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Concorso in usura: il ruolo del direttore di banca

Un direttore di banca è stato condannato per concorso in usura per aver agevolato un usuraio. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, specificando che fornire servizi bancari con piena consapevolezza dello scopo illecito, e con un interesse finanziario personale, costituisce complicità e non una neutra condotta professionale. La modifica dell’imputazione da favoreggiamento a concorso è stata ritenuta legittima.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in usura: quando il direttore di banca diventa complice?

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 22226/2024 offre un’importante analisi sui confini tra l’ordinaria operatività bancaria e il concorso in usura. Il caso esaminato riguarda un direttore di filiale condannato per aver consapevolmente aiutato un usuraio a mantenere in piedi un rapporto illecito con una delle sue vittime. Questa pronuncia chiarisce come la piena consapevolezza dello scopo criminale e un interesse personale possano trasformare un professionista in un complice, superando la barriera della presunta neutralità del ruolo.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla condanna di un direttore di un’agenzia bancaria per due ipotesi di usura in concorso con un altro soggetto. Secondo l’accusa, il direttore, di fronte alle difficoltà economiche di un imprenditore vittima di usura, non solo non lo ha aiutato a liberarsi dal giogo, ma ha attivamente collaborato per perpetuare il rapporto usurario. In particolare, ha dissuaso la vittima dal denunciare l’usuraio e si è adoperato per creare la provvista economica necessaria a pagare gli interessi illeciti. Ciò è avvenuto tramite la concessione di nuovi libretti di assegni alla moglie della vittima, nonostante il conto corrente presentasse saldi costantemente negativi.

Le indagini hanno inoltre rivelato che l’imputato era pienamente consapevole della situazione debitoria e del rapporto usurario in corso. Una perquisizione presso la sua abitazione ha portato alla luce documenti che provavano un prestito personale concesso dall’imputato all’usuraio e cambiali che legavano quest’ultimo a prestanome, a conferma di un legame diretto e di un interesse economico personale del direttore nella vicenda.

L’analisi della Corte sul concorso in usura

Il punto centrale del ricorso in Cassazione era la tesi difensiva secondo cui l’operato del direttore rientrava nell’ordinaria gestione di una filiale bancaria, senza la consapevolezza di partecipare a un’attività usuraria. La Corte ha respinto categoricamente questa ricostruzione.

I giudici hanno sottolineato che gli elementi raccolti dimostravano una situazione ben diversa da un rapporto neutrale tra banca e cliente. La scoperta di un pregresso e consistente debito dell’usuraio nei confronti del direttore stesso, e di altri documenti finanziari, ha svelato una vera e propria cointeressenza economica. Questa circostanza ha provato che il direttore non solo era a conoscenza del reato, ma aveva un interesse concreto e attuale a che l’usuraio continuasse a ricevere denaro dalla vittima per poter, a sua volta, saldare i propri debiti con lui.

La Corte ha quindi stabilito che non vi era alcuna “cesura” tra la condotta del bancario e quella dell’usuraio. Al contrario, l’intervento del direttore era stato un anello fondamentale della catena causale, consentendo all’operazione illecita di proseguire. Questo legame diretto e la comunanza di interessi hanno configurato pienamente il concorso in usura.

Altre questioni giuridiche affrontate

La sentenza ha toccato anche altri aspetti rilevanti:

1. Modifica dell’imputazione: La difesa lamentava che la modifica del capo d’imputazione da favoreggiamento a concorso in usura avesse leso il diritto di difesa. La Cassazione ha chiarito che non si trattava di un “fatto nuovo”, ma di una diversa qualificazione giuridica degli stessi elementi fattuali (“fatto diverso”), pienamente consentita, poiché non ha colto di sorpresa l’imputato.
2. Aggravante dell’attività imprenditoriale: È stata confermata l’aggravante del reato commesso ai danni di chi svolge attività imprenditoriale. La Corte ha precisato che la ratio della norma è proteggere l’economia legale. Pertanto, è sufficiente che le somme prestate siano destinate a un’attività d’impresa, a prescindere da chi sia l’intestatario formale del prestito (in questo caso, la moglie della vittima).

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte per dichiarare il ricorso inammissibile si fondano sulla manifesta infondatezza e genericità dei motivi proposti. I giudici hanno ritenuto che la difesa si limitasse a riproporre le stesse argomentazioni già respinte nei gradi di merito, senza individuare vizi di legittimità nella sentenza d’appello. In particolare, è stata evidenziata la differenza cruciale tra questo caso e altri in cui il bancario è stato assolto: qui, l’intervento del direttore non era un’operazione standard a richiesta di un cliente, ma un’azione mirata e consapevole, motivata da un interesse economico personale e diretto, che lo rendeva partecipe del piano criminoso. L’assenza di qualsiasi forma di resipiscenza e la gravità della condotta, consistita nell’abuso del proprio ruolo professionale, hanno inoltre giustificato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

Le conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale: un funzionario di banca non può trincerarsi dietro la neutralità del proprio ruolo quando è pienamente consapevole di agevolare un’attività criminale come l’usura, specialmente se trae un vantaggio personale, anche indiretto, da tale condotta. Il concorso in usura si configura non solo con la partecipazione diretta alla pattuizione illecita, ma anche attraverso condotte che, pur apparendo formalmente lecite (come la concessione di credito), sono causalmente dirette a consentire e perpetuare il reato, in una logica di piena adesione al progetto criminoso altrui.

Quando l’attività di un direttore di banca si trasforma in concorso in usura?
L’attività di un direttore di banca si trasforma in concorso in usura quando questi, con piena consapevolezza, compie operazioni (come concedere credito o emettere assegni) non per una normale esigenza del cliente, ma con lo scopo specifico di fornire all’usuraio i mezzi per continuare la sua attività illecita. Se a ciò si aggiunge un interesse economico personale e diretto del direttore, la complicità nel reato è pienamente configurata.

È possibile modificare l’imputazione da favoreggiamento a concorso in usura durante il processo?
Sì, secondo la Corte è legittimo. Se gli elementi fattuali contestati rimangono immutati, il giudice può riqualificare giuridicamente il reato da favoreggiamento (un aiuto fornito dopo la commissione del reato) a concorso (un contributo alla commissione del reato stesso). Non si tratta di un “fatto nuovo” che lede la difesa, ma di un “fatto diverso” sotto il profilo giuridico.

L’aggravante dell’usura in danno di un imprenditore si applica anche se il prestito è formalmente intestato a un familiare?
Sì. La Corte ha stabilito che ciò che conta è la destinazione sostanziale delle somme prestate. Se il denaro è destinato allo svolgimento di un’attività imprenditoriale, l’aggravante si applica, poiché la sua finalità è quella di punire più severamente le condotte che inquinano l’economia legale, a prescindere dalla veste formale del soggetto che riceve il prestito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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