Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 32939 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 32939 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 04/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nata a Messina il 28/09/1971
avverso l’ordinanza del 03/02/2025 del Tribunale del riesame di Messina udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso; uditi gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali si sono riportati ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Messina ha annullato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Messina in data 19 dicembre 2024 nei confronti di NOME, limitatamente ai capi 4) e 8) di incolpazione, con conferma della misura della custodia cautelare in carcere in relazione al reato di peculato di cui al capo 3) e al reato di associazione a delinquere di stampo mafioso di cui al capo 5).
Secondo quanto risulta dal provvedimento impugnato, il reato di peculato è stato contestato alla ricorrente, in concorso, oltre che con terzi (tra cui, Ofria
NOME e il nipote NOME COGNOME, con NOME COGNOME, amministratore giudiziario della impresa “RAGIONE_SOCIALE“, sottoposta sia a confisca ai sensi dell’art. 12 -sexies legge n. 356 del 1992 che a confisca di prevenzione, entrambe disposte nei confronti di NOME COGNOME fratello di COGNOME NOME, condannato in via definitiva per la partecipazione all’associazione mafiosa dei barcellonesi per il periodo compreso tra il 1986 e il 1995 e tra il 1995 e il 2011, sul presupposto che l’impresa in questione fosse solo formalmente intestata a NOME COGNOME e NOME COGNOME rispettivamente madre e moglie di NOME COGNOME In particolare, la condotta appropriativa ha riguardato il denaro della cassa dell’impresa ed è stata contestata sulla base della condotta dell’amministratore giudiziario che avrebbe consentito alla famiglia di COGNOME di continuare a gestire l’impresa, soprattutto attraverso la vendita in nero di pezzi di ricambio per autovetture. Fatto commesso al fine di agevolare la famiglia mafiosa dei barcellonesi.
COGNOME NOME, quale amministratore giudiziario, e quindi quale pubblico ufficiale che aveva la disponibilità mediata del denaro presente nelle casse della impresa individuale NOME (madre di NOME NOME), oggetto di confisca, demandava l’attività di gestione a NOME NOME e NOME, il primo fratello e la seconda moglie di NOME NOME a cui la impresa era stata confiscata (sia all’esito del procedimento penale che all’esito del procedimento di prevenzione), agevolando la vendita in nero di pezzi di ricambio di autovettura e la sottrazione di denaro dalle casse della società. NOME e COGNOME – anche tramite dipendenti dell’impresa effettuavano vendite in nero di prodotti aziendali e incassavano il relativo denaro. Fatto commesso al fine di agevolare la famiglia mafiosa dei barcellonesi.
Quanto al capo 5) di incolpazione, si contesta alla ricorrente di avere fatto parte della famiglia mafiosa dei barcellonesi, in concorso con COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME Salvatore e NOME Paolo. Tale organizzazione aveva come obiettivo precipuo quello di acquisire in forma diretta e indiretta la gestione e, comunque, il controllo delle attività economiche.
In particolare, NOME NOME, NOME NOME, entrambi pregiudicati per reati di mafia, permanevano senza titolo nei locali dell’impresa individuale “Bellinvia” e si appropriavano di ingenti somme di denaro attinenti alla gestione dell’attività economica, con la compiacenza dei dipendenti NOME e COGNOME NOME e di NOME, moglie di NOME NOME, la quale, anche dopo aver cessato il rapporto di lavoro con l’impresa Bellinvia continuava ad occuparsi della relativa gestione amministrativa e contabile nonché provvedeva a trasmettere le direttive di NOMECOGNOME detenuto in carcere.
Quanto alla partecipazione al sodalizio, il collegio della cautela ha evidenziato l’uso strumentale da parte degli Ofria dell’impresa “Bellinvia”, già oggetto di confisca, agli interessi del sodalizio mafioso dei barcellonesi. Si è osservato che la ricorrente ha continuato a gestire l’azienda di famiglia, nonostante i provvedimenti ablativi cui era stata sottoposta, e orchestrato il sistema di vendite non contabilizzate al fine di consentire a sé e ai congiunti di lucrare indebitamente gran parte dei profitti dell’impresa. Il Tribunale del riesame ha, infine, sottolineato che la ricorrente, nel ruolo di vertice che le veniva riconosciuto dai dipendenti e da coloro che con costei si relazionavano, si avvaleva della condizione di assoggettamento – che le derivava dal legame di coniugio con NOME COGNOME per condizionare le attività dell’azienda e per intimidire gli operai e i professionisti che con lei si rapportavano.
2.Avverso l’ordinanza ricorre per cassazione la COGNOME deducendo i motivi di annullamento di seguito sintetizzati ex art. 173 disp. att cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della associazione a delinquere di stampo mafioso.
I collaboratori di giustizia COGNOME NOME e COGNOME hanno riferito di un recesso avvenuto decenni prima da parte di NOME dalla associazione dei barcellonesi, mentre il collaboratore NOME COGNOME ha riferito solamente di avere saputo da NOME NOME, figlio di NOME che quest’ultimo, di fatto, gestiva ancora l’azienda di famiglia confiscata.
Ritiene la difesa che, nel caso che ci occupa, saremmo in presenza di un sodalizio a base familiare, avente come obiettivo esclusivo quello di continuare a gestire la azienda di famiglia, anche se confiscata (nella convinzione che potesse essere loro successivamente restituita a seguito di incidente di esecuzione, ancora sub iudice a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione). Non sussisterebbe, quindi, la significativa commissione di reati scopo propria di un’organizzazione mafiosa.
Inoltre, non potrebbe parlarsi di persistenza dell’associazione mafiosa, poichè tra l’associazione giudicata e quella giudicabile vi sarebbero solo due soggetti comuni, COGNOME Salvatore e COGNOME NOME, mentre tutto il resto della compagine risulterebbe diverso.
Quanto al presunto mantenimento degli associati, lo stesso provvedimento impugnato rileverebbe come, a fronte della rilevante attività predatoria, sarebbero state versate solo piccole somme di denaro ai propri nipoti, mentre l’assegno mensile di NOME alla cognata sarebbe ricollegabile al pagamento della badante degli NOME.
Infine, emergerebbe nel provvedimento impugnato che NOMECOGNOME moglie del capomafia COGNOME, avrebbe avanzato presso la ditta “Bellinvia” una richiesta perfettamente lecita di un carroattrezzi.
Solo, pertanto, gli stretti familiari, e non anche gli altri appartenenti all’associazione di cui al capo 5) di incolpazione, avrebbero usufruito delle condotte predatorie perpetrate ai danni dell’azienda.
La difesa ha allegato la richiesta di archiviazione del Pubblico ministero e il conforme decreto del G.i.p di Messina del 17 gennaio 2022 nei confronti di NOME COGNOME che evidenzierebbero la non ravvisabilità di elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.
2.2. Vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di peculato.
Il concorso di COGNOME sarebbe insussistente, non emergendo in atti che il predetto avesse consapevolezza della esistenza di una “cassa contanti” oggetto di condotte predatorie; la frequentazione dell’azienda da parte degli COGNOME, non dipendenti della stessta, frequentazione tollerata dall’amministratore giudiziario, non costituirebbe un antefatto tale da potere allarmare lo stesso circa la eventuale condotta appropriativa da parte di costoro. L’amministratore non avrebbe approntato i necessari controlli poiché la cassa contabile risultava positiva per somme superiori al milione di euro e il predetto sconosceva l’esistenza di una cassa in “nero”.
2.3. Vizio di motivazione, in relazione al capo 3), in ordine alla sussistenza dell’aggravante dell’avere agevolato l’associazione mafiosa denominata “famiglia dei barcellonesi”.
2.4. Vizio di motivazione in relazione alla proporzionalità della misura.
L’azienda confiscata è stata chiusa e la ricorrente, priva di alcun precedente penale, avrebbe, unicamente, posto in essere attività gestorie della azienda, appropriandosi dei profitti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.
2.11 primo motivo è inammissibile in quanto contiene delle censure di merito volte a sollecitare una non consentita diversa valutazione degli elementi fattuali valorizzati dal Tribunale quali indici sintomatici della partecipazione della ricorrente al sodalizio mafioso. In primo luogo, va stigmatizzato l’evidente errore giuridico in cui incorre la stessa nell’insistere diffusamente sulla rilevanza, ai fini della insussistenza delle condotte criminose ascritte, della pendenza dell’incidente di esecuzione. Tale tesi difensiva risulta nettamente in contrasto con il carattere
definitivo del provvedimento ablatorio del bene, che ne determina il passaggio al patrimonio dello Stato e che non è in alcun modo destabilizzato, legittimando le condotte gestorie e appropriative del ricorrente e dei familiari, dalla mera pendenza dell’incidente di esecuzione. Rileva, inoltre, il Collegio che dalla lettura congiunta dell’ordinanza genetica e del provvedimento impugnato risulta che i Giudici di merito, senza incorrere in alcun vizio logico o giuridico, muovendosi nel solco ermeneutico tracciato da questa Corte regolatrice in tema di partecipazione ad associazione di stampo mafioso (cfr. Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670), hanno desunto l’intraneità della COGNOME al sodalizio, in primo luogo, dalla particolare rilevanza dell’attività di controllo e gestione dell’impresa confiscata da parte del ricorrente e dei familiari, considerati quali longa manus dell’effettivo titolare del bene, NOME COGNOMErispetto al quale sono state segnalate la lunga militanza mafiosa nella famiglia dei barcellonesi e l’assenza di condotte sintomatiche di un suo recesso dal sodalizio), quale espressione dell’immutato potere del sodalizio mafioso a dispetto dei provvedimento ablatori emessi dall’Autorità giudiziaria. Si è, inoltre, valorizzata la condotta tenuta dalla ricorrente, costantemente presente nei locali dell’impresa. A conferma del penetrante controllo esercitato da NOME COGNOME sulla gestione dell’impresa, l’ordinanza impugnata ha considerato sia la vicenda relativa al mancato acquisto di un terreno da parte di COGNOME, benché autorizzato dal giudice, in esecuzione di una specifica disposizione del medesimo Ofria, sia la vicenda relativa al licenziamento del dipendente COGNOME e alla spendita del carisma criminale di Ofria presso coloro che lo avevano assunto. Si è, infine, valorizzato il contributo offerto dalla COGNOME e dai familiari al mantenimento di sodali in carcere. Rispetto a tale ultimo elemento, la ricorrente propone una sua rilettura in una mera prospettiva di solidarietà familiare, valorizzando il rapporto di parentela tra gli Ofria e i materiali percettori del denaro, protagonisti della cd. “processione” presso l’impresa confiscata. Così facendo, oltre a prospettare una mera censura di merito di contenuto confutativo, la COGNOME incorre in una duplice omissione: i) non considera che nessuno degli Ofria aveva alcun titolo per appropriarsi e disporre delle entrate dell’impresa; ii) non si confronta criticamente con il contenuto dell’ordinanza impugnata che, nel considerare le obiezioni difensive, con motivazione persuasiva e non manifestamente illogica, ancorata alle risultanze delle videoriprese e delle conversazioni intercettate, ha ritenuto che le somme di denaro consegnate ai parenti fossero in realtà destinate ai loro familiari detenuti per titoli relativi al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. Si è, in particola sottolineato che: a) Santa Ofria, moglie di NOME COGNOME, esponente di vertice della famiglia barcellonese, si relazionava non solo con i familiari, ma anche con il ragioniere NOME e riscuoteva il denaro (1.000,00 euro) con cadenza mensile (il Corte di Cassazione – copia non ufficiale
giorno 15), per il mantenimento del marito detenuto. Tale destinazione del denaro è stata desunta dal contenuto delle conversazioni intercettate (cfr. le pagine 31 e 32) in una delle quali, ad esempio, Santa Ofria, parlando con la figlia, distingueva tra le somme ricevute a titolo di regalia per il matrimonio della ragazza, da quelle oggetto di riscossione mensile. L’ordinanza impugnata ha anche considerato il contenuto di un colloquio in carcere tra COGNOME e il figlio NOME (il quale, riferisce l’ordinanza, è stato ripetutamente ripreso dalle videocamere mentre prelevava pezzi di ricambio senza pagare) in cui quest’ultimo riferiva al genitore che il ricorrente «si era particolarmente prodigato per le loro esigenze»; b) anche NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME, condannato per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., sempre in relazione alla famiglia barcellonese, si recava per visite di pochi minuti presso l’impresa ( dove si relazionava non solo con i familiari, ma anche con il contabile NOME COGNOME e con il dipendente fidato, COGNOME. A conferma della destinazione al familiare detenuto delle somme riscosse, il Tribunale ha, inoltre, considerato i riscontri emersi dalle intercettazioni, in particolare, la conversazione telefonica, avvenuta durante il colloquio in carcere tra COGNOME e il marito, in cui NOME COGNOME chiedeva se gli erano piaciute “le scarpe” e se avesse bisogno di altro; c) NOME COGNOME, parente di COGNOME e figlio di uno storico esponente del clan determinatosi alla collaborazione, riceveva soldi sia da COGNOME che da NOME COGNOME; d) NOME COGNOME, moglie del capomafia COGNOME, detenuto, e figlia del boss COGNOME, ucciso in un attentato, veniva accolta con grande rispetto dal ricorrente, da NOME COGNOME e dal contabile NOME e, alla sua richiesta di un carroattrezzi, NOME COGNOME si offriva di ripararle l’autovettura.
3.11 secondo motivo è infondato.
3.1.Va, innanzitutto, premesso che, secondo quanto risulta dal provvedimento impugnato, il reato di peculato è stato contestato alla ricorrente in concorso, oltre che con terzi (tra cui, NOME COGNOME e il nipote NOME COGNOME), con NOME COGNOME, amministratore giudiziario della impresa “RAGIONE_SOCIALE“.
Dalla ricostruzione contenuta nell’ordinanza impugnata risulta con certezza che COGNOME è stato nominato amministratore giudiziario dell’impresa nell’ambito del procedimento di cognizione poi definito con la confisca per sproporzione del bene. Non è, invece, chiaro se il medesimo COGNOME sia stato anche investito del medesimo ruolo anche nell’ambito del procedimento di prevenzione. Volendo, tuttavia, considerare il duplice ruolo, va, inoltre, rilevato che, quanto alla misura di prevenzione, dall’ordinanza impugnata non risulta la data di presentazione della proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, ciò ai fini della individuazione della disciplina applicabile alla fattispecie in esame, nè emerge se l’amministratore giudiziario, nonostante la confisca, sia rimasto provvisoriamente
in carica (in attesa dell’approvazione del rendiconto) o sia stato, invece, investito dall’Agenzia Nazionale del ruolo di coadiutore nella gestione del bene, ai sensi dell’art. 38, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011. Tuttavia, va considerato che, sia che si faccia riferimento agli artt. 2-quinquies e ss., legge n. 575 del 1965 sia che si consideri, invece, la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 159 del 2011 (artt. 35 e ss.), è indiscutibile la qualifica pubblicistica dell’amministratore giudiziario, quale figura direttamente investita dal tribunale della prevenzione di provvedere alla gestione, custodia e conservazione dei beni, sottoposti a sequestro di prevenzione e poi a confisca. Anzi, l’art. 35, comma 5, d.lgs. n. 159 del 2011 lo definisce espressamente quale pubblico ufficiale, tenuto ad adempiere con diligenza ai compiti del proprio ufficio. Va, inoltre, aggiunto che la medesima disciplina prevista dal d.lgs. n. 159 del 2011 (libro primo, titolo terzo) trova applicazione, ai sensi dell’art. 104-bis disp. att. cod. proc. pen., in tutti i casi di sequestro preventivo di confisca aventi ad oggetti aziende, società o beni di cui sia necessario assicurare l’amministrazione. Anche in tale ipotesi, infatti, si prevede la nomina da parte dell’autorità giudiziaria di un amministratore giudiziario scelto nell’albo di cui all’art. 35 d.lgs. cit. e investito dei medesimi compiti ed obblighi previsti da tale normativa.
3.2.Ciò premesso, nella fattispecie in esame si contesta all’amministratore giudiziario di avere abdicato allo svolgimento dei propri compiti e, in particolare, di avere consegnato la gestione dell’impresa ai familiari del proposto, consentendo loro di appropriarsi del denaro della cassa, frutto della vendita in nero dei pezzi di ricambio. Non una condotta meramente omissiva (nel qual caso, secondo la giurisprudenza di questa Corte – si veda, ad esempio, Sez. 6, n. 28301 del 08/04/2016, Dolce, Rv. 267829 – non è, comunque, ravvisabile alcun ostacolo giuridico alla configurabilità del concorso nel reato di pura condotta, come quello contestato nel caso in esame), ma, secondo la ricostruzione del quadro indiziario contenuta nell’ordinanza impugnata, anche una condotta attiva, di piena collaborazione all’attuazione degli interessi degli Ofria, dallo stesso più volte incontrati nei locali dell’impresa, anche in circostanze in cui costoro si relazionavano con potenziali clienti. Risulta, ad esempio, che: a) COGNOME è stato ripreso in atteggiamenti familiari con gli Ofria e, in particolare, il 15/2/2024, mentre si appartava con NOME COGNOME estromessa dall’organigramma aziendale nel settembre 2023, dopo essersi sbarazzato del telefono cellulare, condotta, quest’ultima che, unitamente all’appellativo con il quale definiva la donna (“padrona”), con motivazione non manifestamente illogica, il Tribunale ha considerato quale espressione della sua contiguità con gli Ofria; b) il medesimo COGNOME, a partire da giugno 2024, informava la COGNOME di tutte le novità riguardanti la ditta e, in una occasione, accompagnava la donna presso il suo difensore; c)
COGNOME provvedeva ad informare gli Ofria della richiesta del rendiconto del Giudice per le indagini preliminari, circostanza, questa, che metteva in allarme la famiglia; d) COGNOME, nell’ambito di una vicenda dai contorni opachi, connotata anche da accordi tra lo stesso e NOME COGNOME al fine di ottenere il rilascio di un nuovo registro ex art. 264 d.P.R. n. 495 del 1992, delegava NOME a denunciare la distruzione dei libri contabili dell’azienda in occasione di una calamità naturale, evento che, con motivazione non manifestamente illogica, il Tribunale ha escluso essersi mai verificato.
3.4. Prive di pregio sono, inoltre, le obiezioni relative alla mancanza di possesso del denaro sottratto dalle casse dell’impresa, trattandosi di proventi di attività in nero, o all’assenza di Virgillito al momento dell’appropriazione del denaro. Rileva, a tal fine, il Collegio che dall’ordinanza impugnata risulta che
l’attività in nero, al pari delle successive appropriazioni del denaro (note anche ai dipendenti), veniva svolta, non occasionalmente, ma in via continuativa, con il sostanziale assenso di COGNOME, il quale, dunque, aveva la disponibilità diretta del denaro ricavato dalle vendite in nero, di cui consentiva il “prelievo” da parte del ricorrente e dei familiari. Tali circostanze, unitamente al contenuto della conversazione tra COGNOME e la moglie, interpretata in termini non illogici dal Tribunale e, dunque, non censurabile in questa Sede (cfr. Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715), quale ulteriore conferma del pieno dominio degli Ofria in merito a tutte le decisioni che riguardavano l’impresa, sono state valutate, con motivazione persuasiva e priva di vizi logici, quale sintomo della consapevole abdicazione di Virgillito allo svolgimento dei propri compiti e della sua sudditanza agli Ofria in funzione della piena realizzazione dei loro interessi.
3.5. Va, infine, evidenziato che la condotta contestata continua a rientrare astrattamente nell’alveo di cui all’art. 314 cod. pen. Le condotte di distrazione qualificabili come peculato non sono suscettibili di diversa qualificazione per effetto dell’introduzione del delitto di cui all’art. 314-bis cod. pen., e, pertanto, rimangono punibili ai sensi dell’art. 314 cod. pen. Sono questi i casi in cui la condotta distrattiva integra un’effettiva appropriazione perché la res è sottratta in modo definitivo dalla finalità pubblica per conseguire finalità private proprie o altrui. Con riferimento a queste ipotesi di “distrazione appropriativa” vi è, dunque, continuità nella qualificazione giuridica e, di conseguenza, nella risposta sanzionatoria, sempre affidata all’art. 314 cod. pen. (Sez. 6, n. 4520 del 23/10/2024 -dep. 2025, Felicita, Rv. 287453 – 02).
4.AI rigetto del motivo di cui al punto 2. consegue, correttamente, il riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416-bis 1 cod. pen.
5.11 motivo sulle esigenze cautelari è infondato / essendo la motivazione del tribunale del riesame congrua. In particolare, nella stessa si sottolinea che la ricorrente, fino all’ultimo momento, ha tramato per evitare il passaggio della società alla Agenzia dei beni confiscati.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla encellena per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
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