Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29440 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29440 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a PALMI il 16/03/1987
avverso la sentenza del 27/02/2025 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
E’ presente l’avv. NOME COGNOME del foro di Palmi in difesa di NOME COGNOME che insiste nell’accoglimento del ricorso. GLYPH
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RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27 febbraio 2025 la Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza emessa dal Gip del Tribunale di Locri, ha rideterminato la pena nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato di cui agli artt. 73 e 80, co. 2, d.P.R. n. 309/1990 per avere, in concorso con altri, detenuto e trasportato 21,884 chilogrammi di sostanza stupefacente del tipo cocaina occultata nel sottofondo fatto realizzare in Belgio dall’COGNOME medesimo nell’autovettura di sua proprietà, con apertura idraulica/meccanica che metteva a disposizione per il trasporto.
La Corte di appello ha ritenuto provato il concorso dell’COGNOME nel reato contestato non solo nel trasporto, materialmente effettuato da COGNOME, ma anche nella realizzazione del doppio fondo realizzato sulla propria autovettura, operazione organizzata e pagata da NOME COGNOME, in Belgio. Secondo la Corte territoriale COGNOME, già intestatario della vettura quando già circolava con una targa provvisoria rilasciata in Belgio, sarebbe stato colui che avrebbe consegnato il mezzo a Claeys (rivelatosi poi un agente sotto copertura) che materialmente avrebbe dovuto realizzare il doppio fondo e dal quale riotteneva la consegna dell’auto, non mancando di evidenziare i problemi riscontrati nella apertura del vano, che venivano risolti nel volgere di qualche giorno. COGNOME era anche colui che, a distanza di qualche mese, reimmatricolava in Italia l’autovettura, che rimaneva nella sua disponibilità fino alla sera del 26 giugno 2022 allorquando la parcheggiava nel luogo dal quale COGNOME l’avrebbe prelevata il giorno successivo. La Corte territoriale, in accoglimento dello specifico motivo di appello proposto, riteneva non provato che COGNOME avesse personalmente preso parte al trasporto dello stupefacente, guidando l’autovettura che faceva da staffetta a quella sulla quale era occultata la cocaina, individuata in una Jeep Wrangler, intestata a NOME COGNOME utilizzatore di cripto-telefonini e in contatto con diversi indagati tra cui proprio NOME COGNOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.- Avverso la sentenza è stato proposto ricorso affidato a quattro motivi.
3.1. Con il primo si deduce mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Il percorso logico della sentenza di secondo grado è diverso da quello seguito dal primo giudice il quale ha ritenuto, di diverso avviso rispetto alla Corte territoriale, che Ortuso, il 27 giugno 2022, si trovasse alla guida della Jeep Wrangler intestata al COGNOME, con il ruolo di staffetta della Peugeot condotta da COGNOME, cugino del ricorrente e adibita al trasporto della droga. La Corte territoriale ha ritenuto fondata la censura mossa ritenendo non sufficientemente provato che alla guida
della Jeep vi fosse l’Ortuso. Ha ritenuto, tuttavia, la prova indiziaria dimostrativa del concorso dell’imputato nel trasporto illecito di stupefacente in virtù del fatto che l’anno precedente, ossia il 7 giugno 2021, NOME COGNOME avesse commissionato la realizzazione del doppio fondo nella vettura di Ortuso, con il coinvolgimento di quest’ultimo, proprio per il trasporto della droga. Assume la difesa che si tratta di un percorso motivazionale illogico e contraddittorio. La Corte territoriale, infatti, non ha escluso l’ipotesi alternativa secondo cui COGNOME, benché proprietario formale della vettura, non fosse consapevole dell’operazione illecita. In proposito rileva che, nel processo parallelo, scaturito dall’arresto del Porfida, è stato ritenuto accertato che l’autovettura Peugeot 3008, benché intestata a COGNOME, fosse nella piena disponibilità del Porfida al quale era stata affidata un mese prima del trasporto, essendo costui intenzionato ad acquistarla. La Corte nel replicare a tale argomento difensivo ha affermato apoditticamente che l’autovettura sarebbe rimasta nella disponibilità dell’imputato, fino alla sera del 26 giugno 2022, allorquando la parcheggiava lì dove Porfida l’avrebbe prelevata la mattina successiva. L’argomento non indica sulla scorta di quali elementi sia stata tratta detta conclusione. In specie non è spiegato quale dato dimostrerebbe che proprio COGNOME avrebbe parcheggiato materialmente l’auto né da quali elementi sia stata desunta la disponibilità effettiva del mezzo in capo all’imputato, in un momento immediatamente antecedente alla commissione del fatto.
La lacunosità della motivazione non può essere integrata mediante la lettura della sentenza di primo grado che presenta lo stesso vulnus di quella di appello; ossia il contrasto con le contrarie e documentate affermazioni contenute nella sentenza n. 143/2022 acquisita agli atti del procedimento.
Gli indizi valorizzati sono generici e non consentono di inferire con certezza il contributo consapevole del ricorrente allo specifico trasporto. I rapporti tra COGNOME e COGNOME comprovano preparativi e intese nel 2021 ma non anche che COGNOME fosse non solo consapevole ma anche d’accordo in relazione al trasporto avvenuto il 27 giugno 2022. Sul punto la motivazione è priva della descrizione di qualunque contatto diretto tra COGNOME e COGNOME o con i destinatari della droga nei giorni immediatamente antecedenti.
3.2 Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta circostanza aggravante dell’ingente quantitativo nonché all’utilizzo illegittimo di un elemento mai acquisito agli atti e proveniente da una sentenza non definitiva. La Corte ha ritenuto l’ingente quantitativo dello stupefacente esclusivamente sugli esiti di un accertamento tecnico del RIS mai acquisito e indebitamente desunto dalla sentenza n. 143/2022 pronunciata nei confronti di Porfida, peraltro, non definitiva, rilevando che la difesa che pure aveva prodotto la sentenza non aveva dedotto alcunché per mettere in discussione il
dato. La Corte territoriale è incorsa in un errore di diritto. La giurisprudenza ha affermato che affinché una perizia o un accertamento tecnico possa assumere efficacia probatoria nel diverso giudizio è necessario che venga acquisita agli atti, non essendo sufficiente il mero richiamo. Sotto altro profilo non ha fornito alcuna motivazione sulla affidabilità del dato tecnico derivante dall’accertamento del RIS.
3.3 Con il terzo motivo la difesa si duole della mancanza di motivazione con riferimento all’applicazione della recidiva oltre che del travisamento dei motivi di gravame. La Corte territoriale ha affermato che il riconoscimento della circostanza aggravante non sarebbe stato oggetto di specifica censura nell’atto di appello. L’assunto sarebbe errato ove si consideri che il secondo motivo dell’atto di gravame contiene espressamente il riferimento alla esclusione delle circostanze aggravanti e nelle conclusioni, tra le subordinate, era espressamente richiesta l’esclusione della recidiva, dell’aggravante di cui all’art. 80 e delle sanzioni accessorie. Proprio con il secondo motivo di appello si era lamentato il particolare rigore utilizzato dal giudice di prime cure anche a proposito dell’aumento di pena per la contestata recidiva rilevando che si trattava di aumento facoltativo e che richiedeva esplicita motivazione.
3.4. Con il quarto motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche
All’udienza le parti hanno concluso come in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato.
E’ principio ripetutamente affermato da questa Corte quello secondo cui «il difetto di motivazione, quale causa di annullamento della sentenza, non può essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei suoi singoli punti, costituendo la pronuncia un tutto coerente ed organico, sicché, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto va posto in relazione agli altri, potendo la ragione di una determinata statuizione risultare anche da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito. (In applicazione del principio, la Corte ha respinto il ricorso per vizi di motivazione che, in un processo indiziario, si fondava su una critica parcellizzata di singoli segmenti della ricostruzione senza tener conto della lettura complessiva e unitaria dei dati indizianti operata in sentenza» (Sez. 1, n. 20030 del 18/01/2024, Rv. 286392 01; Sez. 2, n. 38818 del 07/06/2019, Rv. 288091).
Nel caso in esame le doglianze mosse con il ricorso, per quanto formalmente rivolte a denunciare il vizio della motivazione della sentenza, si risolvono nella
contestazione mossa rispetto a singoli elementi di fatto senza valutare la complessiva ricostruzione della vicenda e il percorso logico argomentativo posto dalla Corte territoriale a fondamento della conferma della sentenza pronunciata dal primo giudice.
La Corte di appello ha ricostruito le ragioni del ritenuto concorso nel reato contestato all’Ortuso avente ad oggetto la detenzione e il trasporto di oltre venti chilogrammi di cocaina materialmente posto in essere da NOME COGNOME che veniva tratto in arresto in flagranza in relazione a detto reato, servendosi dell’autovettura di proprietà del ricorrente all’interno della quale era stato realizzato un doppio fondo, escludendo peraltro, a differenza del primo giudice, che l’Ortuso si fosse materialmente occupato del trasporto dello stesso.
La sentenza ha compiutamente ricostruito i passaggi sulla scorta dei quali ha confermato il giudizio di responsabilità dell’Ortuso rilevando che l’autovettura era stata da costui immatricolata in Belgio e successivamente reimmatricolata in Italia con targa italiana e che ne aveva conservato la disponibilità fino ad epoca coeva a quella del sequestro. E’ stato evidenziato che l’ampia attività investigativa svolta in Belgio nei mesi precedenti, servendosi anche di due agenti sotto copertura, aveva consentito di accertare che COGNOME, d’intesa con COGNOME, aveva fatto realizzare il doppio fondo all’interno del quale erano rinvenuti i venti panetti di cocaina; un sottofondo che doveva avere capacità pari a “quaranta chili”. La Cortee di appello ha valorizzato la circostanza che proprio COGNOME aveva consegnato a Claeys l’autovettura sulla quale bisognava apportare la modifica e sempre COGNOME aveva riconsegnato il mezzo a Claeys dopo avere verificato che il doppio fondo presentava dei problemi nell’apertura, recandosi personalmente a ritirarla, qualche giorno dopo, allorquando il problema era stato risolto.
La circostanza che il doppiofondo fosse funzionale, come sostenuto da COGNOME, al trasporto di Rolex da importare in Italia, è stata confutata dalla Corte territoriale con motivazione non illogica e coerente con le emergenze, laddove si è evidenziato il fatto che non è stato chiarito cosa avesse a che fare Strangio con il commercio degli orologi né il motivo per il quale, in relazione a tale attività fosse necessaria una capacità di carico di “40 chilogrammi”. In proposito il giudice di secondo grado ha sottolineato la circostanza che al pagamento di diverse migliaia di euro per la realizzazione del vano occulto, sull’auto dell’Ortuso, avesse provveduto materialmente lo Strangio, soggetto dedito alla importazione non di orologi ma di ingenti quantitativi di cocaina dal Sud America.
La Corte, inoltre, ha posto l’accento sulla circostanza che l’autovettura immatricolata in Italia sempre da Ortuso, il 23 novembre 2021 e sia rimasta sempre nella disponibilità di costui fino al 26 giugno sera 2022 allorquando la
parcheggiava nel luogo in cui COGNOME la prelevava la mattina successiva per recarsi a Polistena a prelevare lo stupefacente che poi veniva rinvenuto e sequestrato.
Con tutto quanto sopra riportato, il ricorso non si confronta poiché si limita a rilevare il mero difetto di concordanza degli indizi assumendo che COGNOME avrebbe lasciato l’auto nella disponibilità del cugino COGNOME che, a sua insaputa, l’avrebbe usata per il trasporto della droga.
Di contrario avviso è stata la Corte di appello che ha rilevato come l’autovettura sia sempre rimasta nel possesso del prevenuto che l’ha fatta utilizzare a Porfido proprio in virtù della idoneità della stessa ad occultarvi la droga, non mancando di evidenziare i movimenti sospetti avvenuti nelle settimane precedenti al fatto, che ha ritenuto, riconducibili a quelli di una “staffetta”.
La Corte territoriale ha richiamato in proposito la ricostruzione operata dal primo giudice che da pag. 9 ha ricostruito, analizzando le intercettazioni ambientali sull’auto di proprietà di Ortuso e da cui è emerso che, in almeno cinque occasioni, l’auto di proprietà del ricorrente sia stata condotta da costui in un posto concordato con il cugino il quale, postosi alla guida della stessa, veniva preceduto dal ricorrente a bordo di un’altra autovettura.
Il richiamo operato dalla difesa alla vicenda della Jeep è del tutto ininfluente. Invero, la Corte territoriale, proprio in ragione della mancanza di intercettazioni e del fatto che dalla visione delle riprese delle telecamere Traffic-scanner non si riuscisse a identificare il conducente della detta autovettura, di proprietà del COGNOME, soggetto che utilizzava cripto-telefonini e che era in contatto con diversi indagati nell’ambito dell’operazione RAGIONE_SOCIALE, tra cui proprio NOME COGNOME, ha ritenuto non provata la partecipazione del ricorrente al “materiale trasporto” degli oltre venti chilogrammi di cocaina ma ha, tuttavia, ritenuto avvalorato “l’assunto per cui l’operazione si ricollegava all’attività di narcotraffico in funzione della quale era stato realizzato, con l’attivo coinvolgimento anche di Ortuso, il doppiofondo dove è stato poi rinvenuto lo stupefacente”.
Il fatto poi che la Corte reggina abbia ritenuto non sufficientemente provata la presenza di COGNOME sulla Jeep, non legittima la difesa a ritenere che non si versi in ipotesi di c.d. doppia conforme essendo stata, comunque, confermata la responsabilità del ricorrente sulla scorta del medesimo procedimento logico argomentativo seguito dal giudice di primo grado.
Infondato è il motivo afferente alla ritenuta configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n. 309/1990 relativamente all’utilizzo degli esiti degli accertamenti svolti dal R.I.S. sullo stupefacente sequestrato a Porfido, che, secondo la difesa, non sono mai stati acquisiti agli atti
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ma sarebbero stati indebitamente desunti dalla motivazione della sentenza pronunciata nei confronti del Porfida che non era definitiva.
Sul punto, la Corte territoriale, ha rinviato agli argomenti spesi dal primo giudice in merito ai presupposti sostanziali della circostanza aggravante in esame che a pag. 10 della sentenza afferma “sussiste altresì la contestata aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 80, co. 2 d.P.R. cit. alla luce di quant desumibile, oltre che dal dato ponderale complessivo della cocaina in sequestro, dagli esiti degli accertamenti tecnici del R.I.S. che ha individuato una quantità di principio attivo pari a 15.935,50 grammi – valore superiore di oltre dieci volte quello minimo individuato da Cass. n. 14722/20 – da cui sono ricavabili n. 106.236 dosi medie singole”.
Non vi è alcun accenno alla sentenza pronunciata nei confronti di COGNOME e prodotta dalla difesa dal che non può escludersi, né è allegata circostanza di segno contrario, che l’accertamento facesse parte del ben più ampio procedimento penale denominato OpRAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto il traffico internazionale di stupefacenti nei paesi dell’Unione Europea, in seno al quale, tra gli altri, COGNOME era stato tratto in arresto.
Come pure non può escludersi che, dopo la separazione della posizione di COGNOME, proprio in virtù della pronuncia emessa nei confronti di COGNOME ad opera del giudice dinanzi al quale il ricorrente era chiamato a comparire, l’accertamento dei R.I.S. fosse uno di quegli atti di indagine che, come si legge a pag. 3 della sentenza di primo grado sono stati inseriti nel fascicolo.
A ben vedere, infatti, è la difesa a introdurre in maniera generica e aspecifica l’argomento secondo cui il dato (non l’unico, avendo fatto il primo giudice espresso riferimento al dato ponderale complessivo della droga sequestrata a Porfido) sarebbe stato desunto dalla sentenza prodotta dalla stessa difesa.
La Corte territoriale sull’argomento, in maniera né illogica né contraddittoria, a fronte della allegazione difensiva secondo cui la circostanza aggravante sarebbe stata desunta dalla sentenza prodotta, ha dato atto che l’appellante, pur lamentando l’acquisizione dell’accertamento svolto dai militari del R.I.S., non deduce alcunchè per mettere in discussione il dato ponderale comunque emerso.
Gli argomenti spesi dal giudice di secondo grado non sono né illogici né contraddittori. Piuttosto è l’argomento difensivo a palesare tratti di contraddittorietà. La difesa ha prodotto la sentenza n. 143/2022 pronunciata nei confronti di COGNOME, così introducendola nella piattaforma probatoria, senza porre alcun limite alla sua utilizzabilità. Detta sentenza, tuttavia, secondo quanto si assume in ricorso, dovrebbe essere utilizzata, pur con la precisazione che non si tratterebbe di una sentenza irrevocabile, per ciò che attiene la ritenuta disponibilità in capo al COGNOME dell’autovettura di proprietà del ricorrente, da oltre
un mese; al contrario la stessa, proprio in virtù del mancato passaggio in giudicato della pronuncia, non avrebbe dovuto essere utilizzata con riferimento agli esiti delle indagini scientifiche svolte dal R.I.S.
In merito a quanto dedotto dalla difesa non può non rilevarsi come non sia stato allegato alcun elemento dal quale possa desumersi che, all’atto della produzione, la pronuncia prodotta fosse o meno definitiva, difettando sul punto il ricorso di autosufficienza.
Sotto altro profilo, inoltre, va osservato che, il ricorso non spiega le ragioni per le quali la contestata inutilizzabilità dell’accertamento dei R.I.S. renderebbe insufficiente l’elemento di prova dato dalla circostanza evidentemente non contraddetta che si trattava di 21 chilogrammi di cocaina.
In proposito va ricordato il costante insegnamento di questa Corte di legittimità secondo cui, nel caso in cui il ricorso lamenti l’inutilizzabilità di elemento a carico, deve comunque illustrare l’incidenza dell’eventuale eliminazione del suddetto, dato che gli elementi di prova acquisiti illegittimamente divengono irrilevanti e ininfluenti ove, nonostante la loro espunzione, risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, De Matteis, Rv. 270303).
3.- Il terzo motivo di appello avente ad oggetto la recidiva è inammissibile.
La difesa lamenta l’omessa risposta al motivo di gravame connotato, peraltro, da patente genericità. E’ lo stesso ricorrente a riportare i punti del secondo motivo di appello contenente espressamente il riferimento alla “esclusione delle circostanze attenuanti generiche”, le conclusioni rassegnate con l’atto di appello nel senso di “escludere la recidiva” e “il particolare rigore utilizzato dal giudice di prime cure anche a proposito dell’aumento di pena per la recidiva”. ” Ciò a fronte dell’ampia argomentazione posta dal primo giudice a sostegno del riconoscimento della stessa laddove, a pag. 10, lo stesso si è diffuso in merito alla circostanza che il precedente “se valutato in uno con il più grave reato oggi accertato, fornisce la preoccupante misura dell’accresciuta inclinazione a delinquere dell’imputato e, pertanto induce a concludere per la sussistenza nel caso in esame della recidiva ex art. 99, co. 3 cod. pen. contestata dall’Ufficio di Procura”.
A fronte della genericità del motivo di appello la Corte reggina, nel rilevare che non era posta “specifica” censura in punto di recidiva, e tale non era quella posta con l’atto di gravame, in quanto priva di una critica argomentata sullo specifico punto, nel rideterminare la pena, in misura pari al minimo edittale, ha specificato le ragioni poste alla base della quantificazione dell’aumento per la recidiva, attribuendo rilievo all’epoca del precedente penale specifico e all’entità
della pena inflitta, applicando il criterio limitatore di cui all’art. 63, co. 4, cod. pr pen. Nel lamentarsi dell’omessa risposta alla generica censura la difesa non si confronta con il non manifestamente illogico né carente percorso logico giuridico che ha indotto i giudici di merito a ritenere la sussistenza della contestata recidiva.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile. E’ stato ripetutamente affermato il principio secondo cui «Le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere del reo, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo» (Sez. 2, n. 9299 del 07/11/2018, dep. 2019, Rv. 275640 -01).
La Corte territoriale, ai fini del diniego, ha valorizzato non solo la precedente condanna per coltivazione di stupefacenti ad anni due e mesi otto di reclusione, su cui si è fondata la contestata recidiva, ma vieppiù la “intrinseca gravità” del fatto anche in virtù del collegamento dell’imputato, risalente a pochi mesi prima, con un’organizzazione dedita al traffico internazionale di stupefacenti, ritenendo recessiva la ammissione al lavoro esterno durante la detenzione che, secondo il giudice del gravame, se è dimostrativa della buona condotta dell’imputato nel contesto inframurario, non è stata, per ciò stesso, ritenuta sufficiente per giustificare l’applicazione dell’art. 62 bis cod. pen. rispetto agli altri element evidenziati. A fronte della valutazione espressa dalla Corte territoriale si propongono argomenti meramente reiterativi, peraltro, versati in fatto e con impropri richiami giurisprudenziali.
Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna al pagamento delle spese del presente procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Deciso in data 11 giugno 2025
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