credito usurario, nell’evidente sua impossibilità di accedere al credito bancario, sia la necessità di liquidità dello stesso COGNOME per potere affrontare le spese dei lavori che l’impresa da lui gestita aveva effettuato al COGNOME, la Corte d’appello di Napoli abbia comunque dato conto della sussistenza, in capo alla persona offesa COGNOME, di uno stato di necessità non agevolmente
reversibile e comportante un impellente assillo di natura economica tale da compromettere fortemente la sua libertà di autodeterminazione, con la conseguente configurabilità di un suo stato di bisogno.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 05/12/2024.