Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35313 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35313 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nata a Ceglie Messapica il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a Ceglie Messapica il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a Oria il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 24-04-2023 della Corte di appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona dell’AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; udito l’avvocato NOME COGNOME, sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME, difensore di fiducia di COGNOME, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso; , udito l’avvocato NOME COGNOME, difensore di fiducia della COGNOME, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME, che, quale sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME, difensore di fiducia di
NOME, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4 maggio 2017, il G.U.P. del Tribunale di Brindisi, nell’ambito di un articolato procedimento penale in materia di stupefacenti, per quanto in questa sede rileva, affermava la responsabilità penale degli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in quanto ritenuti colpevoli di una pluralità di episodi del reato di cui all’art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990. In particolare, NOME COGNOME veniva condannata alla pena di anni 8, mesi 2 di reclusione ed euro 28.000 di multa rispetto ai reati di cui ai capi 1 e 7; NOME COGNOME veniva condannato alla pena di anni 4 di reclusione ed euro 12.000 di multa rispetto al reato di cui al capo 1, mentre NOME COGNOME veniva condannato alla pena di anni 4, mesi 4 di reclusione ed euro 20.000 di multa rispetto al reato di cui al capo 17. Fatti accertati, rispettivamente, in Ceglie Messapica (capo 1), Villa Castelli (capo 7) e Oria (capo 17) nelle date del 20 settembre 2014 (capo 1), del 2 aprile 2013 (capo 7) e dell’8, 18 e 25 giugno 2015 (capo 17).
Con sentenza del 24 aprile 2023, la Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, assolveva la COGNOME, per non aver commesso il fatto, dal reato di cui al capo 7 e dagli episodi del 10 febbra o del 7 aprile 2013 contestati al capo 1 e, per l’effetto, rispetto alla residu condotta di cui al capo 1, rideterminava la pena inflitta all’imputata nella misura di anni 6 di reclusione ed euro 26.000 di multa. La decisione del G.U.P. veniva invece confermata rispetto agli imputati COGNOME e NOME.
Avverso la sentenza della Corte di appello salentina, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, tramite i rispettivi difensori di fiducia, hanno proposto ricorso per cassazione.
2.1. NOME COGNOME ha sollevato tre motivi.
Con il primo, la difesa censura, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, la conferma del giudizio di colpevolezza della ricorrente, evidenziando che la Corte territoriale non ha spiegato in cosa sarebbe consistito il consapevole concorso della COGNOME nella detenzione della sostanza trovata nella disponibilità di NOME COGNOME il 20 settembre 2013, non essendo affatto rilevante che la ricorrente, sei giorni prima, il 14 settembre, abbia aperto e chiuso lo sportello di un’auto nei pressi dell’abitazione dove fu poi trovato lo stupefacente.
Le circostanze riportate nella sentenza costituirebbero dunque delle mere illazioni prive di alcun conforto probatorio, tanto più ove si consideri che la COGNOME, pur avendo una relazione sentimentale con NOME, non viveva con lui, risultando destituita di fondamento probatorio l’affermazione dei giudici
di merito secondo cui la donna poteva utilizzare come propria l’abitazione di INDIRIZZO.
Parimenti ignorata è stata inoltre la circostanza che quel 14 settembre 2013 nessuno ha mai visto la COGNOME scendere dall’auto, né tantonneno qualcuno ha mai visto la donna entrare o uscire dall’abitazione di NOME COGNOME.
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è il giudizio sulla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, del d.P.R. n. 390 del 1990, rilevandosi che la decisione impugnata si pone in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale che nega la possibilità di una presunzione automatica di esistenza dell’aggravante in esame in ragione del solo superamento del cd. valore soglia, non avendo i giudici di merito compiuto alcuna valutazione in ordine al grado di pericolo per la salute pubblica derivante dallo smercio di quel quantitativo, né tantomeno allegato gli elementi probatori a sostegno della conoscenza della quantità di stupefacente da parte della COGNOME, risultando in tal senso violato l’art. 59 comma 2, cod. pen. In tal senso si evidenzia che la circostanza valorizzata dalla Corte territoriale, ossia la mera apertura e chiusura dello sportello dell’automobile in cui viaggiava la ricorrente nei pressi dell’abitazione in cui fu sequestrato lo stupefacente sei giorni prima del sequestro della sostanza, non costituisce elemento idoneo a motivare la compartecipazione della donna per tale specifica detenzione, né può giustificare “ogni oltre ragionevole dubbio” l’addebito dell’aggravante di cui si discute.
Con il terzo motivo, si contesta il diniego delle attenuanti generiche, non avendo la Corte territoriale tenuto conto della pur riconosciuta circostanza che oggi la COGNOME è oggi una persona diversa da quella di dieci anni fa, come pure non è stato apprezzato il comportamento processuale della ricorrente, che ha avanzato due richieste di concordato, rigettate nonostante il consenso di due Procuratori generali.
2.2. NOME ha sollevato tre motivi.
Con il primo, sono stati eccepiti il vizio di motivazione e l’inosservanza degli art. 81, 110 cod. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, rispetto alla conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato relativamente alla detenzione di due chili di cocaina sequestrati il 20 settembre 2013 presso l’abitazione di Ceglie Messapica, risultando non dirimente la circostanza della mera intestazione fittizia della locazione della predetta abitazione a nome del ricorrente o il mero rapporto di fratellanza con NOME COGNOME, il quale si è assunto fin da subito la responsabilità esclusiva della detenzione della droga rinvenuta nell’appartamento, non valendo gli elementi valorizzati dai giudici di merito a giustificare l’estensione della responsabilità di NOME
COGNOME a titolo di concorso nel reato, tanto più ove si consideri che il predetto non risulta coinvolto negli altri episodi pure contestati.
Il secondo motivo è dedicato al giudizio sulla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, del d.P.R. n. 390 del 1990, che non sarebbe configurabile innanzitutto dal punto di vista oggettivo, avendo la Corte territoriale fatto riferimento non ai due soli chili di cocaina rinvenuti presso l’abitazione di INDIRIZZO, per i quali andava comunque approfondito il rapporto tra il dato ponderale e la zona geografica di riferimento, ma al totale della sostanza oggetto dei vari episodi contestati al capo 1, episodi cui tuttavia il ricorrente è risultato estraneo.
A ciò si aggiunge che, anche dal punto di vista soggettivo, l’aggravante in esame non sarebbe configurabile, atteso che da alcun concreto elemento probatorio risulta che NOME COGNOME fosse a conoscenza non solo che effettivamente all’interno dell’abitazione da lui formalmente locato fosse detenuta della sostanza stupefacente, ma anche di che tipo di sostanza fosse e quale ne fosse il quantitativo. Si stigmatizza poi la disparità di trattament rispetto alla posizione del concorrente NOME COGNOME, atteso che, pur a fronte di un compendio probatorio sovrapponibile, la consapevolezza circa l’ingente quantità è stata ascritta solo all’odierno ricorrente.
Con il terzo motivo, è stata dedotta l’inosservanza dell’art. 114 cod. pen. evidenziandosi che, pur a voler ritenere che il ricorrente abbia posto in esser una condotta consapevole di partecipazione alla detenzione di 2 kg. circa di droga, non può ara essere affatto ignorata l’assoluta marginalità del ruolo ricoperto dal ricorrente, per cui andava senz’altro riconosciuta l’attenuante art. 114 cod. pen., con applicazione di un trattamento sanzionatorio più mite.
2.3. NOME COGNOME ha sollevato due motivi.
Con il primo, la difesa contesta, sotto il profilo del vizio di motivazione, la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato, non essendosi la Corte territoriale confrontata con i rilievi difensivi, volti a rimarcare sia l’incertezz dati acquisibili mediante la tecnica di localizzazione GPS, sia il carattere diffus di un nome comune come quello di NOMENOME sia la circostanza per cui i dialoghi captati in occasione degli episodi contestati hanno interlocutori diversi da ricorrente, ossia NOME COGNOME e NOME COGNOME, essendosi la sentenza impugnata limitata a richiamare acriticamente la motivazione del primo giudice, che tuttavia conteneva un cenno del tutto generico e assertivo alla “attività svolta dalla RAGIONE_SOCIALE“.
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è il mancato riconoscimento della fattispecie di lieve entità, rilevandosi che nel caso di specie non vi so indici da cui possa desumersi l’entità ponderale dello stupefacente che si ritien
sia stato alienato in favore dei presunti acquirenti, a ciò aggiungendosi che i commento della coppia COGNOME sull’asserito stile di vita di COGNOME non assurge al rango di elemento dirimente tra due realtà ontologicamente differenti, ossia quella del traffico più ampio e quello dello smercio dell sostanza stupefacente su scala ridotta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.
Iniziando dalla posizione della COGNOME e partendo dal primo motivo, occorre rilevare che le doglianze in punto di responsabilità non sono fondate.
1.1. Ed invero le due conformi sentenze di merito, nel ritenere ascrivibil anche alla ricorrente la detenzione dei 2,679 kg. di cocaina sequestrati il settembre 2013 presso l’abitazione sita in Ceglie Messapica alla INDIRIZZO, hanno in primo luogo richiamato le intercettazioni compiute dal 28 giugno 2013 e comprovanti le trattative per la locazione del predetto immobile, formalmente intestato a NOME COGNOME, ma di fatto nella disponibilità di NOME COGNOME, con cui NOME COGNOME all’epoca aveva una relazione, pur essendo legata sentimentalmente a NOME COGNOME, in quel periodo detenuto.
Dai dialoghi captati (in particolare dal progr. 4060 del 19 luglio 2013) è emers che i preliminari contatti con il proprietario dell’abitazione, NOME COGNOME furono effettuati anche dalla COGNOME, che agiva in tal senso in sinergia con NOME (come desumibile anche dal progr. 3425 del 19 luglio 2013).
Parimenti significative sono state inoltre ritenute le conversazioni intercorse settembre 2013 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali, mentre erano in corso le perquisizioni presso due abitazioni nella disponibilità di NOME COGNOME, mostravano di avere contezza della loro cointeressenza negli affari illeciti, preoccupandosi i due di impedire agli operatori di P.G. di rinvenire le ch possedute da NOME COGNOME che consentivano di accedere all’immobile, dove il 20 settembre successivo è stato rinvenuto un ingente quantitativo di droga.
Ancor più eloquente è stato ritenuto l’episodio del 14 settembre 2014, giorno i cui la COGNOME effettuava una sosta con la sua auto presso l’appartamento ubicat in Ceglie Messapica alla INDIRIZZO, evidentemente al fine di prelevare dello stupefacente ivi custodito, che poi veniva consegnato dalla donna (che si trovava in compagnia di NOME COGNOME) a tale NOME COGNOME, risultando in tal senso convergenti i contenuti dei dialoghi (in particolare quelli di c progr. 1053 e 1054) e gli spostamenti dell’auto della COGNOME registrati dal G.P. Da ciò i giudici di merito hanno tratto la conclusione del sicuro coinvolgimento della COGNOME nella detenzione della droga rinvenuta sei giorni dopo in INDIRIZZO
Orbene, alla ricostruzione operata dai giudici di merito, fondata su una disamina razionale del materiale probatorio acquisito, la difesa ha contrapposto nel ricorso una lettura differente delle fonti dimostrative disponibili, operazione questa che non può tuttavia trovare ingresso in sede di legittimità, dovendosi ribadire il principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura deg elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
Di qui l’infondatezza delle censure sollevate in punto di responsabilità.
1.2. Ad analoga conclusione deve pervenirsi rispetto al secondo motivo. In ordine alla configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, infatti, il G.U.P. e la Corte territoriale ne hanno innanzitutto rimarcato la sussistenza dal punto di vista oggettivo, atteso che dalla relazione tecnica del AVV_NOTAIO NOME COGNOME è emerso che la sostanza (cocaina dal peso netto complessivo di 2,334 kg.) rinvenuta presso l’abitazione di INDIRIZZO conteneva un principio attivo pari a 2.021.111,107 mg., da cui erano ricavabili 13.474 dosi medie singole, pari a 2.694,8 volte la quantità massima detenibile. Quanto all’attribuzione dell’aggravante dal punto di vista soggettivo, i rapporti tra la COGNOME e NOME COGNOME e le cautele adottate dalla ricorrente hanno consentito di affermare che costei fosse a conoscenza dell’ingente quantità di droga detenuta nell’appartamento, avendo in tal senso i giudici di merito operato buon governo della condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 18049 del 14/04/2022, Rv. 283209), secondo cui, in tema di stupefacenti, ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante dell’ingente quantità, di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, è necessario che sia accertata, ai sensi dell’art. 59, comma secondo, cod. pen., la colpevolezza dell’agente in relazione alla predetta circostanza, per la quale è sufficiente la prova che questi l’abbia ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore dovuto a colpa.
1.3. E’ invece fondata la doglianza sul diniego delle attenuanti generiche. Ed invero i giudici di appello, pur premettendo che dei fatti descritti al capo 1 solo uno è specificamente ascrivibile alla COGNOME, hanno tuttavia escluso che vi fosse un comportamento processuale valorizzabile in positivo, non essendo tale la 64richiesta di concordato della pena, proposta ) condizioni tali da imporne il rigetto. Nondimeno, la Corte territoriale ha precisato che si è proceduto per un fatto che, per quanto grave, si è verificato quasi 10 anni prima, quando “la COGNOME era una
persona in una certa misura diversa da quella che è oggi” (pag. 7 della sentenza impugnata), il che ha indotto i giudici di appello, nella rideterminazione d trattamento sanzionatorio, a partire da una pena pari al minimo edittale.
Orbene, il percorso argomentativo della sentenza impugnata riguardante la mancata applicazione dell’art. 62 bis cod. pen. non si sottrae alle censure difensive, non potendosi innanzitutto ignorare il dato che la riduzione della pen nei confronti della COGNOME è scaturita essenzialmente dal ridimensionamento dell accuse a suo carico, essendo stata la ricorrente assolta dal capo 7 e da altri episodi a lei ascritti al capo 1, dovendosi a ciò aggiungere che la significat distanza temporale dai fatti, con le conseguenti ripercussioni sulla personali dell’autore del reato, costituisce elemento valorizzabile ai fini dell’event mitigazione della pena, soprattutto se correlato alla condotta successiva tenut dall’imputato, ciò non solo nell’ambito del singolo giudizio per cui si procede. Stante la ravvisata lacuna argomentativa rispetto al tema devoluto dalla difesa si impone pertanto l’annullamento della decisione impugnata in parte qua, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce, occorrendo un adeguato approfondimento in sede di merito in ordine alla verifica dei presupposti per la concessione delle attenuanti generiche, dovendosi a tal fine tenere conto delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall’interessat (cfr. in tal senso Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, dep. 2022, Rv. 282693). Stante l’infondatezza delle censure in punto di colpevolezza, rimane ferma, ex art. 624 cod. proc. pen., l’irrevocabilità delll’affermazione della pe responsabilità dell’imputata in ordine al residuo episodio di cui al capo 1.
In proposito, è stato innanzitutto sottolineato (pag. 6 della sentenza impugnat pag. 31 ss. della decisione di primo grado) che NOME è il fratello NOME COGNOME, per cui, sul piano logico, è oggettivamente inverosimile che quest’ultimo individuasse in un suo prossimo congiunto il fittizio intestatario contratto di locazione dell’appartamento, senza metterlo al corrente del reale sc del contratto stipulato con il proprietario NOME COGNOME, correlandosi tale ri con due fatti tr=1=fl sintomatici della consapevolezza della finalità della locaz in capo a NOME; questi, infatti, come si è visto, il 9 settembre 2013 con la COGNOME nelle fasi della perquisizione degli immobili nella disponibilità del fratello. Ancora, il ricorren 20 settembre 2013, ha assunto un atteggiamento di palese fiancheggiamento verso il fratello, informandolo della possibile presenza dei Carabinieri sotto l’abitazi
2. Passando alla posizione di NOME e iniziando dal primo motivo, occorre rilevare che la responsabilità concorsuale dell’imputato in ordine alla detenzio della droga custodita nell’appartamento sito in Ceglie Messapica.alla INDIRIZZO è stata adeguatamente argomentata nelle due conformi sentenze di merito. avuto un serrato confronto telefonico e de visu
avendo un contatto telefonico con suo figlio NOME COGNOME, da cui si evince che l’imputato aveva cercato di rallentare l’intervento dei militari in INDIRIZZO, come emerso dalle significative conversazioni di cui ai progr. 7143, 7154 e 7157 del 20 settembre 2013, riportate nella sentenza di primo grado alle pagine 43, 44 e 45.
A fronte di un apparato argomentativo coerente con le fonti dimostrative acquisite e non illogico, non possono trovare accoglimento le doglianze difensive, volte a riproporre una rivalutazione del materiale probatorio non consentita in questa sede.
2.1. Non meritevole di essere accolto è anche il secondo motivo.
Ed invero, richiamate le considerazioni esposte al § 1.2 circa la sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantità dal punto di vista oggettivo e i criteri di attribuzione della stessa dal punto di vista soggettivo, deve osservarsi che, rispetto alla posizione di NOME, la Corte di appello (pag. 7 della sentenza impugnata) ha ragionevolmente escluso che egli fosse all’oscuro che il quantitativo di droga custodito nell’appartamento presso all’uopo in locazione fosse ingente, posto che il suo tentativo di supportare il fratello sia il DATA_NASCITA che il 9 settembre 2013 è stato così pronto e deciso da far ritenere che egli curasse di scongiurare la scoperta di un fatto illecito di particolare gravità, non avendo del resto alcun senso la locazione dell’appartamento per custodirvi quantità modeste di stupefacenti.
Né appare ravvisabile una disparità di trattamento rispetto alla posizione del coimputato NOME, nei cui confronti l’aggravante in esame è stata esclusa in base alla peculiarità della propria posizione soggettiva e al tenore dei suoi rapporti con í concorrenti nel reato (cfr. pag. 12 della sentenza di primo grado).
2.2. Anche il terzo motivo del ricorso di NOME è privo di fondamento.
Nel disattendere la richiesta difensiva finalizzata al riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., la Corte territoriale ha infatti esclu che la partecipazione al reato dell’imputato fosse qualificabile in termini di minima rilevanza, essendosi la stessa sostanziata nella “fondamentale consapevole intestazione fittizia a sé, soggetto incensurato, di un appartamento destinato alla custodia di sostanza stupefacente e all’esercizio di attività di narcotraffico della coppia NOME NOME COGNOME” (pag. 7 della sentenza impugnata).
Tale impostazione risulta invero coerente con la condivisa e consolidata affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 26525 del 07/06/2023, Rv. 284771 e Sez. 4, n. 49364 del 19/07/2018, Rv. 274037), secondo cui, in tema di concorso di persone nel reato, per l’integrazione dell’attenuante della minima partecipazione di cui all’art. 114 cod. pen., non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve, rispetto all’evento, da risultare trascurabile
nell’economia AVV_NOTAIO del crimine commesso, il che è stato escluso nel caso specie con argomenti non illogici e dunque non censurabili in questa sede.
2.3. In conclusione, stante l’infondatezza delle doglianze sollevate, il ricor COGNOME deve essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai se dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Venendo infine alla posizione di COGNOME, occorre innanzitutto evidenziare, partendo dal primo motivo, che la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine al reato a lui ascritto al capo 17, avente oggetto tre distinti episodi del reato di cui all’art. 73, comma 1, del d.P. 309 del 1990, non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
3.1. Ed invero, sia pure in forma molto sintetica, la Corte di appello h richiamato le conversazioni intercettate che, al pari della localizzazione GPS del riferimento nei dialoghi captati al nome di battesimo di NOMENOMENOME, hanno consentito di identificare con certezza il ricorrente come fornitore abitual di droga della coppia COGNOME presso la sua abitazione di Oria.
Tale affermazione si innesta sulla ben più articolata ricostruzione della sentenz di primo grado (pag. 126-132), nella quale il G.U.P., riportando le singol intercettazioni, ha ripercorso più nel dettaglio la dinamica dei rapporti illecit COGNOME e la famiglia COGNOME nel periodo compreso tra l’8 e il 25 giugno 2013.
Con l’attenta disamina delle fonti probatorie operata dal G.U.P., richiamata e condivisa dalla Corte territoriale, il ricorrente, sia nell’atto di appello c ricorso per cassazione, ha mancato di confrontarsi adeguatamente, non potendosi sottacere peraltro che l’odierna impugnazione, oltre a rivelarsi no specifica, presenta palesi limiti di autosufficienza nel richiamo a elementi prova il cui contenuto non è stato né allegato né tantomeno riportato nel ricorso Non vi è quindi spazio per l’accoglimento delle censure in punto di responsabilità.
3.2. Immune da censure è anche il mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73 comma 5 del d.P.R. n. 309 del 1990 censurato con il secondo motivo. Sul punto occorre innanzitutto richiamare il costante orientamento di quest Corte (cfr. Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, Rv. 272529), secondo cui, in tema di stupefacenti, la valutazione dell’offensività della condotta non deve ess ancorata al solo dato della quantità di volta in volta ceduta, ma deve essere fr di un giudizio più ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimension oggettiva, avuto riguardo, in particolare, alle concrete capacità di azione soggetto e alle sue relazioni con il mercato di riferimento, all’entità della movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in esse condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell’o Tale approdo interpretativo è stato sviluppato ulteriormente dalle Sezioni Unite
questa Corte con la sentenza n. 51063 del 27/09/2018, Rv. 274076, ricorrente COGNOME, con cui si è precisato che la valutazione degli indici di lieve entità elencati dal comma 5 dell’art. 73 deve essere complessiva, il che significa abbandonare l’idea che gli stessi possano essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo o escludendo, cioè, la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri. Ma, allo stesso tempo, ciò significa anche che tali indici non devono tutti indistintamente avere segno positivo o negativo, nel senso che il percorso tracciato dal legislatore impone di considerare anche la possibilità che tra gli stessi si instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione in grado di consentire un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto, anche quando le circostanze che lo caratterizzano risultano prima facie contraddittorie in tal senso. Orbene, la Corte di appello si è posta in sintonia con tale impostazione, valorizzando, in senso ostativo al riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73 comma 5 del d.P.R. n. 309 del 1990, la pregnante circostanza che dai commenti espressi dai coniugi COGNOME (in particolare nella conversazione di cui al progr. 1802 dell’8 giugno 2013 diffusamente riportata a pag. 127 della decisione di primo grado) si evinceva che COGNOME fosse a loro ben noto per le forniture pregresse di droga e per le sue disponibilità economiche, essendosi cioè delineata la figura di un narcotrafficante ben inserito nel circuito criminale e capace di ricavare lauti guadagni dalla sua illecita attività (pag. 8 della sentenza impugnata).
A ciò i giudici di appello hanno aggiunto che i fatti contestati al capo 17 hanno riguardato tre forniture di cocaina, due di quantitativi imprecisati, la terza di 14,2 grammi, avvenute in favore di una coppia che, lungi dall’essere mera consumatrice della sostanza, era in realtà a sua volta dedita a un’intensa attività di narcotraffico. Di qui il rigetto della richiesta difensiva di riconoscere la lieve entità dei fatti.
Ora, a fronte di un apparato argomentativo non manifestamente illogico, non vi è spazio per recepire le censure difensive che, senza peraltro smentire gli elementi fattuali valorizzati dalla sentenza impugnata, prospettano differenti valutazioni di merito, che, come detto, esulano dal perimetro del giudizio di legittimità.
3.3. Ne consegue che anche il ricorso di COGNOME deve essere rigettato, da ciò conseguendo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, limitatamente giudizio sulla concedibilità delle circostanze attenuanti generiche, con rinvi nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce. Rigetta nel resto il ricorso di COGNOME NOME. Rigetta i ricorsi di COGNOME COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23/04/2024