Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25360 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25360 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a AVERSA il 05/12/1963 NOME nata a NAPOLI il 02/02/1965
avverso la sentenza del 28/11/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, letto il provvedimento impugnato e i ricorsi degli Avvocati COGNOME
COGNOME e NOME COGNOME
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni di cui alla requisitoria del Pubblico ministero, nella persona della Sostituta P.G. NOMECOGNOME
Ricorsi trattati in camera di consiglio con rito cartolare.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME e NOME a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, ricorrono per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli del 28/11/2024, con cui è stata confermata la sentenza del Tribunale di Napoli Nord che ha condannato gli imputati alla pena di giustizia in orine ai reati loro rispettivamente ascritti.
Le difese affidano i ricorsi a diversi motivi che, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Ricorso COGNOME Raffaele.
3.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 110, 112 e 648-bis cod. pen.
Si lamenta che la Corte di appello non abbia adeguatamente motivato sul concorso del ricorrente nel delitto di riciclaggio e, dunque, in ordine sia alla prova di un accordo a commettere il delitto contestato sia degli elementi oggettivi e soggettivi di tale reato. Carente, si aggiunge, è la motivazione riguardo alla prova che la condotta del ricorrente abbia contribuito all’azione delittuosa da altri posta in essere. In particolare, seppur la sentenza impugnata aveva disatteso la tesi difensiva secondo cui il ricorrente si sarebbe inconsapevolmente prestato ad intestarsi l’autovettura per mera cortesia nei confronti della coimputata, suocera di sua figlia, non aveva però spiegato logicamente in forza di quali ulteriori dati processuali emergerebbe una condotta fattiva di concorso nel riciclaggio da parte dell’imputato. Né il ruolo di concorrente poteva ricavarsi dalla circostanza che la p.o. NOME NOME, al quale l’auto era stata poi venduta, avesse riferito che parte del ricavato della vendita fosse stato al ricorrente consegnato, dovendosi tale importo ricondurre alla promessa di un piccolo guadagno che egli avrebbe ricevuto per la cortesia di essersi prestato a farsi intestare un’autovettura di fatto nella pertinenza esclusiva della coimputata, unica terminale dei pagamenti della p.o., la quale, in combutta con il figlio (NOME NOME) portò avanti le trattative con l’acquirente. Parimenti privo di rilievo era il tema della nazionalizzazione dell’autovettura, tenuto conto il mezzo era di pertinenza esclusiva della NOME e che il NOME NOME era colui che si era occupato di reperire il veicolo e provveduto ad effettuare tutte le operazioni. La carenza di elementi a sostegno del concorso determinava conseguenti ricadute in termini di assenza di prova della coscienza e volontà di concorrere da parte del ricorrente nel delitto di riciclaggio compiuto da altri.
3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica dei fatti così come accertati, e cioè il riciclaggio dell’autovettura, dal
momento che la sentenza avrebbe dovuto ritenere, al più, configurabile in capo al ricorrente il reato di acquisto di cose di sospetta provenienza ex art. 712 cod. pen., oppure il delitto di ricettazione, non essendo stata acquista la prova che il ricorrente abbia in concorso provveduto materialmente a manomettere l’autovettura rubata.
Dalla condotta di mero intestatario, poi, non poteva farsi discendere la condanna per concorso in riciclaggio, risultando l’imputato del tutto estraneo, per come affermato sia dal COGNOME NOME che dal COGNOME NOME, alla trattativa per la cessione dell’autovettura, nonché quanto al prezzo, prima concordato e, poi, corrisposto dalla p.o. per il tramite del figlio di NOME. Si aggiunge che il ricorrente è risultato estraneo anche al tentativo operato dalla COGNOME e dal COGNOME – dopo essere stati scoperti – di riciclare l’autovettura che la p.o. aveva loro dato in permuta per l’acquisto, anziché a questa restituirla. Semmai, per come prospettato dalla difesa si era tutt’al più al cospetto di un’ipotesi di incauto acquisto o di concorso in ricettazione.
3.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla prova del concorso del ricorrente nel delitto di truffa per mancanza dell’elemento di fattispecie costituito dall’ingiusto profitto.
Il ruolo minimale di semplice intestatario dell’autovettura ridondava anche in punto di sussistenza del delitto di truffa, da escludersi nei confronti del ricorrente in assenza dell’ingiustizia del profitto, in quanto l’intera somma per l’acquisto dell’autovettura fu devoluta alla Mercede NOME, laddove all’imputato fu consegnata soltanto una piccola somma che rappresentava un “regalo” per essersi intestato l’auto.
Peraltro, deponeva nel senso dell’estraneità dell’imputato alla truffa non solo l’estraneità del ricorrente al tentativo di riciclaggio dell’auto data in permuta dalla p.o., ma anche la circostanza che al risarcimento del danno in favore della p.o. avesse poi provveduto la coimputata, a dimostrazione che soltanto questa era la “beneficiaria” dell’unica condotta illecita posta in essere a carico del COGNOME NOME.
3.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, non adeguatamente motivato.
Si lamenta che la mancata concessione delle attenuanti generiche sia stata fondata unicamente sui precedenti penali annoverati dall’imputato, risalenti ad oltre 40 anni fa, disattendendo gli elementi circostanziali favorevoli indicati dalla difesa, incentrati sull’assenza di gravità della condotta in funzione del ruolo minimale svolto.
Ricorso di NOME
4.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 110, 112
e 648-bis cod. pen. Si lamenta che la Corte di appello non abbia adeguatamente motivato sul concorso della ricorrente nel delitto di riciclaggio e, dunque, in ordine sia alla prova di un accordo a commettere il delitto contestato sia della ricorrenza degli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie. La censura investe la motivazione con cui la Corte territoriale ha escluso la verosimiglianza della tesi difensiva secondo cui la ricorrente fosse estranea al delitto contestato. Non convincenti erano gli argomenti addotti a sostegno della conclusione raggiunta dalla sentenza impugnata che la difesa passa specificamente in rassegna nel motivo di ricorso.
4.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, non adeguatamente motivato.
Troppo poco era il riferimento alla gravità della condotta, al profitto conseguito e all’assenza di resipiscenza, a fronte, invece, di elementi positivi quali l’assenza di precedenti penali e l’aver provveduto alla restituzione della somma all’epoca versata dalla p.o. per l’acquisto del veicolo.
La P.G. presso questa Corte, con requisitoria del 23 maggio 2025, ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
Ricorso COGNOME Raffaele.
2.1-2.2. I primi due motivi, inerenti all’affermazione della responsabilità a titolo di concorso del ricorrente nei reati di riciclaggio e truffa (capi A e B) e, inoltre, alla qualificazione giuridica del fatto di cui al capo A), si prestano ad una trattazione congiunta in quanto tra di loro strettamente connessi.
Entrambi i motivi, per come condivisibilmente evidenziato nella puntuale requisitoria del P.G. presso questa Corte della quale il Collegio condivide il contenuto e al quale può farsi integrale riferimento, non sembrano confrontarsi adeguatamente con l’analitica motivazione della decisione impugnata e con la corretta applicazione della cornice ermeneutica in tema di riciclaggio e di concorso di persone nel reato, laddove si è ritenuto che i ricorrenti abbiano consapevolmente contribuito all’immissione sul mercato, in funzione della vendita di un’auto di provenienza furtiva “resa clone di altra automobile dello stesso tipo circolante in Germania, apparentemente nazionalizzata ma, in realtà, mai importata in Italia” (cfr. p. 3, 4 per i riferimenti alla sentenza di primo grado e p. 6 ss. per la decisione conforme di secondo grado).
In primo luogo, vanno richiamati gli orientamenti della Corte di legittimità con
riguardo al delitto di riciclaggio, essendosi affermato:
che il reato di riciclaggio è un reato a forma libera, il cui comportamento costitutivo può comprendere una serie di atti distinti, anche legali di per sé, svolti in momenti diversi, purché siano collegati in modo unitario all’obiettivo comune di occultare l’origine illecita del denaro, dei beni o di altre utilità. In questa situazione si configura un unico reato a formazione progressiva, che si conclude con l’ultima delle operazioni compiute (così, a recente conferma, Cassazione penale Sez. 2, n. 10927 del 05/03/2024, Sez. 2, n. 52645 del 20/11/2014, Montalbano, Rv. 261624 – 01);
che “integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere” (Sez. 2, n. 3397 del 16/11/2012 – dep. 23/01/2013, COGNOME, Rv. 254314 – 01).
che si ha riciclaggio ogniqualvolta si attuino operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza del bene, attraverso una attività che, con riferimento al caso dei veicoli, impedisce il collegamento delle stesse con il proprietario che ne è stato spogliato, in ciò distinguendosi dal delitto di ricettazione” (cfr., tra le altre, Sez. 2, 15/06/2021, n. 35439, COGNOME, Rv. 281963 – 01 secondo la quale integra riciclaggio già lo smontaggio del veicolo “con separazione fisica tra il veicolo inteso nella sua completezza funzionale ed alcuni pezzi dello stesso (in particolare la targa) indubbiamente idonei ad identificarne la provenienza”);
che configura il riciclaggio, l’asportazione dei dati identificativi del veicolo, quali, oltre alla targa, il numero di telaio e la targhetta identificativa del veicolo, con apposizione del telaio di altro veicolo (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 1750 del 09/12/2020, COGNOME, non mass.), e collocazione di altra targa rispetto a quella originaria (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 8788 dell’11/01/2019, COGNOME, non mass.);
che integra il reato di riciclaggio, in luogo della violazione amministrativa di cui all’art. 97 c.d.s., la condotta del soggetto che, ricevuto un ciclomotore o altro veicolo di provenienza delittuosa per il quale è necessaria, ai fini della legittima circolazione, la dotazione di una targa, vi apponga una targa di sua proprietà, appartenente a diverso veicolo, in quanto attraverso tale condotta si produce l’effetto di ostacolo all’identificazione della provenienza del bene, che la norma intende sanzionare (così Sez. 2, n. 39702 del 17/05/2018, Gallo, Rv. 273899 01; nello stesso senso, Sez. 2, n. 56391 del 23/11/2017, COGNOME, Rv. 271553 – 01).
Alla luce dei principi di diritto affermati e venendo al caso in esame, dal punto
di vista materiale va ricondotta nell’alveo del riciclaggio e non in quello della ricettazione o dell’incauto acquisto, la pratica della nazionalizzazione del veicolo avvalendosi di documenti tedeschi contraffatti, in quanto sia condotta strumentale eziologicamente necessaria a creare il “clone” e a consentirne l’offerta in vendita, quanto idonea ad ostacolarne l’individuazione della provenienza delittuosa.
Si è al cospetto, infatti, di una condotta che non si esaurisce nella mera ricezione del bene, ma si nutre di un quid pluris, costituito, per come poc’anzi accennato, di un’attività materiale causalmente idonea a consentirne sia la circolazione e, dunque, la sua rimessione sul mercato.
Inoltre, detta attività si presta anche ad assumere valenza causale ai fini della successiva truffa, in quanto costituisce l’antecedente necessario per rendere la res oggetto di negozi giuridici asseverando l’apparenza della sua provenienza lecita.
Infatti, la concezione unitaria del concorso di più persone nel reato, recepita nell’art. 110 cod. pen., consente di ritenere che l’attività costitutiva della partecipazione può essere rappresentata da qualsiasi contributo, di carattere materiale o psichico, la cui prova può essere fornita anche in via logica o indiziaria, mediante elementi dotati di sicura attitudine rappresentativa che involgano sia il rapporto di causalità materiale tra condotta e evento che il sostrato psicologico dell’azione.
Tanto in conformità all’unitarietà del “fatto collettivo” realizzato, “che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, con giudizio di prognosi postuma, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli agenti” (così, di recente, ma con rinvii a giurisprudenza risalente, Sez. 2, n. 48276 del 24/11/2022, COGNOME, Rv. 284922 – 01, ove subito dopo si legge che “Pertanto, per la configurabilità del concorso di persone è necessario e sufficiente che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato”).
E tali puntualizzazioni, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, paiono correttamente applicati al caso in esame, con individuazione anche dello specifico ruolo svolto dal COGNOME nella nazionalizzazione del clone (p. 3, 6 e 7 in part.) che in ragione anche della valenza recessiva – stante la loro contraddittorietà delle spiegazioni rese dai protagonisti della vicenda e dei legami di carattere familiare e personale esistenti, ha consentito di leggere quei contatti, quelle relazioni e il l’oro successivo svolgimento nell’ambito di un previo ordito concorsuale in cui ciascuno ha consapevolmente svolto la sua parte.
A fronte di tale ricostruzione, il primo motivo di ricorso finisce per reiterare le
doglianze, già adeguatamente confutate dalla sentenza impugnata, incentrate sulla tesi difensiva del ruolo di semplice e ignaro intestatario fittizio del veicolo in capo al ricorrente (p. 6 e 7), senza individuare decisive lacune o manifeste illogicità nella trama argomentativa.
E ciò, soprattutto ove si abbia riguardo – nel contesto dell’analitico apprezzamento dei plurimi aspetti della tesi difensiva, a seconda dei casi smentita dallo stesso imputato o inverosimile (p. 6-7 cit.) – alla congrua valorizzazione di due elementi logici:
l’assenza di adeguata spiegazione in merito alla provenienza del veicolo da parte del COGNOME (p. p. 6, per il riferimento a non documentato acquisto del veicolo da tale COGNOME Nicola, senza “lasciare alcuna traccia documentale della compravendita e del pagamento del corrispettivo”);
b) al ruolo dello stesso nella vendita del veicolo, nella fase in cui egli partecipa alla spartizione del provento della vendita (p. 6 con riferimento anche a p. 3), elemento che è stato coerentemente letto anche con l’iniziale coinvolgimento nella vicenda del ricorrente di cui dà atto il Tribunale, precisando che anche all’imputato, unitamente al NOME COGNOME presentatosi come il figlio della coimputata, si deve l’aver intavolato l’iniziale trattativa con la p.o. che logicamente necessitava di un veicolo apparentemente idoneo alla vendita (v. pag. 7).
A nulla così valendo che poi la trattativa, inizialmente interrotta sul prezzo, sia poi ripresa e conclusa in forza dell’opera di persuasione svolta dal Ma isto, posto che la vendita dell’auto si avvale in tutto e per tutto del contributo causale, di carattere rafforzativo, antecedente prestato dall’imputato, il quale risulta poi presente, insieme ai complici, non solo alla ripartizione del prezzo ricavato dalla vendita all’ignara p.o. che confidava sulla bontà dell’acquisto tanto da dare anche in permuta la propria autovettura, ma anche al momento precedente volto a formalizzare il passaggio di proprietà dell’auto
Del resto, che ci si trovasse sin dall’inizio ad un programmato ordito truffaldino è altresì confermato dal comportamento successivamente tenuto dagli altri soggetti coinvolti nella vicenda se si considera che le sentenze di merito precisano che la Mercede, non solo si guardò bene dal restituire, come promesso, l’auto che la p.o. aveva dato in permuta allorché quella venduta fu sequestrata dalla p.g., ma che il veicolo venne rinvenuto dagli operanti parzialmente smontato e privo di paraurti. Comportamento che mail si concilia con l’ipotesi di trovarsi al cospetto di ignari venditori di beni clonati da terzi.
E che il ragionamento indiziario sia corretto, con la congrua valutazione degli elementi sinora sintetizzati e, in particolare, dell’assenza di una spiegazione alternativa plausibile, si desume dal richiamo al principio affermato dalla Corte di legittimità, secondo cui «In tema di libero convincimento, al giudice non è precluso
di valutare la condotta processuale dell’imputato coniugandola con ogni altra circostanza sintomatica, con la conseguenza che egli ben può considerare, in concorso di altri elementi, la portata significativa del silenzio serbato su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo» (così, Sez. 4, n. 28008 del 19/06/2019, Arena, Rv. 276381 – 01), ovvero che va riconosciuta al giudice «la possibilità di trarre argomenti di prova anche dalle giustificazioni manifestamente infondate dell’imputato, ma solo in presenza di univoci elementi probatori di accusa, talché è chiaro che l’utilizzazione di quelle giustificazioni assume un carattere residuale e complementare» (ex multis, Sez. 6, n. 15255 del 19/02/2020, Prota, Rv. 278878 – 01, che ha notato, in motivazione che a differenza dell’alibi “fallito”, può avere una valenza indiziante l’alibi “costruito”, perché indicativo di una maliziosa preordinazione difensiva, salvo restando che lo stesso va pur sempre valutato in relazione alla situazione processuale concreta ed in correlazione con gli altri elementi indiziari; conf. Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, in motivazione; da ultimo, Sez. 1, n. 20136 del 14/02/2025, Scalese, non mass.).
In conclusione, la sentenza impugnata non si espone ai vizi di legittimità denunziati, finendo per sottoporre alla Corte di legittimità alternative di merito non solo non scrutinabili in questa sede, ma che si pongono in inconciliabile contrasto con la coerente ricostruzione dei fatti a cui sono pervenuti i giudici di merito, scevra da vizi logici.
2.3. Incensurabile risulta il diniego delle attenuanti generiche, stante la compiuta e non manifestamente illogica motivazione resa sul punto dalla sentenza impugnata, la quale – a fronte, peraltro, di un motivo di appello generico sul punto – ha valorizzato indici decisivi di disvalore attinenti tanto alla gravità del reato che alla pericolosità sociale dell’imputato. Peraltro, a quest’ultimo proposito, va sottolineato che il richiamo ai precedenti penali dell’imputato, di cui la difesa in questa sede lamenta l’inconferenza in quanto sarebbero risalenti nel tempo, si giustifica in relazione al motivo di appello con cui la stessa difesa aveva indicato il ricorrente come “non gravato da alcun precedente penale”. Peraltro, in conformità alla diffusa giurisprudenza di legittimità citata dalla Corte territoriale, deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 c.p. (Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258410; Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Urrata, Rv. 211582 – 01).
3. Ricorso di NOME.
3.1. Il primo motivo, avente ad oggetto l’accertamento della responsabilità a titolo di concorso nei delitti contestati, sembra esaurirsi nella reiterazione delle deduzioni, relative alla tesi difensiva della COGNOME, anch’esse oggetto di adeguata confutazione da parte della sentenza impugnata, rispetto alla cui motivazione non sono state individuate lacune o manifeste illogicità.
Con particolare riguardo alla censura inerente al rilievo della documentazione difensiva prodotta in appello – che avrebbe dovuto dimostrate l’esistenza di un debito preesistente che il COGNOME avrebbe dovuto onorare nei suoi confronti, ragione che l’aveva portata a sollecitare il coimputato a vendere l’auto, di cui sconosceva la provenienza delittuosa – dalla lettura della sentenza impugnata (v. pag. 7 e 8) risulta che la Corte d’appello, lungi dall’aver svalutato la valenza della documentazione sul mero dato della tardiva allegazione, benché già in possesso della parte sin dall’instaurazione del procedimento penale, ha spiegato anche le ragioni per cui la stessa risulta inattendibile nella sua portata dimostrativa, attraverso l’indicazione di plurime ragioni che logicamente convergono nel senso della scarsa credibilità delle sue affermazioni.
Peraltro, per come evidenziato dalla P.G. nella requisitoria, non è consentita in sede di legittimità la contestazione delle massime di esperienza utilizzate dalla Corte territoriale in sede di confutazione della tesi difensiva con riguardo all’asserito prestito non accompagnato dall’elargizione della somma ai diretti interessati. Invero, si è ripetutamente affermato che non è sindacabile la scelta da parte del giudice del merito delle massime di esperienza, purché esse «non si risolvano in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze e parametri riconosciuti e non controversi» (Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 281385 – 01; Sez. 5, n. 25616 del 24/05/2019, COGNOME, Rv. 277312 – 01; da ultimo, Sez. 4, n. 36524 del 20/05/2021, Murgia, non mass.).
Pertanto, generica e non manifestamente infondata è la deduzione difensiva relativa all’assenza di prova – nella ricostruzione della decisione impugnata – del concorso nel reato e del contributo nello stesso della ricorrente. Tali profili si ricavano compiutamente dalle complessive caratteristiche delle vicende delittuose in esame che vede la ricorrente partecipare ai momenti significativi della filiera illecita: viene, infatti, indicata come presente al passaggio di proprietà del veicolo e al momento della suddivisione del ricavato; alla medesima vengono intestati sia l’assegno dell’auto consegnata in permuta dalla p.o. sia quello costituente il corrispettivo per l’acquisto del veicolo (così riferisce la p.o. secondo quanto riportato dal COGNOME NOME, v. pag. 8 sentenza di primo grado); è la ricorrente, unitamente al figlio, che si rende inadempiente alla promessa fatta alla p.o., dopo
che questa aveva subito il sequestro del veicolo oggetto della compravendita, che gli avrebbero restituito l’auto ricevuta in permuta; è nella disponibilità
dell’imputata che viene rinvenuta l’auto consegnata in permuta, parzialmente smontata e priva di paraurti, condizioni che non stridono affatto con la conclusione
a cui è pervenuto il giudice del merito che, in ragione della natura illecita e opaca dell’intera vicenda, ne ha tratto l’ulteriore conclusione che non possa escludersi
che ella fosse in procinto di farne perdere le tracce.
E tanto a prescindere che il giudice di merito non è tenuto, ai fini dell’accertamento del concorso di persone nel reato, «a precisare il ruolo specifico
svolto da ciascun concorrente nell’ambito dell’impresa criminosa, essendo sufficiente l’indicazione, con adeguata e logica motivazione, delle prove sulle quali
ha fondato il libero convincimento dell’esistenza di un consapevole e volontario contributo, morale o materiale, dato dall’agente alla realizzazione del reato» (Sez.
2, n. 48029 del 20/10/2016, COGNOME, Rv. 268177 – 01, nonché, tra le altre, Sez.
1, n. 12309 del 18/02/2020, Di Giuro, Rv. 278628 – 01; Sez. 5, n. 48781 del
17/10/2023, S., Rv. 285775 – 01).
3.2. Generica e manifestamente infondata, infine, è la censura sul diniego delle attenuanti generiche alla luce dei medesimi rilievi svolti per l’altro ricorso e a fronte di un atto di appello del tutto generico (v. ultima pagina dell’impugnazione), non risultando, inoltre, allegata al ricorso (ove si indica la sola procura) documentazione relativa all’asserita restituzione della somma alla persona offesa (profilo che, peraltro, non risulta sottoposto neanche ai giudici di merito: p. 6).
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, nonché della somma di euro tremila ciascuno a favore della Cassa <t delle ammende, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. GLYPH
P.Q.M. GLYPH
Cc W -t Ou-» ZeN.1
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese 0-i processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, 1’11 giugno 2025.