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Concorso in peculato: la Cassazione sulla pena accessoria

La Corte di Cassazione si pronuncia su un caso di concorso in peculato, distinguendolo dalla ricettazione. Un soggetto, pur estraneo alla pubblica amministrazione, è stato condannato per aver ricevuto somme di denaro illecitamente appropriate da un funzionario di banca incaricato di pubblico servizio. La Corte ha confermato la condanna principale, ritenendo cruciale la consapevolezza dell’imputato e il suo ruolo attivo, come l’apertura di un conto corrente dedicato. Tuttavia, ha annullato e rideterminato alcune pene accessorie applicate erroneamente dai giudici di merito, chiarendo i limiti di durata previsti dalla legge.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in peculato: quando la ricezione di denaro illecito non è ricettazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 31607/2024) offre importanti chiarimenti sulla distinzione tra concorso in peculato e ricettazione, nonché sulla corretta applicazione delle pene accessorie. La vicenda riguarda un imprenditore condannato per aver ricevuto ingenti somme di denaro, provento del reato di peculato continuato commesso dal suocero, un dipendente di banca con funzioni di incaricato di pubblico servizio. Questa pronuncia è fondamentale per comprendere come un soggetto privato possa essere ritenuto complice di un reato proprio della pubblica amministrazione.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalle condotte illecite di un dipendente di un istituto di credito, responsabile del servizio di tesoreria per conto di alcuni Comuni. Quest’ultimo si appropriava di consistenti somme di denaro pubblico, trasferendole a suo genero, un imprenditore. Per agevolare la ricezione dei fondi, l’imprenditore aveva aperto un conto corrente bancario apposito, intestato a una delle sue società. Sebbene l’imprenditore non contestasse di aver ricevuto e speso il denaro, la sua difesa sosteneva che la sua condotta dovesse essere qualificata come ricettazione e non come concorso in peculato.

La Tesi Difensiva e il Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando diversi punti. In primo luogo, ha sostenuto che la sua condotta dovesse essere inquadrata nel reato di ricettazione (art. 648 c.p.), in quanto non era a conoscenza della specifica qualifica di incaricato di pubblico servizio del suocero, pur sapendo che fosse un dipendente di banca. La difesa ha inoltre contestato l’applicazione di diverse pene accessorie, ritenute sproporzionate o illegittime:

* L’interdizione legale (art. 32 c.p.), poiché la pena principale inflitta era inferiore ai cinque anni di reclusione.
* L’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-quater c.p.), chiedendone la revoca o la riduzione della durata.
* L’interdizione perpetua dai pubblici uffici (art. 317-bis c.p.), chiedendone la sostituzione con quella temporanea.

Le Motivazioni della Corte sul concorso in peculato

La Corte di Cassazione ha rigettato gran parte del ricorso, confermando la condanna per concorso in peculato, ma ha accolto le doglianze relative ad alcune pene accessorie.

Per quanto riguarda la qualificazione del reato, i giudici hanno ritenuto infondata la tesi della ricettazione. La Suprema Corte ha sottolineato che l’imputato non si è limitato a ricevere passivamente i proventi del reato. Al contrario, ha fornito un contributo causale attivo alla condotta del correo, aprendo un conto corrente ad hoc per canalizzare le somme illecite. Questo comportamento integra un concorso materiale nel delitto di peculato. La consapevolezza della provenienza illecita del denaro è stata ampiamente dimostrata dalle ammissioni dello stesso imputato e dalle intercettazioni.

Sulle pene accessorie, la Corte ha invece corretto le decisioni dei giudici di merito:

1. Interdizione Legale (art. 32 c.p.): La Corte ha annullato senza rinvio questa pena. La legge prevede che l’interdizione legale si applichi solo per condanne a una pena non inferiore a cinque anni di reclusione. Poiché l’imputato era stato condannato a quattro anni e otto mesi, tale sanzione era illegittima.
2. Incapacità di contrattare con la P.A. (art. 32-quater c.p.): I giudici di primo grado avevano applicato questa pena per una durata di sei anni. La Cassazione ha ritenuto tale misura illegale, poiché l’art. 37 c.p. stabilisce che, in assenza di una previsione specifica, la durata di una pena accessoria temporanea deve essere pari a quella della pena principale. Di conseguenza, la Corte ha ridotto la durata a quattro anni e otto mesi.
3. Interdizione dai pubblici uffici (art. 317-bis c.p.): La richiesta di sostituzione della pena perpetua con quella temporanea è stata rigettata, in quanto legata alla tesi, respinta, della ricettazione e alla richiesta, anch’essa respinta, di una diminuzione della pena principale.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio importante: un privato cittadino che fornisce un contributo attivo e consapevole alla condotta di un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio risponde a titolo di concorso in peculato, e non del più lieve reato di ricettazione. L’apertura di un canale finanziario per ricevere i fondi illeciti è stata considerata un elemento decisivo. Al contempo, la pronuncia riafferma il rigoroso principio di legalità nell’applicazione delle pene accessorie, le quali non possono essere inflitte al di fuori dei limiti e delle condizioni tassativamente previste dalla legge.

Perché l’imputato è stato condannato per concorso in peculato e non per ricettazione?
Perché non si è limitato a ricevere passivamente il denaro di provenienza illecita, ma ha fornito un contributo attivo e consapevole alla condotta del correo, aprendo appositamente un conto corrente societario per ricevere i bonifici. Questo comportamento è stato qualificato come un concorso materiale nel reato di peculato.

Per quale motivo la Corte di Cassazione ha annullato la pena accessoria dell’interdizione legale?
La Corte ha annullato l’interdizione legale perché, secondo l’articolo 32 del codice penale, questa pena accessoria si applica solo in caso di condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni. Essendo l’imputato stato condannato a quattro anni e otto mesi, la pena era stata applicata illegittimamente.

Perché la durata dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione è stata ridotta?
La durata è stata ridotta da sei anni a quattro anni e otto mesi perché l’articolo 37 del codice penale stabilisce che, quando la legge non prevede una durata specifica per una pena accessoria, questa deve avere una durata pari a quella della pena principale. Il giudice di primo grado aveva erroneamente applicato una durata superiore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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