Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 19702 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 19702 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nata in ALBANIA il 16/12/1987 COGNOME NOMECOGNOME nato a Divjake (ALBANIA) il 24/8/1980 A.n.b.c.s.
avverso il decreto della Corte d’Appello di Ancona del 12/9/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento parziale dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto in data 12.9.2024, la Corte d’Appello di Ancona ha rigettato i ricorsi presentati ex art. 10 d.lgs. n. 159 del 2011 da NOME COGNOME e da NOME COGNOME quale terza interessata, avverso il decreto di confisca del Tribunale di Ancona del 12.2.2024, che, accertata l’interposizione fittizia del primo alla seconda nella compravendita del bene, ha disposto la misura di prevenzione patrimoniale della confisca di un immobile formalmente intestato a NOME COGNOME.
1.1 La Corte d’Appello ha rigettato il primo motivo di entrambi i ricorsi, che eccepiva la nullità del decreto ex art. 178, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., per la carenza di legittimazione del pubblico ministero nella proposta della misura di prevenzione patrimoniale a seguito di sentenza irrevocabile: si deduceva, cioè, che, non avendo il pubblico ministero assolto al dovere di accertamento patrimoniale ai fini dell’applicazione in sede di cognizione della confisca per sproporzione ex art. 240-bis cod. pen., avrebbe dovuto procedere in sede di esecuzione ex art. 183-quater disp. att. cod. proc. pen., atteso che il procedimento per la confisca allargata ha priorità fisiologica ed è inconciliabile con la misura di prevenzione del codice antimafia.
A tal proposito, la Corte ha osservato che non v’è alcuna norma che avvalori la prospettazione difensiva e che le ipotesi di nullità previste dall’art. 178 cod. proc. pen. devono essere espresse.
1.2 Quanto alla pericolosità sociale di NOME COGNOME, contestata dal secondo motivo di ricorso dello stesso COGNOME, la Corte d’Appello ha ritenuto che essa sia riscontrabile in relazione alla data dell’acquisto dell’immobile per 80.000 euro il 20.1.2020 nell’ottica del reimpiego dei proventi delle sue attività delittuose, perché il suo percorso criminale è contrassegnato dalla commissione di plurimi reati per motivi di lucro in materia di stupefacenti e le ultime condanne riguardano una cessione del 24.2.2016 e tre cessioni commesse tra marzo 2017 e ottobre 2019.
1.3 Quanto alla sproporzione tra redditi dichiarati e valore dell’immobile, di cui al terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME, la Corte d’Appello ha premesso che per il coniuge vige la presunzione di interposizione fittizia di cui all’art. 26 comma 2, d.lgs. 159 del 2011 e che grava sui familiari del proposto l’onere di dimostrare l’esclusiva disponibilità del bene. Ha rilevato, quindi, che tenuto conto della composizione del nucleo familiare (marito, moglie, due figli), del prezzo dell’immobile corrisposto in contanti per poco più della metà e finanziato per il resto con un mutuo dalle rate mensili di 253,03 euro, dei redditi dichiarati da NOME COGNOME (17.205,45 euro dal 2010 al 2021 senza uscite documentate) e da NOME COGNOME (63.490,60 euro dal 2008 al 2021) a fronte di spese documentate per locazione di immobile, acquisti di autovetture, acquisto dell’immobile e corresponsione dei ratei di mutuo per un totale di 116.075,63 euro, ne risulta comprovato, sulla base dell’importo della spesa media annua rilevabile dai dati Istat, uno scarto considerevole dal 2015 al 2021, che si può ragionevolmente concludere sia stato compensato dai proventi delle attività illecite.
1.4 Quanto ai “prestiti senza interesse” che sarebbero stati elargiti dai familiari di NOME COGNOME risulta che prima della stipula del definitivo e del mutu la donna abbia ricevuto 47.974,80 euro tra 1’8.1.2020 e il 2.3.2020. La Corte d’Appello ha osservato, in primo luogo, che i prestiti provengano in maggior parte dai familiari di NOME e non di NOME, a dimostrazione del personale interesse
del marito all’acquisto dell’immobile. In secondo luogo, ha aggiunto, alla condivisibile osservazione del Tribunale secondo cui i prestiti non sono stati restituiti a distanza di quattro anni, il rilievo che la difesa non ha adempiuto all’onere di allegazione circa la capacità reddituale degli autori dei prestiti, se non per il padre di NOME, la cui capacità reddituale è inconferente. Se è vero che spetta all’accusa la prova della sproporzione tra valore del bene e reddito del proposto, grava sulla difesa che deduca argomenti in contrario a tale prova giustificare la legittima provenienza dei beni, che non può essere sodisfatto con la mera indicazione dell’esistenza di una provvista.
Avverso il predetto decreto, ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME articolando quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 666, comma 3, 471, comma 1, 125 cod. proc. pen., 24 Cost.
Evidenzia, in particolare, che la difesa aveva presentato istanza di trattazione in pubblica udienza del procedimento, sicché è da considerarsi viziato da nullità il decreto di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale emesso, Cpme nel caso di specie, senza la partecipazione del pubblico, qualora il proposto abbia richiesto la trattazione pubblica: la Corte costituzionale con la sentenza n. 109 del 2015 ha affermato che il procedimento in materia di confisca deve essere trattato in udienza pubblica in presenza di una richiesta della parte.
2.2 Con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 178, 179 cod. proc. pen., 24 Cost.
Si duole che la Corte d’Appello abbia ritenuto erroneamente che le ipotesi di nullità assolute di ordine generale debbano essere espresse, laddove nel caso di specie la nullità era riconducibile ad una delle categorie dell’art. 178 cod. proc. pen.
Deve ritenersi, infatti, che vi fosse ab origine un vizio di legittimazione del pubblico ministero, la cui iniziativa era inconciliabile con il dettato dell’art. 240-bi cod. pen., il quale prevede che, in ipotesi di condanna per reati c.d. spia, è sempre disposta la confisca del patrimonio sproporzionato rispetto al reddito.
Con il d.lgs. n. 21 del 2018 il legislatore ha previsto che, ove non sia stata disposta la confisca ex art. 240-bis cod. pen. nel processo di cognizione, il procedimento debba essere attivato dal ‘pubblico ministero ex art. 666 cod. proc. pen. dinanzi al giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 183 -quater disp. att. cod. proc. pen.
Nel caso di specie, dunque, il pubblico ministero ha esercitato l’iniziativa per la misura di prevenzione in violazione di legge, così pregiudicando i diritti della difesa, cui è preclusa la possibilità di giustificazione della sproporzione tramite
redditi non dichiarati che è consentita invece in sede di confisca ex art. 240-bis cod. pen.
2.3 Con il terzo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e d), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 603, 125 cod. proc. pen., 24 Cost.
Lamenta che il Tribunale non ha svolto accertamenti sulle capacità economiche dei familiari che hanno elargito i prestiti e che la Corte d’Appello non si è pronunciato sul relativo motivo di ricorso. Sul punto, non vi è stata risposta sulla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria mediante l’esame di NOME COGNOME
2.4 Con il quarto motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 1, 4, 16, 19, 20, 24 e 26 d.lgs. n. 159 del 2011 e la mancanza della motivazione sulla sussistenza dei presupposti della confisca.
Quanto alla pericolosità sociale, si afferma che il percorso criminale di COGNOME è caratterizzato dalla commissione di reati per motivi di lucro, ma il provvedimento non motiva con riferimento alla circostanza che i reati da lui commessi in materia di stupefacenti abbiano generato profitti e costituiscano l’unico suo reddito; non si tiene conto che egli ha lavorato durante la detenzione dal 16.5.2017 al 25.10.2018 e che le ulteriori condanne riguardano reati in materia di immigrazione che non sono produttivi di proventi illeciti. Per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, il giudice deve accertare che il proposto viva abitualmente ed esclusivamente con i proventi di attività delittuose e il relativo giudizio deve fondarsi su elementi di fatto e non su meri indizi.
Quanto alla sproporzione tra i redditi dichiarati e il valore dell’immobile, la motivazione è apparente e non si confronta con il fatto che la moglie di NOME ha percepito redditi da lavoro in misura che le ha consentito di acquistare il bene, anche con prestiti familiari e mediante l’accensione di un mutuo.
Quanto all’interposizione fittizia, la motivazione è apodittica perché, nonostante le allegazioni difensive, erra quando afferma che tutti i prestiti dei familiari sono avvenuti dopo la stipula della compravendita e del mutuo. Inoltre, non tiene conto che i terzi non hanno l’onere di fornire la prova della disponibilità lecita delle somme utilizzate per l’acquisto, che grava invece sull’accusa. La Corte d’Appello ha invece applicato le presunzioni di cui all’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, che può operare in deroga all’art. 24 solo se si fa riferimento ad atti compiuti dal portatore di pericolosità. Ai sensi dell’art. 26, si presumono fittizi trasferimenti dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado nei due anni antecedenti la proposta: nel caso di specie, sono decorsi più di due anni. In ogni caso, questa presunzione non deroga alla previsione dell’art. 19, comma 3, secondo cui nei confronti di coniuge, figli e conviventi dell’ultimo quinquiennio c’è l’obbligo delle indagini patrimoniali.
Ha proposto ricorso anche il difensore di NOME COGNOME articolando tre motivi.
3.1 Con i primi due motivi, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., le medesime violazioni di legge denunciate nei primi due motivi di ricorso di NOME COGNOME e per le medesime ragioni.
3.2 Con il terzo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., la violazione dell’art. 26, comma 2, d.lgs n. 159 del 2011.
Censura che la Corte d’Appello sia incorsa in errore circa gli oneri probatori in materia di confisca. La presunzione di fittizietà di cui all’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 si riferisce esclusivamente al soggetto portatore di pericolosità.
La terza interessata è onerata di fornire la prova della disponibilità lecita delle somme utilizzate per l’acquisto dell’immobile solo a seguito, ex art. 19 comma 3, di specifico accertamento tributario della Guardia di Finanza: pertanto, i bonifici dei familiari e degli affini non seguono la medesima regola di onere probatorio. In difetto degli accertamenti tributari, si applicano le regole generali di formazione della prova della disponibilità indiretta dei beni in capo al proposto secondo i criteri di cui agli art. 20 e 24 d.lgs. n. 159 del 2011.
Con requisitoria scritta trasmessa il 5.2.2025, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata in accoglimento del primo motivo dei ricorsi, in quanto l’istanza di trattazione in pubblica udienza in grado di appello è espressamente prevista, su richiesta dell’interessato, dall’art. 10, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 e i ricorrenti hanno allegato l’atto d’appello da cui si desume che fosse stata tempestivamente richiesta la trattazione in pubblica udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono complessivamente infondati per le ragioni che di seguito saranno esposte, non prima di avere precisato che i primi due motivi di entrambi i ricorsi possono essere trattati congiuntamente in quanto coincidenti.
Quanto al motivo inerente alla trattazione dell’udienza alla presenza del pubblico, deve considerarsi che, in tema di procedimento di prevenzione, la violazione dell’obbligo di procedere in udienza pubblica, su richiesta della parte, integra una nullità relativa, la quale, ove verificatasi alla presenza della parte, è sanata se non eccepita immediatamente dopo il compimento dell’atto, ai sensi dell’art. 182, comma secondo, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 3590 del 29/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262163 – 01).
Che non si tratti di nullità di carattere assoluto, risulta dal fatto che l pubblicità del procedimento non attiene né alla capacità del giudice, né all’iniziativa del pubblico ministero, né, tanto meno, riguarda l’ipotesi di omessa citazione dell’imputato e del suo difensore (Sez. 5, n. 15862 del 7/3/2013, COGNOME, Rv. 255509 – 01, in motivazione).
Nel caso di specie, risulta che l’udienza si sia svolta alla presenza delle parti, le quali sono state “sentite”, sicché la nullità in questione è rimasta sanata in quanto non eccepita subito dopo il compimento dell’atto.
Il motivo, pertanto, deve essere disatteso.
Quanto, in secondo luogo, all’esercizio dell’iniziativa del pubblico ministero in violazione di legge e alla inconciliabilità dell’azione di prevenzione con la confisca c.d. allargata, il relativo motivo è meramente reiterativo e la Corte d’Appello lo ha già congruamente disatteso.
In ogni caso, deve rilevarsi innanzitutto che l’art. 29 d.lgs. n. 159 del 2011 prevede espressamente l’indipendenza dell’azione di prevenzione dall’azione penale.
A sua volta, il successivo art. 30, per un verso, contempla specificamente ai commi 2, 3 e 5 la possibilità della confisca nel procedimento di prevenzione di beni già sottoposti a sequestro nel procedimento penale ovvero prima ancora che sequestro o confisca intervengano in sede penale, e, per l’altro, pone un problema di preclusione solo nel caso di contrasto di giudicati, laddove invece nel caso di specie non risulta che la confisca sia stata rigettata nel procedimento penale: non è prevista la pregiudizialità della confisca in sede di cognizione o esecuzione rispetto alla confisca di prevenzione.
Né conclusioni dissimili da quelle ricavabili dal d.lgs. n. 159 del 2011 possono trarsi – come invoca il ricorso – dal disposto dell’art. 183 -quater disp. att. cod. proc. pen.
Con l’introduzione dell’art. 183 -quater disp. att. cod. proc. pen. ad opera del d. Igs. n. 21 del 2018, si sono tradotti in disposizione di legge i principi da tempo affermati alla giurisprudenza di legittimità (sin da Sez. U, n. 29022 del 30/5/2001, Derouach, Rv. 219221 – 01), stabilendo che «competente ad emettere i provvedimenti di confisca in casi particolari previsti dall’art. 240-bis del codice penale o da altre disposizioni di legge che a questo articolo rinviano, dopo l’irrevocabilità della sentenza è il giudice di cui all’articolo 666 commi 1, 2 e 3 del codice».
Per come strutturata, la norma di cui all’art. 183 -quater disp. att. cod. proc. pen. si limita ad esplicitare il conferimento al giudice dell’esecuzione della competenza ad adottare i provvedimenti sulla confisca di cui all’art. 240-bis cod. pen., peraltro già genericamente previsto dall’art. 676 cod. proc. pen., per
significare che si tratta delle stesse determinazioni che avrebbero potuto e dovuto essere adottate con la sentenza. L’estensione in tali termini della sfera di attribuzioni della giurisdizione esecutiva non muta e non amplia l’orizzonte decisorio, poiché l’intervento del giudice dell’esecuzione è concepito come surrogatorio e residuale sul presupposto dell’omessa adozione della confisca nella sua sede propria, quella di cognizione, ma senza conferirgli una competenza diversa rispetto a quella esercitabile in fase di cognizione (Sez. U, n. 27421 del 25/2/2021, Crostella, Rv. 281561 – 01, spec. in motivazione).
È stato chiarito, sotto questo profilo, che la sentenza di condanna (o di patteggiamento) costituisce lo sbarramento temporale, oltre il quale non è consentita la conduzione sine die di indagini patrimoniali per l’individuazione dei beni pervenuti al condannato anche in tempi ad essa successivi, pena, a ritenere altrimenti, una sostanziale assimilazione di tale misura ablatoria con la misura di prevenzione reale. Per quanto le due misure presentino indubbie affinità di funzioni e di effetti, non se ne può far derivare una loro coincidenza, posto che esse mantengono autonomia ontologica e parziale divergenza di requisiti (cfr., ancora, Sez. U, n. 27421 del 25/2/2021, Crostella, sopra citata).
Si deve ritenere, pertanto, che dal disposto dell’art. 183-quater disp. att. cod. proc. pen. nessuna conseguenza di inconciliabilità tra la confisca disposta in sede esecutiva e la confisca di prevenzione possa ulteriormente farsi discendere.
Quanto al terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME deve ritenersi, come già affermato da questa Corte (Sez. 6, n. 45111 del 19.7.2017, Occhiuto, in motivazione), che la regola dell’art. 603 cod. proc. pen. non sia applicabile nel procedimento di prevenzione, ordinariamente caratterizzato da prove di natura documentale, costituite da provvedimenti giurisdizionali e da esiti di indagini di polizia giudiziaria o ancora da conclusioni di accertamenti di natura contabile peritale svolti nel corso del procedimento: di guisa che non vi sono prove dichiarative che possano costituire oggetto di nuova, obbligatoria assunzione.
In ogni caso, sul tema che il ricorrente intendeva introdurre – ovvero, quello della causale dei presunti prestiti di NOME COGNOME sorella del ricorrente – la motivazione dell’ordinanza impugnata dà diffusamente conto della ragione per la quale, anche a stare alla prospettazione difensiva, la circostanza starebbe comunque a significare che NOME COGNOME non era estraneo all’acquisto dell’immobile confiscato intestato alla moglie.
Quanto, infine, ai motivi – il quarto del ricorso di NOME COGNOME e il terz del ricorso di NOME COGNOME su pericolosità sociale, sproporzione tra redditi e valore dei beni e intestazione fittizia, si tratta di motivi essenzialmente rivalutativi che, sia pure deducendo la violazione di legge imposta dall’art. 10, comma 3, d.lgs.
7 GLYPH
n. 159 del 2011 per il ricorso in cassazione avverso il decreto della Corte d’Appello, propongono in realtà una rilettura nel merito degli elementi di fatto già presi in considerazione dai giudici competenti per l’impugnazione del decreto di primo grado.
Qui, sembra sufficiente richiamare la piuttosto analitica descrizione del percorso argomentativo della Corte d’Appello, cui non a caso si è proceduto nella iniziale esposizione del contenuto del decreto impugnato in relazione ai motivi di ricorso, per affermare che la motivazione del provvedimento è nient’affatto apparente.
La Corte d’Appello di Ancona motiva in modo specifico e puntuale su ciascuno dei punti ad essa devoluti, laddove, invece, i ricorsi, per larga parte, si limitano sostanzialmente a contestare la valutazione che è stata operata degli elementi considerati nella decisione impugnata e propongono l’adozione di parametri diversi di apprezzamento rispetto a quelli utilizzati dal giudice di merito.
L’unica doglianza più specifica riguarda la violazione dell’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, laddove si censura che la Corte d’Appello sia incorsa in errore circa gli oneri probatori in materia di confisca.
A questo proposito, è vero che nel decreto impugnato è richiamato impropriamente l’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, il quale si riferisce ai soli casi di intestazioni effettuate nei due anni antecedenti alla proposta, che non si rinvengono nel caso di specie.
Tuttavia, la motivazione sulla intestazione fittizia spiega bene, pur con riferimento ad intestazioni effettuate in un periodo ancora più risalente rispetto a quello dei due anni antecedenti la proposta, che il terzo era sprovvisto della effettiva capacità economica per acquistare il bene confiscato.
In particolare, la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, il sequestro e la confisca possono avere ad oggetto i beni del coniuge, dei figli e degli altri conviventi, dovendosi ritenere che il prevenuto ne abbia la disponibilità e li faccia apparire formalmente come beni nella titolarità delle persone di maggior fiducia, sulle quali grava, pertanto, l’onere di dimostrare l’esclusiva disponibilità degli stessi onde sottrarli alla confisca (Sez. 2, n. 7346 del 17/1/2023, COGNOME Rv. 284387 – 01).
Ne consegue che, al di fuori delle specifiche presunzioni di cui all’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, il rapporto esistente tra il proposto e tali soggetti può costituire circostanza di fatto significativa della fittizietà della intestazione d beni di cui il primo non possa dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulti formalmente titolare dei cespiti, sia sprovvisto di effettiva capacità economica (Sez. 2, n. 14981 del 09/1/2020, COGNOME, Rv. 279224 – 01; Sez. 6, n. 43446 del 15/6/2017, COGNOME, Rv. 271222 – 01).
Costituisce consolidato orientamento di legittimità quello secondo cui, in tema di confisca di prevenzione, la sproporzione tra il valore di un bene o di un’attività
economico-finanziaria ed il reddito del terzo intestatario costituisce un indice sintomatico della fittizietà di tale intestazione (Sez. 6, n. 45110 del 19/7/2017,
COGNOME, Rv. 271382 – 01; Sez. 2, n. 43145 del 27/6/2013, COGNOME e altri, Rv. 257609
– 01).
Di conseguenza, da nessuna violazione di legge, nemmeno sotto il profilo dell’inosservanza del disposto dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., è affetto il
decreto impugnato.
5. Alla luce di quanto fin qui osservato, pertanto, i ricorsi devono essere rigettati, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ex art. 616, comma 3, cod.
proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21.2.2025