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Concorso in spaccio: prova e ruolo del complice

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di due persone condannate per reati legati agli stupefacenti. La sentenza analizza il valore probatorio delle dichiarazioni del coimputato e i criteri per escludere il concorso in spaccio di lieve entità e l’attenuante della minima partecipazione, sottolineando come un ruolo attivo nella custodia della droga non possa considerarsi marginale.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in spaccio: quando la prova del ruolo attivo esclude le attenuanti

Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sul tema del concorso in spaccio di sostanze stupefacenti, delineando i confini tra una partecipazione marginale e un ruolo attivo nel reato. La decisione si sofferma sul valore delle dichiarazioni rese da un coimputato e sui criteri per la concessione delle attenuanti, come quella del fatto di lieve entità o della minima partecipazione.

I fatti di causa

Il caso trae origine da una condanna emessa dalla Corte d’Appello, che aveva confermato la responsabilità penale di due persone per reati legati alla detenzione e allo spaccio di droga. In particolare, una donna era stata condannata per aver partecipato, in concorso con il suo compagno, alla detenzione di circa 158 grammi di cocaina.

La sostanza era stata rinvenuta all’interno di una cassetta di sicurezza metallica, a sua volta nascosta in una scatola di scarpe nel controsoffitto di un locale adibito a parrucchiere. Era stata la titolare del negozio, coindagata nel medesimo procedimento, a rivelare la presenza della scatola, affermando di averla ricevuta in custodia dalla donna.

I motivi del ricorso: prova e attenuanti nel concorso in spaccio

Gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione. La donna ha contestato la sua condanna sotto tre profili principali:
1. Violazione di legge: Sosteneva che la sua responsabilità fosse stata affermata unicamente sulla base delle dichiarazioni della parrucchiera, senza adeguati riscontri esterni, in violazione delle regole sulla valutazione della prova.
2. Mancato riconoscimento del fatto di lieve entità: Riteneva che il reato dovesse essere qualificato come meno grave, ai sensi dell’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti.
3. Mancato riconoscimento della minima partecipazione: Chiedeva l’applicazione dell’attenuante prevista dall’art. 114 c.p., per chi ha avuto un ruolo marginale nel reato.

L’uomo, invece, ha lamentato l’omessa motivazione riguardo alla richiesta di riconoscere il vincolo della continuazione tra tutti i reati contestati.

L’analisi della Corte sul valore delle prove e il ruolo nel reato

La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, ritenendoli manifestamente infondati e generici. L’analisi della Corte è fondamentale per comprendere la disciplina del concorso in spaccio.

La validità della testimonianza del coimputato

Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, i giudici hanno stabilito che le dichiarazioni della parrucchiera non erano isolate, ma supportate da solidi riscontri esterni. In particolare:
* Tracciamento GPS: Il monitoraggio degli spostamenti della donna confermava pienamente il racconto della parrucchiera riguardo alla consegna della scatola.
* Il ritrovamento della chiave: La chiave della cassetta di sicurezza era stata trovata proprio nell’abitazione della coppia, a seguito di indicazioni fornite dalla stessa donna.

Questi elementi, secondo la Corte, erano sufficienti a confermare l’attendibilità della testimonianza e a provare la piena partecipazione della donna alla detenzione della droga.

L’esclusione delle attenuanti

La Corte ha anche confermato la decisione dei giudici di merito di non concedere le attenuanti.
Per quanto riguarda il fatto di lieve entità, è stato ritenuto decisivo il dato quantitativo della sostanza (158,50 grammi di cocaina) e le modalità della condotta, ossia l’occultamento presso terzi, elementi che indicano un’offensività non minima.

Ancora più netta è stata la posizione sull’attenuante della minima partecipazione. La Corte ha chiarito che tale beneficio può essere concesso solo quando l’apporto del concorrente è obiettivamente marginale e quasi trascurabile. Nel caso di specie, la donna non si era limitata a un ruolo passivo: aveva materialmente consegnato la scatola, si era recata più volte a controllarne il contenuto e a prelevarne una parte. Per la Corte, questo comportamento la qualificava come “vero dominus delle fasi esecutive” e non come una semplice complice marginale.

Le motivazioni della decisione

La Suprema Corte ha basato la sua decisione di inammissibilità su due principi cardine.
Primo, la valutazione delle prove è compito dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non può essere riesaminata in sede di legittimità se la motivazione è logica e completa. In questo caso, le sentenze di primo e secondo grado formavano un “unico complesso corpo argomentativo”, immune da vizi logici.

Secondo, un ricorso in Cassazione non può limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello o a formulare critiche generiche. Il ricorso dell’uomo sulla continuazione dei reati è stato giudicato inammissibile proprio per la sua genericità, in quanto non specificava le ragioni concrete per cui la decisione della Corte d’Appello sarebbe stata errata.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce principi consolidati in materia di prova penale e concorso in spaccio. Stabilisce che le dichiarazioni di un coimputato, se adeguatamente riscontrate da elementi esterni, costituiscono una prova pienamente valida. Inoltre, chiarisce che il coinvolgimento attivo nella gestione e custodia di un ingente quantitativo di stupefacenti non può essere considerato di lieve entità né di minima importanza, escludendo così l’applicazione delle relative attenuanti. La decisione sottolinea l’importanza di presentare ricorsi specifici e ben argomentati, pena la dichiarazione di inammissibilità.

Le dichiarazioni di un coimputato sono sufficienti per una condanna?
Sì, ma solo a condizione che siano supportate da altri elementi di prova esterni che ne confermino l’attendibilità. In questo caso, il tracciamento GPS e il ritrovamento della chiave della cassetta di sicurezza sono stati ritenuti riscontri adeguati.

Quando si può ottenere l’attenuante della minima partecipazione in un reato di spaccio?
Questa attenuante si applica solo quando il contributo del concorrente è oggettivamente minimo e marginale nell’economia generale del reato. Secondo la sentenza, chi consegna materialmente la droga e ne controlla la custodia svolge un ruolo attivo ed essenziale, non minimo.

Perché un ricorso può essere dichiarato inammissibile per genericità?
Un ricorso è considerato generico, e quindi inammissibile, quando non articola specifiche critiche alla sentenza impugnata, ma si limita a riproporre le stesse tesi difensive già respinte o a formulare doglianze astratte, senza indicare le ragioni concrete per cui la decisione sarebbe errata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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