Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38470 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38470 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/03/2024 del TRIB. LIBERTA’ di PALERMO
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
udito l’AVV_NOTAIO del foro di PALERMO in difesa di COGNOME NOME, che preliminarmente riferisce che l’imputato ha ottenuto gli arresti domiciliari conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso e della memoria inviata via pec in data 2 luglio 2024.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza índicata in epigrafe, il Tribunale del riesame di Palermo ha confermato – previa esclusione della circostanza aggravante della premeditazione ex art. 577 n. 3 cod. pen. -l’ordinanza di custodia cautelare in carcere del 01/03/2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città, che aveva ritenuto NOME gravemente indiziato dei reati, contestati con recidiva specifica:
di cui agli artt. 56, 110, 575, 416-bis.1 cod. pen., per avere, in concorso con NOME COGNOME, compiuto atti idonei e univocamente diretti a cagionare la morte di NOME COGNOME, esplodendo colpi di arma da fuoco all’indirizzo dello stesso e non riuscendo nell’intento a causa della reazione dello stesso;
di cui agli artt. 110, 61 n. 2 cod. pen., 4 e 7 legge 02 ottobre 1967, n. 895, per avere, in concorso con NOME, detenuto e portato in luogo pubblico la pistola adoperata per la commissione del delitto di tentato omicidio dí cui sopra.
Quanto alla dinamica degli accadimenti per i quali si procede, occorre rifarsi alla ricostruzione storica e oggettiva contenuta nell’avversato provvedimento, che si è fondato anzitutto sulle riprese effettuate dalle videocamere di sorveglianza e acquisite all’incarto processuale.
Il Tribunale del riesame, condividendo quanto sussunto nell’ordinanza genetica, ha dunque ritenuto che NOME COGNOME, fratello dell’odierno ricorrente, gestisse presso un magazzino di proprietà familiare un pannello on line di scommesse illegali, per conto, tra gli altri, di NOME COGNOME, soggetto legato alla locale famiglia mafiosa di INDIRIZZO; e il COGNOME, ritenendosi creditore nei confronti di NOME COGNOME di denaro derivante da scommesse illecite, inviava a quest’ultimo dapprima un emissario e poi, personalmente, esigeva tale dazione. NOME COGNOME, però, domandava una dilazione nel pagamento e, per tutta risposta, veniva attinto da COGNOME con un violento pugno al volto.
Nel recarsi in ospedale per ricevere le cure necessarie, NOME COGNOME avvisava dell’accaduto il padre, NOME COGNOME; questi, accompagnato dall’altro figlio l’indagato NOME COGNOME – raggiungeva in auto COGNOME. Una volta a contatto, discendeva dal veicolo anzitutto NOME COGNOME, il quale fronteggiava bellicosamente NOME; fuoriusciva poi dalla vettura il padre NOME, armato di pistola, che veniva però anticipato dal più lesto COGNOME, il quale per primo esplodeva un colpo di pistola. Quindi NOME NOME, rispondendo al fuoco, feriva l’altro a una gamba, attingendo anche accidentalmente un altro soggetto, semplicemente presente in loco. A questo punto, si verificava la fuga di NOME, inseguito da NOME e da NOME.
Una volta conclusosi tale segmento dei fatti, NOME, ferito a una gamba e NOME COGNOME facevano ritorno presso il loro magazzino.
Trascorso all’incirca un quarto d’ora, NOME COGNOME e NOME COGNOME (questi era una figura apicale, in seno alla famiglia mafiosa di INDIRIZZO) raggiungevano a bordo di un ciclomotore – accompagnati da almeno altri quattro soggetti, anch’essi viaggianti su motorini – il magazzino dei COGNOME e si arrampicavano sul portone d’ingresso. Qui iniziavano a sparare all’impazzata verso NOME, NOME e NOME, nel frattempo barricatisi all’interno.
NOME NOME riusciva poi a uscire da un portoncino secondario e, così, poteva sparare verso gli aggressorí; COGNOME veniva quindi gravemente ferito all’addome e alla testa, mentre il sopra menzionato NOME COGNOME decedeva.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, deducendo tre motivi, che vengono di seguito riassunti, entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192, 273, 274 cod. pro pen. e 56, 110 e 575 cod. pen.
Non è stata adeguatamente considerata la tesi prospettata dal ricorrente, il quale ha dichiarato di non esser stato a conoscenza del fatto che il padre NOME COGNOME e NOME COGNOME fossero armati, non avendo egli avuto l’intenzione di prender parte a uno scontro a fuoco; tale tesi si salda, del resto, con quanto riferito dal coindagato NOME COGNOME. La condotta materiale tenuta da NOME COGNOME, pertanto, non può integrare il concorso nel reato di tentato omicidio, non essendo supportata dall’elemento psicologico doloso. A identiche conclusioni, poi, deve pervenirsi anche per ciò che attiene ai reati di detenzione e porto di arma da fuoco.
2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 273 cod. proc pen., 56, 110, 575 e 416-bis.1 cod. pen.
Manifestamente carente e illogica è la motivazione dell’ordinanza impugnata, in ordine alla sussistenza della gravità indiziaria con riferimento alla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., cha ha inciso in modo determinante sulla scelta della misura carceraria, stante la vigenza della cd. doppia presunzione. Non può infatti ritenersí, come invece fatto dal Tribunale del riesame, che le modalità esecutive del tentato omicidio – solo per esser stato compiuto in pieno giorno e nella pubblica via – siano immediatamente evocative di modalità mafiose, trovando esse le proprie radici in pregressi contrasti tra i protagonisti, insorti in comuni interessi criminali connessi al controllo delle
scommesse clandestine, coinvolgenti anche esponenti della locale famiglia mafiosa.
Le conclusioni raggiunte dal Tribunale non si confrontano con il fatto che, nello stesso procedimento, il fratello del ricorrente, ossia NOME COGNOME, abbia veste di persona offesa dell’attività estorsiva posta in essere dal succitato COGNOME, che avrebbe compiuto atti idonei e univocamente diretti – tramite la manifestazione implicita della propria appartenenza mafiosa – a costringerlo a versare parte dei proventi delle attività illecite delle scommesse clandestine. La presunta appartenenza a RAGIONE_SOCIALE di COGNOME, però, non può essere immediatamente traslata a NOME COGNOME.
2.3. Con il terzo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 274 e 275 cod. pr pen., 56, 110, 575 e 416-bis.1 cod. pen., aggredendosi la ritenuta ricorrenza di esigenze cautelari.
3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il primo motivo prospetta solo una censura riferita al criterio di valutazione degli elementi indiziari, senza riuscire a scalfire le argomentazioni contenute nell’ordinanza impugnata, che appaiono congrue rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano la materia. Quanto al tema dell’adeguatezza della misura cautelare, l’atto di impugnazione manca di capacità critica in ordine alla ritenuta tipologia di reato, nonché con riferimento alle modalità e al contesto in cui si sono svolti i fatti.
La difesa ha presentato memoria con motivi nuovi ex art. 311, comma 4 cod. proc. pen., deducendo violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192 e 273 cod. proc. pen., 56, 110 e 575 cod. pen., quanto alla omessa considerazione della versione dei fatti resa da NOME COGNOME, che sarebbe stata in grado di discolpare l’attuale ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Posta la richiamata base descrittiva e argomentativa del provvedimento impugnato, la disamina delle censure articolate dalla difesa deve essere compiuta seguendo il solco interpretativo tracciato da diversi principi di diritto, co brevemente riassumibili:
a) in tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo all verifica della sussistenza o meno dei gravì indizi di colpevolezza (ex art. 273 cod. proc. pen.), oltre che delle esigenze cautelari (ex art. 274 cod. proc. pen.), deve riscontrare – entro il perimetro circoscritto dalla devoluzione – la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Essa, dunque, non può intervenire nella ricostruzione dei fatti, né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, bensì de dirigersi a controllare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (si vedano, sull’argomento, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, rv. 215828; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, rv. 276976; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, rv. 255460).
Quanto ai limiti del sindacato consentito in sede di legittimità, quindi, è possibile richiamare il dictum di Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, rv. 270628, secondo cui: «In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito>>.
b) Occorre rifarsi, inoltre, alla regola di giudizio secondo la quale: «In tema di procedimento di riesame di misure cautelari personali, sussiste l’obbligo del tribunale di esaminare compiutamente ogni censura difensiva sollevata all’udienza ex art. 309 cod. proc. pen., con la conseguenza che è da ritenersi affetta da vizio di motivazione l’ordinanza che, a fronte di un’eccezione ritualmente proposta, non contenga una compiuta disamina della stessa» (Sez. 4, n. 21374 del 11/06/2020, Davis, rv. 279297).
Tanto premesso, in punto di corretto inquadramento in diritto delle questioni dedotte, può passarsi all’analisi specifica delle singole censure.
3. Con il primo motivo, sostiene la difesa che NOME COGNOME fosse inconsapevole della presenza della pistola, ossia del fatto che l’arma si trovasse nella disponibilità del padre e che, pertanto non fosse in grado di prevedere il verificarsi della tragica sparatoria.
3.1. Va allora evidenziato come tali censure si sviluppino sul pìano del fatto e siano tese a sovrapporre una nuova interpretazione delle risultanze probatorie, diversa da quella recepita nell’impugnato provvedimento, più che a rilevare un vizio rientrante nella rosa di quelli delineati dall’art. 606 cod. proc. pen. Ta operazione, con tutta evidenza, fuoriesce dal perimetro del sindacato rimesso al giudice di legittimità. Secondo la linea interpretativa da tempo tracciata da questa Corte regolatrice, infatti, l’epilogo decisorio non può essere invalidato sulla base di prospettazioni alternative, che sostanzialmente si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e differenti canoni ricostruttivi e valutativi dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati c maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., rv, 280601; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, rv. 235507; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, rv. 234148).
3.2. D’altronde, nessun vizio logico argomentativo è ravvisabile nella motivazione adottata dal Tribunale del riesame di Taranto, laddove è ben chiarito come, già nella prima fase della vicenda, si sia manifestata una piena e costante sinergia, tra padre e figlio. Il Tribunale del riesame, sul punto, non ha mancato di sottolineare come l’attuale ricorrente abbia per primo affrontato COGNOME, creando così una situazione di diversivo e provocando quella – pur momentanea distrazione, atta a consentire a NOME di intervenire. Immediatamente dopo il primo scambio di colpi, peraltro, NOME COGNOME ha coadíuvato fattivamente il padre nell’inseguire l’avversario, senza mai mostrare alcuna forma di sorpresa, resipiscenza o dissociazione.
La versione della propria estraneità, propugnata da NOME COGNOME, è giudicata inverosimile, nell’ordinanza impugnata, proprio in ragione di tale costante ed attiva forma di collaborazione con il materiale autore del ferimento. È quindi emerso – a carico di NOME COGNOME – un contributo causalmente efficiente di tipo sia materiale (questo si è concretizzato nello svolgimento del sopra descritto ruolo di elemento di distrazione e copertura fisica, idonea a consentire al padre di discendere dall’autovettura e avvicinarsi quanto più possibile a COGNOME, fino ad avere una favorevole visuale e opportunità di tiro), sia morale (consistito, quest’ultimo, nel sicuro rafforzamento del proposito criminoso che animava NOME, il quale veniva affiancato e validamente spalleggiato dal ricorrente, nel corso dell’ulteriore inseguimento dell’avversario).
4. Il secondo motivo dipana una critica alla ritenuta sussistenza
dell’aggravante mafiosa. Tale doglianza è parimenti da disattendere.
4.1. Circa tale aspetto – di certo deducibile in sede di legittimità, stante la portata degli effetti correlati, anche nel subprocedimento cautelare, al riconoscimento di tale aggravante a effetto speciale – vanno operate talune premesse.
Il particolare incremento sanzionatorio, previsto in relazione a tale forma di manifestazione del reato, pone l’interprete nella necessità di individuare non tanto il fondamento politico-criminale della scelta legislativa (compito che può definirsi solo di ausilio nell’opera applicativa), quanto la concreta dimensione fenomenica delle condotte descritte nella norma, allo scopo di evitare la maggior punizione di condotte in realtà estranee al modello tipizzato, oppure già altrove incriminate. Sul punto, è ormai pacifica la considerazione della esistenza nell’ambito della disposizione normativa in parola – di una duplice «direzione» dei contenuti precettivi, nel senso che:
da un lato si valorizza – in senso negativo – una particolare modalità commissiva del delìtto, rappresentata dall’essersi gli agenti avvalsi delle condizioni di cui all’art. 416-bis cod. pen. Tali condizioni, per dettato normativo, sono rappresentate dalla forza di intimidazione del vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva tra i consociati.
Si è ritenuto, sul punto che tale ‘corno’ dell’aggravante incrimini essenzialmente le condotte degli associati, espressive in concreto di una maggior valenza intimidatoria, o anche dei soggetti non associati (o comunque del cui inserimento nel gruppo non vi sia prova, si veda Sez. 1 n. 33245 del 09/05/2013, COGNOME, rv 256990 nonché Sez. 2 n. 38094 del 05/06/2013, COGNOME, rv 257065) laddove venga espressamente evocata – o comunque, sfruttata in modo evidente, quale fattore di semplificazione della condotta illecita (per la correlata riduzione dei poteri di reazione della vittima) – la capacità intimidatoria di u gruppo criminoso. In particolare, si è condivisibilmente affermato che, per ritenere integrata la fattispecie in parola (l’avvalersi delle condizioni) non è sufficiente mero collegamento con contesti di criminalità organizzata, o la mera ‘caratura mafiosa’ degli autori del fatto, occorrendo invece l’effettivo utilizzo del metodo mafioso e, dunque, l’impiego della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo (in tal senso, tra le altre, Sez. 2 n. 28861 del 14/06/2013, COGNOME, rv 256740 e Sez. 6 n. 27666 del 04/07/2011,COGNOME, rv 250357; ritiene tuttavia possibile l’utilizzo implicito della forza di intimidazione Sez. 2 n. 37516 de 11/06/2013, COGNOME, rv 256659);
dall’altro lato, la previsione di legge incrementa la connotazione di gravità della condotta, laddove la stessa sia stata commessa al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste nel medesimo art. 416-bis cod. pen. Si richiede, pertanto,
sia una particolare consistenza e direzíone dell’elemento volitivo (cosciente e univoca finalizzazione agevolatrice de/sodalizio, come ritenuto da Sez. 6, n. 31437 del 12/07/2012, COGNOME, rv. 253218) che una concreta strumentalità del reato commesso rispetto alle finalità perseguite dal gruppo criminoso di riferimento (che in tal caso deve essere individuato, secondo quanto precisato da Sez. 2, n. 41003 del 20/09/2013, COGNOME, rv 257240). L’aggravante della c.d. modalità mafiosa prescinde dalla consapevolezza o meno di agevolare un’associazione o un clan e anzi neanche presuppone che l’associazione in effetti esista (Sez. 2, n. 36431 del 02/07/2019, COGNOME, rv. 277033; Sez. 2, n. 27548 del 17/05/2019, COGNOME, rv. 276109). In questo caso, l’aggravante ha natura oggettiva e sussiste per il solo fatto che l’agente abbia fatto ricorso a modalità riferibili alla criminal organizzata. Modalità che, anche per il contesto sociale e geografico nel quale si collocano i fatti, occorre che sia significativa di un modo di agire e operare che è tipico delle associazioni mafiose e, per la riferibilità ad affiliati, abbia una fo intimidatoria eccezionale, ossia proprio ciò che l’aggravante ha lo scopo di sanzionare.
4.2. Nella concreta fattispecie, l’aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. è contestata secondo la declinazione dell’utilizzo del metodo mafioso e viene ritenuta sussistenit – secondo quanto esposto nell’avversata ordinanza – all’esito di un complessivo coordinamento logico fra vari indici rivelatori, di eterogenea natura, ma di univoca e convergente significazione. Il Tribunale del riesame valorizza infatti – con ampio ed esaustivo apparato motivazionale – la sicura caratura delinquenziale dei personaggi coinvolti, nonché il contesto ambientale nella sua interezza e la stessa scaturigine del debito di NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME. All’origine degli avvenimenti per i quali si procede, quindi, non può che porsi l’esistenza di pregresse e radicate intese di natura criminale, collegate al controllo mafioso della zona e alle attività illecite ivi svolgentisi, con particola riferimento alle scommesse clandestine.
Particolare valenza evocativa, inoltre, viene attribuita alle stesse modalità esecutive del fatto; queste infatti, per la spregiudicata platealità che le connota, nonché per il coinvolgimento di una pluralità di soggetti, sono dimostrative del ricorso al tipico modus operandi della criminalità organizzata.
Del tutto irrilevante, stante la pacifica ricorrenza della modalità mafíosa, è infine la circostanza che NOME fosse, a sua volta, sottoposto a un agire tipicamente mafioso, per esser stato raggiunto dalle richieste di denaro rivoltegli da COGNOME, nonché per esser restato vittima dell’aggressione fisica posta in essere da quest’ultimo; al contrario, contano esclusivamente le modalità secondo le quali il tentato omicidio contestato è stato posto in essere, ad opera dell’indagato, in concorso con il padre.
4.3. La struttura argomentativa che sorregge la decisione impugnata e lineare e del tutto coerente con i canoni della logica, oltre ad essere priva del pur minimo spunto di contraddittorietà; essa merita, dunque, di rimanere al riparo da qualsivoglia stigma in sede di legittimità, essendo state proposte dalla difesa solo deduzioni confutative e fattuali.
Il terzo motivo è incentrato sul tema della sussistenza delle esigenze cautelari. La ritenuta ricorrenza della circostanza aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. – in ipotesi difensiva – avrebbe influenzato in maniera preponderante il giudizio inerente alle esigenze cautelari, avendo comportato la presenza della cd. doppia presunzione. Circa la insussistenza di tale aggravante, la difesa richiama quanto sussunto nel secondo motivo dell’atto di impugnazione; inoltre non vi sarebbe, secondo la deduzione difensiva, alcuna motivazione circa la valenza da riconnettere allo stato di incensuratezza del soggetto, poggiando quindi l’impugnato provvedimento su una motivazione incongrua, in punto di ricorrenza, nel caso concreto, delle esigenze cautelari e in tema di scelta della mísura.
5.1. Giova allora premettere un sintetico richiamo al consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui – in tema di misure cautelari personali – il ricorso per cassazione che deduca l’insussistenza delle esigenze cautelari è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedímento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628).
In ordine ai profili di attualità e concretezza delle esigenze cautelari, inoltre, deve rilevarsi che, ai fini della valutazione del pericolo che l’imputato commetta ulteriori reati della stessa specie, il requisito della “concretezza”, cui si richiam l’art. 274, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., riguarda l’indicazione di elementi non meramente congetturali sulla base dei quali possa affermarsi che l’imputato, verificandosi l’occasione, possa facilmente commettere reati che offendono lo stesso bene giuridico di quello per cui si procede (Sez. 3, n. 49318 del 27/10/2015, COGNOME, Rv. 265623). Con riferimento al requisito dell’attualità, pare sufficiente rifarsi all’orientamento espresso da Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891, a mente della quale: «In tema di misure cautelari personali, il requisito dell’attualità del pericolo previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunìtà di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analísi accurata dell fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta,
della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza» (cfr. Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991; Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282767; Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282769).
5.2. Tanto chiarito, al fine di delineare il contesto dogmatico entro cui si colloca la dedotta tematica, può precisarsi come la decisione impugnata non meriti nella sede di legittimità – alcuna censura.
La motivazione adottata dal Tribunale del riesame, infatti, si articola secondo una convincente struttura argomentativa, analizzando adeguatamente gli aspetti inerenti al pericolo concreto di reiterazione di condotte delinquenziali di analoga natura, nonché i relativi profili dell’attualità e della concretezza. Il provvedimento impugnato, inoltre, valorizza la notevole gravità della allarmante condotta serbata dall’indagato, altresì sottolineando l’adesione dei protagonisti della vicenda ad un pericoloso contesto criminale di stampo mafiosPdel quale essi hanno mostrato di accettare e condividere convintamente logiche e modalità operative.
E dunque, il Tribunale del riesame, ribadendo il giudizio di sussistenza delle già ravvìsate esigenze cautelari, ha fatto esplicito riferimento – oltre che alla gravità dei fatti sopra sintetizzati, in ordine ai quali il ricorrente risulta gravemen indiziato – anche al complessivo contesto criminale, all’interno del quale ì fatti stessi vanno a collocarsi. Correttamente esaminati sono poi gli ulteriori profili di applicabilità dell’avversato provvedimento restrittivo della libertà personale, con particolare riferimento alla impossibilità che venga concesso qualsivoglia beneficio al COGNOME, nonché alla inadeguatezza di ogni altra misura cautelare di tenore meno afflittivo, postulando questa, comunque, una capacità di autogoverno comportamentale che è rimasta estranea alla condotta sin qui serbata dall’indagato.
5.3. Si è in anche in tal caso presenza, in sostanza, di un apparato argomentativo privo di vizi logici e, pertanto, resistente a qualsiasi censura in questa sede. Al fine di contrastare tale motivazione completa e puntuale, la difesa si limita peraltro a spendere argomenti fortemente aspecifici e di natura quasi ipotetica e congetturale; viene dedotta, ìnfatti, la possibilità di conseguenze favorevoli per il ricorrente, nel caso di eliminazione della (invece correttamente ritenuta sussistente) aggravante mafiosa e, consequenzialmente, di elisione della cd. doppia presunzione in sede cautelare.
Con motivi nuovi, la difesa ha poi criticato la motivazione adottata dal Tribunale del riesame, in relazione alla versione dei fatti resa da NOME COGNOME; quest’ultimo, infatti, sostiene l’inconsapevolezza del figlio, circa la presenza dell’arma e, quindi, ne suffraga la tesi a discaríco, avvalorando la tesi che il ricorrente non fosse nelle condizioni di immaginare che potesse divampare una sparatoria.
6.1. Dal momento, che la difesa lamenta un vuoto argomentativo – nella sentenza impugnata – in punto di valutazione di elementi a discolpa, deve premettersi quanto segue.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, non è censurabile – nel giudizio di legittimità – il provvedimento che non motivi espressamente su una specifica deduzione prospettata in sede di gravame, allorquando le ragioni poste a fondamento della decisione assunta risultino adeguatamente esplicitate, all’interno dell’apparato motivazionale complessivamente considerato (Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, rv. 275500; Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, COGNOME, rv. 256340; si veda anche Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, Lakrafy, rv. 284096, a mente della quale: «Non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motívi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza»).
Tale principio, di valenza generale, ha ricevuto applicazione con riferimento a molteplici istituti “di favore” per l’imputato. è stato affermato, quindi, che l richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi disattesa, attraverso l’adozione di una motivazione implicíta, allorché risulti adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di attenuazione del trattamento sanzionatorio, che sia fondata su analogo ordine di motivi (Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019, COGNOME, rv. 275057). In epoca successiva, si è ritenuta la valenza di tale assunto, con specifico riferimento alla richiesta di riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen., la quale deve essere reputata implicitamente disattesa dal giudice, qualora la struttura argomentativa della sentenza richiami – anche in ordine a profili di diverso tenore, elementi che escludono una valutazione del fatto in termini di particolare tenuità (Sez. 3, n. 43604 del 08/09/2021, Cincolà, rv. 282097; Sez. 5, n. 42214 del 14/10/2022, COGNOME, n.m.). Nel caso in cui la considerazione di fattori negativi significativi o rilevanti costituisca, dunque, un indice marcatamente evocativo del disvalore attribuibile alla vicenda criminosa, può ritenersi che essa implicitamente concerna anche l’inesistenza di elementi utili a giustificare l’applicazione dell’ipotesi particolare tenuità del fatto, pur in mancanza di un espresso riferimento a tale causa di non puníbilità (Sez. 2, n. 41544 del 15/07/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 4, n.
37172 del 23/06/2022, COGNOME, n.m.). Tale principio è stato ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, anche in tema di violazioni alla disciplina sugli stupefacenti, laddove si è riconosciuta la possibilità di escludere implicitamente la causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen., mediante il richiamo alla rilevanza del fatto, contenuto nel corpo della motivazione (Sez. 6, n. 40039 del 21/09/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 32833 del 25/05/2022, COGNOME, n.m.).
6.2. Nel caso di specie, la doglianza difensiva è, almeno parzialmente, sovrapponibile alle deduzioni contenute nel primo motivo, per cui può anzitutto operarsi un rinvio a quanto colà esposto. Giova poi precisare come la lamentata carenza argomentatìva non ricorra, avendo comunque il Tribunale del riesame sebbene adottando una sintetica motivazione – affrontato il punto specifico, giudicando inverosimile la versione propalata da NOME COGNOME.
Vi è poi – contrariamente alle argomentazioni difensive – una ampia ed esaustiva motivazione di carattere implicito, con riferimento al dedotto tema attinente alla ritenuta inverosimiglianza della tesi a discarico propugnata da NOME COGNOME. La valutazione di inattendibilità della versione resa da quest’ultimo e da NOME COGNOME, infatti, è attestata nell’ordinanza stessa, laddove la si legga non secondo un’ottica atomistica e parcellizzata, bensì ponendosi in una prospettiva globale di valutazione. La versione di NOME è sconfessata, quindi, da una analitica, logica e coerente motivazione, cìrca l’esistenza dì un contributo causalmente efficiente riconducibile ad NOMENOME
Il motivo, in conclusione, non merita accoglimento.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processua I i .
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2024.