Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 31668 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 31668 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/09/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 29 settembre 2023, la Corte di appello di Venezia ha riformato in parte la sentenza pronunciata il 18 ottobre 2018 – all’esito di giudizio abbreviato – dal G.u.p. del Tribunale della stessa città con la quale NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile, in concorso con NOME COGNOME (nei cui confronti si è proceduto separatamente), del reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 per aver occultato all’interno di un’auto, e trasportato da Meolo a Villorba, mezzo chilo di cocaina che fu materialmente consegnata a NOME COGNOME da NOME COGNOME (fatto del 17 gennaio 2015). La Corte di appello ha ritenuto applicabile ad NOME COGNOME l’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. e ha determiNOME la pena in anni due, mesi quattro di reclusione ed C 8.000,00 di multa (a fronte della pena di anni tre, mesi sei, giorni venti di reclusione ed C 12.000,00 di multa inflitta in primo grado).
Contro la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto tempestivo ricorso per mezzo del proprio difensore, cui ha conferito mandato ai sensi dell’art. 581, comma 1 quater, cod. proc. pen.
2.1. Col primo motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata, che sarebbe frutto di pedissequa riproduzione della sentenza di primo grado. La difesa sostiene che la Corte di appello non avrebbe risposto alle censure contenute nei motivi di gravame adagiandosi supinamente sul contenuto della sentenza di primo grado; a tal punto da averne riprodotto quasi integralmente il contenuto senza prendere autonomamente posizione sulle diverse questioni sollevate nell’atto di appello. In tesi difensiva, la sentenza impugnata non consentirebbe di comprendere le ragioni per le quali le critiche ai contenuti argomentativi della prima decisione sono state disattese.
2.2. Col secondo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per essere stata ritenuta la penale responsabilità dell’imputato, a titolo di concorso con NOME COGNOME, senza indicare in cosa sarebbe consistita la condotta concorsuale. In particolare, la sentenza impugnata sarebbe contraddittoria nella parte in cui afferma che NOME COGNOME avrebbe partecipato a tutte le fasi della cessione, ma esclude che sia stato lui a consegnare lo stupefacente al destinatario e riconosce che tale consegna fu eseguita da NOME COGNOME. La difesa si duole che, pur avendo attribuito ad NOME COGNOME un minimo contributo alla realizzazione della -condotta criminosa, applicando l’attenuante di cui all’art. 114 cod. proc. pen., la Corte territoriale abbia omesso di spiegare in che modo tale minimo contributo si sarebbe realizzato.
2.3. Con motivo aggiunto del 14 maggio 2024, il difensore del ricorrente ha sviluppato il secondo motivo del ricorso principale. La difesa osserva che, secondo i giudici di merito, quando parlavano di grappa, NOME e NOME COGNOME si riferivano a sostanza stupefacente, ma la sentenza impugnata ha contraddetto tale impostazione quando ha ipotizzato che nella vettura vi fosse «sia la droga nascosta in un sottofondo sia una bottiglia di grappa» (pag. 12 della motivazione). Sostiene, quindi, che il contenuto delle intercettazioni sarebbe stato travisato e alcuni indizi, di contenuto ambiguo, sarebbero stati illogicamente valorizzati per ritenere il dolo di concorso.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte . chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
2. Si deve premettere che una sentenza di appello non può essere censurata sol perché – come è avvenuto nel caso di specie – esamina i motivi di appello con criteri omogenei a quelli del primo giudice e opera frequenti riferimenti ai passaggi logicagiuridici della prima sentenza. In questi casi, infatti, poiché vi è concordanza tra i giudici del gravame e il giudice di primo grado nell’ analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado per formare un unico complessivo corpo argomentativo (cfr. tra le tante: Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata doveva confrontarsi con motivi di appello nei quali la difesa contestava l’interpretazione delle conversazioni intercettate fornita dalla sentenza di primo grado. È comprensibile, quindi, che, nel rispondere a tali censure, la Corte territoriale abbia ripreso le argomentazioni sviluppate dal Giudice di primo grado riportandone alcuni passaggi e valorizzandoli come idonei a confutare le censure proposte; né può desumersi dall’uso di questa tecnica espositiva la mancata autonoma valutazione delle emergenze probatorie da parte dei Giudici di appello.
Col secondo motivo e col motivo aggiunto la difesa deduce travisamento della prova e contraddittorietà della motivazione quanto all’affermazione della
penale responsabilità dell’imputato sotto il profilo della sussistenza del dolo di concorso.
La difesa non contesta che NOME COGNOME abbia compiuto il viaggio da Meolo a Villorba trasportando mezzo chilo di cocaina che consegnò a NOME COGNOME e neppure contesta che NOME COGNOME lo abbia accompagNOME in quel viaggio. Sostiene, però, che gli indizi raccolti sarebbero insufficienti a provare che l’imputato era consapevole dello scopo del viaggio. Secondo la difesa, peraltro, anche ritenendo provata tale consapevolezza, sarebbe stato necessario spiegare in che modo NOME COGNOME avrebbe contribuito alla condotta illecita del cugino NOME: una spiegazione che i giudici di merito non avrebbero fornito se non con affermazioni congetturali e contraddittorie.
La sentenza impugnata riferisce che, prima di partire, NOME COGNOME contattò telefonicamente NOME COGNOME chiedendogli se era «pronto per un bicchiere di grappa» e sostiene che, con questa espressione, egli faceva riferimento a sostanza stupefacente perché aggiunse «mio padre mi ha già portato una bottiglietta, ma adesso ne ho mezzo chilo». La sentenza di appello riferisce inoltre che, subito prima dell’inizio del viaggio, all’interno dell’auto usata per il trasporto, fu capt un dialogo ti -a NOME e NOME COGNOME nel quale il primo diceva al secondo: «apri un po’ quel posto lì … apri il nostro posto eroico». Dalla sentenza di primo grado (pagg. 17 e ss.) risulta che, ricevuta questa indicazione, NOME chiese al cugino: «ma non è che ci cade di sotto?» e fu rassicurato che ciò non sarebbe avvenuto; ma osservò che, per fare «qualcosa così», sarebbe stato meglio usare un garage e chiese ad NOME se non ne avesse uno. All’arrivo a Villorba, NOME chiese al cugino: «devo prendere anche questa?»; sentendosi rispondere: «sì dai, quella bottiglietta di grappa la devi prendere». NOME COGNOME precisò allora: «intendo prendere quella che hai lì, uomo» e NOME rispose: «no perché la prendo dopo».
Secondo i giudici di merito il riferimento alla grappa – che compare sia nella conversazione intercorsa tra NOME COGNOME e NOME, sia nella conversazione intercorsa tra NOME e NOME – rende evidente che l’imputato condivideva col cugino l’uso del medesimo linguaggio criptico. Le sentenze di primo e secondo grado non escludono che in macchina potesse esservi realmente anche una bottiglia di grappa, sostengono infatti che, forse anche per questo, NOME chiese chiarimenti ad NOME su ciò che doveva prendere e il cugino gli rispose di lasciare in macchina qualcosa che avrebbe preso lui in un secondo momento. Dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado risulta che, in effetti, nel pomeriggio, NOME COGNOME consegnò sostanza stupefacente a NOME e quella sostanza era ancora nella macchina (ad essa, quindi, alludeva NOME quando disse che l’avrebbe presa dopo). Alle 16:08, appena cinque minuti dopo la consegna (avvenuta alle 16:03), l’autovettura si mise in moto con a bordo NOME
e NOME COGNOME i quali presero a conversare tra loro di un sequestro di stupefacente eseguito dalle forze dell’ordine in danno di NOME, fratello di NOME (pagg. 18 e 19 della sentenza di primo grado).
La motivazione è congrua e non presenta profili di contraddittorietà o manifesta illogicità. Non è illogico, infatti, aver ritenuto che la grappa fosse realtà sostanza stupefacente atteso che, NOME COGNOME ne aveva ricevuto «mezzo chilo» e NOME COGNOME, nel ritirarla, disse che non sapeva come l’avrebbe divisa. Non è illogico aver ritenuto che NOME COGNOME abbia contribuito a occultare la sostanza in un doppio fondo presente nell’auto (chiese infatti se non ci fosse il rischio che quanto occultato cadesse «sotto» e osservò che sarebbe stato meglio fare questa operazione tenendo la macchina in garage). Non v’è contraddizione tra queste conclusioni e la constatazione che, nell’auto, poteva esservi anche una bottiglietta di grappa.
Dall’insieme di questi elementi, i giudici di merito hanno dedotto – e si tratta, ancora una volta, di deduzione non illogica né contraddittoria – che NOME COGNOME fosse consapevole dello scopo del viaggio e non si sia limitato ad accompagnare il cugino: lo abbia aiutato a nascondere lo stupefacente e sia stato presente alla consegna della sostanza. Ponendosi in questa prospettiva, la circostanza che sia stato NOME COGNOME a prendere accordi con NOME COGNOME e ad eseguire materialmente la consegna non vale ad escludere il concorso nel reato. Ed invero, come questa Corte di legittimità ha più volte affermato, «la distinzione tra l’ipotesi della connivenza non punibile e il concorso nel delitto, con specifico riguardo alla disciplina degli stupefacenti, va ravvisata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso di persone ex art. 110 cod. pen., è invece richiesto un consapevole contributo che può manifestarsi anche in forme che agevolino il proposito criminoso del concorrente, garantendogli una certa sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale poter contare» (Sez. 4, n. 34754 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280244; nello stesso senso: Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015, COGNOME, Rv. 265167; Sez. 3, n. 34985 del 16/07/2015, COGNOME, Rv. 264454). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Quanto esposto, consente di escludere che i giudici di merito abbiano omesso di valutare elementi probatori acquisiti nel processo e potenzialmente decisivi, sicché un travisamento della prova per omissione non è ipotizzabile (cfr. Sez. 6, n. 8610 del 05/02/2020, P., Rv. 278457). Neppure può ritenersi che siano state introdotte nella motivazione informazioni che non esistono nel processo. Non si può sostenere, quindi, che il dato probatorio sia stato trasposto in modo inesatto o distorto nel suo significato. Pertanto, le censure formulate dal ricorrente finiscono per esaurirsi nella richiesta di una rilettura degli elementi d
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prova, inammissibile nel giudizio di legittimità. L’art. 606, comma primo, lett. e) , cod. proc. pen. non consente, infatti, neppure dopo la modifica apportata dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, che, attraverso il richiamo agli “atti del processo”, possa esservi spazio per una rivalutazione dell’apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito. Come è stato opportunamente chiarito, inoltre: «il vizio di “contraddittorietà processuale” (o “travisamento della prova”) vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione ne ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di “fotografia”, neutra e avalutativa, del “significante”, ma non del “significato” atteso il persistente divieto di rilettura e di reinterpretazione nel meri dell’elemento di prova» (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370). È appena il caso di ricordare, infine, che l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Così deciso il 3 luglio 2024
Il Con ere estensore
Il Presidente