Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9806 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9806 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nata in Marocco il 01/05/1988- CUI 04G8G2K
avverso la sentenza del 18/12/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso, e dell’avv.to NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME che ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 18/12/2023 la Corte d’appello di Firenze confermò la sentenza di condanna, adottata dal GUP del Tribunale di Arezzo in data 28/5/2019 che aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile dei reati di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 e 337 cod. pen. e l’aveva condannata, applicata la riduzione prevista per il rito, alla pena di mesi otto di reclusione per il reato di resistenza e a quella anni quattro di reclusione ed C 20.000,00 di multa per la detenzione della droga disponendo, altresì, l’espulsione della donna dal territorio dello Stato italiano a pena espiata.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputata, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo, con il primo motivo, la violazione di legge processual sostanziale e il vizio di motivazione, eccependo la nullità della notifica del de di citazione per il giudizio di appello. Si rappresenta che la notifica a COGNOME quale domiciliatario ex art. 161 comma 4 cod. proc. pen. di El COGNOME era stata effettuata in data 11/8/2023 mentre il tentativo di notifica pr domicilio eletto dall’imputata, ubicato in Nembro, INDIRIZZO, pre l’abitazione alla sorella, era stato espletato solo il 24/8/2023, per cui la no difensore era invalida non avendo trovato causa nell’esito negativo della noti al domicilio eletto. Si deduce, altresì, che l’agente notificatore aveva dato a l’imputata era sconosciuta all’indirizzo indicato benché in precedenza più volt notifiche fossero state effettuate in INDIRIZZO e si addebita l’esito nega fatto che nel citofono dell’abitazione era inserito solo il nome della s dell’imputata e non anche quello della medesima, circostanza “ben nota all’A.G.
Con il secondo motivo, si denuncia la violazione di legge in relazione artico 73 d.P.R. 390/90 e il vizio di motivazione. Si assume che la resistenza era s posta in essere dall’imputata per impedire che il compagno, NOME fosse arrestato e che alla medesima poteva essere addebitato di esser conoscenza dell’attività illecita che aveva luogo nella casa ma non anche di a fornito un contributo apprezzabile al reato ritenuto più grave.
Con il terzo motivo, si denuncia la violazione di legge sostanziale e il de di motivazione con riferimento al diniego delle attenuanti generiche e a dosimetria. Si deduce che l’imputata: è “una giovane ragazza incensurata”; avev avuto un ruolo marginale nella vicenda; aveva manifestato segni di effetti resipiscenza con le dichiarazioni rese in sede di udienza preliminare.
Con il quarto motivo, di deduce la violazione dell’art. 81 cod. pen. e il de di motivazione in relazione al diniego di unificazione dei reati ritenuti: si s la manifesta illogicità di una motivazione che aveva valorizzato la resistenza c prova del concorso nella detenzione per poi negare che la condotta violen costituisse espressione dei medesimi coefficienti psicologici che aveva determinato l’attività di spaccio.
Con ultimo motivo, si denuncia il vizio di motivazione in relazione al misura di sicurezza non avendo la Corte territoriale risposto in alcun modo motivo di appello con cui se ne chiedeva la revoca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto articolato in motivi manifestamente infondati o non proponibili in sede di legittimità.
La denunciata violazione di legge processuale non tiene conto che la notifica allo studio del difensore trova giustificazione nell’irreperibilità dell’imputata a domicilio eletto, sia pure accertata quattordici giorni dopo alla notifica eseguita ai sensi dell’art. 161 comma 4 cod. proc. pen.
Va, in proposito, ricordato che questa Corte di legittimità, già a partire dalle Sezioni Unite Palumbo del 2005 (Sez. Un. n. 119 del 27/10/2004 dep. 2005, Palumbo,Rv. 229540) è andata ormai definitivamente abbandonato, in tema di notifiche, un criterio di valutazione meramente formalistico, abbracciandone uno che vuole dedotta e valutata l’effettività della lesione del diritto di difesa. L sentenza Palumbo ebbe a precisare che chi intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione, non risultante dagli atti, non può limitarsi a denunciare la inosservanza della relativa norma processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione dell’atto e indicare gli specifici elementi che consentano l’esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice” ( Sez. 4, n. 1245 del 23/11/2017, dep. 2018, Chitu, Rv. 271937 – 01). Tale conclusione, come osservato in una successiva decisione, è “coerente con la linea interpretativa volta ad utilizzare, nella decisione delle questioni di invalidità degli atti procedimentali, il cd. «criterio di pregiudizio effettivo», che, fini della verifica degli errores in procedendo, fa leva sul principio di offensività processuale, declinato nel senso che, perché sussista la nullità, non è sufficiente che sia stato posto in essere un atto non conforme al tipo, ma è necessario valutare se la violazione abbia effettivamente compromesso le garanzie che l’ipotesi di invalidità era destinata a presidiare (Sez. U, n. 7697 del 24/11/2016 – dep. 17/02/2017, COGNOME, Rv. 269028; negli stessi termini: Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, Rossi, dep. 2012, Rv. 251497; Sez. U, n. 19602 del 27/03/2008, COGNOME, Rv. 239396; Sez. U, n. 10251 del 17/10/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv.235697): ciò perché le forme processuali sono un valore nella misura in cui servono a garantire la celebrazione di un giusto processo, i cui principi non vengono certamente compromessi da una nullità in sé irrilevante o inidonea a riverberarsi sull’effettivo esercizio del diritto alla difesa. Da qui l’onere, c incombe sul soggetto interessato a far valere l’invalidità processuale, di specifica allegazione del fatto suscettibile di generare il vulnus subito nel concreto esercizio del diritto di difesa: onere cui il ricorrente non ha correttamente adempiuto, non essendo stato dedotto il danno arrecato dall’anticipazione di due settimane di una notifica che, in ogni caso, avrebbe dovuto essere effettuata ai sensi dell’art. 161 Corte di Cassazione – copia non ufficiale
comma 4 cod. proc. pen., risultando, come di qui di seguito verrà megl esplicitato, l’imputata sconosciuta al domicilio dichiarato.
1.1 Non ricorre, ancora, alcuna nullità nel tentativo di notifica effettuato il domicilio eletto dall’imputata. Dall’esame degli atti, accessibili alla ragione degli errores in procedendo denunciati con i motivi di ricorso, risult il 3/4/2020 El COGNOME elesse domicilio in “NembroINDIRIZZO INDIRIZZO. La relata notifica del 25/8/2023 prova che, al predetto indirizzo, l’imputata “sconosciuta”.
Il tentativo di notifica è, quindi, regolare essendo stato effettuato all’i indicato dall’imputata.
2. Il secondo motivo propone censure manifestamente infondate.
E’ utile precisare che, ai fini della corretta deduzione del vizio di violaz legge di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., il motivo di ricor strutturarsi sulla contestazione della riconducibilità del fatto – come ricostru giudici di merito – nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; al invece, è, come accade sovente ed anche nel caso di specie, sostenere che emergenze istruttorie acquisite siano idonee o meno a consentire la ricostruzi della condotta di cui si discute in termini tali da ricondurla al paradigma legal primo caso, infatti, viene effettivamente in rilievo un profilo di violazione di laddove si deduce l’erroneità dell’opera di “sussunzione” del fatto rispett fattispecie astratta; nel secondo caso, invece, la censura si risolve contestazione dell’ipotesi ricostruttiva cui è pervenuto il giudice di merito pe rilievi mossi debbono attaccare la motivazione che fonda il verdetto di condan dimostrandone l’intrinseca inverosimiglianza o la contraddittorietà o le lacune passaggi argomentativi decisivi, così da integrare il vizio di cui alla let comma 1 dell’art. 606 cod. proc. pen. ( Sez. 2, n. 11125 del 18/1/2024, NOME; Sez. 2, 25825 del 28/2/2024, Bello),
Da tali principi il primo motivo si discosta denunciando la violazione dell’ar d.P.R. 309/90 quando in realtà contestata la ricostruzione cui sono pervenu giudici di merito proponendone una alternativa, in cui la resistenza dell’impu aveva quale unico obiettivo quello di impedire l’arresto di COGNOME mentr sentenze di merito pervengono alla conclusione che la reazione violenta mirav anche a salvaguardare la droga e i proventi dell’attività di spaccio c consentire a COGNOME di metterli al sicuro.
Venendo al vizio motivazionale denunciato, costituisce un principio pacificamente accolto dalla Corte di cassazione quello secondo cui, in tema motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi d dalla mancanza di motivazione, dalla sua manifesta illogicità, dalla
contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali a imporre una diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento ( Sez. 2, n. 12982 del 6/2/2024 Macedonio; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747- 01; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01).
I giudici di merito hanno rilevato che l’imputata, dapprima, aveva ostacolato l’attività di ricerca della droga, impedendo ai Carabinieri di accedere nella stanza in cui erano custoditi il denaro e la cocaina, così consentendo ai complici rinchiusisi nel locale di organizzarsi, per poi dare manforte a COGNOME che, uscito dalla stanza, aveva minacciato i Carabinieri con un coltello e una sedia, così di costringere i militari “ad allontanarsi”, per poi, infine, “afferrare il brig. NOME COGNOME per l maglia” per impedirgli di inseguire COGNOME e l’altro uomo datisi alla fuga con denaro e droga.
L’imputata, quindi, con la sua condotta, ha dato un contributo apprezzabile affinché la detenzione incriminata potesse protrarsi.
Non è superfluo ricordare che l’orientamento interpretativo espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione afferma che, nel caso di detenzione illecita di stupefacenti, reato a condotta permanente, non sia configurabile il delitto di favoreggiamento, in quanto qualunque agevolazione del colpevole, in costanza di detenzione, si risolve inevitabilmente in un concorso quantomeno morale con il colpevole (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, COGNOME, Rv. 25315101; Sez. 6, n. 2668 del 07/12/2016, dep.2017, Spera, Rv. 26897301).
I giudici di merito hanno, inoltre, attribuito rilievo alle dichiarazioni COGNOME che aveva affermato che l’imputata era la “complice” di COGNOME e che aveva visto lei e i “clienti” fare gli stessi “spostamenti” di COGNOME per desumerne l’adesione di NOME COGNOME all’attività delittuosa e il suo diretto interesse a preservare droga e denaro.
Sulla base di tale valutazione del compendio probatorio, che disvela la piena adesione dell’imputata all’attività illecita del convivente, l’aiuto consapevolmente prestato da NOME COGNOME a COGNOME per permettergli di perseverare nella condotta costitutiva di un reato permanente non può che risolversi nel concorso in tale reato e non nelle diverse ipotesi di favoreggiamento o di connivenza non punibile.
Manifestamente infondato risulta anche il terzo motivo d’impugnazione, volto a ottenere il riconoscimento delle attenuanti generiche e, comunque una riduzione della pena.
Il GUP ha negato la circostanza non soltanto ritenendo che non ricorrevano elementi ulteriori, rispetto all’incensuratezza, per la concessione ma ha anche valorizzato la gravità dei reati e la personalità spiccatamente proclive al delitto dell’imputata.
La Corte di appello ha sostanzialmente condiviso la valutazione compiuta dal giudice di primo grado svalutando anche il rilevo dato dall’appellante alla condotta processuale, di cui veniva negato il carattere “collaborativo e resipiscente”.
Il ricorso non spiega, poi, il rilievo che assumerebbe, ai fini dell’attenuante invocata, l’età dell’imputata, avendo la medesima raggiunto un’età (trenta anni) in cui, secondo la miglior scienza, si è ormai concluso il processo di sviluppo e maturazione (Sez. 1, n.11607 del 14/12/2017 (dep. 2018), COGNOME).
La motivazione non è, pertanto, scalfita dalle censure della ricorrente.
Giova ricordare che, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare sufficiente allo scopo (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014; COGNOME, Rv. 259899).
Manifestamente infondata è COGNOME anche la censura relativa alla dosimetria, risultando la pena per la droga corrispondere sostanzialmente al minimo edittale, mentre la pena irrogata per la resistenza, di gran lunga più prossima al minimo che alla media edittale, è stata congruamente motivata dai giudici di merito mediante la valorizzazione dalla negativa personalità dell’imputata, dell’intensità del dolo e della “rimarchevole e ripetuta violenza usata contro i pubblici ufficiali”.
Le censure difensive sono, pertanto inammissibili, in quanto non tengono conto del costante orientamento di questa Corte secondo il quale, poiché la graduazione del trattamento sanzionatorio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., nel giudizio di cassazione è inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.). Le Sezioni unite di questa Corte
hanno di, poi, ribadito che «una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata è necessaria soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale» (così Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., Rv. 278869-01, in motivazione).
5. Manifestamente infondato risulta anche il motivo volto a contestare il diniego opposto alla richiesta di unificazione dei reati ritenuti ex art. 81 cod. pen. sull’assunto che risultando la resistenza la prova del concorso nella detenzione il primo reato non poteva che essere espressione del progetto delittuoso perseguito mediante lo spaccio.
Tale doglianza non si confronta con la motivazione della Corte territoriale che aveva rilevato che la detenzione a fini di spaccio aveva avuto “un inizio risalente” mentre la resistenza era stato “frutto di una specifica e imprevedibile contingenza” che non poteva essere correlata al programma delinquenziale relativo all’attività di spaccio.
Le valutazioni della Corte distrettuale, inoltre, trovano avallo nella giurisprudenza di legittimità che, in fattispecie del tutto simile a quella in esame, in cui si era ritenuto che l’imputato, nel momento in cui si era determinato a cedere lo stupefacente, avesse già deliberato di usare violenza a seguito di un fatto (ossia l’intervento delle forze di polizia) insorto solo successivamente alla consumazione del primo reato, ha disatteso le censure difensive con la motivazione di seguito riportata: “…ai fini dell’unicità del disegno criminoso, è necessario che le singole violazioni, concepite almeno nelle loro caratteristiche essenziali, costituiscano parte integrante di un unico programma deliberato per conseguire un determinato fine (cfr., da ultimo, Sez. 5, n. 5599/14 del 03/10/2013, COGNOME, Rv. 258862); ancora più specificamente si è aggiunto che l’identità del disegno criminoso deve essere negata qualora, malgrado la contiguità spazio-temporale e il nesso funzionale riscontrabile tra le diverse fattispecie incriminatrici, la successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva programmazione dei distinti reati, ponendo invece in risalto l’occasionalità di uno dei due (Sez. 6, n. 35805 del 24/05/2007, COGNOME, Rv. 237643 e Sez. 5, n. 1863/99 del 26/11/1998, COGNOME, Rv. 212519); sicché, già in passato, è stata esclusa la ricorrenza dell’identità del disegno criminoso in fattispecie del tutto analoghe alla presente (oltre alla appena citata Sez. 6, n. 35805 del 24/05/2007, COGNOME, Rv. 237643, v. Sez. 1, n. 4267 del 12/10/1976, COGNOME, Rv. 133056 di esclusione della continuazione tra reato di resistenza a pubblico ufficiale e reato di porto di arma sul presupposto, appunto, che l’imputato nel momento della commissione di quest’ultimo reato non potesse avere già deliberato di porre in essere la resistenza)” ( Sez. 3, n. 896 del 17/11/2015, (dep. 2016), COGNOME, Rv. 266179 – 01).
Inammissibile risulta, infine, il motivo relativo alla misura di sicurezza.
Il GUP ha lungamente motivato in ordine alla pericolosità dell’imputata rilevando come le modalità di commissione dei reati, la pervicacia degli intenti delittuosi, la spregiudicatezza, l’intensità del dolo e le capacità organizzative dimostrate rendessero “altamente probabile” la commissione di nuovi reati.
Tale motivazione è del tutto ignorata dal motivo di gravame che fonda la revoca dell’espulsione richiesta sul fatto che l’imputata è incensurata e non è soggetto con apprezzabile capacità criminale. Il motivo di appello è, quindi, generico, non confrontandosi con la motivazione del Tribunale che sorregge la misura di sicurezza, così da risultare inammissibile. Il Collegio rammenta, da un lato, che l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici, rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisio impugnata (fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato: così Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, COGNOME, Rv. 268822). Dall’altro, è noto che il motivo con cui si proponga in Cassazione una doglianza riferita all’omessa motivazione in relazione ad un motivo d’appello, comunque, inammissibile è geneticamente inammissibile anch’esso. Infatti, il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici pur se proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per Cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria (vedi, Sez. 1, n. 7096 del 20/1/1986, Ferrara, Rv. 173343; Sez. 4, n. 1982 del 15/12/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 213230; Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262700). E ben si comprende la ratio sottesa a tale orientamento, poiché non avrebbe senso l’annullamento della sentenza di appello con rinvio al giudice di secondo grado a causa dell’omesso esame di un motivo di gravame, che in sede di rinvio per il suo esame sarebbe comunque destinato alla declaratoria di inammissibilità (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
7. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare, avuto riguardo per i profili di inammissibilità, in euro tremila.
•
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18/2/2025