Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 32938 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 32938 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 04/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Barcellona Pozzo di Gotto il 30/11/1973
avverso l’ordinanza del 03/02/2025 del Tribunale del riesame di Messina udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilita del ricorso; uditi gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Messina, in riforma dell’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Messina del 19 dicembre 2024, ha sostituito la misura della custodia cautelare in carcere applicata a NOME con quella degli arresti domiciliari, in relazione al reato di peculato aggravato ex art. 416-bis 1. di cui al capo 3) di incolpazione provvisoria.
c/
Secondo quanto risulta dal provvedimento impugnato, il reato di peculato è stato contestato al ricorrente, in concorso, oltre che con terzi (tra cui, NOME NOME, il nipote NOME COGNOME e la madre di costui, NOME COGNOME), con NOME COGNOME, amministratore giudiziario della impresa Bellinvia NOME, sottoposta sia a confisca ai sensi dell’art. 12-sexies legge n. 356 del 1992 che a confisca di prevenzione, entrambe disposte nei confronti di NOME COGNOME, fratello di NOME NOME, condannato in via definitiva per la partecipazione all’associazione mafiosa dei barcellonesi per il periodo compreso tra il 1986 e il 1995 e tra il 1995 e il 2011, sul presupposto che l’impresa in questione fosse solo formalmente intestata a NOME COGNOME e NOME COGNOME rispettivamente madre e moglie di NOME COGNOME. In particolare, la condotta appropriativa ha riguardato il denaro della cassa dell’impresa ed è stata contestata sulla base della condotta dell’amministratore giudiziario che avrebbe consentito alla famiglia di NOME di continuare a gestire l’impresa, soprattutto attraverso la vendita in nero di pezzi di ricambio per autovetture. Fatto commesso al fine di agevolare la famiglia mafiosa dei barcellonesi.
Nella ordinanza si evidenzia che il ricorrente / in sette giornate lavorative, sulle trentatre oggetto di verifica, aveva distratto in favore degli Ofria i profitt conseguiti con le operazioni negoziali di vendita non contabilizzate, trattenendo, anche, per sé, in un’unica occasione, la somma di cinquanta euro.
Il Collegio della cautela ha poi ritenuto che l’indagato, quale dipendente della ditta Bellinvia, dovesse essere necessariamente consapevole dei provvedimenti ablativi che avevano attinto la società, circostanza che, peraltro, poteva ritenersi patrimonio di conoscenza comune, attesa la presenza nei locali della ditta di un amministratore giudiziario con il quale lo stesso NOME aveva interloquito.
Ricorre per cassazione l’imputato deducendo i motivi di annullamento di seguito sintetizzati ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 358 e 292, comma 2-ter cod. proc. pen. per non essere stata ritenuta e dichiarata la nullità dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare emessa dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Messina per la mancata valutazione dei fatti e delle circostanze favorevoli all’indagato, peraltro neanche prospettati al giudice dal Pubblico ministero.
Si segnala, infatti, la presenza in atti del ricorso per cassazione presentato da NOME COGNOME avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di restituzione dell’impresa, corredato dall’indicazione di numerose prove testimoniali, documentali e consulenze tecniche, ricorso che, benché accolto dalla Corte di cassazione, sarebbe stato ignorato dal Pubblico Ministero e dal Giudice per le
indagini preliminari e ritenuto dall’ordinanza impugnata quale espressione di una alternativa prospettazione difensiva.
Il ricorrente insiste, invece, sulla decisività di tale documentazione pretermessa in quanto idonea a dimostrare: a) la non definitività della confisca; b) l’esclusione con sentenza passata in giudicato del ruolo apicale di NOME COGNOME; c) la legittimità dell’attività aziendale.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato di peculato.
Si rileva, in particolare, che, ai fini della configurabilità del concorso omissivo nel reato di peculato, la condotta appropriativa deve essere realizzata dall’intraneus. Nel caso in esame, invece, la condotta è stata realizzata dall’extraneus approfittando dell’omessa vigilanza dell’intraneus ed a proprio esclusivo vantaggio. Si rileva, inoltre, che: a) l’amministratore non aveva alcun rapporto con la res che veniva sottratta prima di entrare nelle casse aziendali; b) ciò impediva di configurare un rapporto di possesso per ragioni del servizio o dell’ufficio; c) i soggetti estranei si sono appropriati della res, non sfruttando il rapporto con questa dell’amministratore giudiziaria, ma in virtù di un loro rapporto personale con il bene e giovandosi della sua assenza; d) tale condotta non ha determinato alcun vantaggio per l’intraneus; e) non vi è prova del dolo dell’intraneus che si è limitato ad un atteggiamento deferente verso gli Ofria; f) è, a tal fine, irrilevante la richiesta di rilascio del nuovo registro, trattandosi di un richiesta che non è funzionale all’attività di commercializzazione in nero e che, comunque, ha un carattere isolato ed è, pertanto, inidonea a dimostrare l’asservimento di Virgillito alle logiche degli Ofria o la volontà di facilitare la lor attività di commercializzazione in nero.
Sotto diverso aspetto, si evidenzia che le condotte poste in essere dagli indagati sarebbero riconducibili, per espressa ammissione del Tribunale, più a ipotesi distrattiva che appropriativa. Sarebbe lo stesso Collegio della cautela a lasciare intendere tale ricostruzione allorché sostiene che i dipendenti, una volta ricevuto il corrispettivo delle vendite non contabilizzate, alle quali avevano proceduto, anziché destinarlo alla cassa ufficiale della ditta perché i profitti derivanti dalle vendite confluissero nella contabilità ufficiale, li distraevano dando loro una destinazione diversa da quella consentita, occultandoli nel borsello della contabilità parallela. In forza di quanto sopra, a giudizio della difesa, potrebbe al limite considerarsi sussistente l’ipotesi di cui all’articolo 314-bis cod. pen.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in merito all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e conseguente non operatività del regime presuntivo di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. Si rileva che la motivazione al riguardo è eccentrica rispetto alla natura dell’aggravante, oltre che eccessivamente
sintetica e contraddittoria, in quanto si fonda sulla funzionalità delle attività distrattive ad assicurare la prosecuzione del controllo dell’impresa confiscata e a mantenere inalterata la presenza mafiosa degli Ofria sul territorio. La stessa ordinanza, prosegue ancora il ricorrente, afferma contraddittoriamente che la condotta distrattiva era volta realizzare un fine personalistico e non la finalità agevolatrice descritta dalla norma in esame. Manca, inoltre, un adeguato esame dell’elemento psicologico dell’aggravante in esame.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari.
La azienda, alle cui dipendenze lavorava il ricorrente non è operativa, quindi non sussisteebbe alcuna esigenza cautelare.
La motivazione fornita dal Collegio della cautela sarebbe del tutto apodittica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.
Il primo motivo è inammissibile in quanto formula censure non deducibili in questa Sede. Va, infatti, considerato che il dovere del Pubblico Ministero di svolgere attività di indagini a favore dell’indagato non è presidiato da alcuna sanzione processuale, essendo, peraltro, il difensore facultato a svolgere indagini difensive ai sensi degli artt. 391-bis e ss. cod. proc. pen.; ne consegue che, sebbene ciò non autorizzi l’organo requirente a disattendere la disposizione normativa, qualsiasi doglianza in tal senso non può essere proposta con il ricorso per cassazione (ex plurimis, Sez. 3, n. 47013 del 13/07/2018, L., Rv. 274031; Sez. 2, n. 10061 del 20/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254872). Ciò in quanto la valutazione in concreto circa la necessità o meno di accertare fatti e circostanze a favore dell’indagato, oltre ad implicare delle valutazioni di merito estranee al perimetro del giudizio di legittimità, spetta unicamente al Pubblico ministero, che deve esercitare la facoltà anche come organo di giustizia, ossia come parte sui generis, ma che, in tale veste, non può essere vincolato alle indicazioni della difesa sul punto.
3.11 secondo motivo è infondato.
3.1.Va, innanzitutto, premesso che, secondo quanto risulta dal provvedimento impugnato, il reato di peculato è stato contestato al ricorrente in concorso, oltre che con terzi (tra cui, NOME COGNOME, il nipote NOME COGNOME e la madre di costui, NOME COGNOME), con NOME COGNOME, amministratore giudiziario della impresa “RAGIONE_SOCIALE Carmela”.
Dalla ricostruzione contenuta nell’ordinanza impugnata risulta con certezza che COGNOME è stato nominato amministratore giudiziario dell’impresa nell’ambito del
procedimento di cognizione poi definito con la confisca per sproporzione del bene. Non è, invece, chiaro se il medesimo Virgillito sia stato anche investito del medesimo ruolo anche nell’ambito del procedimento di prevenzione. Volendo, tuttavia, considerare il duplice ruolo, va, inoltre, rilevato che, quanto alla misura di prevenzione, dall’ordinanza impugnata non risulta la data di presentazione della proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, ciò ai fini della individuazione della disciplina applicabile alla fattispecie in esame, nè emerge se l’amministratore giudiziario, nonostante la confisca, sia rimasto provvisoriamente in carica (in attesa dell’approvazione del rendiconto) o sia stato, invece, in-vestito dall’Agenzia Nazionale del ruolo di coadiutore nella gestione del bene, ai sensi dell’art. 38, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011. Tuttavia, va considerato che, sia che si faccia riferimento agli artt. 2 -quinquies e ss., legge n. 575 del 1965, sia che si consideri, invece, la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 159 del 2011 (artt. 35 e ss.), è indiscutibile la qualifica pubblicistica dell’amministratore giudiziario, quale figura direttamente investita dal tribunale della prevenzione di provvedere alla gestione, custodia e conservazione dei beni, sottoposti a sequestro di prevenzione e poi a confisca. Anzi, l’art. 35, comma 5, d.lgs. n. 159 del 2011 lo definisce espressamente quale pubblico ufficiale, tenuto ad adempiere con diligenza ai compiti del proprio ufficio. Va, inoltre, aggiunto che la medesima disciplina prevista dal d.lgs. n. 159 del 2011 (libro primo, titolo terzo) trova applicazione, ai sensi dell’art. 104-bis disp. att. cod. proc. pen., in tutti i casi di sequestro preventivo e di confisca aventi ad oggetti aziende, società o beni di cui sia necessario assicurare l’amministrazione. Anche in tale ipotesi, infatti, si prevede la nomina da parte dell’autorità giudiziaria di un amministratore giudiziario scelto nell’albo di cui all’art. 35 d.lgs. cit. e investito dei medesimi compiti ed obblighi previsti da tale normativa. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.2.Ciò premesso, nella fattispecie in esame si contesta all’amministratore giudiziario di avere abdicato allo svolgimento dei propri compiti e, in particolare, di avere consegnato la gestione dell’impresa ai familiari del proposto, consentendo loro di appropriarsi del denaro della cassa, frutto della vendita in nero dei pezzi di ricambio. Non una condotta meramente omissiva (nel qual caso, secondo la giurisprudenza di questa Corte – si veda, ad esempio, Sez. 6, n. 28301 del 08/04/2016, Dolce, Rv. 267829 – non è, comunque, ravvisabile alcun ostacolo giuridico alla configurabilità del concorso nel reato di pura condotta, come quello contestato nel caso in esame), ma, secondo la ricostruzione del quadro indiziario contenuta nell’ordinanza impugnata, anche una condotta attiva, di piena collaborazione all’attuazione degli interessi degli Ofria, dallo stesso più volte incontrati nei locali dell’impresa, anche in circostanze in cui costoro si relazionavano con potenziali clienti. Risulta, ad esempio, che: a) COGNOME è stato
ripreso in atteggiamenti familiari con gli Ofria e, in particolare, il 15/2/2024, mentre si appartava con NOME COGNOME estromessa dall’organigramma aziendale nel settembre 2023, dopo essersi sbarazzato del telefono cellulare, condotta, quest’ultima che, unitamente all’appellativo con il quale definiva la donna (“padrona”), con motivazione non manifestamente illogica, il Tribunale ha considerato quale espressione della sua contiguità con gli Ofria; b) il medesimo Virgillito, a partire da giugno 2024, informava la COGNOME di tutte le novità riguardanti la ditta e, in una occasione, accompagnava la donna presso il suo difensore; c) COGNOME provvedeva ad informare gli Ofria della richiesta del rendiconto del Giudice per le indagini preliminari, circostanza, questa, che metteva in allarme la famiglia; d) COGNOME, nell’ambito di una vicenda dai contorni opachi, connotata anche da accordi tra lo stesso e NOME COGNOME al fine di ottenere il rilascio di un nuovo registro ex art. 264 d.P.R. n. 495 del 1992, delegava NOME a denunciare la distruzione dei libri contabili dell’azienda in occasione di una calamità naturale, evento che, con motivazione non manifestamente illogica, il Tribunale ha escluso essersi mai verificato.
3.3. Una volta chiarita la qualifica pubblicistica dell’amministratore giudiziario e la natura della condotta provvisoriamente contestata a COGNOME, può procedersi ad esaminare la seconda questione relativa ai presupposti, erroneamente ritenuti inesistenti dal ricorrente, per la configurabilità del concorso dell’extraneus nel reato di peculato. L’ammissibilità di una siffatta ipotesi di concorso è stata già affrontata, in termini positivi, da una precedente pronuncia di questa Corte, dalla quale il Collegio non ha ragione di discostarsi (cfr. Sez. 6, n. 36566 del 21/06/2024, COGNOME, Rv. 287025). Si è, infatti, condivisibilmente affermato che al delitto di peculato possono certamente concorrere con l’agente pubblico, ai sensi dell’art. 110 cod. pen., anche soggetti non qualificati i quali, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, possono anche essere gli esecutori materiali della condotta appropriativa, come avvenuto nel caso in esame. In tal caso, è, tuttavia, indispensabile che il correo privo di qualifica soggettiva, per appropriarsi della cosa, sfrutti la relazione “di possesso per ragioni di ufficio o di servizio” del pubblico agente con la res, potendosi, in caso contrario, configurare, non il peculato, ma, al più, altri reati, quali il furto o l’appropriazione indebita. L’ordinanza in esame, conformandosi a tale principio di diritto, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, saldamente ancorata alle risultanze investigative di cui si è dato conto nel provvedimento (in particolare, le riprese delle videocamere installate all’esterno dei locali della impresa, e le intercettazioni, telefoniche e ambientali) ha dato ampiamente conto della sussistenza nel caso in esame di tale condizione.
In particolare, ha evidenziato che le immagini riprese dal sistema di videosorveglianza dimostravano che il ricorrente aveva materialmente consegnato
gli incassi delle vendite non contabilizzate a NOME NOME e aveva proceduto, con quest’ultimo, alla suddivisione delle banconote in modo che potessero essere ripartite in parti uguali tra i familiari.
Il Collegio della cautela ha, poi, sottolineato che le sistematiche distrazioni degli incassi delle vendite e la collocazione dei suddetti profitti all’interno di un borsello distinto dalla cassa dell’azienda era una attività che acclarava la consapevolezza da parte del ricorrente di una contabilità parallela che andava sottratta a quella ufficiale sotto il controllo formale dell’amministratore giudiziario; a ciò doveva aggiungersi che lo stesso COGNOME, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, aveva dichiarato che gli COGNOME erano gli effettivi proprietari della ditta. Da ciò viene correttamente desunto che quest’ultimo, non solo aveva perfetta contezza della circostanza che distrarre le somme dalla cassa dell’azienda significava sottrarrle al controllo e alla gestione dell’amministratore, ma pure che, per come ammesso dallo stesso, la condotta tenuta rispondeva a un ordine ricevuto da NOME.
3.4. Prive di pregio sono, inoltre, le obiezioni relative alla mancanza di possesso del denaro sottratto dalle casse dell’impresa, trattandosi di proventi di attività in nero, o all’assenza di Virgillito al momento dell’appropriazione del denaro. Rileva, a tal fine, il Collegio che dall’ordinanza impugnata risulta che l’attività in nero, al pari delle successive appropriazioni del denaro (note anche ai dipendenti), veniva svolta, non occasionalmente, ma in via continuativa, con il sostanziale assenso di COGNOME, il quale, dunque, aveva la disponibilità diretta del denaro ricavato dalle vendite in nero, di cui consentiva il “prelievo” da parte del ricorrente e dei familiari. Tali circostanze, unitamente al contenuto della conversazione tra COGNOME e la moglie, interpretata in termini non illogici dal Tribunale e, dunque, non censurabile in questa Sede (cfr. Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715), quale ulteriore conferma del pieno dominio degli Ofria in merito a tutte le decisioni che riguardavano l’impresa, sono state valutate, con motivazione persuasiva e priva di vizi logici, quale sintomo della consapevole abdicazione di Virgillito allo svolgimento dei propri compiti e della sua sudditanza agli Ofria in funzione della piena realizzazione dei loro interessi.
3.5. Va, infine, evidenziato che la condotta contestata continua a rientrare astrattamente nell’alveo di cui all’art. 314 cod. pen. Le condotte di distrazione qualificabili come peculato non sono suscettibili di diversa qualificazione per effetto dell’introduzione del delitto di cui all’art. 314-bis cod. pen., e, pertanto, rimangono punibili ai sensi dell’art. 314 cod. pen. Sono questi i casi in cui la condotta distrattiva integra un’effettiva appropriazione perché la res è sottratta in modo definitivo dalla finalità pubblica per conseguire finalità private proprie o altrui. Con riferimento a queste ipotesi di “distrazione appropriativa” vi è, dunque, continuità
nella qualificazione giuridica e, di conseguenza, nella risposta sanzionatoria, sempre affidata all’art. 314 cod. pen. (Sez. 6, n. 4520 del 23/10/2024 -dep. 2025, COGNOME, Rv. 287453 – 02)
4.11 terzo motivo è infondato.
Dalla complessiva trama argomentativa dell’ordinanza impugnata risulta, infatti, che il Tribunale, con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, ha desunto la finalità agevolatrice della condotta appropriativa, combinando sinergicamente la valenza decisiva, nell’ottica mafiosa e della persistente manifestazione della forza del sodalizio e del suo potere di controllo del territorio, della prosecuzione, da parte degli Ofria, della gestione dell’impresa (ritenuta, sia in sede di prevenzione che dall’ordinanza in esame, quale impresa mafiosa in ragione dei metodi utilizzati sia verso i dipendenti che nei confronti dei terzi), i cui proventi, oggetto della condotta appropriativa, venivano, in parte, destinati anche al mantenimento dei sodali ristretti in carcere (circostanza, quest’ultima, che è stata valorizzata quale elemento sintomatico della partecipazione del ricorrente al sodalizio mafioso).
Il Tribunale del riesame, in particolare, con motivazione congrua e logica non sindacabile in questa Sede, ha sottolineato che la circostanza che l’indagato avesse contezza della destinazione delle somme alla famiglia COGNOME dimostrava la sussistenza della finalità del suo agire ex art. 416-bis 1. Il Collegio della cautela ha, in particolare, ritenuto che non poteva ritenersi che NOME ignorasse la caratura criminale di Ofria – pluricondannato per la partecipazione al sodalizio mafioso barcellonese -, o che non fosse consapevole di contribuire con la sua azione al mantenimento degli stretti congiunti di un’autorevole esponente del sodalizio mafioso. A quest’ultimo proposito, l’ordinanza impugnata ha sottolineato che il piazzale dell’azienda era teatro di un continuo pellegrinaggio da parte di più soggetti prossimi congiunti di esponenti di vertice della famiglia mafiosa dei barcellonesi. In particolare, nel piazzale dell’impresa si presentavano ripetutamente le mogli dei boss per ottenere aiuti economici per i congiunti detenuti.
Il quarto motivo è inammissibile in quanto generico. L’ordinanza impugnata, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici o giuridici, con la quale il ricorrente omette il dovuto confronto critico, ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari, considerando che l’allegazione difensiva relativa alla chiusura dell’impresa, su cui continua ad insistere il motivo in esame, non è idonea a superare la doppia presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Il Tribunale del riesame, nel sostituire la misura originariamente applicata con quella degli arresti domiciliari, ha richiamato gli argomenti valorizzati nell’ordinanza genetica (la non comune gravità delle condotte, poste in essere nell’ambito di un contesto malavitoso, e la loro consumazione sino ad epoca recente rispetto all’emissione dell’ordinanza cautelare).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 4 luglio 2025
Il Consigliere estensore
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Il Presidente