Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22043 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22043 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 12/12/1994
NOME nato a NAPOLI il 13/10/1999
avverso la sentenza del 17/05/2024 della CORTE di APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo emettersi declaratoria di inammissibilità dei ricorsi; udito il difensore, Avv. COGNOME COGNOME per COGNOME, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 17 maggio 2024 la Corte d’Appello di Napoli confermava la sentenza emessa il 4 maggio 2022 dal Tribunale di Napoli, con la quale gli imputati COGNOME NOME e NOME NOME erano stati dichiarati colpevoli dei delitti di rapina aggravata in concorso e lesioni personali in concorso e condannati alle pene di legge.
Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione, con distinti atti, entrambi gli imputati, per il tramite dei rispettivi difensori, chiedendone l’annullamento.
La difesa del COGNOME articolava un unico motivo, con il quale deduceva inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 585, comma 4, e 178, lett. c), cod. proc. pen., in riferimento all’art. 24 Cost., nonché motivazione apparente in ordine ai motivi aggiunti tempestivamente depositati.
Assumeva, in particolare, che la Corte territoriale non aveva esaminato tali motivi, con i quali la difesa aveva dedotto che nell’occorso era carente in capo al Carranante il dolo di reati contestati, sicché il comportamento di costui doveva essere più correttamente considerato quale connivenza non punibile, considerato che il ricorrente non aveva partecipato all’aggressione subita dalla vittima – alla quale era stato sottratto l’orologio da polso -, essendo rimasto fermo davanti alla propria autovettura che, nel corso di un alterco verificatosi durante la circolazione stradale e poi degenerato non per volontà del ricorrente, aveva bloccato la marcia di quella condotta dalla persona offesa.
La difesa del COGNOME articolava due motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva illogicità della motivazione quanto alla valutazione delle dichiarazioni della parte offesa, che aveva affermato di aver perso l’orologio, che era caduto per terra durante le fasi dell’aggressione e verosimilmente era stato sottratto da un soggetto ignoto.
Con il secondo motivo deduceva mancanza di motivazione e violazione degli artt. 511, 514 e 364 cod. proc. pen. in relazione all’acquisizione del fascicolo fotografico utilizzato ai fini del riconoscimento effettuato dalla persona offesa, assumendo che l’individuazione fotografica era avvenuta in violazione dell’art. 364 cod. proc. pen. per non essere stato l’imputato assistito da un difensore durante l’individuazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Carranante è infondato.
Ed invero, la Corte d’Appello ha reso una motivazione immune da vizi in relazione alla qualificazione giuridica della condotta tenuta dal ricorrente, ritenendola non mera connivenza, bensì significativa di un contributo concorsuale penalmente rilevante, evidenziando congruamente che nell’occorso il COGNOME aveva provveduto ad arrestare la marcia della propria vettura
davanti a quella condotta dalla parte offesa, al fine di bloccarla, e si era avvicinato, insieme agli altri correi, alla vittima all’evidente fine di aggredirla (v pag. 7 della sentenza impugnata). La Corte ha richiamato in maniera puntuale e adeguata le fonti di prova utilizzate per accertare la dinamica dei fatti, costituite, in particolare, dalle dichiarazioni dalla stessa parte offesa, ritenuta dalla Corte territoriale del tutto credibile, non essendosi costituita parte civile e avendo reso dichiarazioni “lineari, coerenti, prive di contraddizioni e tali da non lasciar trasparire alcun intento calunnioso”, oltre che “confermate dagli esiti del referto medico attestante le lesioni subite per effetto dell’aggressione” (v. pag. 5 della sentenza impugnata).
La completa analisi della situazione di fatto esclude qualsiasi carenza argomentativa rispetto al dolo, che si assume contestato nella memoria con i motivi aggiunti. La Corta ha infatti chiarito alle pagine 7 e 8 che se pur la sottrazione dell’orologio non fosse programmata, la circostanza che tale attività sia stata preceduta da ripetute richieste di consegna dà conto della perfetta coscienza di quanto stava per avvenire da parte di tutti i presenti, nessuno dei quali risulta essersi dissociato dalla condotta in corso di realizzazione.
Pertanto il ricorso del COGNOME deve essere rigettato e per l’effetto il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
Il primo motivo di ricorso dedotto dalla difesa del COGNOME è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Deve, invero, osservarsi che la Corte d’Appello ha reso adeguata motivazione richiamando puntualmente e in maniera del tutto congrua le dichiarazioni della vittima, che aveva dichiarato che gli aggressori gli avevano intimato di consegnare loro l’orologio, il cui cinturino era munito di “apertura da dietro a scatto” e glielo avevano sfilato con forza dal polso, con ciò escludendo in maniera categorica che l’orologio fosse caduto a terra accidentalmente, come preteso dalla difesa. La circostanza che la parte offesa avesse dichiarato di aver rilevato la mancanza dell’orologio solo al termine della colluttazione non consente di nutrire dubbi sulla consumazione dell’azione di sottrazione, preceduta, come è stato già esposto, da ripetute richieste di consegna.
È del pari inammissibile, in quanto manifestamente infondato, anche il secondo motivo dedotto dalla difesa del COGNOME.
Secondo il consolidato orientamento del Giudice di legittimità, condiviso da questo Collegio, l’individuazione di persona effettuata mediante somministrazione di immagini, ai sensi dell’art. 361, comma 2, cod. proc. pen.,
non consistendo in un atto al quale deve presenziare la persona sottoposta alle indagini (art. 364, comma 1, cod. proc. pen.), non richiede
l’assistenza del difensore, a prescindere dal fatto che la persona individuata sia iscritta o meno, al momento del suo espletamento, nel registro degli indagati
(cfr., ex multis,
Sez. 2, n. 9663 del 06/02/2019, COGNOME, Rv. 275767 – 01).
Alla stregua di tali rilievi il ricorso del COGNOME deve, dunque, essere dichiarato inammissibile; il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai
sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno
2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il COGNOME versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle
ammende.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di NOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 12/03/2025