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Concorso in ricettazione: il convivente è colpevole?

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di ricettazione di una bicicletta elettrica, coinvolgendo due conviventi. La Corte ha confermato la condanna per l’uomo che aveva materialmente acquisito il bene, ritenendo il suo ricorso inammissibile. Ha invece annullato senza rinvio la condanna per la donna, stabilendo che la semplice convivenza non è sufficiente a dimostrare un concorso in ricettazione, in assenza di prove sul suo consapevole coinvolgimento.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in Ricettazione: la Convivenza non Basta per la Condanna

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25352/2025, offre un importante chiarimento sulla differenza tra la responsabilità individuale e il concorso in ricettazione all’interno di un nucleo familiare. Il caso riguardava due conviventi condannati per la ricettazione di una bicicletta elettrica, ma l’esito del giudizio di legittimità è stato diverso per i due imputati, delineando un principio fondamentale: la coabitazione, da sola, non costituisce prova di colpevolezza.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla condanna, confermata in appello, di due persone per il reato di ricettazione di una bicicletta elettrica di provenienza furtiva. La bicicletta era stata rinvenuta dalle forze dell’ordine mentre era collegata a una presa di corrente esterna all’abitazione dei due, situata in una via pubblica e accessibile a terzi. Entrambi gli imputati avevano presentato ricorso per cassazione, lamentando vizi di motivazione e violazione di legge riguardo all’affermazione della loro responsabilità.

Le Argomentazioni Difensive e il Concorso in Ricettazione

L’uomo, ritenuto l’acquirente principale del bene, basava il suo ricorso sulla presunta erronea valutazione del possesso. Sosteneva che la collocazione della bicicletta in un’area pubblica e accessibile a tutti non provava il suo esclusivo possesso, come confermato da alcuni testimoni.

La donna, invece, lamentava che la sua condanna si fondasse unicamente sul suo status di convivente e sulla condivisione dell’abitazione. La difesa evidenziava come non fosse stato condotto alcun approfondimento sul suo effettivo coinvolgimento psicologico nel reato, e come le stesse testimonianze raccolte riconducessero l’ottenimento del possesso del bene al solo convivente.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha adottato una decisione duplice, accogliendo le ragioni di un ricorrente e respingendo quelle dell’altro.

* Ricorso dell’uomo dichiarato inammissibile: La Corte ha ritenuto il suo ricorso inammissibile poiché si limitava a riproporre una questione di fatto già ampiamente discussa e risolta dai giudici di merito. I giudici avevano già smontato la sua tesi difensiva, definendola illogica, soprattutto alla luce delle sue stesse dichiarazioni contraddittorie. La sua responsabilità era, quindi, saldamente ancorata alle prove emerse nei precedenti gradi di giudizio.

* Ricorso della donna accolto: Il ricorso della convivente è stato invece giudicato fondato. La Corte ha annullato la sentenza di condanna nei suoi confronti senza rinvio, “per non aver commesso il fatto”.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha chiarito in modo netto perché la posizione della donna fosse diversa. La sua condanna si basava esclusivamente su un presupposto: la convivenza con l’altro imputato e la condivisione dell’abitazione presso cui era stata trovata la refurtiva. Questo elemento, secondo i giudici, è del tutto insufficiente per affermare una sua responsabilità a titolo di concorso in ricettazione. Mancava infatti la prova cruciale dell’elemento psicologico del reato, ovvero la consapevolezza della provenienza illecita del bene e la volontà di contribuire, anche solo moralmente, alla sua detenzione.

I giudici hanno sottolineato che non era emerso alcun elemento concreto che dimostrasse un suo ruolo attivo o una sua adesione psicologica alla condotta del compagno. La testimonianza dell’agente di polizia giudiziaria aveva, anzi, ricondotto il possesso della bicicletta esclusivamente all’uomo. Pertanto, condannarla sulla sola base della coabitazione avrebbe significato introdurre una forma di responsabilità oggettiva, in palese contrasto con i principi del diritto penale, che richiede sempre la prova del dolo o della colpa.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio di garanzia fondamentale: la responsabilità penale è personale e non può essere desunta da semplici rapporti di parentela o convivenza. Per affermare un concorso in ricettazione, non basta trovarsi nello stesso luogo in cui è custodito un bene rubato; è indispensabile che l’accusa provi, al di là di ogni ragionevole dubbio, il contributo materiale o morale del presunto concorrente e la sua piena consapevolezza dell’origine illecita del bene. In assenza di tale prova, il solo legame affettivo o la condivisione di un tetto non possono tramutarsi in un’automatica attribuzione di colpevolezza.

La semplice convivenza con chi commette un reato di ricettazione rende automaticamente complici?
No, la sentenza chiarisce che la sola convivenza non è sufficiente per affermare la responsabilità penale a titolo di concorso. È necessario dimostrare l’elemento psicologico, ovvero la consapevolezza e la volontà di partecipare al reato.

Perché il ricorso di uno degli imputati è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché riproponeva questioni di fatto già valutate e decise dai giudici di merito nei gradi precedenti. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

Cosa è necessario provare per una condanna per concorso in ricettazione?
Per una condanna per concorso in ricettazione, è necessario provare che l’imputato abbia fornito un contributo, materiale o morale, alla condotta illecita di chi ha ricevuto il bene rubato, essendo pienamente consapevole della sua provenienza delittuosa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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