Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44697 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44697 Anno 2024
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/10/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Policoro il giorno 03/03/1980 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza del 24/01/2024 della Corte di appello di Potenza;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che è stata richiesta la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria con la quale il sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso riportandosi alla memoria scritta già depositata;
udita la discussione del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Potenza, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Matera emessa in data 28/04/2023 all’esito di giudizio abbreviato, ha confermato il giudizio di responsabilità di COGNOME NOME per i delitti di rapina aggravata e di illegale detenzione e porto in luogo pubblico di una pistola, fatti commessi in concorso con NOME NOME e ha ridotto la pena in anni quattro di reclusione ed euro 2.000,00 di multa.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 110 cod. pen, 192 e 546 cod. proc. pen., violazione dell’art. 533 cod. proc. pen. con riferimento al principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”; mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione anche sotto il profilo del travisamento delle risultanze probatorie.
Deduce la difesa il difetto di indizi gravi, precisi e concordanti in ordine alla partecipazione del ricorrente alla rapina materialmente commessa dal coimputato COGNOME in particolare osserva quanto segue.
Dalla conversazione telefonica intercorsa in data 13/01/2022 tra l’imputato ed una donna di nome NOME – il cui significato del tutto chiaro è stato snaturato e “deformato” dai giudici di merito- emerge come COGNOME fosse aduso a “coprire” la targa del proprio motociclo per eludere i dispositivi di rilevazione della velocità e quindi per evitare di incorrere in contravvenzioni stradali; tale cautela non poteva quindi essere valorizzato quale elemento indiziario della sua partecipazione consapevole alla rapina.
Sia il giudice di primo grado che la Corte di appello non hanno valutato il rilievo difensivo secondo cui l’estraneità dell’imputato all’azione predatoria era ricavabile anche dal fatto che l’imputato aveva accompagnato NOME indossando capi di abbigliamento ed un casco con segni molto vistosi e caratterizzanti tali da renderlo agevolmente identificabile, che – mentre era in corso la consumazione della rapina – aveva addirittura utilizzato il proprio cellulare per chiamare la sorella e navigare su internet in tal mondo facendosi localizzare come presente sul luogo del fatto; che, infine, dopo l’azione criminosa non aveva occultato lo scooter. Tali imprudenze sono da ritenersi palesemente incompatibili con la consapevole partecipazione alla rapina e, viceversa, suffragano la tesi di COGNOME di essere stato all’oscuro dell’intenzione del coimputato di commettere l’azione predatoria presso il supermercato di Scanzano Jonico, luogo ove l’aveva accompagnato su richiesta di un semplice ed occasionale passaggio. Il giudice di primo grado si è limitato ad affermare genericamente che tali imprudenze non
avevano alcuna rilevanza senza argomentare alcunchè e la Corte territoriale, dal canto suo, rispetto a tali contegni ha fornito spiegazioni ancorate a valutazioni di tipo soggettivo e prive di fondamento obiettivo.
La Corte di appello non ha attribuito alcun rilievo neppure al fatto che l’imputato ben difficilmente avrebbe potuto assumere il ruolo di “palo” essendo rimasto ad una distanza di circa 150-160 metri dall’esercizio commerciale rapinato da Lacopeta e per di più in una strada limitrofa a quella in cui esso è collocato. Sul punto in sentenza si è affermato che la scelta di non collocarsi troppo vicino rispondeva alla logica di evitare il rischio di potere essere riconosciuto dai dipendenti del supermercato, ma tale assunto stride macroscopicamente, sul piano logico, con le numerose imprudenze nelle quali l’imputato è incorso e di cui la stessa Corte dà atto definendole leggerezze e disattenzioni.
Ancora, il giudice di secondo grado ha valorizzato quale ulteriore elemento indiziario della sua partecipazione consapevole alla rapina i contatti telefonici intercorsi tra COGNOME e NOME (quest’ultimo coniuge dalla basista COGNOME NOME) il giorno stesso dell’azione predatoria, senza considerare che si tratta sparute e brevi chiamate (di cui due rimaste senza risposta). Per “riempire” di significato tale circostanza, la Corte territoriale è ricorsa ad un dato inesistente e cioè a quello, del tutto indimostrato, che le intese circa la realizzazione della rapina sarebbero state raggiunte precedentemente e che i contatti avvenuti poco prima della sua consumazione avrebbero avuto ad oggetto solo il veloce scambio di informazioni, mentre le chiamate senza risposta sarebbero state “segnai;” operativi concordati in precedenza tra i due.
Infine, ha ritenuto non credibile la versione dei fatti resa da COGNOME senza esplicitare il percorso argomentativo seguito per giungere a tale convincimento e, con motivazione meramente assertiva e comunque erronea, ha affermato l’inattendibilità delle dichiarazioni liberatorie rese dal coimputato COGNOME nei confronti dell’odierno ricorrente sul presupposto che esse erano state tardive (in realtà COGNOME in prima battuta aveva semplicemente esercitato il suo diritto al silenzio) e strumentali ad ottenere l’esclusione della aggravante dell’avere commesso la rapina in più persone riunite (senza considerare che l’imputazione a suo carico contemplava anche le ulteriori aggravanti del travisamento e dell’uso di arma, sicchè nulla sarebbe cambiato sul piano sanzionatorio).
La sentenza impugnata non ha fatto dunque buon governo del canone probatorio di cui all’art. 192 cod. proc. pen., dell’onere motivazionale imposto dall’art. 546 lett. e) cod. proc. pen. e del principio dell’oltre ogni ragionevol dubbio
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto va dichiarato inammissibile.
In primo luogo perché meramente reiterativo di doglianze già dedotte in appello e motivatamente disattese dal giudice di secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti spesi nel provvedimento impugnato e limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione.
In secondo luogo perché volto a sollecitare in questa sede una rivisitazione di profili attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio, così tentando di sottoporre a questa Corte un nuovo giudizio di merito. 1.1. Come è noto, per giurisprudenza pacifica di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa ripetizione di quelli già proposti nel giudizio di secondo grado e motivatamente non accolti, dovendo gli stessi considerarsi non specifici e soltanto apparenti, in quanto non connotati da critica puntuale avverso la sentenza oggetto di impugnazione (cfr. Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, p.m. in proc. COGNOME, Rv. 244181; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708; Sez. 5, n. 25559 del 15/06/2012, COGNOME; Sez. 3 n. 44882 del 10/07/2014, COGNOME, Rv. 260608; Sez. 2 n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 2 n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710). In altri termini, a fronte di una sentenza di appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può essere considerata una critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’appello atteso che il dedotto vizio di motivazione deve avere come punto di riferimento non il fatto in sé, ma il costrutto logico argomentativo della sentenza di secondo grado; in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’art. 581 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.2. E’ altrettanto noto che non rientra nei poteri del giudice di legittimità quello di effettuare una rilettura degli elementi storico-fattuali posti a fondamento del motivato apprezzamento al riguardo svolto nell’impugnata decisione di merito, essendo il relativo sindacato circoscritto alla verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari aspetti o segmenti del percorso motivazionale ivi tracciato (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 e, successivamente, Sez. 2, n. 21644 del 13/02/2013, COGNOME ed altri, Rv.255542; Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016, COGNOME più altri, non mass.; Sez. 4 n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601). L’accertamento di fatto è riservato al
giudice della cognizione, sicchè le censure di merito agli apprezzamenti singoli e complessi sul materiale probatorio costituiscono motivi diversi da quelli consentiti (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.).
Inammissibili sono pertanto tutte le doglianze che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove e che evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti della attendibilità, della credibilità e dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr., Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME ed altri, Rv.262575; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623; Sez. 4 n. 10153 dell’11/02/2020, C., Rv.278609). Allorquando il giudice di merito ha espresso il proprio apprezzamento, la ricostruzione del fatto è definita e le sole censure possibili nel giudizio d legittimità sono quelle dei soli tre tassativi vizi indicati dall’art. 606, comma 1, le e) cod. proc. pen., ciascuno dotato di peculiare oggetto e struttura laddove, in particolare, l’illogicità della motivazione, per essere apprezzabile come vizio di legittimità, deve essere evidente, cioè sorretta da palesi errori nella applicazione delle regole della logica.
1.3. Ancora, va ricordato il consolidato insegnamento di questa Corte secondo il quale, in caso di processo indiziario, non è consentito limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata dei singoli elementi raccolti, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma è necessario, preliminarmente, valutare ciascuno di essi per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma possibilistica), in altre parole, occorre procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la -astratta- relativa ambiguità di ciascuno di essi isolatamente considerato, possa, in una visione unitaria, risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio” e cioè con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana e comunque prive di qualsiasi riscontro nelle risultanze processuali (cfr.ex mu/tis Sez. 1 n. 20461 del 12/04/2016, COGNOME, Rv 266941; Sez. 1 n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv 258321; Sez. 1 n. 51457 del 21/06/2017, COGNOME e altri, Rv 271593).
1.4. Fatte queste premesse, rese necessarie dalla tipologia delle censure difensive, si osserva che la Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza di plurimi e precisi elementi del tutto concludenti circa la riconducibilità anche all’imputato NOME COGNOME della commissione della rapina; ha anche esaminato compiutamente tutte le deduzioni difensive prospettate nell’atto di appello sviluppando al riguardo un complessivo apparato argonnentativo in alcun modo GLYPH
(
censurabile sotto il profilo della completezza e non manifesta illogicità, oltre che strettamente aderente alle risultanze processuali alle quali vi è costante riferimento.
Quanto al primo profilo, la sentenza impugnata ha richiamato un coacervo di plurimi elementi, correlati tra loro e quindi valutati globalmente, idonei ad individuare nell’odierno ricorrente colui che aveva accompagnato l’esecutore materiale della rapina (il coimputato NOME COGNOME) sul luogo del fatto e svolto il ruolo di “palo”, così fornendo un concreto contributo causale alla realizzazione dell’azione predatoria.
Si è dato conto ( pagg. 6 e 7) innanzitutto cuntrl di due dati del tutto pacifici rappresentati dalla confessione di COGNOME in ordine alla materiale esecuzione della rapina e dal fatto che l’odierno ricorrente aveva ammesso di avere accompagnato costui sul luogo del fatto con il proprio scooter e di averlo atteso a poca distanza dal supermercato per poi allontanarsi insieme. Partendo da tali incontestate circostanze, si è poi valorizzata una serie di elementi indizianticonsiderati in modo non atomistico ma nel loro insieme- ritenuti idonei a smentire la tesi difensiva offerta da COGNOME di essere stato del tutto all’oscuro dell’intenzione di commettere il delitto da parte di COGNOME (mero conoscente) al quale aveva semplicemente offerto un “passaggio” sino al supermercato attendendolo sino a quando questi era uscito dall’esercizio.
In particolare, ha richiamato il fatto che l’imputato si era portato sul luogo del fatto con la targa dello scooter parzialmente occultata (anche nel tragitto di ritorno); che questi aveva avuto contatti telefonici (mai registrati in precedenza) con il coniuge della donna ritenuta basista della rapina, proprio in orari posti esattamente a cavallo rispetto ai tempi di consumazione dell’azione predatoria; che era da ritenersi non plausibile l’avere accompagnato un mero conoscente in un luogo diverso dal paese di residenza senza avergli minimamente chiesto le ragioni di tale trasferta, così come era altrettanto inverosimile che COGNOME avesse compiuto la rapina, previamente pianificata con un basista, avvalendosi dell’inconsapevole apporto di un soggetto con il quale aveva semplici rapporti di conoscenza e che avrebbe potuto rifiutare il passaggio richiesto, così vanificando la programmata azione difensiva.
La Corte ha dunque proceduto, facendo corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in tema di processo indiziario, all’esame globale di una serie di dati la cui valenza dimostrativa, proprio in una visione unitaria, consentivano di attribuire il reato all’imputato ” al di là di ogni ragionevole dubbio” e cioè con un alto grado di credibilità razionale.
Nella sentenza impugnata (pagg. da 8 a 10) vi è anche la compiuta e soppesata risposta alle deduzioni difensive contenute nell’atto di appello, priva di palesi errori nella applicazione delle regole della logica.
Per nulla snaturato e “deformato” (come sostenuto dal ricorrente) è il significato attribuito alla conversazione telefonica intercorsa in data 13/01/202:2 tra l’imputato ed una donna di nome NOME nella quale il primo aveva affermato di circolare con la targa dello scooter “coperta”. I giudici di secondo grado sul punto hanno dato conto del fatto che proprio sulla scorta di tale colloquio l’occultamento della targa assurgeva a dato certo in quanto ammesso dall’imputato (sia pure nell’ambito di un colloquio avente ad oggetto contravvenzioni al codice della strada) e, come tale, rappresentava un indizio a carico dell’imputato da correlarsi agli ulteriori elementi raccolti.
La Corte territoriale ha fornito spiegazione, tutt’altro che incongruente ed irrazionale, al rilievo difensivo incentrato sulle “imprudenze” commesse da COGNOME nel corso dell’azione criminosa osservando come esse andassero ricondotte alla sua eccessiva sicurezza di non essere identificato avendo egli utilizzato un motociclo con targa occultata e non fossero, quindi, incompatibili con una consapevole partecipazione alla rapina.
Neppure è stato trascurato il tema difensivo secondo cui l’imputato si era collocato ad una certa distanza dal supermercato ( 150 metri) e sul punto , con argomentazione ancora una volta non manifestamente illogica, la sentenza impugnata sottolinea che ciò era ragionevolmente avvenuto per non farsi riconoscere dai dipendenti dell’esercizio e che tanto non gli aveva impedito di rilevare e segnalare a COGNOME (tramite il cellulare di cui era in possesso) la presenza nei pressi delle forze dell’ordine e di raggiungere velocemente il complice a mezzo dello scooter.
Ancora, la Corte territoriale (pag. 9 della sentenza) ha dato motivatamente conto delle ragioni per le quali la versione di estraneità resa dall’imputato era da considerarsi inattendibile e ha, del resto, evidenziato come le affermazioni del coimputato COGNOME tese a scagionarlo risultavano non solo tardive e verosimilmente strumentali ad ottenere un più favorevole trattamento sanzionatorio, ma anche prive di riscontri esterni e, quindi, tali da non superare e smentire gli elementi indiziari raccolti e da valutare nella loro globalità.
2. Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e, valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000 n. 186), al versamento della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende, che si ritiene equa
considerando che l’impugnazione è stata esperita per ragioni manifestamente infondate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 01/10/2024.