Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30195 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30195 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOME nato a Milazzo il 05/04/1994
avverso l’ordinanza emessa il 3 febbraio 2025 dal Tribunale di di Messina
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, Avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RILEVATO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Messina, accogliendo parzialmente l’istanza di riesame presentata da NOME COGNOME ha annullato l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere limitatamente al capo 8) dell’imputazione provvisoria, confermandola per i reati di cui ai capi 3) e 5) (artt. 314 e 416-bis cod. pen.).
Propone ricorso per cassazione NOME COGNOME deducendo quattro motivi, di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Violazione di legge e vizi della motivazione in merito alla ritenuta configurabilità del reato di peculato, fondata, peraltro, su una valutazione degli elementi indiziari riferita “agli Ofria” e al Virgillito, anziché alla posizione ricorrente.
Si rileva, inoltre che:
il danaro oggetto di condotta appropriativa non è mai entrato nella disponibilità della società perché era oggetto di contabilità parallela;
2) non vi è alcuna prova che il ricorrente abbia determinato o rafforzato il proposito criminoso di COGNOME né della consapevolezza di quest’ultimo dei trentasette episodi di appropriazione indicati nell’imputazione provvisoria, ai quali COGNOME non ha mai assistito, nonché, in particolare, delle condotte ascritte al ricorrente. Sì rileva, a tal fine l’irrilevanza della conversazione tra COGNOME e la moglie nel quale quest’ultima faceva delle mere supposizioni e che, in ogni caso, i due non si riferivano agli NOME, ma al mancato licenziamento di NOME. Parimenti irrilevante è la sola presenza sul posto del ricorrente, sia in quanto aveva chiesto di essere regolarmente assunto, sia in quanto ivi lavorava la madre. Si rappresenta, infine, che: a) agli atti vi sono le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di garanzia da COGNOME e dallo stesso COGNOME ida cui emerge che quest’ultimo era all’oscuro di tutto; b) anche il collaboratore di giustizia NOME COGNOME ha dichiarato che l’amministratore giudiziario non aveva una persona di fiducia che lo informasse delle operazioni di vendita in nero.
Si aggiunge, infine, che il Tribunale ha omesso di considerare il lungo periodo detentivo del ricorrente dal 16/4/2015 all’8/1/2023, nonché di motivare sulla possibile configurabilità del reato di cui all’art. 646 cod. pen., atteso che i ricorrente non ha mai avuto rapporti con l’amministratore giudiziario, o del reato di truffa aggravata, tenuto conto che alcuni beni non venivano registrati e che si incassava denaro in nero, raggirando lo Stato.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., fondata su motivazione generica e in contrasto sia con le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME che ha riferito che le somme guadagnate attraverso le sottofatturazioni erano destinate alla famiglia COGNOME e non all’associazione mafiosa, sia con il contenuto di due conversazioni intercettate e riportate dall’ordinanza impugnata, tra il ricorrente e NOME COGNOME da cui emerge che il denaro guadagnato in nero era diviso in due parti tra le famiglie di NOME NOME e di NOME
2.3. Violazione di legge e vizio della motivazione in merito al giudizio di gravità indiziaria relativo al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., desunto dal ruol del padre del ricorrente e dai suoi precedenti penali, senza specificare il ruolo
rivestito dal ricorrente nel sodalizio, descritto, peraltro, in termini generici relazione al solo permanere nei locali dell’impresa.
Si rileva, inoltre, l’irrilevanza del particolare su cui si sofferma il Tribunal ovvero il c.d. pellegrinaggio di familiari di esponenti di vertice della famigli mafiosa dei barcellonesi, trattandosi, in ogni caso, di familiari anche del ricorrente, la cui presenza è stata registrata occasionalmente nei locali dell’impresa (cinque volte per Santa Ofria e due volte per la figlia di COGNOME, NOME COGNOME). Peraltro, sia il ricorrente che la madre NOME COGNOME hanno chiarito in sede di interrogatorio che le somme consegnate a Santa Ofria erano destinate al pagamento della badante della nonna del ricorrente. Altrettanto giustificate sono anche le regalie a Salvina Di Salvo per il suo matrimonio o del paio di scarpe a NOME COGNOME. L’unica estranea alla famiglia era NOME COGNOME che, tuttavia, era interessata all’acquisto di pezzi di ricambio.
In ogni caso, si sostiene che non vi è alcun elemento da cui desumere che le somme fossero destinate ai familiari detenuti o a una spartizione dei proventi con il sodalizio mafioso.
Si aggiunge, infine, che il ricorrente non ha mai avuto rapporti con i soggetti citati nell’ordinanza, né tantomeno con il padre, detenuto dal 19/7/2022.
2.4. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alle esigenze cautelari e alla scelta della misura. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale ha omesso di motivare sulla incidenza dell’avvenuta chiusura della ditta Bellinvia sul pericolo sia di recidiva che di inquinamento probatorio. La motivazione, inoltre, ha equiparato le posizioni dei coindagati, trascurando che il ricorrente non è mai stato condannato per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.
Il Procuratore Generale ha depositato una memoria in cui, nel concludere per l’inammissibilità del ricorso, oltre ad insistere sulla configurabilità del concorso omissivo nei reati di pura condotta, ha posto l’accento, quanto al primo motivo, sull’utilizzo della cassa della ditta «come una sorta di bancomat» cui attingere denaro nella piena consapevolezza da parte del ricorrente, non solo della qualifica soggettiva di Virgillito, ma anche del contributo assicurato dall’amministratore giudiziario in virtù dei rapporti illeciti mantenuti da costui con il ricorrente e co gli altri familiari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è infondato per le ragioni di seguito esposte.
1.1. Va, innanzitutto, premesso che, secondo quanto risulta dal provvedimento impugnato, il reato di peculato è stato contestato a NOME
COGNOME, in concorso, oltre che con terzi, quali la madre NOME COGNOME e lo zio NOME COGNOME con NOME COGNOME, amministratore giudiziario della impresa COGNOME NOME, sottoposta sia a confisca ai sensi dell’art. 12-sexies legge n. 356 del 1992 (oggi art. 240-bis cod. pen.) che a confisca di prevenzione, entrambe disposte nei confronti di NOME COGNOME padre del ricorrente, condannato in via definitiva per la partecipazione all’associazione mafiosa dei barcellonesi per il periodo compreso tra il 1986 e il 1995 e tra il 1995 e il 2011, sul presupposto che l’impresa in questione fosse solo formalmente intestata a NOME COGNOME e NOME COGNOME rispettivamente madre e moglie di NOME COGNOME
In particolare, la condotta appropriativa ha riguardato il denaro della cassa dell’impresa ed è stata contestata sulla base della condotta dell’amministratore giudiziario iche avrebbe consentito al ricorrente e agli altri parenti di continuare a gestire l’impresa, soprattutto attraverso la vendita in nero di pezzi di ricambio per autovetture.
1.2. La questione che il ricorrente pone richiede una preliminare analisi della qualifica e degli obblighi gravanti sull’amministratore giudiziario dei beni sottoposti a confisca, nel caso in esame sia di prevenzione che per sproporzione.
In primo luogo, osserva il Collegio che dalla ricostruzione contenuta nell’ordinanza impugnata risulta con certezza che COGNOME è stato nominato amministratore giudiziario dell’impresa nell’ambito del procedimento di cognizione poi definito con la confisca per sproporzione del bene. Non è, invece, chiaro se il medesimo COGNOME sia stato anche investito del medesimo ruolo anche nell’ambito del procedimento di prevenzione.
Volendo, tuttavia, considerare il duplice ruolo, va, inoltre, rilevato che, quanto alla misura di prevenzione, dall’ordinanza impugnata non risulta la data di presentazione della proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, ciò ai fini della individuazione della disciplina applicabile all fattispecie in esame, nè emerge se l’amministratore giudiziario, nonostante la confisca, sia rimasto provvisoriamente in carica (in attesa dell’approvazione del rendiconto) o sia stato, invece, investito dall’Agenzia Nazionale del ruolo di coadiutore nella gestione del bene, ai sensi dell’art. 38, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011.
Tuttavia, va considerato che, sia che si faccia riferimento agli artt. 2quinquies e ss., legge n. 575 del 1965 1 sia che si consideri, invece, la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 159 del 2011 (artt. 35 e ss.), è indiscutibile la qualifica pubblicistica dell’amministratore giudiziario, quale figura direttamente investita dal tribunale della prevenzione di provvedere alla gestione, custodia e conservazione dei beni, sottoposti a sequestro di prevenzione e poi a confisca.
Anzi, l’art. 35, comma 5, d.lgs. n. 159 del 2011 lo definisce espressamente quale pubblico ufficiale, tenuto ad adempiere con diligenza ai compiti del proprio ufficio.
Va, inoltre, aggiunto che la medesima disciplina prevista dal d.lgs. n. 159 del 2011 (libro I, titolo III) trova applicazione, ai sensi dell’art. 104-bis disp. cod. proc. pen., in tutti i casi di sequestro preventivo e di confisca aventi ad oggetti aziende, società o beni di cui sia necessario assicurare l’amministrazione. Anche in tale ipotesi, infatti, si prevede la nomina da parte dell’autorità giudiziaria di u amministratore giudiziario scelto nell’albo di cui all’art. 35 d.lgs. cit. e investito medesimi compiti ed obblighi previsti da tale normativa.
1.3.Ciò premesso, nella fattispecie in esame si contesta all’amministratore giudiziario di avere abdicato allo svolgimento dei propri compiti e, in particolare, di avere consegnato la gestione dell’impresa ai familiari del proposto, consentendo loro di appropriarsi del denaro della cassa, frutto della vendita in nero dei pezzi di ricambio.
Non una condotta meramente omissiva, ma, come si dirà di seguito, anche commissiva, connotata da un totale asservimento rispetto agli interessi degli Ofria.
Il ricorrente, nel censurare il giudizio di gravità indiziaria relativo al delit di peculato, focalizza le proprie doglianze sulla mancanza di una valutazione individualizzata degli indizi, nonché sulla mancanza di elementi idonei a configurare un suo concorso con Virgillito, sollecitando una riqualificazione della condotta provvisoriamente contestata ai sensi dell’art. 646 o dell’art. 640 cod. pen.
Ebbene, in disparte l’inammissibilità delle doglianze di contenuto meramente confutativo, relative ad una diversa e alternativa ricostruzione delle ragioni della presenza del ricorrente presso i locali dell’impresa, rileva il Collegio che l’intero motivo si incentra sulla insussistenza dei presupposti che consentono di configurare il concorso dell’extraneus nel reato di peculato.
1.4. L’ammissibilità di una siffatta ipotesi di concorso è stata già affrontata, in termini positivi, da una precedente pronuncia di questa Corte, dalla quale il Collegio non ha ragione di discostarsi (cfr. Sez. 6, n. 36566 del 21/06/2024, Fusco, Rv. 287025).
Si è, infatti, condivisibilmente affermato che al delitto di peculato possono certamente concorrere con l’agente pubblico, ai sensi dell’art. 110 cod. pen., anche soggetti non qualificati i quali possono anche essere gli esecutori materiali della condotta appropriativa, come avvenuto nel caso in esame. In tal caso, è, tuttavia, indispensabile che il correo privo di qualifica soggettiva, per appropriarsi della cosa, sfrutti la relazione “di possesso per ragioni di ufficio o di servizio” del pubblico
agente con la res, potendosi, in caso contrario, configurare, non il peculato, ma, al più, altri reati, quali il furto o l’appropriazione indebita.
Nel caso in esame, sostanzialmente, ciò che intende negare il ricorrente è proprio la sussistenza di tale presupposto, invocando, per l’appunto, la riqualificazione del fatto nei termini sopra indicati.
1.5. Come anticipato, tale doglianza è infondata. L’ordinanza in esame, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, saldamente ancorata alle risultanze investigative di cui si è dato conto nel provvedimento (in particolare, le riprese delle videocamere installate all’esterno dei locali della impresa, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME e le intercettazioni, telefoniche e ambientali) ha, innanzitutto, sottolineato la quotidiana presenza nei locali dell’impresa del ricorrente, il quale, benché mai assunto alle dipendenze dell’impresa, è stato notato, in alcune occasioni, interloquire con i clienti interessati all’acquisto di pezzi ricambio. Il Tribunale ha, inoltre, dato atto che siffatte condotte avvenivano anche alla presenza dell’amministratore giudiziario / il quale, contrariamente a quanto assume il ricorrente, era ben consapevole della sua presenza in azienda tanto che, in una occasione, è stato visto salutare NOME con un bacio (cfr. pagina 13). Tali risultanze investigative sono state considerate quale riscontro alle dichiarazioni del collaboratore COGNOME che ha riferito, non solo della gestione dell’azienda parte della Alesci nel periodo dal 2011 al 2013, quando già era stato nominato l’amministratore giudiziario COGNOME ma anche delle circostanze direttamente apprese dal ricorrente (nel periodo in cui erano ristretti nel medesimo istituto) in merito alle gestione dell’impresa, anche da parte di NOME COGNOME all’attività svolta dal ricorrente e agli ingenti profitti conseguiti dall’attività in nero.
Il ricorrente, dunque, ben consapevole della misura ablatoria disposta sull’impresa e del ruolo di COGNOME (circostanze, entrambe, non contestate dal motivo in esame), senza avere alcun titolo, sfruttando la relazione di possesso conseguente alla formale investitura di COGNOME da parte dell’Autorità giudiziaria, si è ingerito nella gestione dell’impresa e, circostanza anche questa non contestata, si è impossessato delle entrate derivanti dalla vendita in nero dei pezzi di ricambio.
Prive di pregio sono, inoltre, le obiezioni relative alla mancanza di possesso del denaro sottratto dalle casse dell’impresa, trattandosi di proventi di attività in nero, o all’assenza di Virgillito al momento dell’appropriazione del denaro.
Rileva, a tal fine, il Collegio che dall’ordinanza impugnata risulta che l’attività in nero, al pari delle successive appropriazioni del denaro, veniva svolta, non occasionalmente, ma in via continuativa, con il sostanziale assenso di COGNOME il quale, dunque, aveva la diretta disponibilità del denaro custodito nella cassa di cui consentiva il “prelievo” da parte del ricorrente e dei familiari.
Ad ulteriore conferma della legittimità della qualificazione giuridica della condotta appropriativa quale peculato, va, peraltro, considerato che, come anticipato, nella fattispecie in esame all’amministratore giudiziario COGNOME non si contesta una mera condotta omissiva (nel qual caso, secondo la giurisprudenza di questa Corte – si veda, ad esempio, Sez. 6, n. 28301 del 08/04/2016, Dolce, Rv. 267829 – non è, comunque, ravvisabile alcun ostacolo giuridico alla configurabilità del concorso nel reato di pura condotta, come quello contestato nel caso in esame), ma, secondo la ricostruzione del quadro indiziario contenuta nell’ordinanza impugnata, anche una condotta attiva, di piena collaborazione all’attuazione degli interessi degli Ofria, dallo stesso più volte incontrati nei local dell’impresa, anche in circostanze in cui costoro si relazionavano con potenziali clienti. Risulta, ad esempio, che:
COGNOME è stato ripreso in atteggiamenti familiari con gli Ofria e, in particolar il 15/2/2024, mentre si appartava con NOME COGNOME estromessa dall’organigramma aziendale nel settembre 2023, dopo essersi sbarazzato del telefono cellulare, condotta, quest’ultima che, unitamente all’appellativo con il quale definiva la donna (“padrona”), con motivazione non manifestamente illogica, il Tribunale ha considerato quale espressione della sua contiguità con gli Ofria; b) il medesimo COGNOME, a partire da giugno 2024, informava la COGNOME di tutte le novità riguardanti la ditta e, in una occasione, accompagnava la donna presso il suo difensore;
COGNOME provvedeva ad informare gli Ofria della richiesta del rendiconto del Giudice per le indagini preliminari, circostanza, questa, che metteva in allarme la famiglia;
COGNOME, nell’ambito di una vicenda dai contorni opachi, connotata anche da accordi tra lo stesso e NOME COGNOME al fine di ottenere il rilascio di un nuovo registro ex art. 264 d.P.R. n. 495 del 1992, delegava NOME a denunciare la distruzione dei libri contabili dell’azienda in occasione di una calamità naturale, evento che, con motivazione non manifestamente illogica, il Tribunale ha escluso essersi mai verificato (cfr. le pagine da 18 a 20 del provvedimento impugnato.)
Tali circostanze, unitamente al contenuto della conversazione tra COGNOME e la moglie, interpretata in termini non illogici dal Tribunale e, dunque, non censurabile in questa Sede (cfr. Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715), quale ulteriore conferma del pieno dominio degli Ofria in merito a tutte le decisioni che riguardavano l’impresa, sono state valutate, con motivazione persuasiva e priva di vizi logici, quale sintomo della consapevole abdicazione di COGNOME allo svolgimento dei propri compiti e della sua sudditanza agli Ofria in funzione della piena realizzazione dei loro interessi.
2. Il secondo motivo è infondato.
Dalla complessiva trama argomentativa dell’ordinanza impugnata risulta, infatti, che il Tribunale, con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, ha desunto la finalità agevolatrice della condotta appropriativa, combinando sinergicamente la valenza decisiva, nell’ottica mafiosa e della persistente manifestazione della forza del sodalizio e del suo potere di controllo del territorio, della prosecuzione, da parte degli Ofria, della gestione dell’impresa (ritenuta, sia in sede di prevenzione che dall’ordinanza in esame, quale impresa mafiosa in ragione dei metodi utilizzati sia verso i dipendenti che nei confronti dei terzi), i cu proventi, oggetto della condotta appropriativa, venivano, in parte, destinati anche al mantenimento dei sodali ristretti in carcere (circostanza, quest’ultima, che è stata valorizzata quale elemento sintomatico della partecipazione del ricorrente al sodalizio mafioso.
Il terzo motivo è inammissibile in quanto contiene delle censure di merito volte a sollecitare una non consentita diversa valutazione degli elementi fattuali valorizzati dal Tribunale quali indici sintomatici della partecipazione del ricorrente al sodalizio mafioso.
Dalla lettura congiunta dell’ordinanza genetica e del provvedimento impugnato risulta che i Giudici di merito, senza incorrere in alcun vizio logico o giuridico, muovendosi nel solco ermeneutico tracciato da questa Corte regolatrice in tema di partecipazione ad associazione di stampo mafioso (cfr. (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670), hanno desunto l’intraneità del ricorrente al sodalizio, in primo luogo, dalla particolare rilevanza dell’attività di controllo e gestione dell’impresa confiscata da parte dello stesso, costantemente presente nei locali dell’impresa, e dei familiari, considerati quali longa manus dell’effettivo titolare del bene, NOME COGNOME (rispetto al quale sono state segnalate la lunga militanza mafiosa nella famiglia dei barcellonesi e l’assenza di condotte sintomatiche di un suo recesso dal sodalizio), quale espressione dell’immutato potere del sodalizio · mafioso a dispetto dei provvedimentqi, ablatori emessi dall’Autorità giudiziaria.
A conferma del penetrante controllo esercitato da NOME COGNOME sulla gestione dell’impresa, l’ordinanza impugnata ha considerato sia la vicenda relativa al mancato acquisto di un terreno da parte di COGNOME, benché autorizzato dal giudice, in esecuzione di una specifica disposizione del medesimo Ofria, sia la vicenda relativa al licenziamento del dipendente COGNOME e alla spendita del carisma criminale di Ofria presso coloro che lo avevano assunto.
L’ordinanza genetica ha anche posto l’accento sull’atteggiamento autoritario e prepotente del ricorrente che, in una occasione, si rendeva protagonista di
un’aggressione violenta ai danni di un cliente che aveva urtato accidentalmente la sua autovettura, nonché sull’atteggiamento omertoso della vittima, che solo a seguito di sollecitazione della polizia giudiziaria riferiva che i danni riportati quella occasione dalla sua autovettura non erano conseguenza dell’urto tra i due veicoli, ma della condotta di Ofria.
Si è, infine, valorizzato il contributo offerto, da costui e dai familiari / al mantenimento di sodali in carcere.
Rispetto a tale ultimo elemento, il ricorrente propone una sua rilettura in una mera prospettiva di solidarietà familiare, valorizzando il rapporto di parentela tra gli COGNOME e i materiali percettori del denaro, protagonisti della c.d. “processione” presso l’impresa confiscata. Così facendo, oltre a prospettare una mera censura di merito di contenuto confutativo, il ricorrente incorre in una duplice omissione: i) non considera che nessuno degli Ofria aveva alcun titolo per appropriarsi e disporre delle entrate dell’impresa; ii) non si confronta criticamente con il contenuto dell’ordinanza impugnata che, nel considerare le obiezioni difensive, con motivazione persuasiva e non manifestamente illogica, ancorata alle risultanze delle videoriprese e delle conversazioni intercettate, ha ritenuto che le somme di denaro consegnate ai parenti fossero in realtà destinate ai loro familiari detenuti per titoli relativi al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. Si è, in partico sottolineato che: a) Santa Ofria, sorella di NOME e NOME COGNOME e, al contempo, moglie di NOME COGNOME, esponente di vertice della famiglia barcellonese, si relazionava non solo con i familiari, ma anche con il ragioniere NOME e riscuoteva il denaro (1000 euro) con cadenza mensile (il giorno 15), per il mantenimento del marito detenuto. Tale destinazione del denaro è stata desunta dal contenuto delle conversazioni intercettate (cfr. le pagine 31 e 32) in una delle quali, ad esempio, NOME COGNOME, parlando con la figlia, distingueva tra le somme ricevute a titolo di regalia per il matrimonio della ragazza, da quelle oggetto di riscossione mensile; b) anche NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME, condannato per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., sempre in relazione alla famiglia barcellonese, si recava per visite di pochi minuti presso l’impresa / dove si relazionava non solo con i familiari, ma anche con il contabile NOME COGNOME e con il dipendente COGNOME. A conferma della destinazione al familiare detenuto delle somme riscosse, il Tribunale ha, inoltre, considerato i riscontri emersi dalle intercettazioni, in particolare, la conversazione telefonica, avvenuta durante il colloquio in carcere tra COGNOME e il marito, in cui il ricorrente chiedeva se gli erano piaciute “le scarpe” e se avesse bisogno di altro; c) NOME COGNOME, parente di NOME e figlio di uno storico esponente del clan determinatosi alla collaborazione, riceveva soldi sia da COGNOME che dal ricorrente; d) NOME COGNOME, moglie del capomafia COGNOME, detenuto, e figlia del boss COGNOME, ucciso in un attentato, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
veniva accolta con grande rispetto dal ricorrente, da NOME COGNOME e dal contabile
NOME e, alla sua richiesta di un carroattrezzi, NOME COGNOME si offriva di ripararle l’autovettura.
4. Il quarto motivo è inammissibile in quanto generico. L’ordinanza impugnata, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici o giuridici, con la
quale il ricorrente omette il dovuto confronto critico, ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari, considerando che l’allegazione difensiva relativa alla chiusura
dell’impresa, su cui continua ad insistere il motivo in esame, non è idonea a superare la doppia presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Oltre a richiamare gli argomenti valorizzati nell’ordinanza genetica (la non comune gravità delle condotte, poste in essere nell’ambito di un contesto
malavitoso, e la loro consumazione sino ad epoca recente rispetto all’emissione dell’ordinanza cautelare), il Tribunale ha posto l’accento sui seguenti elementi: a)
la nota della Squadra Mobile di Messina del 31/1/2025, dalla quale è emerso che gli COGNOME e COGNOME hanno tramato fino all’ultimo per impedire il passaggio
dell’impresa all’Agenzia Nazionale dei beni sequestrati e confiscati; b) la negativa personalità del ricorrente, già condannato per reati aggravati ai sensi dell’art. 416bis.1 cod. pen.; c) l’assenza di elementi sintomatici del suo recesso o della cessazione dell’attività del sodalizio.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 4 luglio 2025
Il
Il Presidente