Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9610 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9610 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di: COGNOME NOME, nato a Padova il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte di appello di Venezia del 6.10.2022;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, che ha concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’8.2.2017 il GIP del Tribunale di Venezia aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile dei delitti di rapina pluriaggravata e
lesioni personali pluriaggravate in concorso e, ritenuto il vincolo della continuazione tra le diverse violazioni di legge, applicata la diminuente per la scelta del rito, lo aveva condannato alla pena finale di anni 3 e mesi 6 di reclusione ed euro 1.200 di multa oltre al pagamento delle spese processuali; il primo giudice aveva inoltre applicato al COGNOME la pena accessoria conseguente alla entità di quella principale;
la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma, ha escluso la recidiva ed ha di conseguenza rideterminato la pena inflitta al COGNOME che ha quantificato in anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euro 1.066 di multa confermando nel resto la sentenza impugnata;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che lamenta:
3.1 mancanza e/o contraddittorietà della motivazione in merito al ritenuto raggiungimento della prova della responsabilità dell’imputato: rileva che la Corte d’appello ha confermato al responsabilità del ricorrente facendo leva sulle due chiamate in correità e sulle dichiarazioni dell’autore materiale della rapina circa il luogo in cui costui aveva incontrato le due donne nonché sui contatti telefonici intercorsi con la COGNOME; segnala che il NOME non aveva mai effettuato una chiamata in correità ed evidenzia, per altro verso, la totale inattendibilità delle dichiarazioni della COGNOME e della COGNOME, chiaramente interessate ad alleggerire la propria posizione; osserva che dal complesso delle dichiarazioni acquisite emerge con chiarezza che la organizzazione della rapina era stata appannaggio esclusivo delle due donne in quanto eseguita in danno del fidanzato della COGNOME e che il rapporto tra costoro ed il COGNOME non poteva essere univocamente ricondotto alla organizzazione della rapina sussistendo, tra loro, relazioni di pregressa conoscenza;
3.2 mancanza e/o contraddittorietà della motivazione quanto al carattere apodittico e congetturale delle considerazioni spese dalla Corte d’appello sulla circostanza secondo cui il ricorrente sarebbe stato l’unico tramite fra il duo NOME e l’altro duo NOME COGNOME;
3.3 violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’art. 62-bis cod. pen.: rileva che la Corte territoriale, nel negare le attenuanti generiche, ha omesso di valutare il ruolo marginale del ricorrente ed il fatto che la vittima non aveva in realtà subito alcun danno economico poiché la refurtiva era stata recuperata nella immediatezza;
3.4 violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’art. 628, comma terzo, n. 1, cod. pen.: segnala la assoluta assenza di motivazione sulla richiesta difensiva, avanzata con l’atto di appello, concernente la esclusione delle aggravanti contestate sul delitto di rapina;
3.5 violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’art. 62 n. 4 cod. pen.: segnala che la Corte di appello ha replicato alla richiesta difensiva concernente il riconoscimento della attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. con motivazione incongrua e riferita al mancato risarcimento del danno perché operato dai correi;
3.6 violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’art. 62 n. 6 cod. pen.: rileva che la difesa del ricorrente aveva prodotto in giudizio la quietanza rilasciata dalla persona offesa che si era dichiarato soddisfatto e di non avere più nulla a pretendere da tutti gli imputati, ivi compreso l’odierno ricorrente e che, invero, la motivazione sul punto specifico è del tutto assente;
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, complessivamente, infondato.
1. NOME COGNOME era stato chiamato a rispondere e, invero, riconosciuto responsabile, nei due gradi di merito, all’esito di un conforme apprezzamento delle medesime emergenze investigative, del delitto di rapina pluriaggravata (ai sensi dei nn. 1 e 3 -bis del comma terzo dell’art. 628 cod. pen.) con condotta materialmente posta in essere da NOME COGNOME ed il concorso di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (tutti separatamente giudicati); la rapina era avvenuta in danno di NOME NOME ed aveva avuto ad oggetto la somma di euro 13.530,00, un telefono cellulare da costui detenuti all’interno dell’ufficio di pertinenza del distributore di carburante sito in località Valli del Comune di Chioggia, ove egli prestava lavoro.
I ruoli ricoperti dai vari coindagati erano stati delineati nel capo di imputazione che aveva individuato in NOME COGNOME colui che, con la COGNOME e la COGNOME, aveva contribuito ad ideare e organizzare la rapina, reperendo anche con l’aiuto del fratello NOME – colui che si sarebbe assunto il compito di porre in essere materialmente l’atto predatorio accompagnato sul posto dalla COGNOME, e che, travisato, avrebbe puntato contro la vittima una pistola a salve ed avrebbe poi colpito la vittima alla testa con la pistola cagionandogli le lesioni personali indicate nel capo b).
2.1 Il processo si era svolto, in primo grado, con rito abbreviato e la responsabilità del ricorrente era stata fondata sulle dichiarazioni di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, madre di costei; costoro avevano riferito che il COGNOME aveva ideato ed organizzato la rapina reperendo l’esecutore materiale tramite il fratello NOME; il GIP del Tribunale aveva ritenuto che le
dichiarazioni rese dalle due donne erano attendibili e convergenti oltre che riscontrate dalle risultanze dei tabulati telefonici indipendentemente dal messaggio “habemus papam” di cui aveva parlato la COGNOME e che non era stato invece acquisito.
2.2 Con l’atto di appello la difesa aveva dedotto l’inadeguatezza, per mancanza di riscontri, delle chiamate in correità della COGNOME e della COGNOME; aveva evidenziato, d’altra parte, che il COGNOME non aveva mai chiamato in correità il COGNOME essendosi limitato a riferire di aver incontrato le due donne a casa del ricorrente il cui ruolo di “tramite” finiva in realtà con il risolversi in una me congettura; con un secondo motivo la difesa aveva contestato la responsabilità del ricorrente per il delitto di cui al capo b) e la stessa possibilità di riferirgl aggravanti del travisamento e dell’uso dell’arma poiché, anche a voler seguire la ricostruzione proposta dalla pubblica accusa secondo cui egli avrebbe provveduto a reperire il NOME, la programmazione della rapina era stata comunque appannaggio delle due donne.
Da ultimo, la difesa aveva lamentato il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e di quella di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen..
Rileva il collegio che la Corte territoriale ha affrontato le doglianze difensive fornendo una risposta complessivamente adeguata in fatto e corretta in diritto.
3.1 Il primo ed il secondo motivo del ricorso, con cui la difesa ha di fatto reiterato il corrispondente motivo di appello sono, pertanto, manifestamente infondati.
Il TARGA_VEICOLO ricorrente, infatti, deduce vizio della TARGA_VEICOLO motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità finendo, tuttavia, con il sollecitare la Corte ad operare una rivalutazione delle fonti probatorie, operazione certamente non consentita in sede di legittimità, dal momento che i giudici di merito hanno attribuito valenza dimostrativa del concorso del ricorrente nella rapina alla circostanza, giudicata decisiva in forza di un apprezzamento di merito fondato su argomentazioni non manifestamente illogiche, alla circostanza secondo cui le due donne incontrarono il NOME a casa del COGNOME e proprio tramite l’odierno ricorrente (cfr., d’altra parte, pag. 3 del ricorso in cui è stata la stessa difesa a riportar testualmente le spontanee dichiarazioni rese da quest’ultimo) alla cui presenza furono discusse le modalità con cui avrebbe dovuto essere realizzata l’azione predato ria.
Non è inutile sottolineare che il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere mirato a verificare che quest’ultima: a)
sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., Sez. 1 n. 41738 del 19/10/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, COGNOME, Rv. 233708; Sez. 2, n. 36119 del 04/07/2017, COGNOME, Rv. 270801).
Non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali per pervenire ad una diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenz probatoria del singolo elemento (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2 – , n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747).
La Corte d’appello, come accennato, ha preso in considerazione le convergenti dichiarazioni dei tre coimputati che, oltre a riscontrarsi reciprocamente quanto alla individuazione del COGNOME come “organizzatore” del colpo, hanno trovato un riscontro logico ulteriore proprio nella – incontestata circostanza del luogo in cui avvenne l’incontro con il COGNOME e dove vennero messi a punto i dettagli operativi della rapina, ovvero proprio nella abitazione del ricorrente, fratello del compagno di scuola del giovane cui sarebbe stato affidato il compito di portarla a termine (cfr., Sez. 2 – , n. 35923 del 11/07/2019, Campo, Rv. 276744 – 01, in cui la Corte ha ribadito che, in tema di chiamata in correità, i riscontri dei quali necessita la narrazione, possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente e, quindi, anche da altre chiamate in correità, purché la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che
occorre riscontrare, ed a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo cioè riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso all’imputato, mentre non è richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova “autosufficiente” perché, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità; conf., Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260607 – 01).
3.2 n terzo motivo è a sua volta manifestamente infondato: la Corte territoriale ha respinto la richiesta difensiva sulla scorta di elementi concernenti sia l’aspetto oggettivo che quello soggettivo della vicenda e, perciò, in termini esaustivi atteso che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli at essendo sufficiente che egli faccia riferimento a quelli da lui ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo in tal modo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (cfr., Sez. 5, n. 43953 del 13.4.2017, COGNOME; Sez. 2, n. 3896 del 20.1.2016 COGNOME).
Il riferimento alla assenza di manifestazioni di resipiscenza, sulla cui erroneità ha insistito la difesa, va allora letto in quest’ottica: è vero che l’imputato non può essere penalizzato, con il diniego delle circostanze attenuanti generiche, a causa della legittima scelta di non ammettere l’addebito e, quindi, di difendersi anche in maniera decisa e persino puntigliosa dalle accuse che gli vengano mosse; è anche vero che del tutto legittima è la decisione che da questa condotta ritenga di non poter ricavare alcun elemento favorevole per la concessione delle circostanze attenuanti generiche (cfr., sul punto, Sez. 2, n. 28388 del 21.4.2017, COGNOME).
3.3 H quarto motivo è infondato.
Con il secondo motivo di appello la difesa aveva dedotto che, in ogni caso, al ricorrente non poteva essere ascritto il delitto di lesioni, se non altro sotto i profilo del difetto dell’elemento soggettivo, non configurabile nemmeno sotto il profilo del dolo eventuale in quanto la rapina era stata eseguita dal NOME, incensurato ed estraneo al mondo del crimine; in termini analoghi, la difesa aveva argomentato in merito alla aggravante del travisamento ed a quella dell’uso dell’arma, di cui il COGNOME sarebbe stato del tutto ignaro e nella impossibilità nemmeno di prevederne l’impiego.
Va ribadito, in primo luogo che, in caso di concorso di persone nella commissione COGNOME del COGNOME reato, COGNOME il COGNOME criterio COGNOME generale COGNOME di COGNOME imputazione
delle circostanze aggravanti previsto dall’art. 59, comma secondo, cod. pen. – per il quale è necessario che esse siano conosciute o ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa – opera anche ai fini del riconoscimento delle circostanze di natura oggettiva, che si estendono ai concorrenti per i quali sia configurabile il coefficiente soggettivo previsto dalla citata disposizione, non essendo detto criterio modificato dalla previsione dell’art. 118 cod. pen., che si riferisce soltanto ad alcune circostanze soggettive (cfr., Sez. 2 – , n. 8324 del 04/02/2022, Keita, Rv. 282785 – 02).
Tanto premesso in via di principio, osserva il collegio che la censura è articolata sulla scorta di una ricostruzione del fatto diversa da quella restituita dalle due sentenze di merito, secondo cui era stato proprio il COGNOME a reclutare il COGNOME e ad organizzare la rapina non potendo, a quel punto, protestare la ignoranza del fatto che sarebbe stata eseguita con il ricorso ad un’arma (sia pure a salve) e con il travisamento dell’esecutore materiale.
3.4 Anche il quinto motivo è infondato.
La Corte d’appello ha motivato il diniego dell’attenuante del danno di lieve entità considerato, anche, il dato rappresentato dalle lesioni patite dalla vittima della rapina e l’entità della refurtiva.
Il rilievo è corretto: ancora di recente questa Corte ha ribadito che la configurabilità dell’attenuante in relazione al delitto di rapina non postula il solo modestissimo valore del bene mobile sottratto, essendo necessario valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro cui la violenza o la minaccia sono state esercitate, attesa la natura plurioffensiva del delitto, lesivo non solo del patrimonio, ma anche della libertà e dell’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto (cfr., Sez. 2 – , n. 28269 del 31/05/2023, Conte, Rv. 284868 – 01, che ha ritenuto corretta la decisione con la quale era stata esclusa tale attenuante sul duplice rilievo che il danno cagionato alla persona offesa, cui erano stati sottratti beni del valore di 700,00 euro, non fosse di lieve entità indipendentemente dalla capacità della predetta di sopportarlo e che l’azione predatoria era stata realizzata mediante minaccia a mano armata).
È d’altra parte, più volte si è avuto modo di affermare, in tema di furto ma con argomentazione certamente mutuabile per il delitto di rapina, che l’entità del pregiudizio deve essere commisurata al valore della cosa al momento della consumazione del reato, essendo irriilevanti le vicende successive alla integrazione di detta attenuante. (Fattispecie in cui i beni oggetto di furto erano stati sottratti per breve tempo poiché recuperati grazie ad un intervento della polizia giudiziaria
subito dopo la commissione del reato (Sez. 5 – , n. 19728 del 11/04/2019, Ingenito, Rv. 275922 01; Sez. 5, n. 13817 del 25/01/2017, Puggillo, Rv. 269731 – 01).
3.5 Infondato è, infine, il sesto motivo.
La Corte, che ha obiettivamente errato nell’indicare la attenuante del risarcimento del danno in quella del n. 4 dell’art. 62 cod. pen., ne ha comunque correttamente escluso il riconoscimento sull’assorbente e, in diritto, corretto, rilievo secondo cui essa non può trovare applicazione nel caso in cui il risarcimento, in tutto o in parte, venga operato da terzi e non dall’imputato, laddove, come accennato, il riferimento al n. 4 dell’art. 62 piuttosto che al n. 6 della stessa norma è frutto evidente di refuso (cfr., Sez. 6, n. 12621 del 25/03/2010, M., Rv. 246742 – 01).
4. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 28.11.2023