Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11130 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11130 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di NOME, nato in Albania DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte di Appello di Venezia del 2.2.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24.11.2021 il GUP di Padova aveva riconosciuto, tra gli altri, NOME COGNOME responsabile dei fatti di tentato furto aggravato di cui ai ca
(in questi termini riqualificato dalla originaria contestazione) e 3) e, in concorso con NOME COGNOME, dei fatti di rapina di cui al capo 2) per cui, ritenuto tra di essi il vincolo della continuazione, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e quella di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., esclusa la pur contestata recidiva, lo aveva condannato alla pena finale, così ridotta per la scelta del rito, di anni 2 di reclusione ed euro 800 di multa;
la Corte d’appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermata per il reato, ha escluso le aggravanti contestate sui capi 1) e 3) e, di conseguenza, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del ricorrente per difetto di querela; ha ribadito la esclusione, da parte del primo giudice, RAGIONE_SOCIALE aggravanti dell’uso dell’arma e del travisamento sul capo 2) per cui, ritenute le attenuanti generiche e quella di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. stimate prevalenti su quella RAGIONE_SOCIALE più persone riunite, ha ridotto la pena finale ad anni 1, mesi 9 e giorni 10 di reclusione ed euro 600 di multa;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia che deduce:
3.1 manifesta illogicità della motivazione, anche per effetto di travisamento della prova, in ordine alla responsabilità dell’imputato: rileva che la Corte d’appello ha escluso l’esimente della legittima difesa nella condotta del coimputato così potendo ascrivere al NOME la responsabilità concorsuale per il delitto di cui al capo 2); osserva che, tuttavia, tale conclusione è contraddetta dalla stessa sequenza dei fatti quale ricostruita nella sentenza gravata che ha escluso, nella prima fase, un contatto “violento” tra il coimputato ed il portiere dell’albergo dove i due si erano introdotti invito domino ma senza l’uso di violenza e/o minaccia; riporta le fasi successive dell’episodio osservando che la Corte, travisando le prove, ha sostenuto che la “opposizione” del COGNOME avrebbe comportato la trasformazione del furto in rapina mentre era stato il portiere a tornare armato nella hall inducendo il COGNOME, in quel momento da solo, a porre in essere una condotta di legittima difesa “preventiva”; sottolinea, a tal proposito, come la iniziativa del COGNOME non potesse ritenersi giustificata da quella tenuta poco prima dal COGNOME frutto di una lettura distorta degli atti processuali, con diretto riflesso anche sulla valutazione dell’elemento soggettivo, dal momento che la violenza esercitata nei confronti del COGNOME era stata diretta non già a garantirsi la disponibilità di quanto appreso ma ad opporsi al medesimo, nel frattempo munitosi di un’arma; segnala, in ordine al concorso del ricorrente, che costui, quella stessa sera, aveva già tentato di impossessarsi di alcolici avendo desistito all’intervento del portiere e, pertanto, con un atteggiamento pacifico che aveva animato anche il tentativo posto in essere insieme al COGNOME, non contraddetto
dal “cenno d’intesa” cui ha fatto riferimento la Corte come prova del previo concerto; aggiunge che la reazione del coimputato era stata determinata dall’iniziativa del COGNOME sulla cui prevedibilità, da parte del NOME, la Corte h omesso di motivare;
3.2 erronea applicazione della legge penale e manifesta contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 628, comma terzo, cod. pen.; rileva che, alla luce della stessa ricostruzione offerta dalla sentenza impugnata, la colluttazione tra il COGNOME ed il COGNOME era iniziata quando il COGNOME si trovava in un’altra stanza intento ad impossessarsi di bottiglie di alcolici ma che la Corte ha confermato la aggravante sul duplice presupposto secondo cui i due avrebbero agito con implicita suddivisione dei compiti con la condotta violenta che si era manifestata contestualmente a quella di sottrazione; aggiunge che la affermazione secondo cui il locale ove si trovava il ricorrente era visibile da quello cella colluttazione rappresenta una asserzione immotivata ed inverificabile non potendo inoltre rilevare il fatto che il NOME si fosse allontana dall’albergo passando per l’hall mentre la colluttazione era ancora in corso; richiama le SS.UU. “AVV_NOTAIO” alla luce del cui arresto insiste per la erroneità, in diritto, della decisione impugnata;
4. la Procura AVV_NOTAIO ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per il rigetto del ricorso: rileva che il primo motivo contesta una lettura distorta della vicenda con riguardo alla condotta materiale del reato e, in definitiva, il dolo concorsuale, elementi su cui la Corte territoriale ha reso motivazione logica ed adeguata, in replica alle analoghe censure della difesa, già proposte con i motivi di appello; segnala come non sussista alcun travisamento risolvendosi, la doglianza difensiva, in una mera rivalutazione in fatto; rileva, con riguardo al secondo motivo, concernente la aggravante residua, che la sentenza, in linea con la ricostruzione in fatto, ha correttamente sostenuto cha la circostanza secondo cui il ricorrente si trovasse in un locale attiguo non vale ad escluderne l’applicabilità poiché il locale in cui si trovava il NOME era tanto vicino da permetterne la visibiltà, rafforzando dunque l’esercizio di violenza/minaccia in atto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile poiché articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede di legittimità.
I due motivi formulati nell’interesse del NOME denunziano, in primo luogo, vizio di motivazione anche per travisamento della prova in merito alla dinamica dell’episodio dell’11.10.2020 e, in secondo luogo, violazione di legge con riguardo alla aggravante RAGIONE_SOCIALE “più persone riunite”.
1.1 È pertanto necessario rilevare che, tuttavia, lungi dal prospettare un vizio di legittimità, il ricorso finisce per contestare il giudizio di responsabil ovvero il risultato probatorio cui sono approdati i giudici di primo e secondo grado che, con valutazione conforme RAGIONE_SOCIALE medesime emergenze istruttorie, sono stati concordi nel ritenere l’ipotesi accusatoria riscontrata nella ricostruzione della concreta vicenda processuale.
Vale la pena, allora, ribadire che il vizio di violazione di legge va dedotto contestando la riconducibilità del fatto – come ricostruito dai giudici di merito nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, è, come accade sovente, contestare o mettere in dubbio che le emergenze istruttorie acquisite consentano di ricostruire la condotta di cui si discute in termini idonei a ricondurla al paradigma legale: operazione, questa, che è, invece, propria del giudizio di merito.
Con riguardo, poi, al vizio di motivazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non è inutile sottolineare che il sindacato di legittimità sull motivazione del provvedimento impugnato deve essere mirato a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione RAGIONE_SOCIALE regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv. 233708; Sez. 2, n. 36119 del 04/07/2017, Agati, Rv. 270801).
Non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali per pervenire ad una diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di
rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valen probatoria del singolo elemento (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2 – , n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747).
In particolare, le doglianze articolate in termini di violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. riguardanti l’attendibilità dei testimoni dell’accusa, non essendo l’inosservanza di detta norma prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ma soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della medesima norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (cfr., Cass. Pen., 1, 20.10.2016 n. 42.207, COGNOME; conf., Cass. Pen., 3, 17.10.2012 n. 44.901, F.; conf., da ultimo, Cass. SS.UU., 16.7.2020 n. 29.541, COGNOME).
Da ultimo, va chiarito che il vizio di “travisamento” deve riguardare una prova che non sia stata affatto valutata ovvero che sia stata considerata dal giudice di merito in termini incontrovertibilmente difformi (non già dal suo “significato” ma) dal suo “significante” e che venga individuata specificamente e “puntualmente” come idonea a disarticolare il ragionamento su cui si fonda la decisione laddove, invece, nel caso di specie, la difesa si limita a proporre una differente ricostruzione dell’episodio ed una diversa “lettura” RAGIONE_SOCIALE immagini captate dal sistema di videosorveglianza.
1.2 Tanto premesso, rileva il collegio che l’appello aveva portato alla attenzione della Corte territoriale le medesime prospettazioni difensive poi replicate con il ricorso sotto il profilo del difetto di motivazione e del travisamento della prova e, in particolare, per un verso la insussistenza degli elementi fattuali per ritenere il delitto di rapina, dovendosi ritenere la condotta del coimputato legittima reazione alla iniziativa del COGNOME; in secondo luogo, la impossibilità di ritenere la aggravante RAGIONE_SOCIALE “più persone riunite”.
La sentenza impugnata, invero, ha operato una accurata e puntuale ricostruzione dei fatti frutto, peraltro, del conforme apprezzamento RAGIONE_SOCIALE medesime emergenze istruttorie a partire da quanto riferito da NOME COGNOMECOGNOME portiere dell’albergo Majestic dove, alle 22,00 circa, aveva notato un giovane (pacificamente identificato nel NOME) uscire ed allontanarsi con alcune
bottiglie di alcolici che aveva prelevato all’interno essendo riuscito perciò ad ottenerne la restituzione.
Era emerso, quindi, che l’odierno ricorrente si era ripresentato dopo circa un’ora in compagnia di un altro giovane (altrettanto pacificamente identificato nel correo NOME COGNOME) chiedendo di poter consumare alcolici, cosa che gli veniva negata non avendo l’hotel licenza per la somministrazione; il secondo individuo, quindi, aveva iniziato a spintonare la porta di ingresso scagliandosi violentemente contro il COGNOME che si era munito di un attrezzo ginnico per opporsi ai due, ma che il COGNOME aveva sottratto alla persona offesa ed utilizzato per colpire quest’ultima mentre il COGNOME, dal canto suo, si impossessava di bottiglie di alcolici.
Il GUP, dal canto suo, aveva congruamente motivato sul concorso dei due e, anzi, sul previo concerto (cfr., pag. 4 della sentenza di primo grado), con argomentazione tipicamente “in fatto” rispetto alla quale le considerazioni svolte nel ricorso si pongono in termini di lettura alternativa del dato istruttorio che non è stato certamente omesso o travisato (cfr., anche pag. 8 della sentenza di primo grado).
In ogni caso, va pur ribadito che, in tema di rapina, l’elemento psicologico può essere integrato anche dal cosiddetto dolo concomitante o sopravvenuto, non essendo necessario che la violenza o la minaccia siano finalizzate all’impossessamento sin dal primo atto (cfr., in tal senso, tra le altre, Sez. 2, n. 3116 del 12/01/2016, Paolicchi, Rv. 265644 – 01).
La Corte d’appello (cfr., pag. 7 della sentenza impugnata) ha quindi correttamente valorizzato il precedente tentativo del COGNOME di impossessarsi di bottiglie di alcolici come premessa dimostrativa dell’intento che avevano animato la iniziativa dei due giovani nella consapevolezza certa di ottenere un rifiuto da parte del portiere dell’albergo.
Per questa ragione, dunque, la reazione di costui e la condotta violenta del COGNOME per vincerne la resistenza è stata linearmente considerata per nulla affatto imprevedibile da parte del NOME, dovendosi inoltre ribadire che, in tema di concorso di persone nel reato, la responsabilità del compartecipe ex art. 116 cod. pen. può essere configurata solo quando l’evento diverso non sia stato voluto neppure sotto il profilo del dolo indiretto (indeterminato, alternativo od eventuale) e, dunque, a condizione che non sia stato considerato come possibile conseguenza ulteriore o diversa della condotta criminosa concordata (cfr., Sez. 2, n. 48330 del 26/11/2015, GLYPH NOME, GLYPH Rv. 265479 GLYPH 01; Sez. 2, n. 49486 del 14/11/2014, Cancelli, Rv. 261003 – 01).
I giudici di merito hanno infatti congruamente chiarito che i due giovani erano determinati ad impossessarsi degli alcolici anche a costo di dover fronteggiare la reazione del portiere (come detto assolutamente prevedibile alla luce di quanto accaduto un’ora prima).
1.3 Quanto alla aggravante RAGIONE_SOCIALE “più persone riunite”, stando alla conforme ricostruzione dell’episodio restituita dalle due sentenze di merito, è vero che la violenza è iniziata quando il COGNOME era nello stanzino attiguo ma è pur vero che essa era proseguita quando costui, uscito dallo stanzino, era rientrato nell’hall dove il COGNOME si trovava impegnato nella colluttazione con il complice, di modo che la presenza del ricorrente, quale presupposto della aggravante, era stata senz’altro percepita dalla vittima.
In ogni caso, occorre prendere atto del difetto di interesse dell’imputato a contestarne i presupposti dal momento che la Corte d’appello, valutandola contestualmente alle attenuanti, l’ha considerata subvalente; ed è assolutamente prevalente, oltre che condiviso dal collegio, l’orientamento secondo cui è inammissibile, per carenza di interesse, l’impugnazione dell’imputato preordinata ad ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante quando la stessa sia stata già ritenuta subvalente rispetto alle riconosciute attenuanti (cfr., da ultimo, Sez. 2 – , n. 3880 del 24/11/2022 Ud. (dep. 30/01/2023), Damiano, Rv. 284309 01; Sez. 1 – , n. 43269 del 25/09/2019, R., Rv. 277144 – 01; Sez. 3 – , n. 19901 del 12/12/2018, COGNOME, Rv. 275962 – 01; Sez. 4, n. 20328 del 11/01/2017, B., Rv. 269942 – 01; Sez. 5, n. 2311 del 13/10/2015, COGNOME, Rv. 266056 – 01; Sez. 2, n. 38697 del 24/06/2015, COGNOME, Rv. 264803 01).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso in Roma, il 18.1.2024