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Concorso in usura: la Cassazione e il ruolo familiare

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi di due membri di una famiglia condannati per associazione a delinquere e usura. La sentenza chiarisce che la partecipazione attiva alla fase di riscossione del denaro, anche senza aver stipulato l’accordo iniziale, configura il reato di concorso in usura, data la natura di reato a consumazione prolungata. Viene inoltre respinta la tesi del ‘travisamento della prova’, specificando che l’interpretazione logica degli elementi probatori da parte dei giudici di merito non è sindacabile in sede di legittimità.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in Usura: Quando Tutta la Famiglia Risponde del Reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 17644/2025, offre un’importante lezione sul concorso in usura e sulla responsabilità penale all’interno di un sodalizio criminale a base familiare. La Corte ha stabilito che chiunque partecipi attivamente alla riscossione di un credito usurario è responsabile del reato, anche se non ha preso parte all’accordo originario. Questa decisione rafforza un principio fondamentale: l’usura è un reato che si consuma nel tempo, e ogni atto volto a ottenerne i profitti illeciti costituisce una forma di partecipazione.

I Fatti di Causa: Un Sodalizio a Gestione Familiare

Il caso esaminato riguarda un’organizzazione criminale a conduzione familiare dedita all’usura. Le indagini hanno delineato una struttura ben definita: il marito, descritto come “il banchiere”, gestiva l’attività principale; la moglie, la “matriarca”, agiva come contabile e custode della “cassa comune”; i figli avevano ruoli esecutivi, inclusa la riscossione dei crediti.

L’episodio chiave che ha portato alla condanna della donna è stata una “consegna controllata” organizzata dalle forze dell’ordine. Una vittima, convocata per pagare una rata, si è recata presso l’abitazione di uno dei figli. Ad accoglierlo è stata proprio la madre, che lo ha indirizzato sul balcone dove si trovavano il figlio e il marito. Dopo la consegna del denaro, la donna ha ricevuto i soldi dal figlio, li ha meticolosamente contati al tavolo e li ha poi consegnati al marito. Questo comportamento è stato ritenuto dai giudici una prova inequivocabile della sua piena consapevolezza e del suo ruolo attivo nell’attività illecita.

Il Principio del Concorso in Usura secondo la Cassazione

La difesa degli imputati ha tentato di minimizzare il ruolo dei singoli familiari, sostenendo la loro estraneità all’accordo usurario iniziale. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato questa linea difensiva, ribadendo un consolidato orientamento giurisprudenziale.

L’usura viene configurata come un “reato a condotta frazionata” o “a consumazione prolungata”. Ciò significa che il reato non si esaurisce con la semplice pattuizione del prestito a tassi illeciti, ma si protrae con ogni singolo pagamento degli interessi da parte della vittima. Di conseguenza, chiunque intervenga in questa fase, ad esempio partecipando alla riscossione, fornisce un contributo materiale alla consumazione del reato e ne risponde a titolo di concorso, indipendentemente dal suo coinvolgimento iniziale.

Il Ruolo della “Matriarca” e l’Associazione per Delinquere

Il comportamento della donna non è stato considerato isolato, ma come l’espressione di un ruolo ben preciso all’interno del sodalizio familiare. Le intercettazioni e le testimonianze hanno dipinto un quadro in cui lei non era una mera spettatrice, ma una figura centrale: coordinava le attività, gestiva i flussi di denaro e agiva come garante all’interno della famiglia stessa. Il conteggio del denaro non era un gesto banale, ma l’atto emblematico di chi gestisce la cassa dell’organizzazione, verificando la corrispondenza tra quanto dovuto e quanto incassato. Questo ha solidificato non solo l’accusa di concorso in usura, ma anche quella, più grave, di associazione per delinquere.

Il Rigetto del Travisamento della Prova

Un altro motivo di ricorso si basava sul presunto “travisamento della prova”, in particolare riguardo all’interpretazione di una conversazione intercettata. La difesa sosteneva che i giudici avessero letto in modo distorto il dialogo, attribuendogli un significato errato.
La Cassazione ha respinto anche questa doglianza, cogliendo l’occasione per chiarire i limiti di tale vizio processuale. Il travisamento della prova si verifica solo quando c’è un errore percettivo sul contenuto materiale della prova (il “significante”), ad esempio leggere una frase per un’altra. Non riguarda, invece, l’interpretazione che il giudice dà a quella prova (il “significato”). Se l’interpretazione è logica e coerente con il resto del materiale probatorio, come nel caso di specie, essa appartiene alla valutazione di merito e non può essere contestata in sede di legittimità.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, ritenendo le motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado pienamente congrue, logiche e prive di vizi. I giudici di merito avevano correttamente costruito un “unico complessivo corpo argomentativo” basato su una pluralità di prove convergenti: i servizi di osservazione della polizia giudiziaria, le intercettazioni telefoniche e ambientali, e le dichiarazioni delle persone offese. L’apporto della madre è stato qualificato come materiale e tangibile, non un semplice “concorso morale”, in quanto ha partecipato direttamente alla gestione del rapporto usurario nella fase cruciale della riscossione. Similmente, il ruolo del figlio è stato provato attraverso le sue azioni di riscossione e il suo coinvolgimento nella gestione del “fondo comune” familiare. La Corte ha concluso che le censure difensive si risolvevano in una richiesta di rivalutazione del merito, inammissibile in sede di legittimità.

Le Conclusioni

La sentenza in esame ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, consolida una visione estensiva della responsabilità penale nel reato di usura, colpendo chiunque contribuisca al mantenimento e al profitto del patto illecito, in qualsiasi fase esso si trovi. In secondo luogo, evidenzia come, nei reati associativi, l’analisi dei singoli ruoli e delle dinamiche interne al gruppo sia fondamentale per dimostrare l’esistenza del sodalizio. Infine, riafferma la netta distinzione tra la valutazione del significato di una prova, riservata ai giudici di merito, e l’errore percettivo sulla sua esistenza o sul suo contenuto, unico caso che può configurare un travisamento sindacabile in Cassazione.

Chi partecipa solo alla riscossione di un prestito usurario è colpevole di usura?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che il reato di usura è a condotta frazionata. Pertanto, anche chi interviene solo nella fase di recupero del credito, pur essendo estraneo all’accordo iniziale, risponde di concorso in usura.

Qual è la differenza tra una valutazione errata della prova e un ‘travisamento della prova’?
Il ‘travisamento della prova’ è un errore di percezione sul contenuto materiale di una prova (il ‘significante’), come leggere male un documento. Una valutazione errata riguarda l’interpretazione del significato di quella prova (il ‘significato’). Secondo la sentenza, solo il travisamento, inteso come errore percettivo, può essere motivo di ricorso in Cassazione, non la diversa interpretazione.

Come è stato provato il ruolo della madre all’interno del sodalizio criminale familiare?
Il suo ruolo è stato provato attraverso diverse evidenze convergenti: la sua partecipazione diretta alla riscossione del denaro da una vittima, l’atto di contare meticolosamente le banconote, le intercettazioni che rivelavano il suo compito di coordinamento e gestione della ‘cassa comune’, e le dichiarazioni di altre persone offese che la indicavano come parte integrante dell’attività usuraria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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