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Concorso in spaccio: la Cassazione chiarisce i ruoli

La Corte di Cassazione si pronuncia su un caso complesso di traffico di stupefacenti, analizzando le diverse posizioni di tre imputati. La sentenza chiarisce i criteri per determinare il concorso in spaccio, rigettando le difese basate su un presunto ruolo marginale. Per una ricorrente, la Corte annulla con rinvio la decisione sulle attenuanti generiche, valorizzando il tempo trascorso dai fatti. Per gli altri due, i ricorsi sono rigettati, confermando le condanne per la detenzione di un ingente quantitativo di droga e per episodi di spaccio continuato.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in spaccio: quando la responsabilità si estende a chi collabora?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 35313/2024, offre un’analisi dettagliata sui confini del concorso in spaccio di sostanze stupefacenti, un tema di grande attualità e complessità. La pronuncia esamina i ricorsi di tre imputati, condannati in appello per reati legati alla droga, permettendo di chiarire quando un contributo, anche se non direttamente esecutivo, diventa penalmente rilevante. La decisione distingue nettamente i ruoli e le responsabilità, fornendo principi guida per la valutazione delle prove e delle circostanze attenuanti e aggravanti.

I fatti del caso

Il procedimento nasce da un’articolata indagine che ha portato al sequestro di un ingente quantitativo di cocaina (oltre 2,6 kg) in un appartamento. Tre figure principali sono coinvolte:
1. Una donna, all’epoca compagna di uno dei principali artefici del traffico, accusata di aver partecipato alla detenzione della droga.
2. Il fratello di quest’ultimo, intestatario fittizio del contratto di locazione dell’appartamento usato come deposito.
3. Un terzo soggetto, condannato per separati episodi di fornitura di stupefacenti a un’altra coppia di spacciatori.

La Corte d’Appello aveva confermato le condanne per il fratello e per il fornitore, mentre aveva parzialmente riformato la sentenza per la donna, assolvendola da alcuni capi d’imputazione e riducendo la pena per il reato residuo. Tutti e tre hanno proposto ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni di diritto.

L’analisi della Cassazione sul concorso in spaccio

La Corte Suprema ha esaminato singolarmente le posizioni dei tre ricorrenti, rigettando la maggior parte delle censure e confermando l’impianto accusatorio, salvo per un aspetto specifico riguardante le attenuanti generiche.

La posizione della compagna e le attenuanti generiche

Per la prima ricorrente, la Cassazione ha ritenuto infondate le censure sulla sua responsabilità penale. Le prove raccolte, tra cui intercettazioni e dati GPS, dimostravano un suo coinvolgimento attivo, come la partecipazione alle trattative per l’affitto dell’immobile e la gestione di una consegna di droga. Anche l’aggravante dell’ingente quantità è stata confermata, poiché le circostanze (rapporto con il compagno, cautele adottate) rendevano evidente la sua consapevolezza del grosso quantitativo detenuto.

La vera novità risiede nell’accoglimento del motivo relativo alle attenuanti generiche. La Corte ha ritenuto insufficiente la motivazione dei giudici di merito nel negarle, sottolineando come il notevole tempo trascorso dai fatti (quasi dieci anni) e l’ammissione della stessa Corte d’Appello che la donna fosse ‘una persona diversa da quella che è oggi’ fossero elementi da valorizzare. Per questo, la sentenza è stata annullata su questo punto con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello per una nuova valutazione.

Il ruolo del fratello e il concorso in spaccio

Il ricorso del secondo imputato, fratello del principale responsabile, è stato interamente rigettato. La sua difesa si basava sull’assenza di un contributo materiale diretto alla detenzione della droga. Tuttavia, la Cassazione ha ribadito che il concorso in spaccio si realizza anche con un contributo consapevole e causalmente rilevante. L’intestazione fittizia dell’appartamento, unita a comportamenti volti a proteggere l’attività illecita del fratello (come i tentativi di depistare le forze dell’ordine durante una perquisizione), è stata considerata una forma di partecipazione essenziale al reato. La Corte ha definito il suo ruolo come ‘fondamentale consapevole intestazione fittizia’, escludendo così sia la minima partecipazione (art. 114 c.p.) sia la non colpevolezza.

Il fornitore e l’ipotesi del fatto di lieve entità

Anche il ricorso del terzo imputato è stato respinto. La sua difesa mirava a far riconoscere la fattispecie del ‘fatto di lieve entità’ (art. 73, comma 5), sostenendo che le singole cessioni fossero di modesta quantità. La Corte ha ricordato il proprio consolidato orientamento, secondo cui la valutazione non può limitarsi alla singola cessione, ma deve considerare l’intera attività del soggetto: la sua capacità di approvvigionamento, le relazioni con il mercato, il numero di clienti e il protrarsi dell’attività nel tempo. Nel caso di specie, l’imputato era una figura ben inserita nel circuito criminale, capace di forniture regolari e di ricavare lauti guadagni, elementi incompatibili con la lieve entità del fatto.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha basato le sue decisioni su principi giuridici consolidati. In primo luogo, ha riaffermato che, a fronte di una ricostruzione logica e coerente da parte dei giudici di merito, non è possibile in sede di legittimità proporre una diversa lettura delle prove. Per quanto riguarda il concorso in spaccio, è stato chiarito che non è necessaria una partecipazione diretta all’atto materiale della cessione o detenzione, ma è sufficiente un contributo che agevoli o renda possibile la commissione del reato, con la consapevolezza di agire per uno scopo illecito. Infine, la valutazione delle circostanze, sia aggravanti (ingente quantità) che attenuanti (generiche, lieve entità), deve basarsi su un’analisi complessiva e non frammentaria di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del caso.

Le conclusioni

La sentenza 35313/2024 consolida l’interpretazione rigorosa della normativa sugli stupefacenti. Stabilisce che chi fornisce un supporto logistico essenziale, come l’intestazione di un immobile, partecipa a pieno titolo al reato di detenzione di droga, specialmente se consapevole della gravità dell’attività illecita. Al contempo, apre alla possibilità di valorizzare il tempo trascorso e il cambiamento di vita dell’imputato ai fini della concessione delle attenuanti generiche, imponendo ai giudici di merito una motivazione approfondita su questo specifico punto. Un monito chiaro a valutare ogni caso nella sua interezza, senza automatismi né in senso favorevole né sfavorevole all’imputato.

Quando un familiare che intesta fittiziamente un immobile commette concorso in spaccio?
Secondo la sentenza, il familiare commette concorso in spaccio quando la sua azione (l’intestazione fittizia) costituisce un contributo consapevole e fondamentale per la realizzazione del reato, ad esempio fornendo una base logistica sicura per la custodia della droga, e quando vi sono prove della sua consapevolezza riguardo la finalità illecita dell’utilizzo dell’immobile.

Il semplice passare del tempo è sufficiente per ottenere le attenuanti generiche?
No, il solo passare del tempo non è automaticamente sufficiente. Tuttavia, la sentenza stabilisce che una significativa distanza temporale dai fatti (in questo caso quasi dieci anni), unita a un evidente cambiamento nella personalità del reo, costituisce un elemento che il giudice di merito deve adeguatamente valutare e non può ignorare senza una solida motivazione contraria.

Come si valuta il ‘fatto di lieve entità’ in caso di spaccio continuato?
La valutazione non si basa sulla quantità della singola cessione, ma richiede un giudizio complessivo su tutti gli aspetti della condotta. Si devono considerare le capacità di azione del soggetto, le sue relazioni con il mercato della droga, l’entità totale della sostanza movimentata in un certo periodo e le modalità operative, per determinare se l’offensività complessiva del fatto sia minima.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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