Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 18130 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 18130 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Ponnigliano D’Arco (Na) il 2 aprile 1974:
avversa GLYPH / E-71CG GLYPH M II. -) GLYPH Uetlel GLYPH ua cippcuu ui n vapoii dei GLYPH nlaggio 2024;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita !a reiazione fatta da! C2onsigliere Dott. NOME COGNOME
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott., NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; sentito, sitresì, per i! ricorrente Vavv. NOME COGNOME lle n foro di Noia, i! quaie ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli ha, con sentenza del 13 maggio 2024, solo parzialmente riformato la precedente decisione con la quale, in data 1 aprile 2022, il Tribunale di Noia aveva dichiarato la penale responsabilità di COGNOME NOME in ordine ai reati a lui contestati, aventi ad oggetto la avvenuta violazione dell’art. 10-quater del dlgs n. 74 del 2000 per avere lo stesso – in qualità di commercialista incaricato della gestione fiscale della Paudice Sri fatto in modo che fosse omesso il versamento di somme da quella dovute a titolo di imposta, nella specie Ires, in relazione agli anni di imposta 2016 e 2017, utilizzando in compensazione crediti inesistenti sino all’ammontare di oltre 406.000,00 euri, e lo aveva pertanto condannato alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione, oltre accessori.
Con la citata sentenza del 13 maggio 2024 la Corte di appello partenopea, rilevata la intervenuta estinzione per prescrizione di uno dei reati oggetto di originaria contestazione, quello riferito all’anno di imposta 2016, aveva dichiarato il proscioglimento del COGNOME limitatamente ad esso ed aveva, pertanto, rideterminato la pena a carico dell’imputato, con riferimento al restante reato, in anni 1 e mesi 6 di reclusione, salvo il resto.
Ha interposto ricorso per cassazione il COGNOME avverso la sentenza ora illustrata, formulando a propria difesa 3 motivo di doglianza; un primo motivo attiene alla erroneità della sentenza della Corte di appello che, a fronte del motivo di gravame avente ad oggetto il vizio che minerebbe la validità della sua citazione a giudizio di fronte al Tribunale di Noia, per essere stata questa eseguita a mani di persona qualificatasi moglie convivente dell’imputato, laddove questi è, invece, celibe e componente di un nucleo familiare composto unicamente da lui e dal solo padre convivente.
Con un secondo motivo di impugnazione il ricorrente ha lamentato il fatto che ne sia stata ritenuta la penale responsabilità, peraltro a lui contestata in reginie di concorso con legale rappresentarlte della Paudice, sebbene questi, soggetto che era espressamente tenuto al pagamento delle imposte, giudicato con separato giudizio, sia stato assolto con sentenza definitiva per carenza dell’elemento soggettivo; il ricorrente ha rilevato la illogicità, anzi l’abnormità della condanna dell’extraneus in un reato proprio riguardo al quale l’intraneus sia stato, invece, assolto.
Egli ha, peraltro segnalato la singolarità che una tale vicenda determinerebbe in relazione al fatto che lo stesso non potrebbe giovarsi dei
benefici di cui all’art. 13-bis del dlgs n. 74 del 2000, posto che questi sono attivabili solo a seguito di iniziativa riservata unicamente al contribuente.
Con un terzo motivo il ricorrente si è doluto della logicità della motivazione della sentenza nella parte in cui è stata giustificata l’esclusio del beneficio delle attenuanti generiche in suo favore sulla base del preteso alto valore dell’imposta evasa, senza che sia stato considerato il fatto che evasione della imposta non è stata da lui, in ipotesi, realizzata non avendo egli un diretto interesse ad essa, ma dal contribuente che, si ribadisce, è sta assolto rispetto alla medesima.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, essendone risultati inammissibili o manifestamente infondati i motivi posti a fondamento, deve essere, a sua volta, dichiarato inammissibile.
Quanto al primo motivo di impugnazione, il cui oggetto è riferito alla pretesa nullità assoluta dell’intero giudizio svoltosi in primo grado in quant sarebbe radicalmente nulla la notificazione nei confronti del COGNOME della citazione in giudizio di fronte al Tribunale di Noia, rileva il Collegio che quest è destituito di ogni fondamento.
Sostiene, infatti, il ricorrente che egli aveva appreso dell’avvenuta celebrazione di tale procedimento nei suoi confronti solo in quanto ne era stato avvisato, dopo la sua conclusione, dal difensore di ufficio; di ta circostanza il ricorrente aveva informato la Corte territoriale che, però, aveva ritenuto infondata l’eccezione in tale senso formulata in quanto, per come si legge nella sentenza di appello (in un inciso singolarmente collocato – secondo una assai discutibile prassi a volte inspiegabilmente seguita presso taluni uffic giudiziari di merito – in una “nota a pié di pagina” e non nel testo principale della sentenza emessa in sede di gravame), “la notifica del DC risulta effettuata in Roccarainola INDIRIZZO nelle mani della moglie NOME qualificatasi convivente”.
Osserva il Collegio che, al di là di qualche irrilevante imprecisione, la decisione assunta sul punto dalla Corte territoriale è pienamente corretta.
Lamenta, infatti il ricorrente – sostenendo, nei fatti, la non rispondenza al vero di quanto attestato dall’Ufficiale giudiziario nella “relazione di notifi da lui redatta in data 29 ottobre 2020 – di essere celibe e che la person identificata come NOME NOME, oltre a non poterne essere la moglie, non sia con lui convivente, vivendo egli solamente con il padre NOME; egli
ha, a tal fine, prodotto una certificazione rilasciata dal Ministero dell’Inter da cui risulta il suo “stato libero” ed altra certificazione, questa volta resa Comune di Roccarainola, da cui risulta che il suo nucleo familiare e costituito esclusivamente da lui e da altra persona, verosimilmente il padre, rispondente al nome di NOME
Si tratta di doglianze che non colgono nel segno.
Deve, in primo luogo, osservarsi che, stante la natura processuale della eccezione sollevata dalla difesa del COGNOME, in ordine ad essa questa Corte legittimata a svolgere anche le funzioni di giudice del fatto, appunto, processuale, con il conseguente pieno accesso agli atti dei processo necessari onde sciogliere il quesito formulato dal ricorrente con il motivo di impugnazione (fra le tante, in tale senso: Corte di cassazione, Sezione III penale, 5 giugno 2018, n. 24979, rv 273525).
Ciò posto, si osserva che la notificazione del decreto di citazione a giudizio di fronte al Tribunale di Nola è stata eseguita, in data 29 ottobr 2020, dal competente Ufficiale giudiziario presso la residenza del COGNOME (quale risulta proprio dalla certificazione anagrafica da lui stesso o prodotta), in Roccarainola, INDIRIZZO tramite consegna a mani di tale COGNOME NOMECOGNOME persona capace, per come dichiarato dall’Ufficiale giudiziario, e qualificatasi come – non moglie per come erroneamente indicato dalla Corte di appello di Napoli, ma – “nipote” di COGNOME NOMECOGNOME
Sulla base di tali dati è, pertanto, possibile esaminare la doglianza formulata dal ricorrente e rilevarne la manifesta infondatezza; va infatt rilevato, in primo luogo come, alla luce della qualificazione in termini di rapporto di parentela e non di coniugio della relazione esistente fra il Lettie ed il soggetto che ha ricevuto l’atto (relazione che, sebbene stretta, è sta stranamente taciuta dal ricorrente), del tutto insignificante sia la certificazi attestante lo “stato libero” dell’imputato, posto che la condizione di celibe o coniugato non è mai entrata effettivamente in discussione; né, giova chiarire, ha un qualche peso l’equivoco in cui è caduta la Corte di appello di Napoli, la quale ha fatto riferimento ad una notificazione eseguita tramite consegna dell’atto a mani di una fantomatica “moglie” del COGNOME, atteso che, i applicazione del vieto principio secondo il quale protestatio contra factum non valet, ciò che conta è la effettiva modalità attraverso la quel si è proceduto alla notificazione dell’atto (consegnato per come attestato dall’Ufficial
giudiziario a persona qualificatasi quale “nipote” dell’imputato) e non, invece, la, insignificante, errata percezione che di essa ha avuto la Corte di appello.
Quanto alla regolarità dell’avvenuta consegna di esso a mani della nipote convivente, si richiamano, ribadito il dato obbiettivo che l’atto è stato consegnato presso la residenza dell’imputato, i principi ermeneutici consolidati nella giurisprudenza di questa Corte secondo i quali in caso di notificazione eseguita presso il luogo di residenza dell’imputato anche l’omessa menzione dello stato di convivenza tra il destinatario ed il consegnatario dell’atto non è causa di nullità quando l’ufficiale giudiziario, dato lo stretto rapporto di parentela (ricorrente alche nella presente fattispecie) esistente fra costoro abbia sicuro affidamento sulla circostanza che l’atto sarà portato a conoscenza dell’interessato, gravando, pertanto, su quest’ultimo l’onere della prova contraria, non ricavabile dalla mera produzione di certificazioni anagrafiche le quali non escludono diverse situazioni di fatto (Corte di cassazione, Sezione III penale, 4 febbraio 2022, n. 3959, rv 282711), con l’ulteriore precisazione che, allorché, come nel caso che ora interessa, nella relazione di notifica vi sia l’indicazione dello stato di convivenza (la quale, giova ribadire, ove fondata su una prossima relazione parentale, deve intendersi – salva la rigorosa prova contraria – basata, più che sulla continuità della coabitazione, sulla persistenza dei naturali vincoli associativi che legano tra loro i membri di una stessa comunità familiare; così, infatti: Corte di cassazione, Sezione II penale, ni A r -70 grryR, 977, ry -)R4R 9 4), t2fr. indica7iono prevale, in n7 di altri, divergenti, elementi di prova, anche sulle risultanze, eventualmente discordanti, ricavabili dalle certificazioni anagrafiche (Corte di cassazione, Sezione III penale, 9 gennaio 2018, n. 229, rv 272092). 1
La assenza di qualsivoglia elemento dimostrativo della effettiva mancata conoscenza da parte del prevenuto della pendenza del giudizio a suo carico a cagione della pretesa nullità della notificazione della citazione in giudizio di fronte al Tribunale nolano comporta, stante la manifesta infondatezza della doglianza, la sua inammissibilità.
Passando al secondo motivo di ricorso, legato alla circostanza, segnalata dal ricorrente, secondo la quale sarebbe viziata da violazione di legge e da manifesta illogicità della motivazione la sentenza emessa dalla CcAte G l i appello di Napoli nella quale non sarebbe stato adeguatamente considerato il fatto che, mentre il COGNOME (il quale avrebbe svolto solo il compito di consulente tributario della società RAGIONE_SOCIALE, cioè del contribuente che – in base alle indicazioni operative che, secondo l’ipotesi accusatoria, sarebbero
state dettate dal commercialista COGNOME – si è avvalso, onde evadere le imposte, del meccanismo della compensazione con crediti inesistenti) è stato ritenuto penalmente responsabile per i fatti descritti, COGNOME COGNOME, cioè il legale rappresentante della mentovata società, è stato, invece, mandato assolto dalla medesima imputazione, osserva il Collegio che, nei termini in cui la stessa è stata articolata, anche siffatta doglianza risulta essere inammissibile.
Va, infatti, segnalato che il ricorrente, nello sviluppare la sua censura, ha, in sostanza semplicemente segnalato che, una volta esclusa in sede di merito la responsabilità del Paudice per il fatto ad entrambi addebitato, da ciò doveva discendere, con una sorta di ineluttabile determinismo, anche la sua assoluzione.
Un siffatto argomentare non è, però, tale da condurre all’accoglimento della impugnazione formulata dal ricorrente.
Infatti, questi ha del tutto trascurato di considerare le ragioni per la quali la Corte di appello partenopea, pur pienamente consapevole dell’esito del giudizio svolto a carico del COGNOME, ha tuttavia, ritenuto che dovesse essere confermata la sentenza di condanna a carico del COGNOME.
Detta Corte – oltre ad avanzare plurime riserve in punto di congruità della motivazione con la quale, in altro e separato giudizio, il COGNOME è stato assolto (scrive, invero, la Corte territoriale come il COGNOME abbia agito dapprima elargendo i propri suggerimenti tecnici quindi redigendo materialmente gli atti attraverso i quali sono state operate le indebite compensazioni – su “istigazione” del COGNOME di tal che l’indagine in punto di responsabilità di quest’ultimo avrebbe meritato un maggiore approfondimento rispetto a quello che le è stato riservato) – ha in ogni caso dato atto della circostanza che NOME è stato mandato assolto perché il fatto non costituisce reato (quindi in relazione alla carenza dell’elemento soggettivo) e, peraltro, solo ai sensi del comma 2 dell’art. 530 cod. proc. pen.
Deve, a questo punto, richiamarsi, convintarriente aderendo ad esso, l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, anche nei cosiddetti “reati propri”, quelli cioè caratterizzati dal fatto che il soggetto agente (ovvero, in ipotesi di concorso di persone in essi – tranne l’ipotesi del reato proprio cosiddetto “non esclusivo” -, il soggetto che tiene la condotta tipica del reato in questione) rivesta una determinata qualifica soggettiva (in relazione alla appartenenza della maggior parte dei reati tributari – e fra questi certamente
della violazione dell’art. 10-quater del dlgs n. 74 del 2000, posto che lo stesso è suscettibile di essere commesso da chi sia tenuto al versamento di c-leterminate somme a ‘Cit0l0 G l i imposta – novero dei “reati propri”, si vedano: Corte di cassazione, Sezione III penale, 12 gennaio 2024, n. 1465, rv 285737;Corte di cassazione, Sezione II penale, 30 ottobre 2015, n. 43809, rv 265121), l’assoluzione per difetto dell’elemento soggettivo in capo al concorrente intraneus non esclude di per sé la responsabilità del concorrente extraneus che resta punita sia nei casi di autoria mediata di cui all’art. 48 cod. pen. sia in tutti gli altri casi in cui la carenza dell’elemento soggettivo riguardi il solo intraneus e non sia estensibile al correo (Corte di cassazione, Sezione V penale, 28 dicembre 2017, n. 57706, rv 272081).
Nella fattispecie la Corte di appello, facendo applicazione del principio dianzi illustrato, avendo preso atto della circostanza, affermata nell’ambito del giudizio celebrato a carico del COGNOME, che non fosse stata raggiunta una tranquillante dimostrazione del fatto che quest’ultimo fosse consapevole dell’artificiosa utilizzazione da parte del COGNOME di crediti inesistenti onde abbattere il carico tributario su quello gravante, ha, invece, ritenuto che il COGNOME, in quanto commercialista dotata di un’adeguata competenza tecnica, fosse pienamente consapevole del meccanismo truffaldino, dichiarandone, pertanto, la penale responsabilità, sebbene questa non fosse stata accompagnata anche da quella del Paudice.
Una tale decisione, oltre a non essere assolutamente abnorme, come invece paventato dalla ricorrente difesa, è, in via astratta, pienamente conforme ai dettami del diritto penale e, nel concreto, come dianzi rilevato adeguatamente motivata, di tal che la stessa non è, sotto tale ultimo profilo, suscettibile di essere sindacata nella presente sede di legittimità.
Né ha un qualche rilievo, ai fini di una diversa soluzione, la annotazione fatta dal ricorrente avente ad oggetto il meccanismo applicativo dell’art. 13bis del dlgs n. 74 del 2000.
Siffatta norma non solo prevede, al comma 1, ove ciò non determìni la non punibilità del fatto, un trattamento sanzionatorio meno afflittivo per il caso in cui. prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari oggetto di contestazione penale, gravati anche dalle eventuali sanzioni amministrative e dagli interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento dei relativi importi, ma anche subordina, al comma 2, la possibilità di accedere al cosiddetto “patteggiamento” all’avvenuto pagamento degli importi dovuti a titolo di imposta e suoi accessori.
Osserva il ricorrente che nella fattispecie una tale possibilità sarebb stata a lui preclusa posto che, non essendo egli il contribuente tenuto a versamento della imposta, egli non potrebbe operare ne; senso richiesto dalla disposizione sopra indicata.
Tanto rilevato – in disparte la circostanza, significativa quanto meno con riferimento alla ipotesi della subordinazione dell’accessibilità de “patteggiamento” ai pagamento dei debiti tributari, che, quanto al caso di specie non risulta che il COGNOME abbia mai formulato una istanza di definizione del giudizio a suo carico ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., che sia st dichiarata inammissibile per le ragioni dianzi ricordate, cosa questa che rende ora del tutto astratta la sua doglianza su! punto – si osserva che la problematica sollevata dal ricorrente, peraltro presente in tutte le ipotesi cui vi sia stato concorso di persone, delle quali solo talune rivestano qualifica di “contribuente”, in uno dei reati per i quali risulti applicabile l 13 bis, commi l e 2, del dIgs n. 74 del 2000, è – laddove il contribuente non intenda (o non possa) versare l’importo da lui dovuto a titolo di imposta ovviabile attraverso il meccanismo della formale offerta, tempestivamente indirizzata alla Amministrazione tributaria, da parte del soggetto che vi abbia interesse, del versamento delle imposte omesse con messa a disposizione di quella della relativa provvista finanziaria, con facoltà poi per questo di ripete dal contribuente la somma trattenuta dalla Amministrazione tributaria.
Venendo, a questo punto, al successivo terzo motivo di ricorso, afferente alla legittimità della motivazione con la quale è stato rifiutato al prevenuto beneficio delle attenuanti generiche, escluse per effetto del rilevante importo del tributo sottratto all’Erario, osserva il Collegio, da una parte che non p certamente convenirsi con il ricorrente, il quale ha giustificato la propr richiesta allegando la marginalità del suo apporto causale alla perpetrazione del delitto, dovendosi, anzi, ritenere, in ciò avallando la decisione della Cor di merito, che solo la competenza tecnica del COGNOME ha consentito la realizzazione dell’illecito tributario; né, d’altra parte, ha una qualche valen idonea ad evidenziare la fallacia della sentenza impugnata, il rilievo relativo a preteso mancato conseguimento da parte dell’imputato di un lucro commisurato al valore delle imposte evase, essendo dato irrilevante, ai fini del riconoscimento delle attenuanti in questione, la circostanza che del rilevante danno cagionato all’Erario, quindi alla comunità tutta, si sia avvantaggiato i soggetto condannato ovvero altro individuo, posto che la condivisibile valutazione operata dalla Corte di merito ha plausibilmente preso in esame non il dato riferitn al locrn conseguito dal I ettipri, ma quello di danno
derivante dal reato, dato che nella sua precisa entità era ben noto a ricorrente il quale ha, materialmente, redatto i documenti attraverso i quali
stata operata la indebita compensazione.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente, visto l’art. 616 cod. proc. pen., va condannato al pagamento delle spese
processuali e della somma di euri 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2025
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