Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21241 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21241 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 13/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Napoli il 21/06/1973
avverso la ordinanza del 30/10/2024 del Tribunale del riesame di Napoli visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME sentite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, previa riqualificazione del sequestro di persona a scopo di estorsione in sequestro ex art. 605 cod. pen.;
udito l’avvocato NOME COGNOME in sostituzione dell’avvocato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Napoli in data 4 ottobre 2024 che applicava la custodia cautelare in carcere nei confronti di COGNOME NOME per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione aggravato, ex art. 416-bis 1. cod. pen., dal metodo mafioso.
Si contesta all’indagato, in concorso con altri, al fine di ottenere come prezzo della liberazione la corresponsione della somma di euro 375.000,00 relativa a un asserito debito che NOME COGNOME aveva nei confronti di NOME NOME, concorrente nel reato, di avere sequestrato COGNOME NOME e, in un momento successivo, il padre COGNOME NOME, i quali venivano, entrambi violentemente picchiati.
L’indagato, in particolare, faceva da vedetta all’esterno dell’abitazione ove era tenuto prigioniero e picchiato a sangue con mazze in ferro COGNOME NOME, si recava nella predetta abitazione per riferire alla persona offesa che tutto era finito e lo aiutava a vestirsi. Si contesta, altresì, all’indagato il reato di concorso in lesio aggravate perché, colpendo ripetutamente COGNOME in varie parti del corpo con mazze da baseball in ferro e in legno e con una mazzola, gli cagionava contusioni multiple al capo, al dorso, agli arti e ferite alla mano e al ginocchio, giudicate guaribili in 30 giorni. Con l’aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi del metodo mafioso derivante dalla partecipazione all’organizzazione camorristica clan COGNOME.
Avverso l’ordinanza ricorre per cassazione l’indagato deducendo i seguenti motivi:
2.1. Violazione di legge anche processuale e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza di gravità indiziarla circa il concorso di COGNOME nel sequestro di persona a scopo di estorsione e nel delitto di lesioni.
Difettano gli indicatori fattuali dai quali desumere che l’indagato fosse consapevole del sequestro in atto e del fatto che la liberazione della persona offesa era stata condizionata all’incameramento di un prezzo.
Le argomentazioni del Collegio della cautela non possono essere accolte perché muovono dal presupposto, allo stato indimostrato, che l’azione delittuosa era stata concertata da tutti i soggetti presenti in loco. La condotta del Moffa, come ricostruita nell’ordinanza impugnata, non risulta abbia apportato alcun contributo causale alla realizzazione dell’illecito. L’ordinanza impugnata presenta un profilo di contraddittorietà con riguardo ai compiti che l’indagato avrebbe svolto nel lasso di tempo durante il quale la persona offesa era stata privata della libertà
personale e picchiata. Ciò in quanto, mentre in uno dei primi passaggi motivi il Tribunale pare collocare COGNOME all’interno dell’abitazione ove si stava consumando il pestaggio, in un successivo passaggio il ricorrente viene descritto come soggetto che, al contrario, sicuramente non aveva presenziato al pestaggio, ma era entrato nell’appartamento solo dopo che COGNOME aveva finito di picchiare la persona offesa. Trattasi di vizio decisivo, giacché la contraddittorietà impone di espungere dal compendio dei gravi indizi l’argomento secondo il quale il ricorrente avrebbe agevolato i correi svolgendo la funzione di vedetta per l’intera durata del pestaggio.
2.2. Violazione di legge, anche processuale, e vizio di motivazione con riguardo alla qualifica del fatto storico in termini di sequestro a scopo di estorsione.
Il fatto previsto dall’art. 630 cod. pen., consiste in un sequestro di persona finalizzato, in termini di dolo specifico, a conseguire un ingiusto profitto come prezzo della liberazione. Ciò costituisce il dato specializzante rispetto al sequestro ordinario. Il dato centrale della tipicità del sequestro di persona ex art. 630 cod. pen. è, infatti, il dolo specifico costituito dallo scopo estorsivo.
Quindi, il distinguo tra le due fattispecie non dipende dall’intensità della violenza o della minaccia connotante la condotta ma dal fine perseguito dall’autore. Ciò significa che, quando il fine perseguito sia quello di far valere una pretesa illegittima, il reato configurabile non potrà che essere quello del sequestro di persona con finalità estorsiva; diversamente se l’agente priva la persona offesa della libertà di locomozione con l’intento di conseguire attraverso tale forma di costrizione violenta una pretesa legittima dovrà ritenersi integrato il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni in concorso formale con il reato di sequestro di persona semplice.
2.3. Violazione di legge, anche processuale, e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della aggravante del metodo mafioso.
Secondo il Tribunale, la condotta posta in essere da COGNOME che si era rivolto a COGNOME per ottenere la restituzione del credito che vantava nei confronti della persona offesa, proprio per l’appartenenza notoria di COGNOME al clan COGNOME costituiva tipica espressione del modo di operare della criminalità mafiosa. Ma in realtà, stando alla ricostruzione dell’ordinanza impugnata, che cade in palese contraddizione, COGNOME sarebbe stato indotto a pagare quanto dovuto non in forza della pressione psicologica determinata dalla consapevolezza di avere di fronte esponenti della criminalità mafiosa, ma per effetto del brutale pestaggio subito.
2.4. Violazione di legge, anche processuale, e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari.
Proprio la condotta tenuta dell’indagato, il quale è entrato nell’appartamento dopo che COGNOME aveva terminato di picchiare la persona offesa e la aveva aiutata a vestirsi dicendole che era tutto finito, consente di ritenere lo stesso non pericoloso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
2.11 primo motivo non coglie nel segno.
Occorre premettere che, in tema di concorso di persone nel reato, l’azione unica posta a carico di tutti i concorrenti ricorre solo se la condotta compiuta da ciascuno rientri, anche in senso lato, nell’attuazione dell’impresa concordata, sicché la sola presenza sul luogo del delitto può costituire concorso solo qualora il correo abbia la coscienza e la volontà dell’evento da altri cagionato e, in qualsiasi modo, abbia partecipato all’azione o comunque facilitato l’esecuzione della stessa. (Sez. 5, n. 13201 del 01/02/2024, Vilona, Rv. 286218-01).
Inoltre, stante la struttura unitaria del reato concorsuale, allorché si realizza la combinazione di diverse volontà finalizzate alla produzione dello stesso evento, ciascun compartecipe è chiamato a rispondere sia degli atti compiuti personalmente, sia di quelli compiuti dai correi nei limiti della concordata impresa criminosa, per cui, quando l’attività del compartecipe si sia estrinsecata e inserita con efficienza causale nel determinismo produttivo dell’evento, fondendosi indissolubilmente con quella degli altri, l’evento verificatosi è da considerare come l’effetto dell’azione combinata di tutti i concorrenti, anche di quelli che non hanno posto in essere l’azione tipica del reato (Sez. 2 , n. 51174 del 01/10/2019, COGNOME, Rv. 278012 – 01).
E, infine, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un contributo partecipativo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, che si realizza anche solo assicurando all’altro concorrente lo stimolo all’azione criminosa o un maggiore senso di sicurezza, rendendo in tal modo palese una chiara adesione alla condotta delittuosa (Sez. 5, n. 2805 del 22/03/2013 dep. 21/01/2014-, COGNOME, Rv. 258953 – 01).
2.1.11 Tribunale del riesame si è correttamente adeguato a tali principi di diritto, evidenziando con chiarezza in cosa sia consistito il contributo causale dell’indagato alla verificazione dell’evento.
In particolare, l’ordinanza impugnata ha puntualmente evidenziato che la sequenza delle immagini videoregistrate consentiva di ritenere che il ricorrente, dopo avere effettuato un sopralluogo a bordo del proprio scooter, precedendo l’autovettura a bordo della quale, verosimilmente, viaggiava il principale artefice della brutale aggressione, COGNOME Nicola (al quale era evidentemente legato dal punto di vista criminale), avrebbe avvertito costui della presenza dei carabinieri (a riprova della piena consapevolezza del proposito criminoso del predetto).
Inoltre, si è evidenziato, che COGNOME, svolgendo quantomeno la funzione di vedetta per l’intera durata del pestaggio, aveva concorso nella efferata azione criminosa mettendo anche il proprio scooter a disposizione, dapprima di COGNOME NOME – che lo utilizzava per allontanarsi brevemente dal luogo del pestaggio e, verosimilmente, partecipare al prelievo del padre della persona offesa- e, successivamente, dello stesso COGNOME che, a bordo di tale motociclo, risultava avere lasciato il luogo del pestaggio.
Il Tribunale del riesame ha, poi, rimarcato che COGNOME Pietro aveva riconosciuto COGNOME come il soggetto che, pur non avendo presenziato al pestaggio, era entrato nell’appartamento dopo che COGNOME NOME aveva finito di picchiarlo e lo aveva aiutato a vestirsi dicendogli che era tutto finito e che dovevano andare via.
E, infine, si è sottolineato che COGNOME, dopo avere posto in essere il furioso pestaggio, si era allontanato, sempre a bordo del motorino di Moffa, e che le telecamere avevano ripreso il bacio di saluto tra lui e COGNOME.
Quanto sopra è stato, con motivazione immune da vizi sindacabili in questa Sede, ritenuto dai Giudici del riesame espressione della consapevolezza e della adesione del ricorrente al proposito criminoso di Rullo e di Madonna.
È infondato anche il secondo motivo, avente ad oggetto alla qualifica del fatto storico in termini di sequestro a scopo di estorsione.
3.1.Deve evidenziarsi che il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione si distingue da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona, posto in essere in concorso con il sequestro di persona, non già in base alla intensità della violenza o della minaccia che connota la condotta, bensì in ragione del fine perseguito dal suo autore che, nel primo caso, è volta al conseguimento di un profitto ingiusto, e, nell’altro, alla realizzazione, con modi arbitrari, di una pretesa giuridicamente azionabile. L’ingiusto profitto sussiste sia nel caso in cui il vantaggio ricercato dal reo coincide con il prezzo della liberazione sia nel caso in cui detto vantaggio derivi dall’esecuzione di un pregresso rapporto illecito con la vittima del reato, trattandosi di una pretesa non tutelabile dinanzi
all’autorità giudiziaria (cfr. Sez. 6, n. 58087 del 13/09/2017, COGNOME, Rv. 271963 – 01).
Pertanto, ai fini della qualificazione di un fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone oppure come estorsione, è preliminare la verifica della tutelabilità dinanzi all’autorità giudiziaria del prete diritto alla cui soddisfazione l’azione del reo era diretta, giacché tale requisito deve ricorrere per la configurabilità del primo, mentre, se manca, determina la qualificazione del fatto alla stregua del secondo.
3.2.La pronuncia sopra citata si pone in termini di assoluta compatibilità con quanto statuito dalla sentenza SU COGNOME, secondo la quale il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all’elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 02).
E’, quindi, configurabile il concorso formale tra le condotte di sequestro di persona ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni sulla base del fatto che le norme violate proteggono beni giuridici diversi il che osta a ritenere il concorso apparente di norme (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668) e integra il delitto di sequestro di persona, in concorso con quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni – e non il diverso reato di cui all’art. 630 cod. pen – la privazione, temporalmente limitata, della libertà di una persona, finalizzata a conseguire una legittima pretesa.
Occorre, a questo, punto, chiedersi se recuperare gli oltre 300.000 euro dei quali la persona offesa, per sua ammissione, era debitrice, costituiva o meno una pretesa legittima e, quindi, giuridicamente azionabile oppure no.
Ritiene il Collegio che il debito di cui sopra (del quale non è neppure chiara la cifra di denaro dovuta dalla persona offesa) non risulti in alcun modo documentato dalla parte che aveva interesse a farlo. Inoltre, NOME COGNOME ha dichiarato che il figlio era molto preoccupato perché aveva contratto debiti con tale NOME NOME, con il quale era solito acquistare abiti, scarpe e scooter per poi rivenderli a terzi; il figlio gli aveva, inoltre, riferito che aveva proposto un “affare” a NOME, il quale aveva investito una rilevante somma di denaro. In conclusione, non è per nulla certa la giuridica azionabilità del credito asseritamente vantato dall’indagato.
La grave incertezza relativa alla causale si aggiunge a quella riguardante l’effettiva entità del credito vantato in relazione alla sua integrale corrispondenza a una causale lecita.
In tale situazione di assoluto dubbio, alla speciale veemenza del comportamento violento o minaccioso potrà, pertanto, riconoscersi valenza di elemento sintomatico del dolo di estorsione.
Questa Corte è, infatti, ferma nel ritenere, in generale, che la prova del dolo, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ha natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente (Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, COGNOME, Rv. 241339; Sez. 1, n. 35006 del 18/04/2013, COGNOME, Rv. 257208; Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275012).
Con specifico riferimento al tema in esame, come precisato nella sentenza SU COGNOME «le forme esteriori della condotta, e quindi la gravità della violenza e l’intensità dell’intimidazione veicolata con la minaccia, non sono momenti del tutto indifferenti nel qualificare il fatto in termini di estorsione piuttosto che di eserci arbitrario ai sensi dell’art. 393 cod. pen.», ben potendo quindi costituire indici sintomatici di una volontà costrittiva, di sopraffazione, piuttosto che di soddisfazione di un diritto effettivamente esistente ed azionabile nell’intero ammontare rivendicato.
4. Il terzo motivo, avente ad oggetto la sussistenza del metodo mafioso è privo della necessaria specificità (reiterando doglianze già compiutamente disattese dal Collegio del riesame, in difetto del compiuto riferimento alle argomentazioni contenute in proposito nel provvedimento impugnato) e manifestamente infondato. L’ordinanza impugnata – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha argomentato la contestata statuizione valorizzando la condotta posta in essere da NOME, che si era rivolto a COGNOME NOME, fratello della suocera, per ottenere la restituzione del credito asseritamente vantato nei confronti di COGNOME NOME, proprio per la sua notoria appartenenza al clan COGNOME – come comprovata dalle argomentazioni evidenziate dalla richiamata ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Napoli -, condotta che rientra in quella tipica della criminalità di stampo mafioso che è solita convocare davanti a una persona di rispetto il soggetto che deve essere spinto con ogni mezzo ad adempiere a un impegno costituito, nel caso di specie, dalla corresponsione della somma dovuta a NOME.
Il Collegio della cautela sottolinea, puntualmente, l’intervenuta formulazione di minacce allusive di chiaro stampo mafioso, formulate dagli aggressori alla presenza del ricorrente, che mostrava, all’evidenza, di aderirvi (facendo da vedetta all’abitazione all’interno della quale si stava svolgendo il brutale pestaggio e entrando al termine dello stesso per vestire e portare via il più velocemente possibile la vittima).
5.L’ordinanza fornisce, infine, adeguata motivazione anche in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, avendo riguardo al precedente per tentato
omicidio e alla gravità della condotta dell’indagato, in assenza di elementi attestanti il venire meno e l’affievolimento delle stesse.
6.11 ricorso va, pertanto, rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 13/02/2025