Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2632 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 2632 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME nato in Germania il 04/09/1969 COGNOME NOME COGNOME nato a Strongoli il 21/11/1955
avverso la sentenza del 22/01/2024 della Corte d’appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che: la sentenza impugnata sia annullata limitatamente al mancato riconoscimento della sospensione condizionale della pena nei confronti di entrambi gli imputati; i ricorsi siano dichiarati inammissibili con riguardo agli ulteriori motivi;
letta la memoria dell’Avv. NOME COGNOME difensore di Russano NOME, il quale, dopo avere affermato di non condividere le conclusioni del Pubblico Ministero in ordine al primo motivo e di condividere, invece, le stesse conclusioni in ordine al secondo motivo, ha insistito per l’integrale accoglimento del ricorso;
letta la memoria dell’Avv. COGNOME difensore di COGNOME COGNOME il quale, dopo avere ulteriormente argomentato in ordine alla fondatezza del primo motivo e dopo avere affermato di condividere le conclusioni del Pubblico Ministero in ordine al secondo motivo, ha insistito per l’integrale accoglimento del ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22/01/2024, la Corte d’appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del 05/06/2020 del Tribunale di Crotone: 1) confermava la condanna di NOME COGNOME e di NOME COGNOME per i reati di ricettazione (capo 2 dell’imputazione) e di detenzione per la vendita (capo 1 dell’imputazione) di borse e capi di abbigliamento con marchi contraffatti, limitatamente ai prodotti che erano stati rinvenuti nell’immobile di proprietà del COGNOME, reati commessi in concorso tra i due imputati, oltre che con NOME Ngary Tague; 2) rideterminava in un anno, quattro mesi e dieci giorni di reclusione ed C 420,00 di multa ciascuno la pena irrogata agli imputati per i suddetti reati, unificati dal vincolo della continuazione.
Avverso la menzionata sentenza del 22/01/2024 della Corte d’appello di Catanzaro, hanno proposto ricorsi per cassazione, con distinti atti a firma dei propri rispettivi difensori, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a due motivi.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 42, 110, 474, secondo comma, e 648 cod. pen., con riguardo all’affermazione di responsabilità per i due reati a lui attribuiti
Dopo avere premesso che il vizio della motivazione può anzitutto risultare dal testo del provvedimento impugnato, il Russano contesta le argomentazioni di cui primo paragrafo, al primo periodo del secondo capoverso e al secondo e al terzo periodo del quarto capoverso della pag. 5 della sentenza impugnata, deducendo al riguardo che: 1) egli, «sulla sua estraneità ai fatti contestati, aveva dato ampie giustificazioni durante la perquisizione della G.d.F»; 2) dal tenore della telefonata con il COGNOME, che fu ascoltata dagli agenti della polizia giudiziaria, «non è dato riscontrare che il Russano sapesse che le borse fossero merce griffata», atteso che il Tague «telefona al Russano parlando di borse, non di altro, che possa fare credere che il Russano sia concorso nella contraffazione e nella vendita della merce»; 3) «l dubbio della Corte d’Appello si ripercuote sulla imputazione, perché “detenere” nella fattispecie non significa essere coinvolto nella vendita, con la conseguenza che Russano poteva essere assolto dall’imputazione prevista dagli artt. 110 e 474 c.p., comma 2, c.p.».
La motivazione della sentenza impugnata evidenzierebbe «la sussistenza di ragionamenti dubbi e contraddizioni non rapportati e agganciati in modo solido e coerente al quadro probatorio emerso in atti, omettendo di procedere ad una necessaria disamina complessiva dell’intera fattispecie».
Il ricorrente rappresenta poi che il vizio della motivazione può in secondo luogo risultare dalla lettura di atti del processo. Dopo avere trascritto il quarto capoverso della pag. 4 della sentenza impugnata e il primo comma dell’art. 42 cod. pen., il Russano deduce che sarebbe «uindi da escludere una partecipazione a titolo di concorso per l’imputazione riportata al n. 2 della rubrica», atteso che: «ov’è la prova che il Russano ha visto e compreso il contenuto e il valore della merce nelle buste? La merce era custodita in buste azzurre non trasparenti, il cui contenuto non era visibile dall’esterno. Dov’è la prova che le abbia aperte?»
Inoltre, la Corte d’appello di Catanzaro aveva ritenuto che i prodotti con marchi contraffatti fossero posizionati «nell’androne» (pag. 5 della sentenza impugnata) «del palazzetto non di proprietà del Russano (ospite temporaneo del COGNOME) e quindi nella disponibilità dello stesso LA. In realtà si trattava di u sottoscala».
Il ricorrente espone poi che nel proprio atto di appello aveva rappresentato le circostanze che: 1) la perquisizione nella sua abitazione aveva dato esito negativo; 2) egli occupava temporaneamente un appartamento che gli era stato concesso in uso dal COGNOME per il periodo estivo; 3) la sua consapevolezza che i menzionati borsoni, «che solo a titolo di mero favore verso il Tague erano letteralmente poggiati in un androne sotto una rampa di scale di un fabbricato non di proprietà del Russano», contenessero merce contraffatta «non è circostanza emersa dalle risultanze dibattimentali in modo preciso e concordante anzi il contrario, emerge che l’imputato ha conosciuto il coimputato COGNOME sul lungomare di Strongoli dove praticava la vendita ambulante di merce, borse e abbigliamento»; 4) egli non poteva sapere se il COGNOME avesse o no l’autorizzazione all’occupazione del suolo pubblico del lungomare di Strongoli dove esercitava il mestiere di venditore ambulante e il fatto che lo stesso COGNOME vendesse spesso in tale posto «induc a credere quanto meno per mera logica che Russano non avesse nessuna consapevolezza dei traffici illeciti di Tague»; 5) dal verbale di sequestro della merce del 08/08/2017, era emerso che «non risultano sequestrati loghi metallici e accessori, riproducenti i marchi e le griffe verosimilmente contraffatti, mezzi idonei alla contraffazione sequestrati invece in eseguito il 09.08.2017», aspetto, questo, «importantissimo» che non sarebbe stato invece considerato dalla Corte d’appello di Catanzaro; 6) «dagli atti» era emerso che egli aveva consentito al Tague, a titolo di mero favore, di lasciare temporaneamente le sue buste di plastica, senza alcuna volontà di trarre profitto, o dì farne trarre ad altri, da un’attività illecita, tanto che, come egli aveva dichiarato, poche ore dopo il Tague era tornato a riprendersi i borsoni, «provando il fatto che il Russano ha
dichiarato il vero consentendo l’identificazione e il fermo del Tague altresì il secondo sequestro di merce nella disponibilità di Tague».
Tanto esposto, il ricorrente afferma che la sentenza impugnata «va censurata laddove non ha tenuto conto delle suddette circostanze, che di per sé avrebbero escluso la punibilità, perché denotano l’assenza di dolo da parte del ricorrente».
Il COGNOME lamenta ancora che «non è stato provato il concorso nella detenzione della merce ai fini della vendita», atteso che nella sentenza impugnata «manca la valutazione dell’elemento soggettivo», il quale, nel delitto di detenzione per la vendita di prodotti con marchi contraffatti, è costituito dal dolo specifico. I ricorrente contesta che la Corte d’appello di Catanzaro «non accerta l’esistenza del dolo specifico da parte dell’imputato, in particolare il perché fosse a conoscenza del reale contenuto di merce di provenienza illecita delle buste non trasparenti in cui gli oggetti erano contenuti, la conoscenza delle falsificazioni degli stessi (atteso che i mezzi necessari per le contraffazioni dei prodotti erano in possesso del solo Tague )».
La Corte d’appello di Catanzaro non avrebbe comunque motivato con riguardo alle specifiche doglianze prospettate nell’atto di appello che si dovevano ritenere decisive al fine di escludere l’attribuito concorso nella ricettazione.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, r l ‘ comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 133, 163 e 164 cod. pen., nonché la mancanza o apparenza della motivazione «con riferimento all’operato trattamento sanzionatorio».
Il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Catanzaro «non spende una parola» in ordine alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
Né si potrebbe ritenere che la stessa Corte d’appello abbia implicitamente condiviso la motivazione che era stata resa sul punto dal Tribunale di Crotone.
Il ricorrente sostiene che deporrebbero nel senso della concessione dell’indicato beneficio i seguenti elementi: la sua «piena collaborazione con le forze dell’ordine, ha contribuito fattivamente all’individuazione del Tague»; «la sua condotta prima e dopo l’accertamento»; il suo stato di incensurato «alla soglia dei cinquant’anni»; la sua condotta di vita, in quanto «dedito al lavoro in agricoltura»; le sue «condizioni di vita sociale».
Né il diniego del beneficio potrebbe essere fondato sulla sua mancata partecipazione al processo.
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a due motivi.
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la contraddittorietà e la manifesta illogicità della
motivazione, con riferimento agli artt. 42, 110, 474, secondo comma, e 648 cod. pen., e «travisamento dei fatti», con riguardo all’affermazione di responsabilità per i due reati a lui attribuiti.
Il COGNOME precisa anzitutto che il COGNOME non era suo genero ma era il marito della figlia di primo letto della sua attuale moglie NOME COGNOME sicché il COGNOME era in realtà ospite della suocera.
Nel riportare quanto argomentato dalla Corte d’appello di Catanzaro nel terzo e nel quarto capoverso della pag. 5 della sentenza impugnata, il ricorrente deduce che: 1) egli, «sulla sua estraneità ai fatti contestati, aveva dato ampie giustificazioni durante la perquisizione eseguita dalla G.d.F.»; 2) il COGNOME aveva telefonato al COGNOME e non al COGNOME, circostanza, questa, «importantissima, non valutata correttamente dalla Corte di appello» di Catanzaro; 3) la circostanza, valorizzata dalla stessa Corte d’appello, che egli «nessuna reazione aveva avuto nell’ascoltare la conversazione e nell’apprendere che vi era della merce che l’interlocutore straniero avrebbe ritirato l’indomani da casa sua», si spiegava con il fatto che: «uali reazioni avrebbe dovuto avere il COGNOME, che aveva già protestato la sua innocenza?».
Dopo avere trascritto anche il quinto capoverso della pag. 5 della sentenza impugnata, il COGNOME deduce che «l dubbio della Corte d’appello tra essere “partecipe” o in alternativa “consapevole”, si ripercuote sulla imputazione, perché “detenere” nella fattispecie non significa essere coinvolto nella vendita, con la conseguenza che il COGNOME andava assolto dall’imputazione prevista dagli artt. 110 e 474 c.p., comma 2, c.p.».
Nel ribadire che il suo concorso nel reato di cui all’art. 474 cod. pen. dovrebbe essere escluso, il ricorrente formula le domande retoriche: «ov’è la prova che il COGNOME ha visto le buste? La merce era custodita in buste azzurre non trasparenti, il cui contenuto non era visibile dall’esterno. Dov’è la prova che le abbia aperte e visíonato la merce?».
Inoltre, la Corte d’appello di Catanzaro aveva ritenuto che i prodotti con marchi contraffatti fossero posizionati «nell’androne» «del palazzetto non di esclusiva proprietà del COGNOME, e quindi nella disponibilità dello stesso» (così il ricorso), mentre «n realtà si trattava di un sottoscala che non era “posto d fronte” l’abitazione del COGNOME, che aveva ingresso da altra porta».
Il ricorrente espone poi che nel proprio atto di appello aveva rappresentato le circostanze che: 1) il fabbricato sito in Marina di Strongoli «è dotato di una corte recintata con accesso dalla pubblica via»; 2) la sua abitazione era collocata al piano terra con autonomo accesso dalla corte e ai piani superiori si accedeva da un altro portone, sito sul lato opposto della sua abitazione; 3) alla luce delle dichiarazioni del testimone della polizia giudiziaria maresciallo NOME COGNOME,
come riassunte al quarto capoverso della pag. 3 della sentenza di primo grado, egli «solo se si fosse recato nella parte di fabbricato, da lui non detenuta né abitata, avrebbe verosimilmente potuto notare le borse nel sottoscala; e solo aprendo le stesse avrebbe visto la merce»; 4) l’edificio non era di sua esclusiva proprietà, come risulta dalle allegate visure catastali e come era stato confermato dai testimoni della difesa NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Catanzaro non avrebbe tenuto conto di tali circostanze, che avrebbero denotato l’assenza di dolo da parte sua.
Il COGNOME lamenta ancora che «non è stato provato il concorso nella detenzione della merce ai fini della vendita», atteso che nella sentenza impugnata «manca la valutazione dell’elemento soggettivo», il quale, nel delitto di detenzione per la vendita di prodotti con marchi contraffatti, è costituito dal dolo specifico. Il ricorrente contesta che la Corte d’appello di Catanzaro «non accerta l’esistenza del dolo specifico da parte dell’imputato, in particolare il perché fosse a conoscenza dell’esistenza della buste non trasparenti in cui gli oggetti erano contenuti, la conoscenza delle falsificazioni degli stessi (atteso che il mezzo per produrli era in possesso del solo Tague) e nulla è stato rinvenuto nell’abitazione del COGNOME».
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 133, 163 e 164 cod. pen., nonché la mancanza della motivazione, con riguardo alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
Il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Catanzaro «non spende una parola» in ordine alla mancata concessione di tale beneficio.
Né si potrebbe ritenere che la stessa Corte d’appello abbia implicitamente condiviso la motivazione, che sarebbe consistita in «una clausola di stile», che era stata resa sul punto dal Tribunale di Crotone.
Il ricorrente sostiene che deporrebbero nel senso della concessione della sospensione condizionale della pena i seguenti elementi: la sua «piena collaborazione con le forze dell’ordine»; «la sua condotta prima e dopo l’accertamento»; il suo stato di incensurato «alla soglia dei settant’anni»; la sua condotta di vita, in quanto «dedito a stabile e proficuo lavoro»; le sue «condizioni di vita sociale».
Né il diniego del beneficio potrebbe essere fondato sulla sua mancata partecipazione al processo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME.
1.1. Il primo motivo non è consentito.
1.2. Costituisce un orientamento consolidato della Corte di cassazione quello secondo cui, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre l cosiddetta “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (tra le tante: Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 25261501).
Rappresenta, ancora, un principio pacificamente accolto dalla Corte di cassazione quello secondo cui, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali a imporre una diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spesso della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747-01; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 26296501).
Non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o l scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362-01).
1.3. Richiamati tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, si deve osservare che la Corte d’appello di Catanzaro ha fondato l’affermazione che il ì; COGNOME aveva ricevuto le buste che gli erano state consegnate dal Togue – come era pacificamente emerso anche dal contenuto della telefonata tra i due che fu ascoltata dagli agenti della polizia giudiziaria – nella consapevolezza che le stesse buste contenessero prodotti con marchi contraffatti sugli argomenti che, da un lato, l’imputato era a conoscenza dell’attività di vendita di consimili prodotti che veniva svolta dal Togue sul lungomare di Strongoli e, dall’altro lato, che nella
menzionata telefonata il COGNOME aveva mostrato di dare per scontato che il Russano sapesse cosa aveva ricevuto dallo stesso COGNOME.
Tale motivazione, la quale dà anche così conto della sussistenza del dolo, oltre che dell’elemento materiale, dei due reati che sono stati attribuiti all’imputato, risulta priva di contraddizioni e di illogicità manifeste, sicché essa si sottrae a censure in questa sede di legittimità, in particolare, a quelle che sono state prospettate dal ricorrente, le quali, senza riuscire a evidenziare dei vizi effettivamente riconducibili a una delle categorie di cui alla lett. e) del comma 1 dell’art. 606 cod. proc. pen., si risolvono nella sollecitazione di una differente valutazione del significato probatorio da attribuire alle diverse prove o nell’evidenziazione di ragioni in fatto, per giungere a conclusioni differenti sulla valenza probatoria dei singoli elementi, il che non è possibile fare in questa sede.
1.2. Il secondo motivo è fondato.
Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito che «il mancato esercizio (con esito positivo o negativo) del potere-dovere del giudice di appello di applicare di ufficio i benefici di legge, non accompagnato da alcuna motivazione che renda ragione di tale “non decisione”, non può costituire motivo di ricorso per cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, se l’effettivo espletamento del medesimo potere-dovere non sia stato sollecitato da una delle parti, almeno in sede di conclusioni nel giudizio di appello, ovvero, nei casi in cui intervenga condanna la prima volta in appello, neppure con le conclusioni subordinate proposte dall’imputato nel giudizio di primo grado» (Sez. U., n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376-01, in motivazione).
Nel caso di specie, dall’esame degli atti di causa emerge che l’imputato, nelle proprie conclusioni scritte nel giudizio di appello, aveva sollecitato l’espletamento, da parte della Corte d’appello di Catanzaro, del potere-dovere previsto dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., chiedendo, in particolare, l’applicazione «dei benefici di legge» e, quindi, anche del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Posto che, pertanto, il Russano si deve ritenere senz’altro legittimato a dolersi, con il ricorso per cassazione, del mancato esercizio di tale potere-dovere, si deve rilevare come la sentenza impugnata risulti effettivamente priva di qualsiasi motivazione in ordine alla mancata concessione del richiesto beneficio della sospensione condizionale della pena, con la conseguente sussistenza dei denunciati vizi di violazione di legge e mancanza di motivazione.
2. Il ricorso di NOME COGNOME.
2.1. Il primo motivo è fondato.
La Corte d’appello di Catanzaro ha fondato la conferma dell’affermazione di responsabilità del COGNOME su questi argomenti: 1) il fatto che egli «abitava di
fronte» all’androne nel quale il Russano aveva collocato le borse del Tague avrebbe consentito di ritenere che anche il COGNOME ne avesse «la effettiva disponibilità», anche perché, dato che il Russano era solo ospite temporaneo del COGNOME, si sarebbe dovuto escludere che il coimputato «potesse autonomamente disporre di quella parte dell’immobile»; 2) quando il Russano aveva ricevuto la telefonata del Togue, il COGNOME non aveva avuto «nessuna reazione» nell’ascoltare che vi erano delle borse che il Togue aveva lasciato a casa sua.
La Corte d’appello di Catanzaro conclude affermando che gli elementi a disposizione conducevano a ritenere che il COGNOME «fosse del tutto partecipe a quanto meno consapevole della “custodia” delle borse di provenienza delittuosa nell’immobile nella sua disponibilità».
Con riguardo agli indicati due argomenti che sono stati utilizzati dalla Corte d’appello di Catanzaro, si deve osservare che il primo di essi potrebbe essere ritenuto eventualmente idoneo a provare che il COGNOME doveva avere acconsentito a che il Russano collocasse le borse del Togue nell’androne nella sua abitazione ma non a provare che le stesse borse erano nella disponibilità del COGNOME. Esse rimanevano in realtà nella disponibilità del Russano (oltre che del Togue).
Quanto al secondo argomento che è stato utilizzato dalla Corte d’appello di Catanzaro, esso appare in realtà privo di un’effettiva capacità dimostrativa. Infatti, la mancata reazione del COGNOME alla notizia che il Russano aveva collocato presso la sua abitazione delle borse del Togue non può essere univocamente logicamente ricondotta al fatto che lo stesso COGNOME, già prima della perquisizione, era consapevole della presenza delle borse e, di più, che esse erano nella sua disponibilità.
La stessa conclusione della Corte d’appello di Catanzaro risulta inadeguata, atteso che l’ipotizzata mera consapevolezza («consapevole»), da parte del COGNOME, del collocamento delle borse nell’androne di casa sua è cosa ben diversa dalla partecipazione («partecipe») che la stessa Corte d’appello indica come ipotesi alternativa alla suddetta mera consapevolezza.
Ne discende che, poiché gli elementi che sono stati valorizzati dalla Corte d’appello di Catanzaro come quelli a carico del COGNOME si devono ritenere logicamente inidonei a comprovare che lo stesso COGNOME (e non il solo Russano) avesse ricevuto le borse che contenevano i prodotti con marchi contraffatti – e non fosse invece meramente consapevole della condotta illecita di ricezione di tali borse che era stata posta in essere dal Russano – la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti del COGNOME, dovendo questi essere assolto per non avere commesso i fatti.
2.2. L’esame del secondo motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo.
In conclusione: la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di NOME COGNOME il quale deve essere assolto per non avere commesso i fatti; la stessa sentenza deve essere annullata anche nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla valutazione inerente al beneficio della sospensione condizionale della pena, con rinvio per un nuovo giudizio su tale punto a un’altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro; il ricorso del COGNOME deve essere dichiarato inammissibile nel resto e l’affermazione della sua responsabilità deve essere dichiarata irrevocabile.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME COGNOME Salvatore, che assolve per non aver commesso i fatti. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla valutazione inerente al beneficio della sospensione condizionale della pena, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso ed irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
Così deciso il 19/12/2024.