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Concorso in spaccio: resistenza alla polizia è reato

Una donna ha impugnato la condanna per spaccio e resistenza, sostenendo di aver agito solo per aiutare il compagno a fuggire. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che ostacolare attivamente le forze dell’ordine durante la detenzione di stupefacenti costituisce concorso in spaccio, poiché tale condotta contribuisce a protrarre il reato permanente e a proteggere i proventi illeciti.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in Spaccio: Quando la Resistenza alla Polizia Diventa Parte del Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 9806/2025) ha affrontato un caso complesso, chiarendo i confini tra il concorso in spaccio e il semplice favoreggiamento. La decisione sottolinea come la resistenza attiva alle forze dell’ordine, finalizzata a proteggere non solo una persona ma anche la droga e i proventi dell’attività illecita, costituisca una piena partecipazione al reato di detenzione di stupefacenti. Analizziamo i fatti e le motivazioni della Corte.

I Fatti del Caso: Droga, Resistenza e un Legame Inequivocabile

Il caso ha origine da una condanna emessa dal Tribunale di Arezzo e confermata dalla Corte d’Appello di Firenze. Un’imputata era stata ritenuta responsabile per detenzione di stupefacenti a fini di spaccio (art. 73 d.P.R. 309/90) e resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.).

Durante un’irruzione delle forze dell’ordine nell’abitazione dove si svolgeva l’attività di spaccio, la donna aveva attivamente ostacolato gli agenti. Inizialmente, aveva impedito loro l’accesso a una stanza dove erano custoditi denaro e cocaina, permettendo ai complici di organizzarsi. Successivamente, quando il suo compagno, armato di coltello, era uscito dalla stanza, lei aveva afferrato un brigadiere per la maglia per impedirgli di inseguire i fuggitivi, che scappavano con la droga e i soldi.

L’Impugnazione e le Argomentazioni Difensive

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi. Tra i principali:

1. Violazione di legge processuale: Si contestava la validità della notifica dell’atto di citazione in appello.
2. Errata qualificazione del fatto: Si sosteneva che la condotta di resistenza fosse finalizzata unicamente a impedire l’arresto del compagno e non a partecipare all’attività di spaccio. Secondo questa tesi, all’imputata si poteva addebitare al massimo la consapevolezza dell’attività illecita, ma non un contributo attivo al reato.
3. Mancata unificazione dei reati: La difesa chiedeva di riconoscere un unico disegno criminoso tra spaccio e resistenza, con conseguente applicazione di una pena più mite.
4. Diniego delle attenuanti generiche: Si lamentava la mancata concessione delle attenuanti, sottolineando l’incensuratezza dell’imputata e un presunto ruolo marginale.

Le Motivazioni della Cassazione e il Concorso in Spaccio

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni difensive con motivazioni giuridicamente solide.

La Differenza tra Concorso e Favoreggiamento

Il punto centrale della sentenza riguarda la qualificazione della condotta dell’imputata. La Corte ha chiarito che la detenzione di stupefacenti è un reato permanente, la cui esecuzione si protrae nel tempo. Qualsiasi aiuto fornito durante la commissione di tale reato non costituisce un favoreggiamento (che presuppone un reato già concluso), ma un vero e proprio concorso in spaccio.

L’imputata, ostacolando i Carabinieri, non ha semplicemente aiutato il compagno a fuggire. Le sue azioni avevano lo scopo diretto di preservare la detenzione della droga e del denaro, consentendo al reato di protrarsi. Questo contributo è stato ritenuto un elemento essenziale per la continuazione dell’attività illecita, configurando una piena partecipazione.

L’Esclusione del Disegno Criminoso Unico

La Corte ha anche negato l’esistenza di un unico disegno criminoso tra i due reati. I giudici hanno evidenziato come la detenzione a fini di spaccio fosse un’attività stabile e preesistente, mentre la resistenza è stata una reazione “specifica e imprevedibile” a un evento non pianificato: l’arrivo della polizia. Mancava quindi quella programmazione unitaria che è requisito fondamentale per riconoscere la continuazione tra reati.

La Valutazione delle Altre Censure

Anche gli altri motivi sono stati respinti. La Corte ha ritenuto corretto il diniego delle attenuanti generiche, basato sulla gravità dei fatti e sulla personalità dell’imputata. La pena è stata giudicata congrua. Infine, le eccezioni procedurali sulla notifica sono state giudicate infondate, in quanto la difesa non aveva dimostrato un concreto pregiudizio al diritto di difesa.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: nei reati permanenti come la detenzione di droga, l’aiuto fornito “in corso d’opera” per proteggere l’attività illecita integra una forma di concorso e non un meno grave favoreggiamento. La decisione distingue nettamente tra un’attività criminale pianificata e una reazione estemporanea a un imprevisto, negando che possano rientrare in un unico disegno criminoso. Un monito chiaro su come la legge valuta ogni contributo, anche se apparentemente secondario, alla catena dello spaccio.

Aiutare il proprio compagno a fuggire dalla polizia durante un’irruzione per droga è favoreggiamento o concorso in spaccio?
Secondo la Corte, se l’aiuto è fornito mentre il reato di detenzione di stupefacenti è ancora in corso (trattandosi di un reato permanente) e mira a preservare la droga o i proventi, si configura un concorso nel reato di spaccio, non un semplice favoreggiamento, che invece si avrebbe solo se il reato fosse già terminato.

Perché la resistenza a pubblico ufficiale e lo spaccio non sono stati considerati un unico reato continuato?
La Corte ha stabilito che mancava un’unica programmazione criminosa. L’attività di spaccio era un’attività preesistente e duratura, mentre la resistenza è stata una reazione violenta, specifica e imprevedibile, nata dalla contingenza dell’intervento delle forze dell’ordine, e non un’azione pianificata in anticipo insieme allo spaccio.

Quando un motivo di ricorso è considerato ‘generico’ e quindi inammissibile?
Un motivo di ricorso è generico, e quindi inammissibile, quando non contesta in modo specifico e argomentato le ragioni di fatto e di diritto che fondano la decisione impugnata. Non basta enunciare un principio di legge, ma occorre confrontarsi criticamente con la motivazione del giudice del grado precedente, cosa che nel caso di specie non era avvenuta per il motivo relativo alla misura di sicurezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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