Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7814 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 7814 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a TERMINI IMERESE il 28/12/1995 avverso la sentenza del 03/04/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME per il ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata pronunziata il 3 aprile 2024 dalla Corte di appello di Palermo, che ha confermato la sentenza del Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Termini Imerese, resa all’esito di rito abbreviato, che aveva condannato COGNOME NOME per i reati di cui agli artt. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e 624-625 cod. pen.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato, in concorso con il padre (nei cui confronti si è proceduto separatamente), avrebbe illecitamente detenuto, al fine di farne spaccio, 509,26 grammi di sostanza stupefacente, suddivisa in svariate dosi di marijuana e di hashish (capo 1).
Avrebbe altresì, sempre in concorso con il padre, coltivato, nel terreno di sua proprietà nonché in un fondo adiacente, 78 piante di marijuana (capo 2).
Avrebbe, sempre in concorso con il padre, in più occasioni ceduto a tale NOME NOME sostanza stupefacente, sia del tipo marijuana che del tipo hashish (capo 4).
Si sarebbe, infine, illegittimamente impossessato di 8.389,60 kWh di energia elettrica, sottratta all’Enel, mediante allaccio abusivo alla rete di distribuzione (capo 3).
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un unico motivo, deduce il vizio di motivazione.
Sostiene che la Corte di appello avrebbe fondato la propria decisione sulle seguenti circostanze: l’imputato e il padre erano stati sorpresi all’interno dell’abitazione (sita in Cerda, alla INDIRIZZO ove era stata rinvenuta la sostanza stupefacente indicata al capo 1 dell’imputazione; l’imputato e il padre avevano anche la disponibilità del terreno ove era stata rinvenuta la coltivazione di marijuana; all’interno dell’abitazione, erano stati rinvenuti anche gli attrezzi per il confezionamento degli stupefacenti e la somma di euro 18.000 sottoposta a sequestro, in quanto ritenuta provento delle attività di coltivazione di marijuana e di spaccio di sostanze stupefacenti.
Tanto premesso, il ricorrente sostiene che la Corte di appello non avrebbe tenuto conto del fatto che l’imputato era solo il nudo proprietario dell’abitazione in questione, sottoposta a perquisizione, di cui il padre aveva l’esclusiva disponibilità, in qualità di usufruttuario. Dagli atti, non risulterebbe alcun elemento dal quale poter desumere che l’imputato, in epoca antecedente all’intervento della polizia giudiziaria, avesse avuto disponibilità dell’immobile in questione.
L’imputato, infatti, sarebbe residente in INDIRIZZO e non in INDIRIZZO dove era stata effettuata la perquisizione.
Conseguentemente, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di appello, la sostanza stupefacente indicata al capo 1 dell’imputazione, gli attrezzi per il
confezionamento dello stupefacente e la somma sottoposta a confisca non si trovavano all’interno dell’abitazione dell’imputato e non potrebbero essere considerati elementi utili a fondare il giudizio di responsabilità a suo carico.
La somma di euro 18.000, sottoposta a sequestro, peraltro, non potrebbe essere considerata il profitto del reato, atteso che il provento delle cessioni di stupefacenti al COGNOME, come si desumerebbe dalle dichiarazioni rese da quest’ultimo, consisterebbe in poche centinaia di euro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. L’unico motivo di ricorso è inammissibile.
Con esso, il ricorrente ha articolato alcune censure che, pur essendo state da lui riferite alla categoria dei vizi di motivazione, non evidenziano alcuna effettiva violazione di legge né travisamenti di prova o vizi di manifesta logicità emergenti dal testo della sentenza, ma sono, invece, dirette a ottenere una non consentita rivalutazione delle fonti probatorie e un inammissibile sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito (cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano).
Va osservato, in ogni caso, che entrambi i giudici di merito (ci troviamo di fronte a una “doppia conforme”), con motivazione adeguata, coerente e priva di vizi logici, hanno ricostruito i fatti in conformità all’ipotesi accusatoria.
Deve essere evidenziato che i giudici di merito non hanno basato il giudizio di responsabilità sul mero dato formale che l’imputato fosse il proprietario dell’immobile dove erano state rinvenute la sostanza stupefacente, le attrezzature per il confezionamento delle dosi e la somma di denaro sottoposta a sequestro.
I giudici di merito, infatti, hanno evidenziato che l’imputato e il padre erano stati sorpresi in flagranza di reato, mentre si trovavano all’interno di questa abitazione, dove veniva rinvenuta la sostanza stupefacente. Hanno posto in rilievo anche il comportamento dell’imputato, che, alla presenza della polizia giudiziaria, dopo avere ricevuto le informazioni relative alle garanzie di diritto, in «maniera inaspettata e repentina», si chiudeva all’interno del bagno e ne usciva, nonostante i ripetuti solleciti ad uscire da parte degli operanti, solo dopo avere azionato lo scarico del water.
La Corte di appello ha tenuto conto della circostanza che l’imputato risiedeva in un’abitazione diversa da quella sottoposta a perquisizione, ritenendo che essa fosse poco significativa, alla luce delle dichiarazioni rese dallo stesso imputato,
che, in sede di interrogatorio, aveva ammesso di avere spostato la residenza in INDIRIZZO al solo fine di poter percepire il reddito di cittadinanza.
I giudici di merito hanno evidenziato che, in ogni caso, il quadro accusatorio a carico dell’imputato era aggravato dalle dichiarazioni dei testi COGNOME COGNOME e COGNOME, dalle quali emergeva in maniera evidente che l’imputato era da tempo dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti, del tipo hashish e del tipo marijuana. Il COGNOME, in particolare, aveva precisato di avere accompagnato svariati amici nei pressi dell’abitazione dell’imputato al fine di acquistare sostanza stupefacente (hashish e marijuana), precisando che l’abitazione in questione era quella sita in INDIRIZZO dove l’imputato abitava unitamente al padre.
Generica e infondata risulta la deduzione relativa alla confisca della somma in sequestro, atteso che dalle sentenze emerge che i giudici di merito hanno ritenuto il denaro sequestrato il provento dell’intera attività di spaccio svolta dall’imputato e non delle sole cessioni emerse dalle dichiarazioni del COGNOME.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 29 novembre 2024.