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Concorso in truffa: quando il silenzio non è reato

La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la condanna di un soggetto accusato di concorso in truffa in una compravendita immobiliare. La sentenza stabilisce che, per configurare il reato, non è sufficiente la semplice presenza o il silenzio dell’intermediario su alcune irregolarità, come la mancata proprietà del bene in capo al venditore al momento del preliminare. È necessaria la prova certa sia dell’intento fraudolento del venditore principale, sia della consapevole e volontaria partecipazione dell’intermediario al piano criminoso, elementi che nel caso di specie sono stati ritenuti equivoci e non sufficientemente provati.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in Truffa: il Silenzio del Mediatore è Prova di Colpevolezza?

Il concorso in truffa è un’ipotesi di reato complessa, specialmente quando si cerca di stabilire la responsabilità di chi non compie l’azione fraudolenta principale ma vi assiste o vi partecipa in modo marginale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 26267/2025) offre un’analisi cruciale su questo tema, annullando la condanna di un intermediario in una compravendita immobiliare. La Corte ha stabilito che la mera presenza o il silenzio su alcune circostanze non sono sufficienti a dimostrare la complicità, se mancano prove inequivocabili dell’intento criminale.

I Fatti: Una Complessa Compravendita Immobiliare

Il caso riguardava un’operazione di compravendita immobiliare. Un venditore aveva stipulato un contratto preliminare per acquistare un immobile dai legittimi proprietari. Prima ancora di perfezionare questo acquisto e diventarne formalmente proprietario, lo stesso venditore stipulava un secondo contratto preliminare per vendere il medesimo immobile a nuovi acquirenti.

In questa seconda fase, era presente un intermediario, accusato poi di concorso in truffa. L’accusa si fondava sul presupposto che egli, pur essendo a conoscenza del fatto che il venditore non era ancora proprietario del bene, non avesse informato gli acquirenti, contribuendo con il suo silenzio a un presunto piano fraudolento finalizzato a incassare la caparra senza mai portare a termine la vendita.

La Decisione della Corte di Cassazione sul concorso in truffa

La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione di condanna della Corte d’Appello, annullando la sentenza senza rinvio “per non aver commesso il fatto”. Questa formula equivale a un’assoluzione piena e definitiva. La Corte ha ritenuto che gli elementi a carico dell’imputato fossero equivoci e insufficienti a fondare un giudizio di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio.

Le Motivazioni: Perché Non Si Configura il Reato?

Il ragionamento della Suprema Corte si sviluppa lungo due direttrici fondamentali che smontano l’impianto accusatorio.

L’assenza di prova della truffa principale

In primo luogo, la Corte ha messo in dubbio la stessa esistenza del reato di truffa da parte del venditore principale. Sebbene egli avesse agito con mala fede, rappresentando una situazione proprietaria non ancora consolidata, non vi era la prova certa che la sua intenzione fosse quella di ingannare gli acquirenti per sottrarre loro il denaro. Il venditore aveva infatti un contratto preliminare “reale” con i proprietari originari e la sua intenzione avrebbe potuto essere quella di perfezionare il primo acquisto per poi onorare il secondo impegno di vendita. In un simile scenario, pur in presenza di informazioni non veritiere, mancherebbe il dolo iniziale tipico della truffa, cioè la volontà originaria di non adempiere. Si tratterebbe, piuttosto, di un illecito civile.

L’insussistenza del dolo di concorso dell’intermediario

In secondo luogo, e in modo ancora più dirimente, la Corte ha escluso che fosse stato provato il dolo di concorso dell’intermediario. Anche ammettendo che il venditore avesse un piano fraudolento, per condannare l’intermediario sarebbe stato necessario dimostrare che egli:

1. Fosse pienamente consapevole del piano criminoso.
2. Avesse la certezza che la vendita non sarebbe mai stata portata a compimento.
3. Con il suo comportamento (in questo caso, il silenzio), avesse volontariamente contribuito alla realizzazione dell’inganno.

Secondo i giudici, gli elementi raccolti erano “equivoci”. Il silenzio dell’imputato non implicava automaticamente la sua adesione a un piano illecito. Egli avrebbe potuto semplicemente ritenere di partecipare a un’operazione commerciale destinata a concludersi regolarmente, sebbene con modalità anomale. Mancava la prova che il suo ruolo fosse andato oltre quello di un semplice facilitatore, trasformandosi in un contributo consapevole alla frode.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale del diritto penale: la responsabilità penale è personale e richiede una prova rigorosa dell’elemento soggettivo, cioè del dolo. Nel contesto del concorso in truffa, non è sufficiente dimostrare la conoscenza di alcune irregolarità; è indispensabile provare la volontà di partecipare a un progetto criminoso.

Per gli operatori del settore immobiliare, come mediatori e consulenti, la decisione sottolinea che, sebbene la trasparenza e la correttezza siano doveri deontologici e civili, la loro violazione non si traduce automaticamente in una responsabilità penale. Il confine tra un illecito civile, dettato da mala fede o negligenza, e un reato penale, che richiede un’intenzione fraudolenta provata oltre ogni ragionevole dubbio, rimane netto e invalicabile.

Rappresentare di essere proprietario di un immobile, avendone solo un preliminare di acquisto, è sempre reato di truffa?
No. Secondo la Corte, non è sufficiente se non viene provata l’intenzione fin dall’inizio di non adempiere al contratto e di trattenere indebitamente il denaro. Se l’intenzione era quella di completare l’acquisto per poi rivendere, si potrebbe configurare un illecito civile per mala fede, ma non necessariamente il reato di truffa, che richiede un dolo specifico e la certezza dell’inganno finalizzato al profitto ingiusto.

Il silenzio di un mediatore o intermediario su circostanze rilevanti della vendita integra il concorso in truffa?
Non automaticamente. La sentenza chiarisce che il silenzio, per avere rilevanza penale, deve essere inequivocabilmente parte di un piano criminoso. Deve essere provato che l’intermediario non solo conosceva la situazione reale (es. la mancata proprietà del venditore), ma anche che fosse certo che la vendita non si sarebbe mai conclusa e che, con il suo silenzio, abbia voluto contribuire all’inganno. Un comportamento “equivoco” non basta.

Cosa significa “annullamento senza rinvio per non aver commesso il fatto”?
Significa che la Corte di Cassazione ha annullato la condanna in via definitiva, senza la necessità di un nuovo processo d’appello. Questa formula viene usata quando la Corte ritiene che manchino le prove del fatto-reato o della sua attribuibilità all’imputato in modo così evidente che un ulteriore giudizio sarebbe inutile. Equivale a una piena assoluzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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