Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43280 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43280 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
BRAIDIC NOME, nata a Milano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/03/2024 della Corte d’appello di Brescia dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta vizio di legge e di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità dell’odierna ricorrente per avere concorso nel reato di truffa aggravata, non è consentito in questa sede perché è fondato su profili di censura che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito (si veda, in particolare, la pag. 4 dell’impugnata sentenza), dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che, in particolare, i giudici di appello, con una congrua motivazione, esente dai vizi contestati dalla difesa, hanno ritenuto sussistente una chiara ed evidente ipotesi di condotta di concorso nel reato di truffa, punibile ex art. 110 cod. pen., nel contegno dell’odierna ricorrente, facendo corretta applicazione del principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui: «L’incameramento del profitto, confluito su una carta intestata al ricorrente costituisce un elemento
di decisiva rilevanza al fine della responsabilità del beneficiario per il delitto di truffa, trattandosi di strumento i cui estremi identificativi furono comunicati all’acquirente per il pagamento del prezzo al momento della vendita, circostanza che impone di ascrivere al prevenuto un ruolo essenziale nella consumazione dell’illecito» (si veda, ex plurimis, Sez. 7, n. 24562 del 18/4/2023, COGNOME, non massimata);
considerato che il secondo motivo di ricorso, con cui si contesta mancanza di motivazione in relazione all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 61, primo comma, n. 5), cod. pen., è privo del requisito della specificità, oltre che manifestamente infondato, poiché è evidente come la ricorrente abbia omesso un effettivo confronto con il decisum dei giudici di merito sul punto, i quali – come emerge dalle pagg. 4-5 dell’impugnata sentenza – hanno esplicato le loro non illogiche ragioni poste a base dalla ritenuta sussistenza dei presupposti per l’operatività della suddetta aggravante, in conformità con quanto affermato dalla Corte di cassazione con riferimento al reato di truffa commesso approfittando della distanza tra soggetto agente e persona offesa, poiché, in tale caso, il primo, potendo facilmente schermare la sua identità, fuggire e non sottoporre il prodotto venduto ad alcun efficace controllo preventivo da parte dell’acquirente, viene inevitabilmente a trovarsi in una posizione di maggior favore rispetto a quest’ultimo (Sez. 2, n. 43706 del 29/09/2016, Pastafiglia Rv. 268450-01; Sez. 6, n. 17937 del 22/03/2017, COGNOME, Rv. 269893-01);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2024.