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Concorso in tentato omicidio: la responsabilità

La Corte di Cassazione esamina il caso di un uomo accusato di concorso in tentato omicidio per aver partecipato a un’aggressione di gruppo, pur non essendo l’autore materiale dell’accoltellamento. La Corte rigetta il ricorso, affermando che la partecipazione a un’azione violenta, prevedendo e accettando il rischio di un’escalation letale da parte di un complice, è sufficiente per configurare la piena responsabilità concorsuale. La sentenza distingue il dolo diretto dell’esecutore materiale dal dolo eventuale del concorrente.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in tentato omicidio: la responsabilità del complice

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 25954 del 2024, offre un’importante lezione sulla responsabilità penale nel concorso in tentato omicidio. Anche chi non è l’esecutore materiale di un’azione violenta può essere chiamato a rispondere del reato più grave, se ha previsto e accettato il rischio che la situazione potesse degenerare. Questo principio, noto come dolo eventuale, è stato il fulcro della decisione della Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da una violenta aggressione avvenuta sulla pubblica via. Un gruppo di tre individui ha circondato l’automobile di un uomo e dei suoi compagni. L’episodio, nato da una discussione pregressa, è rapidamente degenerato. Due degli aggressori erano armati di coltello e uno di loro ha sferrato numerosi fendenti contro la vittima principale, colpendola sei volte in zone vitali come l’addome e il tronco.

L’indagato che ha presentato ricorso in Cassazione non era colui che aveva materialmente accoltellato la vittima. Tuttavia, era stato sottoposto a misura cautelare per concorso in tentato omicidio per aver partecipato attivamente all’accerchiamento e all’aggressione. La difesa sosteneva che l’imputato non avesse alcuna intenzione omicida e che la sua responsabilità dovesse essere limitata al reato di lesioni personali, non potendosi configurare un concorso in tentato omicidio per un’azione compiuta da altri.

La distinzione tra dolo diretto e dolo eventuale nel concorso in tentato omicidio

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, fornendo chiarimenti cruciali sulla natura della responsabilità concorsuale. I giudici hanno sottolineato una distinzione fondamentale tra la posizione dell’autore materiale del reato e quella del concorrente.

Autore Materiale: Per l’individuo che ha sferrato le coltellate, il Tribunale ha correttamente individuato un dolo diretto. La reiterazione dei colpi, l’uso di un’arma letale e la scelta di mirare a zone vitali del corpo dimostrano in modo inequivocabile l’intenzione di uccidere (animus necandi*).

Concorrente: Per l’altro partecipe, che pur non avendo usato l’arma ha contribuito all’aggressione, la responsabilità per concorso in tentato omicidio si fonda sul dolo eventuale*. Partecipando a un’aggressione violenta insieme a complici armati, egli ha previsto e accettato il rischio concreto che l’azione potesse sfociare in un delitto più grave, come l’omicidio tentato. Non è necessario che volesse direttamente la morte della vittima; è sufficiente che abbia accettato tale eventualità come conseguenza probabile della condotta collettiva.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha stabilito che la valutazione del dolo nel tentato omicidio deve basarsi su una “prognosi postuma”, ovvero analizzando l’idoneità dell’azione a causare la morte dal punto di vista dell’agente al momento del fatto, a prescindere dall’esito finale. Il fatto che la vittima non sia deceduta o non si sia trovata in concreto pericolo di vita è irrilevante per escludere l’intenzione omicida, potendo dipendere da fattori indipendenti dalla volontà dell’aggressore.

I giudici hanno chiarito che, ai fini della responsabilità del concorrente, non si deve confondere il piano della volontà dell’autore materiale (dolo diretto) con quello del partecipe. Per quest’ultimo, ai sensi dell’art. 116 c.p. (concorso anomalo), è sufficiente la mera prevedibilità dell’evento più grave. Nel caso di un concorso pieno, invece, è richiesto il dolo eventuale, ossia l’aver accettato il rischio della commissione del delitto diverso e più grave.

La Corte ha ritenuto che l’indagato, contribuendo all’accerchiamento della vittima in compagnia di soggetti armati, avesse previsto e accettato il rischio di un esito letale. Questa consapevolezza e accettazione del rischio sono sufficienti per radicare la sua piena responsabilità concorsuale per il tentato omicidio.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale del diritto penale: partecipare a un’azione criminale di gruppo comporta l’assunzione di responsabilità per tutte le sue prevedibili evoluzioni. Chi si unisce a un’aggressione violenta, specialmente in presenza di armi, non può poi sottrarsi alle conseguenze più gravi, sostenendo di non averle volute direttamente. L’accettazione del rischio che l’azione degeneri è sufficiente per essere considerati corresponsabili del reato più grave commesso da uno dei complici, configurando così un pieno concorso in tentato omicidio.

Se partecipo a un’aggressione ma non sono io a usare l’arma, posso essere accusato di tentato omicidio?
Sì. Secondo la Corte, chi partecipa a un’aggressione violenta con complici armati, prevedendo e accettando il rischio che la situazione possa degenerare in un delitto più grave, risponde a titolo di concorso in tentato omicidio, anche se non è l’esecutore materiale.

Cosa si intende per ‘dolo eventuale’ nel concorso di reato?
Il dolo eventuale si configura quando un soggetto, pur non volendo direttamente l’evento criminoso più grave, agisce accettando il rischio concreto che questo si verifichi come conseguenza della propria condotta. Nel caso di specie, l’imputato ha accettato il rischio che l’aggressione potesse sfociare in un tentato omicidio.

Il fatto che la vittima non sia morta o non abbia riportato lesioni letali esclude il reato di tentato omicidio?
No. Per la configurazione del tentato omicidio, non si guarda all’esito finale, ma all’idoneità dell’azione a provocare la morte al momento in cui è stata compiuta. La violenza dei colpi, l’arma usata e le zone del corpo colpite sono sufficienti a dimostrare l’intenzione di uccidere, indipendentemente dalle conseguenze effettive.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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