Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22226 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22226 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a PESCIA il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 17/09/2021 della CORTE di APPELLO di FIRENZE visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso. Udito l’AVV_NOTAIO in difesa di NOME COGNOME che insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento la Corte d’appello di Firenze ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Pistoia del 26 maggio 2017 con cui l’imputato era stato condannato alla pena di giustizia per due ipotesi di usura (in concorso con tal NOME COGNOME ed in dann di tali NOME COGNOME e COGNOME NOME). In secondo grado, alla conferma della affermazione d responsabilità e della pena ha fatto seguito la revoca delle statuizioni civili della sentenz ragione della revoca della costituzione delle parti civili costituite.
In primo grado NOME COGNOME era stato ritenuto responsabile degli indicati reati perché, qualità di direttore della agenzia di Pescia della Banca Carismi, a fronte delle operazioni rinegoziazione del debito residuo per prestiti di denaro, aveva fatto promettere e dare dall persona offesa NOME COGNOME, la restituzione di somme comprensive di interessi usurari superiori al 50%, con l’aggravante di aver commesso il fatto in danno di chi svolge attività imprenditorial
In particolare, veniva contestato il concorso nei reati di cui all’art. 544 c.p acquisita la consapevolezza della decisione del COGNOME di far protestare gli assegni e di denunciar NOME COGNOME per le condotte usurarie consumate ai suoi danni ed ai danni di NOME COGNOME (moglie del COGNOME) – dissuaso il detto COGNOME da tali propositi, attivandosi per creare la pro necessaria per la prosecuzione del rapporto usurario, mediante la concessione di nuovi libretti di assegni a NOME COGNOME, nonostante il conto corrente appositamente aperto presentasse costanti saldi negativi e vari assegni bancari emessi non fossero ancora rientrati per l’incass Si adoperava altresì affinché COGNOME e COGNOME reperissero amici e parenti per ottenere garanzie e liquidità.
Nella sentenza di appello si evidenziava come l’imputato fosse consapevole delle condizioni economiche del COGNOME, dei rapporti economici e tra questi ed il COGNOME, nonché della situazione debitoria e del rapporto usurario in corso. Si evidenziava altresì che, a seguito di perquisizio presso l’abitazione dell’imputato, venivano rinvenuti documenti da cui risultava che costui aveva fatto un prestito di 134 milioni di lire nel Febbraio del 2001 a COGNOME NOME e COGNOME NOME; venivano inoltre rinvenute cambiali (in fotocopia ed in originale) emesse da COGNOME a favore di tal COGNOME e di altro soggetto che aveva svolto la funzione di prestanome per COGNOME (NOME COGNOME).
Il ricorso presentato dalla difesa dell’imputato è basato sui seguenti motivi:
2.1 Omessa/illogica motivazione in relazione alla intervenuta riqualificazione del fatto.
All’imputato, nel decreto che disponeva il giudizio, non veniva contestato il capo F) ma solo favoreggiamento nel reato di usura relativamente ad un altro episodio; successivamente, con la nuova imputazione, veniva contestato il concorso in usura, in relazione al fatto originariamente contestato come favoreggiamento, con riferimento alla condotta avente ad oggetto una dazione dell’importo indicato (C 22.500,00) con promessa di restituzione della somma di C 32.252,00 e con interessi usurari del 68,01%. Si tratterebbe, quindi, di ipotesi di reato del tutto nuov relazione alla quale il pubblico ministero avrebbe dovuto esercitare l’azione penale nelle forme ordinarie ex art. 518 c.p.p..
2.2 Violazione di legge sulla sussistenza dell’aggravante: la contestazione della aggravante di cui all’art.644, co. 5 n.4 c.p. (reato commesso ai danni di chi esercita attività imprenditor sarebbe errata poiché le somme depositate sul conto riferibile alle persone offese non sono state prese in prestito dal COGNOME ma dalla moglie di costui, mentre quelle versate dal COGNOME al COGNOME riferiscono a precedenti debiti sorti in epoca anteriore all’apertura del conto corrente d moglie.
2.3 Illogicità manifesta in relazione alla attendibilità della persona offesa.
2.4 Violazione di legge in relazione alla sussistenza del concorso nel delitto di usura.
Per valutare la configurabilità del concorso di persone estranee alla realizzazione della condott principale nel reato commesso da altri bisogna necessariamente accertare un collegamento
causale tra l’antecedente che si assume realizzato dall’autore della condotta atipica e l’evento delittuoso verificatosi in conseguenza diretta della condotta dei concorrenti principali.
Per la sussistenza del reato di usura occorre il dolo diretto cioè che il soggetto tragga vantag usurari dai comportamenti contra legem tant’è che la giurisprudenza ha affermato che perché vi sia il concorso occorre l’accordo, l’istigazione, il pactum sceleris; è indispensabile che la condotta tipica del partecipe aderisca alla condotta delittuosa tipica del concorrente principa agevolandola.
2.5 Carenza di motivazione in relazione alle circostanze attenuanti generiche e del danno risarcito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, ripetitività e genericità dei motivi quali si basa.
In relazione al primo motivo (contestazione di un fatto nuovo con violazione degli artt. 516, 518, 521 e 522 c.p.p.), è necessario precisare che l’intero complesso normativo attinente alle modifiche alle imputazioni, che abbraccia le norme collocate nel Capo VI del Titolo II del settimo libro del Codice di procedura, ha la funzione di garantire il contraddittorio sull’accusa n prospettiva della difesa dell’imputato e del soddisfacimento delle esigenze del giusto processo. Pertanto, la violazione di tali disposizioni di garanzia può verificarsi laddove vi s perturbamento della loro specifica finalità, con pregiudizio del diritto di difesa dell’imput non per una modificazione meramente formale o non sostanziale dell’accusa (Sez. 4, n. 6374 del 2/7/1997, rv. 208224; Sez. 6, n. 9574 del 13.4.1999, rv. 214538; S.U. n. 36551/2010, rv. 248051; Sez. 2, n. 18868 del 10/2/2012, rv. 252822; Sez. 2 n. 34969 del 10/5/2013, rv. 257782). Sussiste quindi violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il fatt contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali, così da provocare una situazione di incertezza e di cambiamento sostanziale della fisionomia dell’ipotesi accusatoria capace di impedire o menomare il diritto di difesa dell’imputato (Sez. 6, n. 6346 del 9/11/2012, rv. 254888).
Non pare affatto necessario, nel caso concreto, andare oltre i principi generali appena enunciati, dal momento che nel ricorso per cassazione, a pg.4 e 5 viene correttamente esposto e riportato il quadro della giurisprudenza sul tema più specifico della distinzione tra fatto nu e fatto diverso, con la citazione delle più precipue sentenze che se ne sono occupate negli ultimi lustri. La ripetizione dei concetti sarebbe del tutto inutile: pluralitas non fit sine necessitate.
Piuttosto, appare necessario vedere come si relazionino i detti principi al caso concreto caratterizzato dalla trasformazione di una imputazione originariamente configurata come favoreggiamento, in una ipotesi di concorso (assieme a NOME COGNOME, imputato deceduto) nel reato di usura. Si sostiene nel ricorso (pg.5) che «il passaggio dalla contestazione favoreggiamento, che presuppone proprio la contestazione di una condotta non rientrante nel
paradigma del concorso nel reato “favorito” “precedentemente connesso” (v’è notoriamente una clausola di riserva) a quella di concorso nel reato commesso prima della condotta favoreggiatrice, cambia radicalmente gli elementi essenziali dell’addebito e comporta l’organizzazione di una strategia difensiva completamente diversa».
La Corte non può condividere tale prospettiva, che appare piuttosto una estremizzazione del concetto di tutela del diritto di difesa, che richiede, per essere garantito, che l’imputat venga ‘colto’ di sorpresa da una contestazione che non potesse prevedere.
Nel caso concreto, gli elementi fattuali sono rimasti immutati, cambiando solamente la prospettiva giuridica nella quale sono stati inquadrati, giacché ci si è resi conto che in relaz allo specifico episodio (quello per cui, a fronte di un debito di C 33.000,00 euro, è stato stipu un pagamento di C 50.000,00) il contributo causale del COGNOME non fu successivo ma accompagnò e consentì l’usura da parte di COGNOME. Tale riqualificazione non è preclusa dalla incompatibilità tra favoreggiamento e concorso nel reato di usura né dalla presenza di clausole di esclusione la cui funzione è, semmai, quella di delimitare le due fattispecie.
Si è, quindi, in presenza di un fatto diverso (regolarmente contestato: cfr mutatis mutandis, Cass. 48577/2011) e non di un fatto nuovo.
Manifestamente infondato è anche il motivo successivo, con cui si lamenta la manifesta illogicità della motivazione in relazione al riconoscimento dell’aggravante dell’art.644 comma 5 n.4, c.p.. Si sostiene infatti che la persona offesa non svolgesse oramai da tempo, all’epoca dell vicenda tratta a giudizio, alcuna attività imprenditoriale mentre i denari 1:ratti dai conti ba erano destinati alla attività commerciale svolta dalla moglie.
Per contro, la Corte è orientata nella valorizzazione della sostanza del fenomeno, a prescindere dalla veste giuridica formale assunta, spesso per necessità contingenti, dai soggetti che ne sono attori. Così, si è affermato, con recentissimo arresto giurisprudenziale di questa stessa Sezione cui si ritiene di dover dar seguito (Sez. 2, n. 6326 del 06/12/2023 Carrassi Rv. 285926 – 01) i che la ratio dell’aggravante, piuttosto che nella veste formale di imprenditore, ovvero al mero status dell’offeso, debba essere rinvenuta nella maggiore gravità della condotta di usura quando è consumata nei confronti di chi destina le somme prestate allo svolgimento di un’attività imprenditoriale, dato che tale condotta non solo lede l’integrità patrimoniale della person coinvolta nel rapporto usuraio, ma concorre anche ad inquinare i rapporti che governano l’economia legale.
Il terzo motivo di ricorso verte sulla valutazione della credibilità della persona off riproponendo in questa sede di legittimità critiche alla motivazione che attengono all valutazione del giudice di merito e non alla fase di legittimità, ogni qual volta la sentenza no presenti sul punto manifestamente illogica, contraddittoria o addirittura assente. In sostanz con l’argomento che mira a porre in dubbio il conteniuto della denuncia e della successiva
deposizione di NOME COGNOME, si tenta di insinuare il dubbio sulla ricostruzione adottata in senten proponendone una alternativa.
Occorre tuttavia rimarcare che si è in presenza di c.d. “doppia conforme” in punto di affermazione della penale responsabilità dell’imputato per i fatti contestati, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stati rispettati i parametri del richiamo della pronuncia di appello a quell di primo grado e dell’adozione – da parte di entrambe le sentenze – dei medesimi criteri nella valutazione delle prove (cfr., Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218).
Emerge allora che tutte le doglianze formulate tra pg.9 e pg.14 non attengono affatto alla legittimità del provvedimento ma si limitano a riproporre pedissequamente gli argomenti difensivi già formulati nella fase precedente, nella speranza di conseguire un terzo giudizio d merito, come dimostra il fatto che in nessun passaggio si enunci uno dei parametri che, soli, consentono di formulare in questa sede una critica alla motivazione, dettati dall’art.606 lett. c.p.p. (mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità).
Né risulta corretto il riferimento (pg.14) al travisamento in cui la sentenza sarebbe incors in relazione alle dichiarazioni del COGNOME sul modus operandi presso le banche, poiché fraintende il significato del termine. Infatti, il vizio di ‘travisamento della prova’ chiama in ca distorsioni del patrimonio conoscitivo valorizzato dalla motivazione rispetto a quel effettivamente acquisito nel giudizio. Non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valu dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano tra le altre Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215). Ciò perché il vizio di travisamento vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’es trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente di di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 14/07/2006, COGNOME, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, COGNOME, Rv. 234605). Parlare di travisamento dell’intero quadro probatorio è pertanto una espressione generica, che vuole semplicemente esprimere l’insoddisfazione per un certo risultato della valutazione della prova da parte del giudice -ciò che non ha nulla a che vedere con il giudizio di legittimità.
Quanto al concorso nel delitto di usura, il quarto motivo deduce che la sentenza della Corte di appello di Firenze non possa essere condivisa in quanto l’intervento del COGNOME si sarebbe concretizzato in operazioni riconducibili all’ordinaria operatività di una filiale banc senza la consapevolezza di agire per il pagamento di un debito usurario. A prescindere dalla condotta del COGNOME, pertanto, l’imputato si sarebbe limitato alla gestione di un ordinari rapporto di conto corrente bancario con la conseguente applicabilità al caso concreto dei principi
elaborati in una pronuncia del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Udine che viene ripetutamente citata (n.817/2011 del 5 dicembre 2011).
La Corte ritiene che l’argomento difensivo non possa trovare accoglimento. Il precedente appena menzionato incentrava l’assoluzione sulla cesura tra funzionari di banca, da un iato, ed usurai, dall’altro evidenziando che se anche in senso naturalistico le condotte dei primi (di prestare il denaro o di scontare i titoli alla persona offesa del caso, su richiesta e di insistenza dello stesso) sono riconducibili al protrarsi delle condotte usurarie, lo stesso non pu dirsi dal punto di vista giuridico. Infatti, tra la condotta che si assume agevolatrice e l’ev del reato si era frapposta direttamente la condotta attiva della vittima del reato. Era infatt persona offesa a rivolgersi autonomamente agli istituti di credito e quindi, ricevuti soldi provvedere al pagamento dei debiti nei confronti dei propri creditori usurai. Ma nel caso di COGNOMECOGNOME non vi era una simile cesura che consentiva di ritenere interrotta la serie causale di escludere la riconduzione ad unità della condotta dei bancari rispetto a quella, sicuramente ed autonomamente illecita, degli usurai. Nel caso in esame tutti gli elementi circostanziali appuntano, al contrario, non solo per la piena consapevolezza dell’imputato di favorire l’usuraio ma addirittura nel senso di una cointeressenza rispetto a costui, come dimostrato dal rinvenimento, nella abitazione del COGNOME, all’esito di una perquisizione disposta all’esord dell’indagine, di documentazione comprovante un pregresso consistente debito del COGNOME (prossimo ai C 70.000,00) nei confronti del COGNOME nonché una decina di cambiali in scadenza con debitore sempre COGNOME e beneficiari due ‘teste dilegno’ del COGNOME, a conferma di un rapporto diretto tra i due imputati e di un interesse concreto ed attuale del COGNOME al soddisfazione dei crediti (ancorché usurai) del COGNOME.
Su tali circostanze, richiamate tanto nella sentenza di primo grado (pg.48) che in quella di secondo (pg.38) il ricorso è completamente silente, condannando il motivo, in parte qua, alla inammissibilità per genericità.
L’ultimo motivo non è consentito (art.606 comma 3 c.p.p.) in quanto attiene al trattamento sanzionatorio ed alla relativa motivazione, ed è in ogni caso generico e manifestamente infondato.
Quanto alle attenuanti generiche, premesso che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pe considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice (come anche in questo caso, nella seconda parte del paragrafo) con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il (Il 23 maggio 2008 n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratez
dell’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986). In tal senso, il motivo non è consentito.
Ma, come detto, esso è anche generico, poiché non considera che tra i fattori ostativi alla concessione del beneficio vi erano lo sfruttamento del ruolo ricoperto all’interno dell’istituto credito e la mancanza di qualsivoglia forma di resipiscenza, circostanze su cui non vi è stata replica alcuna nel ricorso.
Infine, il motivo è manifestamente infondato sul rilievo finale della mancata valorizzazione dell’intervenuto risarcimento del danno. Infatti, del risarcimento, di chi l’abbia effettuato e quali termini, non v’è traccia tra gli atti cui questa Corte può aver accesso (non trattandosi quaestio in procedendo, la Corte non ha poteri di ispezione del fascicolo) cosicché ogni richiesta fondata su tale assunto è inconducente ed inammissibile.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.