Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 17644 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 17644 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
due gradi di merito, dei fatti di usura di cui al capo a) e, inoltre, della partecipazione al sodalizio descritto ai capi k) e j) dei due procedimenti riuniti.
Rileva il collegio che le due sentenze di merito hanno affrontato le imputazioni elevate a carico dell’odierna ricorrente (cfr., pagg. 23-32 della sentenza di primo grado e pagg. 36-37 della sentenza d’appello quanto al capo a); pagg. 92-118 della sentenza di primo grado e pagg. 108-110 della sentenza d’appello quanto al reato associativo) giustificando la conforme decisione con criteri omogenei sicchØ la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo che deve essere tenuto presente, nella sua unitarietà, e che deve essere considerato ai fini del controllo demandato a questa Corte (cfr., in tal senso, tra le tante, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01).
1.1 Partendo dall’imputazione di cui al capo a), i giudici di merito, in termini congrui e non censurabili in questa sede, hanno, in particolare, valorizzato le risultanze del servizio approntato dalla PG a sØguito della denuncia presentata da NOME COGNOME e la cui natura usuraria non Ł stata oggetto di alcun rilievo da parte della difesa della NOME; gli operanti, dunque, allertati dal COGNOME, che aveva preannunciato la visita presso l’abitazione di NOME COGNOME dove era stato convocato per il giorno 2 maggio 2022, avevano predisposto un’attività di OCP ed organizzato una consegna ‘controllata’ del denaro recato dal denunciante; avevano pertanto dato atto della presenza della NOME nella casa del figlio NOME dove si era recato NOME COGNOME per
corrispondere la rata del prestito usurario a lui erogato precisando che, anzi, era stata proprio l’imputata ad aprire la porta dell’abitazione al Carbone per poi indirizzarlo sul balcone dove la vittima e NOME COGNOME erano stati raggiunti dal padre di costui, e marito della NOME, NOME; il COGNOME aveva chiesto, nell’occasione, una ‘tregua’ che, tuttavia gli era stata recisamente negata sia da NOME che da NOME COGNOME, risolvendosi perciò a consegnare la somma di 900 euro nelle mani di NOME che riponeva le banconote nella tasca destra del pantalone della tuta; congedato il COGNOME, i militari davano atto che NOME COGNOME, rientrato in casa, consegnava il denaro alla madre che, sedutasi al tavolino, contava le banconote per poi a sua volta riporle nella tasca sinistra del giubbotto e, infine, consegnarle al marito che le metteva in tasca.
Il Tribunale e la Corte d’appello, sulla base di questa ricostruzione, hanno argomentato, in termini immuni da aspetti di manifesta illogicità e da – peraltro mai denunziati – profili di contraddittorietà, sul concorso della Battista nell’usura in danno del Carbone avendo desunto, dalla dinamica dell’episodio, la perfetta conoscenza, da parte di costei, dell’esistenza e della natura del prestito erogato al Carbone, alla riscossione di una quota del quale aveva direttamente preso parte attiva.
Ed Ł allora il caso di ribadire l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il delitto di usura si configura come reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata perchØ i pagamenti effettuati dalla persona offesa, in esecuzione del patto usurario, compongono il fatto lesivo penalmente rilevante, con la conseguenza che ne rispondono a titolo di concorso nel reato i terzi, quand’anche estranei all’accordo originario, che siano intervenuti nella fase relativa al recupero dei crediti illeciti e per il conseguimento dell’illecito vantaggio usurario dagli stessi preteso (cfr., Sez. 2, n. 40380 del 11/06/2015, COGNOME, Rv. 264887 – 01; Sez. 2, n. 26553 del 12/06/2007, COGNOME, Rv. 237169 – 01; Sez. 2, n. 34910 del 10/07/2008, COGNOME, Rv. 241818 – 01 cfr.,, piø recentemente, Sez. 1, n. 17029 del 12/12/2022, dep. 2023, C. Rv. 284402 – 01, in cui la Corte ha ribadito che risponde del delitto di usura in concorso chi, in un momento successivo al perfezionamento dell’accordo usurario, avendo ricevuto l’incarico di recuperare il credito, ne ottiene il pagamento, vertendosi in tema di reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata).
Non v’Ł dubbio che la ricorrente, oltre ad essere consapevole del rapporto usurario di cui era stato vittima il COGNOME, avesse partecipato direttamente alla riscossione della rata, ricevendo la persona offesa in casa del figlio e, poi, contando il denaro per verificarne la corrispondenza a quanto dovuto e di cui, pertanto, era evidentemente a conoscenza; in tal modo, dunque, la Battista non si Ł limitata ad un concorso ‘morale’ avendo invece fornito un apporto materiale e tangibile all’attività di ‘gestione’ del rapporto, nella fase della riscossione del credito usurario.
1.2 Altrettanto congrua risulta la motivazione su cui riposa la condanna della ricorrente per il delitto associativo avendo i giudici di merito fatto leva sul contenuto delle conversazioni intercettate che davano conto del ruolo e dei compiti della Battista, di coordinamento dell’attività usuraria condotta, concretamente, dagli altri componenti della sua famiglia provvedendo, tuttavia, la ricorrente, anche a riscuotere le somme dovute dai debitori, convocandoli presso l’abitazione familiare; ed Ł proprio in quest’ottica che va collocata ed assume significato la condotta fotografata in occasione dell’arresto del 02/05/2022 laddove proprio il conteggio del denaro, cui aveva provveduto la ricorrente prima di consegnarlo al marito, risulta particolarmente emblematica della posizione ricoperta all’interno del sodalizio familiare.
Sono state inoltre correttamente ed incensurabilmente considerate significative ed in tal senso valorizzate le dichiarazioni della persona offesa COGNOME (cfr., pag. 38 della sentenza d’appello e pag. 108 del primo grado: ‘… mi diceva di non fare il birichino, inteso come, paga in fretta e stai zitto; sottolineava l’attività di usuraio del marito: mio marito fa il banchiere dal 1985’); altrettanto dicasi per l’episodio, pure emerso attraverso l’attività di captazione, e relativo al rimprovero, dalla
ricorrente rivolto al marito, di aver consegnato al figlio NOME la somma di 30.000 euro, e del fatto che quest’ultimo intendesse rendersi in qualche misura autonomo rispetto alla famiglia, e che Ł stato congruamente inteso dai giudici di merito come emblematico dell’esistenza di un sodalizio di cui la donna si era fatta anche garante nei confronti dei suoi stessi familiari e sodali; ed era proprio in questa prospettiva che Ł stata pure congruamente collocata la conversazione con la figlia NOME (cfr., pagg. 109-110 della sentenza di primo grado 38 della sentenza d’appello).
In definitiva, le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito (secondo cui gli elementi acquisiti ‘… dipingono la matriarca della famiglia COGNOME come contabile della cassa comune, autonoma gestrice di singoli usurati, da sola o unitamente ai figli, con un ruolo di supporto all’attività usuraria esercitata direttamente dal marito, punto di riferimento di tutti i sodali sia nell’elargizione del denaro contante di volta in volta richiesto, sia nell’impartire consigli su come eludere le indagini, sul comportamento da tenere …’; pag. 108 della sentenza di primo grado) risultano del tutto coerenti con gli elementi acquisiti e che hanno consentito di motivare sull’appartenenza della donna al sodalizio in termini che non sono scalfiti dai rilievi difensivi che, per un verso, propongono una lettura frammentaria e atomistica delle conversazioni e degli episodi e, per altro verso, ne sollecitato una rivalutazione evidentemente non consentita in questa sede di legittimità.
1.3 Il terzo motivo del ricorso della Battista Ł manifestamente infondato, avendo la Corte d’appello (cfr., pag. 41 della sentenza impugnata) motivato sull’impossibilità di operare un diverso giudizio di valenza tra le pur riconosciute circostanze attenuanti generiche e le concorrenti aggravanti con il ruolo preminente dalla stessa ricoperto all’interno del sodalizio; Ł consolidato l’orientamento secondo cui in tema di concorso di circostanze, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra aggravanti ed attenuanti sono censurabili in sede di legittimità soltanto nell’ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico e non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione dell’equivalenza (cfr., Sez. 5, n. 5589 del 26.9.2013, Sulo; Sez. 6, n. 6966 del 25.11.2009, COGNOME; Sez. 1, n. 3223 del 13.1.1994, Palmisano; cfr., anche, Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931).
2. Il ricorso di NOME COGNOME.
2.1 In relazione al capo q), concernente il prestito usurario in danno di NOME COGNOME la difesa, con il primo motivo del ricorso, denunzia il travisamento della prova consistente nella distorta lettura della conversazione intercorsa tra NOME COGNOME e, per l’appunto, la vittima e dal cui tenore letterale (cfr., pag. 82 della sentenza di primo grado: ‘… se lunedì vengo ti porto i soldi, 4450 piø 450 la rata di tuo fratello sono 3000, ti porto 5600,00’) emergerebbe, con chiarezza, che si discuteva di due crediti diversi, facenti capo uno ad NOME e l’altro a NOME COGNOME; secondo la difesa, perciò, del tutto arbitraria e disancorata dalla prova acquisita sarebbe la conclusione secondo cui il debito sarebbe stato contratto esclusivamente con l’odierno ricorrente e che l’importo di 450 euro non sarebbe stato altro che l’interesse mensile (pari al 10%) da corrispondere sul capitale inizialmente prestato (cfr., pag. 37 della sentenza qui in verifica).
Vero che tra i vizi riconducibili al novero di quelli denunziabili ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. vi Ł quello del ‘travisamento’ che, come Ł noto, Ł ravvisabile nel caso di contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame, ovvero dall’errore cosiddetto revocatorio, che cadendo sul significante e non sul significato della prova, si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio ovvero nella omessa valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (cfr., Sez. 5, Sentenza n.18542del21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168; Sez. 2, Sentenza n.47035del03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 5, Sentenza n.8188del04/12/2017, COGNOME, Rv. 272406; Sez. 2, Sentenza n.27929del12/06/2019, PG c/COGNOME, Rv. 276567); il ‘travisamento’, insomma, deve
riguardare una prova che non sia stata affatto valutata ovvero che sia stata considerata dal giudice di merito in termini incontrovertibilmente difformi (non già dal suo ‘significato’ ma) dal suo ‘significante’ e che venga individuata specificamente e ‘puntualmente’ oltre che idonea a disarticolare il ragionamento su cui si fonda la decisione impugnata.
¨ necessario, pertanto, che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione (o di altro elemento di prova) e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (cfr., Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, COGNOME; Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, COGNOME; Sez. 5, n.48050del02/07/2019, S., Rv. 277758).
E’ insomma deducibile in sede di legittimità e rientra, pertanto, in detto controllo soltanto l’errore per l’appunto ‘revocatorio’, in quanto il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza impugnata, introdotto con la suddetta novella, non può che essere inteso in senso stretto, quale rapporto di negazione sulle premesse, mentre ad esso Ł estraneo ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere interpretato per “brani” nØ fuori dal contesto in cui Ł inserito; ne deriva che gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e che, pertanto, restano inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio (cfr., tra le t a n t e , Sez. 6, Sentenza n.9923del05/12/2011, S., Rv. 252349; Sez. 5, Sentenza n.8094del11/01/2007, COGNOME, Rv. 236540-01; in tal senso, anche Sez. 2, Sentenza n.7380del11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Fatta questa premessa, Ł allora agevole rendersi conto del fatto che il denunziato ‘travisamenti’ si risolve, in realtà, nella contestazione dell’esito della lettura che delle prove indiscutibilmente valutate dai giudici di merito – Ł stata operata dai giudici merito ed Ł stata rappresentata nelle sentenze di primo e di secondo grado e sorretta da una motivazione che non presenta profili di criticità tali da renderla censurabile in questa sede.
Va rilevato, infatti, che già la sentenza di primo grado aveva specificamente affrontato il problema, prospettato dalla difesa nei termini qui riproposti sub specie di travisamento della prova, dando conto della diversa lettura della conversazione che era stata ritenuta preferibile perchØ confortata dalle dichiarazioni della persona offesa (con cui nØ l’appello e tantomeno il ricorso si confrontano) che aveva confermato di avere contratto un debito con il solo NOME COGNOME che in tal senso si era espresso nel corso del suo interrogatorio (cfr., ancora, pag. 82 della sentenza di primo grado); dal canto suo, la Corte d’appello (cfr., pag. 37 della sentenza in verifica) ha inserito l’episodio nell’ambito dell’attività del gruppo familiare il cui modus operandi era proprio quello della richiesta di pagamento, da parte delle vittime d’usura, di una somma pari al 10% mensile del capitale erogato sino a quando il debitore non sarebbe stato in grado di restituire integralmente il prestito iniziale.
Escluso, pertanto, che si verta in una ipotesi di travisamento, si Ł piuttosto in presenza di una lettura del dato intercettivo che Ł stata condivisa dai giudici di merito alla luce ed in coerenza con gli altri dati fattuali ed elementi probatori acquisiti.
2.2 Esaustiva e congrua, infine, Ł la motivazione con cui i giudici di merito hanno affermato la appartenenza di NOME COGNOME al sodalizio a base familiare di cui ai capi k) e j) dei due procedimenti riuniti.
Il Tribunale ha affrontato il tema (cfr., pagg. 114-116 della sentenza di primo grado) in maniera
del tutto appagante dando rilievo, ad esempio, alle dichiarazioni del COGNOME secondo il quale il ricorrente si presentava da lui ‘in nome e per conto’ del gruppo familiare ovvero evocando la famiglia ed il mestiere ‘di papà’; in una lettura sincretica e globale della vicenda, ha inoltre correttamente valorizzato anche la circostanza secondo cui il ricorrente procedeva alla riscossione del prestito erogato a NOME COGNOME tramite il fratello NOME che, peraltro, richiamava all’odine perchØ ‘perso’ nell’uso di cocaina (cfr., anche, pag. 40 della sentenza d’appello).
In questo contesto, inoltre, Ł stato dato rilievo all’esistenza di un ‘fondo comune’ cui attingere per l’acquisto di una vettura per la sorella NOME, episodio risultante dal tenore del colloquio intercorso con il fratello NOME in cui i due danno conto del fatto che i soldi sono a disposizione (cfr., pag. 115 della sentenza di primo grado e pag. 41 della sentenza d’appello).
Anche su questo punto, perciò, le doglianze difensive avanzate in questa sede appaiono in realtà finalizzate a sollecitare una ulteriore ma non consentita rivalutazione degli elementi di prova che i giudici di merito hanno tuttavia vagliato ed apprezzato in termini che non si prestano a rilievi suscettibili di avere ingresso in sede di legittimità.
L’inammissibilità dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 08/04/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME