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Concorso in truffa: la titolarità della carta Postepay

Una donna è stata condannata per concorso in truffa per aver fornito la propria carta prepagata per ricevere il pagamento di un bene mai consegnato. La Cassazione ha confermato che la titolarità della carta è un elemento chiave per dimostrare la partecipazione al reato, respingendo la tesi della difesa sull’uso inconsapevole da parte del padre.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in Truffa: Titolare della Carta Prepagata è Sempre Responsabile? La Cassazione Chiarisce

Mettere a disposizione la propria carta prepagata per ricevere somme di denaro da una transazione online può sembrare un gesto innocuo, ma le conseguenze legali possono essere molto serie. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico di concorso in truffa, stabilendo principi chiari sulla responsabilità del titolare della carta. Questo articolo analizza la decisione, spiegando perché fornire il proprio strumento di pagamento per un’operazione illecita costituisce una partecipazione attiva al reato.

I Fatti del Caso: La Vendita Online di un Trattore Mai Consegnato

La vicenda ha origine da un annuncio pubblicato su un noto sito di compravendita online, relativo a un trattore agricolo di una marca prestigiosa. Un acquirente interessato contatta il venditore, che si presenta con un nome di fantasia ma che in realtà è il padre della futura imputata. Dopo una breve trattativa telefonica, le parti si accordano sul prezzo di 8.500 euro.

L’acquirente, fiducioso, effettua il pagamento tramite due bonifici bancari su una carta prepagata con IBAN. Tale carta, però, non è intestata al venditore, ma a sua figlia. Una volta incassata la somma, il venditore sparisce e il trattore non viene mai spedito. La vittima, resasi conto della frode, sporge denuncia. Le indagini portano a identificare sia il padre, autore materiale della truffa, sia la figlia, titolare della carta su cui era confluito il denaro.

La Difesa e le Decisioni dei Giudici di Merito

Nel corso del processo, la figlia ha sostenuto di essere completamente all’oscuro delle attività illecite del padre. La sua difesa si è basata sull’assunto che il padre utilizzasse la sua carta prepagata a sua insaputa, senza che lei avesse mai fornito un contributo consapevole alla truffa. A sostegno di questa tesi, la difesa ha evidenziato che, poco dopo i fatti, la ragazza aveva sporto denuncia per lo smarrimento della carta stessa e aveva confidato a un’amica i suoi sospetti sull’uso improprio che il padre ne faceva.

Tuttavia, sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto questa versione, condannando la donna per concorso in truffa. I giudici hanno ritenuto poco credibile la sua totale estraneità, sottolineando come la denuncia di smarrimento non facesse alcun cenno alla cessione della carta al padre, apparendo piuttosto come un tentativo tardivo di precostituirsi una difesa.

Il Ricorso in Cassazione: L’analisi del concorso in truffa

L’imputata ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandosi su due motivi principali:
1. Mancanza di prova del concorso nel reato: La difesa ha ribadito che la sola intestazione della carta non poteva essere una prova sufficiente del suo coinvolgimento consapevole e volontario nella truffa.
2. Pena sproporzionata: Si contestava la congruità della pena inflitta (sei mesi di reclusione e 100 euro di multa), ritenendola eccessiva rispetto al ruolo marginale che le veniva attribuito.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno chiarito punti fondamentali in materia di concorso in truffa online.

In primo luogo, la Corte ha stabilito che l’intestatario di una carta di pagamento sulla quale viene accreditato il profitto di una truffa è, a tutti gli effetti, il beneficiario di tale somma. Questa circostanza, secondo i giudici, fa logicamente presumere una sua responsabilità, quanto meno a titolo di concorso. Mettere a disposizione lo strumento per incassare il denaro è un contributo causale essenziale per la riuscita del piano criminale. Spetta all’imputato, in questi casi, fornire prove concrete e attendibili della propria estraneità, cosa che nel caso di specie non è avvenuta. La linea difensiva è stata giudicata vaga e non supportata da elementi oggettivi.

In secondo luogo, riguardo alla commisurazione della pena, la Cassazione ha ribadito che la sua determinazione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Una motivazione dettagliata è necessaria solo quando la pena si discosta notevolmente dai minimi edittali. Nel caso specifico, la pena inflitta era di gran lunga inferiore alla media prevista per il reato di truffa, rendendo sufficiente il semplice richiamo ai criteri di legge (art. 133 c.p.), come la gravità del danno patrimoniale arrecato alla vittima.

Conclusioni

La sentenza in esame lancia un messaggio chiaro: la leggerezza nel prestare i propri strumenti di pagamento può costare molto cara. Chi mette a disposizione la propria carta prepagata o il proprio conto corrente per la realizzazione di operazioni illecite, si espone a una condanna per concorso in truffa. La giurisprudenza considera tale condotta un contributo consapevole e decisivo al reato, a meno che non si sia in grado di dimostrare in modo inequivocabile la propria totale buona fede e inconsapevolezza. Questa decisione rafforza il principio secondo cui la responsabilità penale è personale e non ci si può nascondere dietro la presunta ingenuità o la negligenza.

Essere titolare della carta prepagata su cui viene accreditato il profitto di una truffa significa essere automaticamente complici?
Sì, secondo questa sentenza, l’essere intestatario della carta su cui viene ricevuto il pagamento illecito è considerato un elemento sufficiente per ritenere sussistente il concorso nel reato di truffa, in quanto rappresenta un contributo consapevole e necessario per il conseguimento del profitto.

Come può il titolare di una carta dimostrare la propria estraneità a una truffa commessa da un familiare?
Per dimostrare la propria estraneità, non è sufficiente una semplice negazione. È necessario fornire elementi di prova specifici, credibili e riscontrabili che attestino in modo inequivocabile che la carta è stata utilizzata all’insaputa e contro la volontà del titolare. Una denuncia di smarrimento tardiva e generica, come nel caso di specie, non è stata ritenuta sufficiente.

Perché la pena non è stata ridotta pur essendo il ruolo dell’imputata considerato ‘meno allarmante’?
La determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice. La Corte di Cassazione ha chiarito che una motivazione specifica e dettagliata è richiesta solo per pene significativamente superiori alla media edittale. Poiché la pena applicata era ampiamente al di sotto di tale media, il riferimento generico ai criteri legali è stato considerato adeguato e legittimo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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