Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3128 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3128 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Minturno il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/10/2022 della Corte d’appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME, la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di COGNOME NOME, il quale ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 05/10/2022, la Corte d’appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Cassino di condanna di NOME COGNOME alla pena di tre anni di reclusione ed C 800,00 di multa per il reato di tentata rapina pluriaggravata (dall’essere state la violenza e minaccia commesse con armi, da persone travisate e da più persone riunite) in concorso ai danni dell’Ufficio postale centrale di Gaeta.
Il concorso nella tentata rapina – la cui commissione, da parte di altre tre persone rimaste ignote, non è in discussione – era stato contestato al COGNOME,
perché, «a titolo di concorso materiale, agevolava la fuga dei tre rapinatori, attendendoli nel “veicolo ambulanza” di sua Mercedes Vito, targata TARGA_VEICOLO, all’inizio di INDIRIZZO in Gaeta (traversa di INDIRIZZO), ove i tre rapinatori abbandonavano la Fiat Punto bianca, usata nella prima fase della fuga, per continuare a scappare a bordo della citata vettura i lampeggianti azionati e con alla guida il COGNOME; infine, percorrevano INDIRIZZO, fino a imboccare la INDIRIZZO “Fiacca” e da qui dirigendosi verso Formia facevano perdere le proprie tracce».
Avverso l’indicata sentenza del 05/10/2022 della Corte d’appello di Roma, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la nullità del decreto del 09/02/2018 del giudice per le indagini preliminari di autorizzazione a disporre l’intercettazione tra presenti successivamente eseguita il 23/02/2018 negli uffici della stazione dei Carabinieri di Formia per omessa motivazione in ordine alla sussistenza di gravi indizi di reato e all’assoluta indispensabilità dell’intercettazione ai fini della prosecuzione dell indagini e la conseguente inutilizzabilità dei relativi risultati a norma dell’art. 2 cod. proc. pen.
Il ricorrente rappresenta come il suddetto decreto di autorizzazione a disporre l’intercettazione tra presenti, da un lato, affermasse l’assoluta opportunità («assolutamente opportuno») e non l’assoluta indispensabilità dell’intercettazione e, dall’altro lato, giustificasse detta assoluta opportunità con una motivazione evidentemente relativa a un altro procedimento e frutto, perciò, di un chiaro refuso («avendo la minore peraltro l’intenzione di raggiungere il ragazzo in Calabria proprio a riscontro del grave disagio che vive all’interno della famiglia adottiva… p.q.m. dispone attività di video intercettazione tra presenti)».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 63, comma 2, e 350, comma 7, dello stesso codice, con riguardo alla «ullità-inutilizzabilità-non contestabilità» delle sommarie informazioni e delle successive dichiarazioni spontanee rese da NOME COGNOME ai Carabinieri della stazione di Formia il 23/02/2018.
Il ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello di Roma, NOME COGNOME «e/o» suo figlio NOME COGNOME avrebbero dovuto essere ritenuti soggetti indagati del delitto di tentata rapina (oltre che di quello di ricettazione dell’automobile Fiat Punto) sin da quando, il 1-2/12/2017, i Carabinieri della stazione di Formia seppero dal COGNOME il nominativo – appunto, NOME COGNOME – della persona che era seduta al suo fianco quando l’ambulanza
da lui condotta fu sottoposta a controllo dai Carabinieri, atteso che tale persona «poteva astrattamente identificarsi sia in COGNOME NOME (chiamato in causa direttamente dal COGNOME quando il 1-2/12/17 aveva fornito il suo nominativo ai carabinieri), che nel di lui figlio NOME ( di età più vicina a que presuntivamente riportata dal carabiniere nella sua annotazione di servizio)».
Da ciò discenderebbe che NOME COGNOME e NOME COGNOME non avrebbero potuto essere sentiti a sommarie informazioni senza la presenza del difensore, a norma del comma 2 dell’art. 63 cod. proc., con la conseguente inutilizzabilità «di tutte le dichiarazioni» da essi rese ai Carabinieri della stazione di Formia.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza e/o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo all’affermazione della sua responsabilità per il delitto di tentata rapina in concorso a lui attribuito.
Il ricorrente contesta anzitutto che, posto che, secondo la Corte d’appello di Roma, sull’ambulanza dell’imputato sarebbero saliti due rapinatori, come era stato riferito dall’appuntato della Guardia di finanza NOME COGNOME – con la conseguenza che, al momento del controllo dell’ambulanza, a bordo della stessa si sarebbero dovute trovare tre persone (il COGNOME e i due rapinatori) – la stessa Corte d’appello «non spiega dove sarebbe andato a finire l’altro rapinatore che, secondo la sua ricostruzione, sarebbe salito, insieme al complice, sull’ambulanza guidata dal COGNOME, e dalla quale nessuno sarebbe più sceso», dato che non risultava che il veicolo si fosse mai fermato durante il proprio tragitto per fare scendere qualcuno.
Il ricorrente cita poi il passaggio della motivazione della sentenza impugnata nel quale la Corte d’appello di Roma ha affermato che «la circostanza che a fianco del COGNOME al momento del controllo non ci fosse il dipendente COGNOME, come dichiarato dall’imputato, ha rivestito carattere di estremo rilievo in fase di indagini, contribuendo fortemente a puntare i sospetti sulla persona del COGNOME e orientando i successivi approfondimenti investigativi». A tale proposito, il COGNOME rappresenta come tali «approfondimenti investigativi» fossero stati possibili soltanto, a distanza di quasi tre mesi dalla tentata rapina (che fu commessa il 01/12/2017), a seguito degli esiti delle attività di indagine affette da nullità inutilizzabilità, in quanto illegittimamente svolte, oggetto di censura con i primi due motivi di ricorso (in particolare, delle dichiarazioni contraddittorie che erano state rese da NOME COGNOME e del contenuto delle intercettate conversazioni tra presenti, entrambe del 23/02/2018); esiti che, da un lato, avrebbero «alterato il compendio probatorio» con elementi affetti, appunto, da nullità e inutilizzabilità, e, dall’altro lato, avrebbero «inevitabilmente condizionato i Giudici nel ritenere non credibili le propalazioni del COGNOME e di tutti gli altri testi della Difesa (che avev affermato di aver visto i due insieme sull’ambulanza)» e nel non considerare
neppure le prove documentali che erano state prodotte dalla stessa difesa. Il ricorrente ribadisce che, prima che fossero state esperite le menzionate attività di indagine affette da nullità e inutilizzabilità, l’unico elemento che contraddiceva il fatto che NOME COGNOME si trovasse a bordo dell’ambulanza condotta dal COGNOME quando questa fu sottoposta a controllo da parte dei Carabinieri era l’affermazione del maresciallo NOME COGNOME in ordine all’età di circa 25/30 anni del passeggero dell’ambulanza, molto più giovane, perciò, di NOME COGNOME, nato nel DATA_NASCITA. A tale proposito, il ricorrente deduce che tale soggettiva valutazione dell’età di circa 25/30 anni del passeggero dell’ambulanza compiuta dal maresciallo COGNOME «era stata incontestabilmente il portato di un’osservazione laterale e superficiale, sia per la particolare concitazione del momento, sia per la conoscenza diretta dell’autista (COGNOME) da parte del carabiniere COGNOME che ne aveva ridotto l’attenzione, sia per la durata istantanea del controllo e l’immediata dipartita degli agenti che non aveva dato loro nemmeno il tempo di annotarne le generalità».
Il ricorrente deduce ancora che il vizio della motivazione emergerebbe anche dalla fotografia della propria ambulanza, la quale evidenzierebbe i seguenti «pochi, ma essenziali, elementi di merito», segnatamente che, mentre l’appuntato NOME COGNOME aveva parlato di un’ambulanza «più piccola di quelle del 118», «con una banda arancione sul portellone posteriore» e «lampeggianti incassati nel tetto» (così la sentenza impugnata), la propria ambulanza non era più piccola di quelle del 118, sicché il COGNOME poteva avere inteso parlare di un’«auto medica», recava un’enorme croce di Malta sul lunotto posteriore che non poteva non essere stata vista dallo stesso NOME (che aveva dichiarato di avere sempre visto il mezzo da dietro) e non aveva i lampeggianti incassati nel tetto. La motivazione sarebbe altresì contraddittoria là dove la Corte d’appello di Roma afferma che «n’auto medica, e non una seconda ambulanza, venne vista transitare dai carabinieri nei momenti immediatamente successivi alla rapina ma non venne fermata perché vi era segnalazione di una ambulanza», in quanto: «quella del COGNOME è o non è un’ambulanza».
Il ricorrente conclude che, eliminate le menzionate inutilizzabili dichiarazioni rese da NOME COGNOME nella fase delle indagini e risultati dell’intercettazione ambientale, sarebbe necessaria «una complessiva e rinnovata rilettura di tutte le dichiarazioni dibattimentali, con particolare riferimento a quelle rese dai testi della Difesa, alle quali la Corte non ha ritenuto di conferire alcun valore probatorio».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo non è consentito perché ha a oggetto l’inutilizzabilità di una prova, il risultato dell’intercettazione tra i presenti NOME COGNOME e suo fig
NOME COGNOME eseguita il 23/02/2018 negli uffici della stazione dei Carabinieri d Formia, che non è stata minimamente utilizzata dalla Corte d’appello di Roma per confermare l’affermazione di responsabilità dell’imputato per concorso nel delitto di tentata rapina a lui attribuito.
Dalla lettura delle pagine da 8 a 15 della sentenza impugnata, nelle quali è esposta la motivazione della conferma dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, non figura infatti alcun riferimento al risultato della suddett intercettazione, il quale, perciò, non ha avuto alcun rilievo ai fini della stess conferma.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
In tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termin sostanziali, prescindendo da indici formali quali l’eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l’attribuibilità allo ste della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, sicché il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (Sez. 5, n. 39498 del 25/06/2021, COGNOME, Rv. 282030-01; Sez. 4, n. 46203 del 19/09/2019, COGNOME, Rv. 277947-01; Sez. 6, n. 20098 del 19/04/2016, COGNOME, Rv. 267129-01; Sez. 2, n. 51840 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 258069-01).
Nel caso in esame, con riguardo alle sommarie informazioni rese da NOME COGNOME ai Carabinieri della stazione di Formia il 23/02/2018, il Collegio ritiene che la Corte d’appello di Roma abbia congruamente motivato che, quando esse furono rese dal COGNOME – che era stato convocato dai Carabinieri a seguito dell’insorto sospetto che l’affermazione del COGNOME secondo cui la persona che si trovava seduta al suo fianco sull’ambulanza al momento del controllo del veicolo da parte dei Carabinieri non fosse, come detto dal COGNOME, il suo dipendente NOME COGNOME COGNOME lo stesso COGNOME avesse la veste di persona informata sui fatti nell’ambit del procedimento che vedeva indagato il COGNOME, atteso che il COGNOME fu sentito al solo fine di verificare la veridicità di quanto era stato dichiarato dall’indaga COGNOME, in un momento in cui non erano emersi indizi di responsabilità a suo carico per alcun reato.
Tale motivazione appare, come si è detto, del tutto congrua, atteso che, contrariamente a quanto è stato sostenuto dal ricorrente, la mera dichiarazione, da parte del COGNOME, che la persona seduta al suo fianco sull’ambulanza era NOME COGNOME, in assenza di qualunque verifica della veridicità di tale dichiarazione – e considerato anche che il maresciallo NOME COGNOME aveva parlato di un giovane di 25/30 anni, mentre il COGNOME era stato accertato essere nato nel DATA_NASCITA – non poteva di per sé integrare un indizio di responsabilità per il
reato di tentata rapina. La motivazione della Corte d’appello di Roma si sottrae perciò a censure in questa sede di legittimità, dovendosi ritenere che NOME COGNOME fu inizialmente legittimamente sentito nella veste di persona informata sui fatti.
Quanto a NOME COGNOME, di sue dichiarazioni non si fa alcun cenno né utilizzo nella sentenza impugnata.
Con riguardo, poi, alle dichiarazioni spontanee che furono rese lo stesso 23/02/2018 da NOME COGNOME dopo che, essendo emersi a suo carico indizi di reità del reato di favoreggiamento personale, il suo esame fu interrotto e gli furono formulati l’avvertenza e l’invito di cui all’art. 63, comma 1, cod. proc. pen., appare del tutto esatta la conferma, da parte della Corte d’appello di Roma, della correttezza della decisione del Tribunale di Cassino in ordine all’utilizzabilità delle suddette dichiarazioni spontanee per le contestazioni, per essere ciò espressamente previsto dal comma 7 dell’art. 350 cod. proc. pen.
3. Il terzo motivo non è consentito.
Costituisce un principio pacificamente accolto dalla Corte di cassazione quello secondo cui, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali a imporre una diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatori del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 28074701; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01).
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Roma ha confermato l’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di tentata rapina in concorso a lui attribuito sulla base della convergenza dei seguenti elementi di prova: a) la dichiarazione dell’appuntato della Guardia di finanza NOME COGNOME, il quale, trovatosi casualmente all’esterno dell’ufficio postale, aveva visto uscire dallo stesso i tre rapinatori, i quali salivano a bordo di una Fiat Punto bianca, si era posto all’inseguimento di tale autovettura e aveva visto due dei rapinatori, incappucciati, uscire dalla Fiat Punto bianca e salire, dal portellone laterale, a bordo di un’ambulanza, più piccola di quelle classiche del 118, che si era fermata quasi a ostruire la INDIRIZZO e che riprendeva poi la marcia con i lampeggianti accesi; b) la convergenza di tali dichiarazioni del testimone NOME
NOME con le risultanze delle acquisite immagini registrate il giorno della rapina (01/12/2017) dalle telecamere poste lungo il tragitto da Gaeta a Formia, le quali mostravano un’ambulanza modello Mercedes Vito che, prima della commissione della rapina, compiva dei giri nelle vie adiacenti all’ufficio postale, transitandov davanti a velocità molto bassa e, dopo la rapina, transitava, lungo il INDIRIZZO di Gaeta, inseguita da NOME COGNOME a bordo della propria autovettura Toyota Yaris, per poi spostarsi da Gaeta verso Formia, sempre con i lampeggianti accesi e a forte velocità (il che contrastava con la velocità molto bassa tenuta dall’ambulanza nei minuti precedenti la tentata rapina), fino al momento in cui fu fermata, condotta dal COGNOME, dai Carabinieri NOME COGNOME e NOME COGNOME; c) dalle stesse immagini risultava che, nello stesso arco temporale, nessun’altra ambulanza era transitata per il INDIRIZZO di Gaeta, dove NOME COGNOME aveva visto i due rapinatori scendere dalla Fiat Punto bianca e salire sull’ambulanza, né alcun’altra ambulanza era transitata sul percorso tra Gaeta e Formia; d) il COGNOME, aveva riconosciuto che l’ambulanza ripresa in tutte le menzionate immagini menzionate era la propria; e) dalle acquisite fotografie dell’ambulanza del COGNOME, risultava ben visibile che si trattava di un mezzo diverso sia da un’auto medica il che spiegava perché i Carabinieri non avessero fermato un’auto medica che avevano visto transitare nei momenti immediatamente successivi alla tentata rapina – sia, per dimensioni, dalle ambulanze utilizzate, nella maggior parte dei casi, per il servizio 118, le quali, inoltre, sono del modello Ducato (e non Mercedes Vito).
Sulla base di tali elementi, la Corte d’appello di Roma ha ritenuto che fosse già «autonomamente provat» che due dei tre rapinatori in fuga sotto la diretta osservazione del testimone NOME COGNOME salirono a bordo dell’ambulanza del COGNOME, l’unica, del resto, che era stata registrata dalle telecamere il giorno dell tentata rapina negli orari antecedenti e successivi alla stessa e, perciò, che il COGNOME avesse, con tale sua condotta, materialmente concorso nel reato.
La Corte d’appello di Roma indicava, comunque, i seguenti ulteriori elementi indiziari a carico dell’imputato: a) la versione dei fatti che era stata fornita d COGNOME strideva con le ricostruzione del percorso della sua ambulanza che risultava dalle immagini delle telecamere e appariva, per le ragioni indicate dalla Corte d’appello, «complicata» e «poco credibile»; b) tali immagini mostravano anche che l’ambulanza del COGNOME aveva singolarmente viaggiato per un’ora e venti appaiata a una Fiat Punto bianca (oltre a essere transitata venti minuti prima dell’esecuzione della programmata rapina davanti al luogo della stessa); c) l’imputato, la mattina del fatto, aveva lasciato a casa i suoi due telefoni cellulari nonostante gli stessi gli fossero necessari per la sua attività lavorativa.
La Corte d’appello di Roma motivava altresì con riguardo alla non attendibilità: a) delle dichiarazioni che erano state rese in dibattimento da NOME COGNOME, che avrebbero fornito un alibi all’imputato: a.1) sia perché non era credibile che le tre telefonate che risultavano essere state effettuate dall’utenza del COGNOME all’imputato la mattina della tentata rapina fossero state fatte dalla moglie del COGNOME NOME COGNOME e non dal COGNOME stesso (il quale, perciò, in questo secondo caso, contrariamente a quanto da lui affermato, non poteva trovarsi insieme al COGNOME), attese le differenti versioni del COGNOME e di sua moglie quanto al modalità dell’asserita riconsegna del telefono cellulare del COGNOME da parte della COGNOME; a.2) sia perché non vi era alcun elemento per ritenere la falsità di quanto era stato affermato dal Carabiniere NOME COGNOME in ordine al fatto che la persona che, al momento del controllo da lui effettuato, si trovava sull’ambulanza accanto al COGNOME, era molto più giovane del COGNOME; b) delle dichiarazioni del testimone della difesa NOME COGNOME – la cui testimonianza era stata assunta in sede di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale e che aveva affermato di avere visto NOME COGNOME sull’ambulanza del COGNOME quando essa fu controllata dai Carabinieri – sia per l’occasione che l’aveva indotta (la conversazione all’interno di un bar presumibilmente nel settembre 2019) e per il fatto che il COGNOME «si era proposto come teste», sia perché l’asserito riconoscimento del COGNOME da parte del COGNOME non era apparso convincente (per le ragioni logicamente indicate alle pagg. 14-15 della sentenza impugnata) e si doveva, perciò considerare insuscettibile di smentire la testimonianza del Carabiniere COGNOME in ordine al fatto che la persona che, al momento del controllo, da parte sua, dell’ambulanza, sedeva accanto al COGNOME non era un uomo di mezza età, come il COGNOME, ma un uomo giovane.
La valutazione di tali elementi di prova nel senso del concorso del COGNOME nel reato di tentata rapina a lui attribuito appare del tutto priva di contraddizioni e illogicità, tanto meno manifeste, e, di più, del tutto convincente, sicché essa si sottrae a censure in questa sede di legittimità.
Quanto a quelle del ricorrente – sgombrato il campo, per quanto si è detto con riguardo ai primi due motivi di ricorso, da quelle che attengono all’asserita inutilizzabilità dei (non utilizzati) risultati dell’intercettazione tra presenti eseg il 23/02/2018 e delle sommarie informazioni e successive dichiarazioni spontanee rese, lo stesso 23/02/2018, da NOME COGNOME – esse, o evidenziano ragioni in fatto, come quelle che attengono al numero di persone che si sarebbero dovute trovare a bordo dell’ambulanza condotta dal COGNOME e alle caratteristiche della stessa ambulanza, o sollecitano una diversa valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni del testimone NOME COGNOME, e, più in generale, come si dive espressamente nel ricorso, «una complessiva rinnovata lettura di tutte le
dichiarazioni dibattimentali», il che, come si è detto in apertura dell’esam presente motivo, non è consentito fare in sede di legittimità.
Con riguardo, comunque, alla censura del ricorrente relativa al numero del persone che si sarebbero dovute trovare a bordo dell’ambulanza, si deve osserva che, come risulta dalla sentenza impugnata, il testimone NOME COGNOME non verificò la presenza di persone nel vano posteriore dell’ambulanza condot dall’imputato.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, co conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. pr pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabil profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagame della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa de ammende.
Così deciso il 30/11/2023.