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Concorso in spaccio: la Cassazione fa il punto

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per due fratelli per concorso in spaccio di sostanze stupefacenti. La sentenza chiarisce i confini tra la mera connivenza e la partecipazione attiva al reato, negando la rinnovazione dell’istruttoria e le attenuanti generiche. La Corte ha ritenuto che l’accordo per la spartizione dei proventi illeciti e la partecipazione a incontri cruciali costituiscano elementi sufficienti per configurare il concorso, anche per chi ha avuto un ruolo in una singola fase dell’operazione criminale.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in spaccio: non basta essere presenti, serve un contributo attivo

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 14020/2024) offre importanti chiarimenti sulla linea di demarcazione tra la semplice presenza sulla scena del crimine e il concorso in spaccio di sostanze stupefacenti. Il caso esaminato riguarda due fratelli condannati per aver ricevuto un ingente carico di cocaina, ma con ruoli e momenti di partecipazione diversi. La Suprema Corte, nel respingere i ricorsi, ha ribadito principi fondamentali in materia di prova, concorso di persone e valutazione delle circostanze attenuanti.

I Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria ha origine da un’operazione di acquisto di almeno tre chilogrammi di cocaina, avvenuta nell’arco di circa una settimana. Protagonisti sono due fratelli. Il primo è accusato di aver partecipato a tutte le fasi della trattativa e delle consegne. Il secondo fratello, un agente di polizia penitenziaria, è stato invece coinvolto solo nell’episodio finale, avvenuto l’11 gennaio 2019.

La Corte di Appello di Napoli aveva confermato la condanna per entrambi, ritenendo provato il loro coinvolgimento attivo. Gli imputati, tuttavia, hanno presentato ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni di legittimità.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Le difese hanno articolato i ricorsi su più fronti.

Per il primo fratello, si contestava la qualificazione giuridica dei fatti come reato continuato, sostenendo che si trattasse di un unico reato, e si asseriva un contributo causale minimo.

Per il secondo fratello, le cui doglianze sono state il fulcro della sentenza, si sosteneva:
1. La mera connivenza: la difesa asseriva che l’imputato si fosse limitato ad accompagnare il fratello senza partecipare attivamente all’accordo illecito, configurando una condotta di mera connivenza non punibile.
2. La mancata rinnovazione dell’istruttoria: si lamentava il rigetto della richiesta di acquisire documenti che, a dire della difesa, avrebbero fornito una spiegazione alternativa e lecita alla sua presenza sul luogo (l’intenzione di ingaggiare una cantante neomelodica per una festa).
3. La carenza di prove: si evidenziava come l’imputato non avesse mai partecipato direttamente alle conversazioni intercettate e che la sua colpevolezza fosse stata desunta solo dal legame di parentela.

La Decisione della Corte: l’analisi sul concorso in spaccio

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, confermando integralmente la sentenza d’appello. Le argomentazioni della Suprema Corte sono state particolarmente incisive nel definire i contorni del concorso in spaccio.

I giudici hanno stabilito che la Corte d’Appello aveva correttamente escluso la necessità di rinnovare l’istruttoria, poiché la giustificazione alternativa (l’ingaggio della cantante) non era affatto incompatibile con il coinvolgimento nell’attività illecita.

Il punto cruciale della decisione riguarda la distinzione tra connivenza e concorso. Per la Cassazione, la condotta del secondo fratello non è stata meramente passiva. Elementi decisivi sono stati la confessione del primo fratello, che ha ammesso di aver informato il parente dell’attività e di aver deciso di dividere i proventi con lui, e soprattutto il fatto che il secondo fratello si fosse recato all’incontro finale accettando di appropriarsi di metà di un’ingente somma di denaro (341.000 euro). Questo comportamento, secondo la Corte, costituisce un contributo consapevole e volontario alla realizzazione del reato, integrando pienamente la fattispecie del concorso.

Le Motivazioni

Nelle motivazioni, la Corte ha sottolineato che la responsabilità del secondo fratello poggia su elementi probatori specifici e non su una mera estensione della colpevolezza del parente. La sua presenza all’incontro non era casuale, ma finalizzata a un obiettivo illecito e a un conseguente vantaggio economico. Il fatto che fosse menzionato nelle intercettazioni come “guardia penitenziaria” e che avesse accettato di dividere i proventi sono stati considerati prove inequivocabili del suo apporto causale all’impresa criminale.

Inoltre, la Corte ha respinto la richiesta di applicazione dell’attenuante della minima partecipazione (art. 114 c.p.), poiché non applicabile quando i concorrenti nel reato sono cinque o più. Anche la richiesta di attenuanti generiche è stata motivata con rigore, evidenziando il comportamento processuale non collaborativo, l’assenza di pentimento e la particolare gravità del fatto commesso da un soggetto che, per la sua funzione pubblica, avrebbe dovuto avere un maggior senso del dovere.

Per quanto riguarda il primo fratello, la Corte ha confermato la correttezza della qualificazione come reato continuato, poiché le cessioni erano avvenute in tre giorni diversi e con tre distinti episodi, unificati solo dall’identità del disegno criminoso.

Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio fondamentale: nel concorso in spaccio, non è necessario compiere materialmente l’atto di cessione della droga. È sufficiente fornire un contributo consapevole e volontario che agevoli o rafforzi il proposito criminoso altrui. L’accettazione della spartizione dei profitti illeciti è stata considerata dalla Corte un chiaro indice di tale contributo. La decisione conferma anche il potere discrezionale del giudice di merito nel negare le attenuanti generiche, soprattutto quando la condotta dell’imputato, in particolare se riveste una funzione pubblica, dimostra una totale assenza di resipiscenza e una notevole gravità.

Quando la semplice presenza durante un illecito si trasforma in concorso in spaccio?
Secondo la sentenza, la mera presenza si trasforma in concorso attivo quando l’individuo fornisce un contributo consapevole alla realizzazione del reato. Nel caso specifico, l’aver accettato di dividere un’ingente somma di denaro (341.000 euro) proveniente dall’illecito è stato ritenuto un contributo causale sufficiente a configurare il concorso e non una semplice connivenza passiva.

Più consegne di droga in un breve periodo costituiscono un unico reato o più reati in continuazione?
La Corte ha stabilito che più consegne, sebbene ravvicinate nel tempo, costituiscono più reati avvinti dal vincolo della continuazione (art. 81 cod. pen.) quando sono episodi distinti sul piano ontologico, cronologico e psicologico. Nel caso di specie, le tre consegne avvenute in giorni diversi (3, 7 e 11 gennaio) e precedute da specifici accordi sono state qualificate come condotte separate, unificate solo dal medesimo disegno criminoso.

Perché la Corte ha negato le attenuanti generiche a un imputato che svolgeva la funzione di agente di polizia penitenziaria?
La Corte ha confermato il diniego delle attenuanti generiche basandosi su una valutazione complessiva della condotta. I fattori decisivi sono stati il comportamento processuale non collaborativo, l’assenza di pentimento (resipiscenza) e, soprattutto, la particolare gravità del reato commesso da un soggetto che, in virtù della sua funzione pubblica, avrebbe dovuto mantenere una condotta irreprensibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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