Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20581 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20581 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAZIENZA VITTORIO
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME, nato in Marocco il DATA_NASCITA avverso la sentenza emessa il 06/12/2022 dalla Corte d’Appello di Firenze
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla questione dell’applicabilità dell’ipotesi lieve di cui a visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME; comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 06/12/2022, la Corte d’Appello di Firenze ha confermato la sentenza emessa in data 04/04/2022 dal Tribunale di Lucca, con la quale COGNOME NOME e COGNOME NOME erano stati condannati alla pena di giustizia in relazione al reato di illecita detenzione di hashish, loro ascritto in concorso.
Ricorre per cassazione il NOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di penale responsabilità. Si censura la sentenza per aver la Corte ritenuto sussistere una responsabilità concorsuale del NOME, nonostante egli fosse ignaro dello
stupefacente detenuto dal COGNOME, al quale egli aveva semplicemente dato un passaggio.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell’ipotesi lieve di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990. Si deduce che la quantità di hashish detenuta non era “particolarmente ingente”, né vi erano elementi idonei a far escludere che la lesione del bene protetto fosse di lieve entità.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il AVV_NOTAIO Generale sollecita l’annullamento con rinvio limitatamente alla omessa pronuncia sulla richiesta di derubricazione ai sensi del comma 5 dell’art. 73.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Per ciò che riguarda il primo motivo, è opportuno prendere le mosse dal consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, secondo cui «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, de credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento» (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO – 01).
In tale prospettiva ermeneutica, che si condivide e qui si intende ribadire, le doglianze difensive non superano lo scrutinio di ammissibilità, risolvendosi nella censura del merito RAGIONE_SOCIALE valutazioni operate dalla Corte d’Appello (in piena sintonia con il primo giudice), e nella reiterata prospettazione di una diversa e più favorevole lettura RAGIONE_SOCIALE risultanze acquisite, il cui apprezzamento in questa sede è evidentemente precluso.
D’altra parte, la Corte d’Appello ha adeguatamente esposto le ragioni poste a base della conferma della condanna del NOME, escludendo la plausibilità della prospettazione difensiva secondo cui questi si sarebbe limitato a dare un passaggio al COGNOME, ignorando il possesso, in capo a quest’ultimo, di sostanza stupefacente.
A tale specifico riguardo, in particolare, la Corte territoriale ha richiamat adesivamente la ricostruzione del primo giudice, sottolineando che l’auto guidata dal NOME (seguita dagli operanti ai quali egli era noto) aveva improvvisamente accelerato subito dopo che il passeggero (poi identificato per il COGNOME) era sceso in
corsa con in mano un giubbetto passatogli dallo stesso NOME: giubbetto che, recuperato dagli operanti dopo una breve colluttazione, conteneva nelle tasche due panetti di hashish per un complessivo peso loraodi un chilo. Con specifico riferimento alla posizione del NOME, la Corte ha sottolineato sia quanto direttamente osservato dagli operanti in ordine al passaggio del giubbetto dal NOME al COGNOME (invitato dal ricorrente a fuggire), sia quanto successivamente dichiarato dallo stesso COGNOME, in sede di interrogatorio di garanzia, in ordine al compenso promessogli dal NOME per accompagnarlo in auto.
Si tratta di un compendio argomentativo ampiamente idoneo ai fini che qui rilevano, rimasto privo di effettiva ed adeguata confutazione da parte della difesa ricorrente.
Quanto alla residua censura, deve osservarsi che la difesa ricorrente aveva sollecitato in appello l’applicazione del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, affermando che il quantitativo della droga rinvenuta non era eccessivo e che lo stupefacente era detenuto occasionalmente e con modalità non professionali.
Tali deduzioni, peraltro, appaiono prive di effettiva correlazione con le risultanze acquisite (avuto riguardo alle concitate modalità di rinvenimento e sequestro dello stupefacente, e soprattutto al dato quantitativo, essendo risultate ricavabili circa 7000 dosi).
Appare perciò indubbia l’applicabilità, nella fattispecie in esame, dell’insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui «in tema d’impugnazioni è inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile ab origine per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio» (Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, COGNOME, Rv. 276745 – 01).
Quanto fin qui esposto impone una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso il 3 aprile 2024