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Concorso in peculato: l’extraneus risponde del reato

Un dipendente di un’azienda sotto amministrazione giudiziaria è stato sottoposto a misura cautelare per peculato aggravato. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, stabilendo che un privato cittadino (extraneus) può essere ritenuto responsabile in concorso in peculato se collabora attivamente con il pubblico ufficiale (l’amministratore giudiziario) nell’appropriarsi di fondi aziendali, anche se derivanti da vendite non contabilizzate. Il reato è stato ritenuto aggravato dalla finalità di agevolare un’associazione di stampo mafioso, a cui i fondi erano destinati.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in Peculato: Quando il Privato Risponde Insieme al Pubblico Ufficiale

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato un caso complesso relativo al concorso in peculato, chiarendo le condizioni per cui anche un soggetto privato, privo della qualifica di pubblico ufficiale (extraneus), può essere ritenuto responsabile di tale reato. La vicenda riguarda la distrazione di fondi da un’azienda confiscata alla criminalità organizzata e posta sotto amministrazione giudiziaria, con l’aggravante di aver agito per agevolare l’associazione mafiosa.

I Fatti: La Gestione Parallela di un’Azienda Confiscata

Il caso ha origine da un’indagine su un’azienda di autoricambi, formalmente confiscata e affidata a un amministratore giudiziario. Nonostante la misura, la famiglia precedentemente proprietaria, legata a un noto clan mafioso, continuava di fatto a gestirla. Un dipendente dell’azienda, in accordo con l’amministratore giudiziario e i membri della famiglia, si occupava di sottrarre sistematicamente i proventi derivanti da vendite ‘in nero’ di pezzi di ricambio. Questi incassi, invece di confluire nella cassa ufficiale dell’azienda, venivano inseriti in una contabilità parallela e destinati al sostentamento della famiglia mafiosa, inclusi i membri detenuti.

Il Tribunale del Riesame, pur riformando la misura iniziale della custodia in carcere con gli arresti domiciliari, aveva confermato la gravità degli indizi a carico del dipendente. Quest’ultimo ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo, tra le altre cose, di non poter essere accusato di peculato, in quanto semplice dipendente e non pubblico ufficiale.

La Decisione della Corte: Il Concorso in Peculato dell’Extraneus

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in ogni suo punto. La sentenza offre importanti chiarimenti sulla configurabilità del concorso in peculato da parte di un soggetto privato.

La Qualifica di Pubblico Ufficiale dell’Amministratore Giudiziario

In primo luogo, i giudici hanno ribadito che l’amministratore giudiziario di beni sequestrati o confiscati riveste la qualifica di pubblico ufficiale. Egli è investito dal Tribunale del compito di gestire, custodire e conservare i beni, adempiendo con diligenza ai compiti del proprio ufficio. Questo è il presupposto fondamentale per poter parlare di peculato, un reato proprio che può essere commesso solo da chi ricopre tale qualifica.

La Cooperazione Attiva nel Reato

Il punto cruciale della decisione riguarda la possibilità per un extraneus di concorrere nel reato. La Corte ha stabilito che ciò è possibile quando il privato non si limita a beneficiare di una condotta omissiva del pubblico ufficiale, ma partecipa attivamente all’appropriazione. Nel caso di specie, non si è trattato di una mera mancata vigilanza da parte dell’amministratore, ma di una piena collaborazione. L’amministratore aveva di fatto abdicato ai suoi doveri, consegnando la gestione dell’impresa ai vecchi proprietari e consentendo al dipendente di agire come esecutore materiale della distrazione dei fondi. Il dipendente, quindi, ha sfruttato la relazione di possesso che l’amministratore aveva con i beni aziendali per appropriarsene, rendendosi così concorrente nel reato.

L’Aggravante Mafiosa e il concorso in peculato

La Corte ha inoltre confermato la sussistenza dell’aggravante di aver agito al fine di agevolare un’associazione mafiosa (art. 416-bis.1 c.p.). La motivazione del Tribunale è stata ritenuta logica e adeguata. È emerso chiaramente che il dipendente era consapevole della caratura criminale della famiglia e che i fondi distratti servivano a mantenere il loro potere sul territorio e a sostenere economicamente i membri detenuti. La continua presenza di familiari di esponenti di vertice del clan presso l’azienda, per ricevere aiuti economici, è stata considerata un elemento sintomatico della piena consapevolezza dell’indagato e della finalità agevolatrice della sua condotta.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio consolidato: per il concorso in peculato, è indispensabile che il correo privo di qualifica soggettiva sfrutti la relazione ‘di possesso per ragioni di ufficio’ che il pubblico ufficiale ha con la cosa. I giudici hanno ritenuto che l’attività ‘in nero’, sebbene non contabilizzata, generasse proventi che appartenevano all’impresa e che, pertanto, rientravano nella sfera di disponibilità e controllo dell’amministratore giudiziario. La sua acquiescenza e collaborazione attiva hanno reso possibile la distrazione, integrando così una condotta di peculato in cui il dipendente ha agito come concorrente materiale. La Corte ha definito l’azione come una ‘distrazione appropriativa’, in cui il bene viene sottratto definitivamente alla sua finalità pubblica per scopi privati, condotta che rientra pienamente nell’alveo dell’art. 314 c.p.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce la severità dell’ordinamento nei confronti dei reati contro la pubblica amministrazione, specialmente quando si intrecciano con la criminalità organizzata. Si conferma che la responsabilità penale per peculato non è limitata al solo pubblico ufficiale, ma si estende a chiunque, con la propria condotta, contribuisca attivamente all’appropriazione indebita, sfruttando la posizione e i poteri del primo. La decisione sottolinea l’importanza del ruolo dell’amministratore giudiziario come presidio di legalità nella gestione dei beni sottratti alle mafie e la gravità di ogni forma di connivenza che ne comprometta la funzione.

Un privato cittadino, non pubblico ufficiale, può essere accusato di peculato?
Sì, a titolo di concorso. La sentenza chiarisce che se un privato (extraneus) collabora attivamente con il pubblico ufficiale (intraneus) e sfrutta il rapporto di quest’ultimo con il bene per appropriarsene, può essere ritenuto pienamente responsabile del reato.

La sottrazione di denaro derivante da vendite ‘in nero’ di un’azienda sotto amministrazione giudiziaria costituisce peculato?
Sì. Secondo la Corte, anche i proventi di attività non contabilizzate, una volta generati, appartengono all’impresa e quindi rientrano nella disponibilità e sotto il controllo dell’amministratore giudiziario. La loro distrazione da parte dell’amministratore, o con il suo consenso, integra il reato di peculato.

Quando si applica l’aggravante di aver agito per agevolare un’associazione mafiosa?
L’aggravante si applica quando la condotta illecita è finalizzata a favorire l’associazione mafiosa. In questo caso, la Corte ha ritenuto che la destinazione dei profitti illeciti al mantenimento della famiglia mafiosa a cui apparteneva l’azienda, inclusi i membri detenuti, fosse prova sufficiente della finalità agevolatrice, di cui l’imputato era pienamente consapevole.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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