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Concorso in spaccio: la sola presenza non basta

Due familiari ricorrono in Cassazione contro una condanna per spaccio. Il padre sosteneva di essere stato solo presente, senza partecipare attivamente. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che azioni come oscurare una telecamera della polizia e gestire i contatti dimostrano un pieno concorso in spaccio e non una mera connivenza. Respinta anche la richiesta di attenuante per danno di lieve entità.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in spaccio: non basta la presenza, servono atti concreti

In materia di reati legati agli stupefacenti, distinguere tra una semplice connivenza non punibile e un vero e proprio concorso in spaccio è un’operazione cruciale che determina l’esito del processo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo confine, stabilendo che non è la mera presenza sul luogo del reato a configurare la complicità, ma la partecipazione attiva e consapevole all’attività illecita. Analizziamo insieme la vicenda e i principi di diritto affermati dai giudici.

Il caso: un’attività di spaccio in famiglia

La vicenda processuale riguarda due familiari, padre e figlio, condannati nei gradi di merito per attività di spaccio di sostanze stupefacenti. L’attività delittuosa veniva svolta prevalentemente all’interno dell’abitazione familiare. I due imputati hanno presentato ricorso per Cassazione, lamentando due principali vizi della sentenza d’appello.

Il primo motivo, riguardante la posizione del padre, sosteneva l’errata attribuzione di responsabilità. La difesa asseriva che non fosse stata provata alcuna azione concreta da parte sua che avesse contribuito causalmente allo spaccio, e che la sua condanna si basasse unicamente sulla sua presenza in casa durante le cessioni effettuate dal figlio.

Il secondo motivo, comune a entrambi, criticava il mancato riconoscimento della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62 n. 4 c.p.), data l’esiguità delle singole dosi cedute e dei relativi profitti.

La decisione della Cassazione sul concorso in spaccio

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello. I giudici supremi hanno ritenuto i motivi di ricorso una mera riproposizione di argomentazioni già adeguatamente respinte nei precedenti gradi di giudizio e un tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità.

La Corte ha sottolineato come la sentenza impugnata avesse motivato in modo logico e sufficiente sia sulla sussistenza del concorso in spaccio del padre, sia sul rigetto dell’attenuante.

Le motivazioni della Corte

Approfondiamo le ragioni che hanno portato la Cassazione a questa conclusione. Per quanto riguarda il concorso in spaccio del padre, i giudici hanno evidenziato come la Corte d’Appello avesse elencato una serie di comportamenti attivi e inequivocabili che andavano ben oltre la mera presenza passiva. Tra questi:

* Essere andato a prendere un acquirente nelle vicinanze per portarlo in casa.
* Avere un ruolo attivo quando in casa era presente da solo.
* Aver adottato uno schema operativo costante nelle cessioni.
* Essersi attivato freneticamente, una volta sospettata la presenza di una telecamera della polizia, per trovarla e oscurarla con del nastro adesivo.

Queste azioni, secondo la Corte, dimostrano una “piena cointeressenza nelle attività di cessione” e un “manifesto interesse comune ad evitare di essere monitorati”, rendendo la tesi della semplice connivenza “irricevibile” e “radicalmente infondata”. Non si trattava di una responsabilità “ad intermittenza”, ma di un ruolo stabile e consapevole nell’organizzazione illecita.

Relativamente al secondo motivo, sul mancato riconoscimento dell’attenuante del danno di speciale tenuità, la Cassazione ha ribadito il principio secondo cui la valutazione non può limitarsi al valore delle singole dosi o al profitto immediato. Il giudice deve considerare anche la “dannosità e pericolosità del correlato evento”. Nel caso di un’attività di spaccio strutturata e continua, seppur di “piccolo cabotaggio”, la pericolosità sociale e il danno alla salute pubblica sono di tale rilievo da escludere la speciale tenuità, a prescindere dall’entità dei singoli guadagni.

Conclusioni: cosa insegna questa ordinanza sul concorso in spaccio

L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni pratiche. In primo luogo, chiarisce che per configurare il concorso in spaccio, la prova non può fondarsi sulla sola presenza fisica o sul legame di parentela con chi materialmente cede la sostanza. È necessario dimostrare, come avvenuto in questo caso, un contributo attivo e consapevole all’attività criminale, che può manifestarsi anche attraverso condotte di supporto, vigilanza o protezione, come l’oscuramento di una telecamera. In secondo luogo, l’ordinanza conferma un orientamento consolidato riguardo all’attenuante del danno lieve: nei reati di spaccio, la pericolosità intrinseca della condotta e la sua reiterazione nel tempo sono elementi preponderanti che, nella maggior parte dei casi, impediscono l’applicazione di tale beneficio, anche quando i profitti sono modesti.

Quando la presenza in casa durante lo spaccio di un familiare diventa concorso nel reato?
Diventa concorso nel reato quando non ci si limita a una presenza passiva, ma si compiono azioni concrete che contribuiscono all’attività illecita. La sentenza evidenzia come atti quali l’andare a prendere gli acquirenti, gestire le operazioni in autonomia e soprattutto attivarsi per eludere i controlli (come oscurare una telecamera della polizia) dimostrino un contributo causale e una piena partecipazione.

È possibile ottenere l’attenuante del danno di speciale tenuità per lo spaccio di piccole dosi?
No, se l’attività, pur riguardando piccole dosi, è continuativa e organizzata. La Corte ha stabilito che la valutazione non deve basarsi solo sull’entità del profitto, ma anche sulla dannosità e pericolosità complessiva della condotta. Un’attività di traffico illecito, anche se su scala ridotta, è considerata di rilievo e spessore tale da non essere compatibile con la speciale tenuità del danno.

Perché la Corte di Cassazione può dichiarare un ricorso inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando non presenta censure specifiche contro la logica giuridica della sentenza impugnata, ma si limita a riproporre le stesse argomentazioni già respinte o tenta di sollecitare una nuova valutazione delle prove e dei fatti. Il compito della Cassazione è verificare la corretta applicazione della legge (sindacato di legittimità), non riesaminare il merito della vicenda.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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