Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34750 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 34750 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MERI’ il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 01/02/2024 del TRIB. LIBERTA’ di MESSINA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito i difensori
AVV_NOTAIO COGNOME ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi del ricorso.
AVV_NOTAIO‘AVV_NOTAIO COGNOME ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 10 febbraio 2024 il Tribunale di Messina, in funzione di giudice del riesame ex art. 309 cod. proc. pen., ha confermato l’ordinanza del 5 gennaio 2024 con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città, ha applicato, nei confronti di NOME COGNOME, la misura della custodia cautelare in carcere in relazione al delitto di omicidio, aggravato ai sensi dell’art. 416bis.1 cod. pen., in danno di NOME COGNOME.
1.1. Il fatto per il quale si procede è costituito dalla scomparsa di NOME COGNOME in epoca prossima al 24 febbraio 1993 quando la madre di costui, NOME COGNOME, aveva segnalato che il figlio si era allontaNOME da casa due giorni prima senza farvi più ritorno.
Inutili si erano rivelate le informazioni assunte nell’immediatezza dalla Polizia giudiziaria nel contesto delle persone che lo scomparso era solito frequentare.
L’unico dato acquisito era costituito dal coinvolgimento di COGNOME nell’attivit di commercializzazione di sostanze stupefacenti.
A distanza di anni, ossia nel 2014, aveva reso dichiarazioni collaborative NOME COGNOME il quale, fra i molti episodi omicidiari confessati, aveva indicato anche quello connesso alla scomparsa di NOME COGNOME alla eliminazione del quale aveva personalmente partecipato.
Il collaboratore aveva indicato sia i nomi di coloro che avevano preso parte con lui all’omicidio (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOMECOGNOME / sia le ragioni dell’uccisione di COGNOME il quale aveva intraprest> l’attivitài spaccio di sostanze stupefacenti senza acquisire preventivamente l’autorizzazione dell’associazione mafiosa dominante sul territorio.
L’omicidio, per come descritto dal collaboratore, era avvenuto per mano di NOME COGNOME che, dopo avere attirato la vittima in un tranello, l’aveva accompagnata in una località di campagna posta nei pressi dell’alveo di un torrente ove si trovavano gli altri complici.
In particolare, COGNOME era stato preso in consegna da COGNOME e COGNOME su incarico del quale COGNOME aveva già provveduto a scavare una fossa nella quale avrebbe poi dovuto essere collocato il cadavere della vittima.
Nel racconto di COGNOME, egli stesso aveva poi consegNOME una pistola a NOME che era stato individuato come il soggetto che avrebbe dovuto materialmente esplodere i colpi per una sorta di «battesimo del fuoco», tenuto conto che occorreva verificarne l’affidabilità.
NOME aveva poi effettivamente indirizzato, improvvisamente, i colpi verso NOME mentre questi era di spalle e si trovava in mezzo agli altri due complici e tale azione repentina aveva suscitato le rimostranze dello stesso COGNOME.
In ogni caso, COGNOME era stato ucciso e il corpo, dopo essere stato collocato nella buca, era stato ricoperto con l’ausilio della pala meccanica alla cui guida vi era proprio COGNOME.
Il collaboratore aveva descritto il luogo in cui l’indagato si trovava mentre era stata consumata l’azione omicidiaria.
Le operazioni di scavo nel torrente avevano avuto esito negativo e il procedimento avviato a seguito delle dichiarazioni di COGNOME era stato archiviato.
La riapertura delle indagini era avvenuta a distanza di anni, a seguito della intervenuta collaborazione con la giustizia di NOME COGNOME che, in data 15 marzo 2023, aveva reso dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione all’omicidio di NOME COGNOME.
Aveva dichiarato che quest’ultimo era stato elimiNOME a causa dello spaccio attuato senza l’autorizzazione della famiglia mafiosa dominante sul territorio, ossia quella facente capo a NOME COGNOME.
Le modalità del fatto erano state indicate dal nuovo collaboratore con l’aggiunta di ulteriori particolari rispetto a quelli riferiti anni prima da NOME COGNOME e ciò sia con riferimento al modo con cui aveva convinto COGNOME a salire in macchina con lui, all’accompagnamento presso l’alveo del torrente nel quale si trovavano i complici, oltre che alla successiva esplosione dei colpi all’indirizzo della vittima da parte dello stesso COGNOME con modalità che avevano determiNOME la reazione degli altri presenti.
Aveva anche riferito di avere ricevuto la ricompensa di un milione di lire e di avere notato la NOME, sul posto, di un fosso profondo circa due metri già scavato al momento del suo arrivo.
Il corpo di COGNOME era stato posto nella buca che era stata ricoperta da COGNOME (soggetto da lui stesso conosciuto anche in quanto «vicino all’associazione mafiosa») che era giunto sul posto alla guida di una ruspa che, in precedenza, egli non aveva notato.
1.2. Il Tribunale ha motivato ampiamente in ordine alla credibilità soggettiva di COGNOME sia per la natura autoaccusatoria delle relative dichiarazioni, sia per essere risultato lo stesso dichiarante attendibile in occasione di altri procedimenti penali all’esito dei quali sono state ricostruite le dinamiche associative dei sodalizi operanti nella zona di Barcellona Pozzo di Gotto.
In COGNOME relazione all’altro collaboratore, COGNOME le eccezioni difensive, COGNOME basate, essenzialmente, sulla paventata mancanza di genuinità per avere egli avuto accesso alle dichiarazioni di COGNOME risalenti ad anni prima, sono state ritenute congetturali e apodittiche.
Le dichiarazioni dei collaboratori sono state giudicate reciprocame riscontrate sui seguenti punti: causale dell’omicidio; decisione dell’azi parte dei vertici della mafia barcellonese; indicazione nominativa dei soggett vi hanno preso parte; ruolo di NOMENOME NOME del fosso precedentemen scavata da NOMENOME azione di seppellimento svolta dall’indagato; luogo commissione dell’omicidio.
In particolare, la causale ha trovato riscontro nelle acquisizioni della i attività investigativa dalla quale era emersa la dedizione di COGNOME al tra stupefacenti.
L’indicazione di COGNOME come l’autore dello scavo prima dell’omicidio e de copertura in seguito all’uccisione della vittima è risultata coerente circostanza che l’indagato si occupava proprio della conduzione di rusp svolgeva attività di movimento terra.
Sono state ritenute marginali e sostanzialmente irrilevanti le discrasie dichiarazioni dei due collaboratori in ordine alla tipologia dell’arma util alla sua provenienza, oltre che alla effettiva NOME di COGNOME nella strettamente esecutiva dell’omicidio e alle modalità dell’appuntamento fissat NOME con la vittima.
Le chiamate sono state giudicate convergenti nel loro nucleo essenzia riferito al coinvolgimento di COGNOME e, comunque, plausibili rispetto personalità dell’indagato che, pur non avendo mai riportato condanne per delitto di cui all’art. 416bis cod. pen., è stato indicato da pluri collaborative come inserito nel contesto mafioso barcellonese (coerentemen alle risultanze del procedimento applicativo della misura di prevenzione decreto del Tribunale di Messina del 2006).
L’aggravante di cui all’art. 416bís.1 cod. pen. è stata giustificata modalità di esecuzione dell’omicidio e le relative finalità, ossia lo sc impedire l’attività di spaccio di sostanze stupefacenti che non fosse g direttamente dall’associazione mafiosa.
1.3. Con riguardo alle esigenze cautelari, richiamata la duplice presunzion sussistenza delle esigenze e adeguatezza della custodia in carcere in ragione titolo di reato, il Tribunale ha segnalato la mancata emersione di elementi idonei a smentire la pericolosità sociale.
Piuttosto, ha evidenziato come il vissuto criminale dell’indagato sia indicativo della disponibilità rispetto ad un contesto di criminalità organi plausibilmente inquadrabile come «mafia storica» tale da giustificare, in uno l’eccezionale gravità del fatto, l’applicazione della misura cautelare più grav
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME,
per mezzo del proprio difensore AVV_NOTAIO, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo ha eccepito violazione di legge in relazione alla mancata risposta alle osservazioni difensive in punto di gravità indiziaria.
La prima parte del motivo è stata articolata sulla inesistenza di qualsiasi fonte indiziaria tale da giustificare l’affermazione della configurabilità di u partecipazione dell’indagato all’associazione mafiosa nel cui interesse sarebbe stato commesso il delitto.
Con riferimento specifico alla condotta concorsuale contestata a COGNOME, è stata segnalata la necessità di valorizzare la circostanza che l’intervento dello stesso, secondo quanto riferito dai collaboratori, si è verificato successivamente all’omicidio essendosi egli limitato, semmai, a ricoprire la buca nella quale era stato collocato il cadavere della vittima.
Sul punto, l’ordinanza del Tribunale messinese avrebbe manifestato una palese violazione della legge penale in punto di responsabilità concorsuale prestando una immotivata adesione al provvedimento genetico applicativo della misura cautelare.
2.2. Con il secondo motivo ha eccepito l’erronea qualificazione giuridica del fatto e la mancanza di motivazione in relazione alle doglianze avanzate con la memoria integrativa dei motivi di riesame.
Pur avendo dato atto che il tema della condotta concorsuale di COGNOME era stato ritualmente introdotto con l’istanza di riesame, il Tribunale ha omesso di considerare la posizione personale dell’indagato il quale non ha preso parte alla progettazione e all’esecuzione dell’omicidio, né alla sua organizzazione essendosi limitato a realizzare un segmento di condotta più propriamente inquadrabile ai sensi dell’art. 411 cod. pen. e, comunque, irrilevante ai fini della causazione dell’evento.
2.3. Con il terzo motivo ha eccepito la violazione di legge e vizi di motivazione in punto di esigenze cautelari.
COGNOME, a fronte delle indicazioni valorizzate dal Tribunale del riesame, non ha riportato condanne per reato associativo mafioso, né annovera precedenti penali di alcun genere, sicché può escludersi ogni suo collegamento con la criminalità organizzata.
Sul tema non sarebbero stati presi in considerazione i documenti prodotti dalla difesa anche al fine di dimostrare le precarie condizioni di salute nelle quali si trova l’indagato.
E’ stato anche segnalato come depongano per l’assenza di esigenze cautelari il decorso del tempo dal fatto e la marginalità del ruolo rivestito dall’indagato nella vicenda.
3. Il difensore ha chiesto la trattazione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
2. Va doverosamente premesso, vedendosi in tema di impugnazione di provvedimento emesso dal tribunale in funzione di giudice del riesame cautelar che «in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ri per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale d riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natu giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice d abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad afferma la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congr della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispe canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento risultanze probatorie» (Sez. U, n. 11 del 23/02/2000, Audino, Rv. 215828).
L’arresto costituisce, ormai, patrimonio comune della giurisprudenza legittimità che, da ultimo lo ha ribadito, fra le molte, con Sez. 2 n. 27 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976 e Sez. 1, n. 30416 del 25/09/2020, motivazione.
Peraltro, occorre avere anche riguardo alla specificità della valutaz compiuta nella fase cautelare dovendosi sempre tenere conto della «divers dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognosti termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza, rispetto a qu merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordin colpevolezza dell’imputato» (Sez. 2, n. 11509 del 14/12/2016, dep. 2017, Rv. 269683; Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, S., Rv. 264213 e molte alt conformi precedenti).
3. Il primo motivo è infondato.
La censura iniziale secondo cui, nel provvedimento impugNOME, non sarebbe stata adeguatamente illustrata la sussistenza di una condotta concorsuale ricorso si fa riferimento al «concorso esterno», pag. 3) appare eccentrica ri all’imputazione e alla ricostruzione dell’ordinanza.
Come da atto lo stesso ricorso «una partecipazione al sodalizio (…) neppu ipotizzata e contestata».
Se così è, non si comprende la conducenza della censura riferita alla mancanza di elementi indicativi della partecipazione al sodalizio mafioso ai fini della richiesta di annullamento in punto di gravità indiziaria per il delit omicidiario per il quale si procede.
Né il quadro muta se si considera il passaggio della motivazione riportato a pag. 4 dell’atto introduttivo del presente giudizio che riguarda, non già la gravità indiziaria, ma il diverso profilo delle esigenze cautelari espressamente contestate con il terzo motivo sul quali si tornerà in seguito.
La seconda parte del motivo contiene una censura di violazione di legge riferita alla disciplina del concorso di persone che sarebbe stata violata dal Tribunale messinese laddove, pure a fronte di una condotta descritta come avvenuta successivamente all’uccisione di NOME, ha ritenuto integrata la fattispecie concorsuale nel delitto di omicidio.
Dal mancato coinvolgimento nella fase esecutiva (per come già segnalato nella memoria difensiva depositata in sede di riesame) sarebbe chiaramente emersa l’impossibilità di ritenere configurabile il concorso nell’uccisione della vittima.
Tutta la ricostruzione operata dai collaboratori COGNOME e COGNOME, con riferimento al segmento di condotta attribuita all’indagato, converge verso una provvista indiziaria che indica la sua NOME nei pressi del luogo in cui è stato commesso l’omicidio sin da prima che COGNOME giungesse sul posto.
I collaboratori hanno descritto la condotta di scavo della buca che sarebbe poi servita a nascondere il corpo della vittima come attuata da COGNOME su incarico di COGNOME.
L’indagato, dopo avere scavato il fosso, si sarebbe appartato e nascosto a bordo dell’escavatore e, dopo l’eliminazione della vittima, sarebbe uscito allo scoperto per completare l’opera di occultamento del cadavere (pagg. 7, 9 e 13).
Nella ricostruzione fattuale, quindi, la condotta dell’indagato, per come emersa allo stato delle acquisizioni istruttorie, integra pienamente la fattispecie concorsuale atteso che entrambi i collaboratori l’hanno ricostruita in termini di contributo essenziale alla complessiva azione omicidiaria.
Non vi è rispondenza tra la censura svolta dal ricorrente e l’effettiva motivazione che non si sofferma, in alcun modo, solo sull’azione dell’indagato successivamente alla condotta omicidiaria ma prende in esame, anche quella precedente atteso che, come segnalato a pag. 16 dell’ordinanza, il Tribunale di Messina ha evidenziato che «COGNOME aveva dato corso alla previa operazione di scavo della fossa nella quale avrebbe dovuto essere seppellito l’COGNOME».
La ricostruzione complessiva dell’ordinanza indica una NOME dell’indagato affatto occasionale e certamente funzionale a garantire il buon esito di tutta
l’operazione funzionale alla eliminazione della vittima designata.
Piuttosto, nel tratteggiare la partecipazione ad un segmento fondamentale dell’intera azione, è stato dato atto di una NOME qualificata, da parte di un esperto operatore di escavatrici sul quale era possibile fare affidamento anche perché si trattava di soggetto avente rapporti con il contesto associativo mafioso nell’interesse del quale è stato commesso il delitto.
Non risulta, pertanto, violato il risalente e consolidato principio per cui «i tema di concorso di persone nel reato, la circostanza che il contributo causale del concorrente morale possa manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all’esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso) non esime il giudice di merito dall’obbligo di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall’art. 110 cod. pen., con l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà» (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226101).
Da quanto esposto al punto precedente, emerge l’infondatezza del secondo motivo di ricorso riferito al difetto di motivazione (pure accenNOME in coda al primo motivo di censura).
Con riferimento alla carenza di motivazione in relazione a quanto eccepito nella memoria difensiva, della quale il Tribunale ha dato ampiamente atto (pagg. 1 e 2) va ricordato e ribadito che «la parte che deduce l’omessa valutazione di memorie difensive ha l’onere di indicare, pena la genericità del motivo di impugnazione, l’argomento decisivo per la ricostruzione del fatto contenuto nelle memorie e non valutato dal giudice nel provvedimento impugNOME. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’omessa valutazione di memorie difensive non costituisce causa di nullità della decisione, ma può unicamente incidere sulla tenuta logico-giuridica della motivazione)» (Sez. 5, n. 24437 del 17/01/2019, Armeli, Rv. 276511).
Analogamente, è stato affermato che «in tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame, da parte del giudice di merito, di una memoria difensiva può essere dedotto in sede di legittimità come vizio di motivazione purché, in virtù del dovere di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, si rappresenti puntualmente la concreta idoneità scardinante dei temi della memoria
pretermessa rispetto alla pronunzia avversata, evidenziando il collegamento tra le difese della memoria e gli specifici profili di carenza, contraddittorietà manifesta illogicità argomentativa della sentenza impugnata» (Sez. 5, n. 17798 del 22/03/2019, C., Rv. 276766).
Nel caso in esame la censura appare, in primo luogo, ai limiti dell’ammissibilità atteso che, in esordio del motivo, si lamenta la «carenza di motivazione» sulle doglianze sviluppate nella memoria, salvo, in seguito, eccepire l’«erroneo inquadramento» della condotta dell’indagato segnalando, ancora una volta, la partecipazione dello stesso solo al segmento finale della complessiva azione.
Il ricorrente ha finito, così, per ribadire la censura di violazione di legge di al paragrafo precedente.
Deve ribadirsi, quindi, che il Tribunale si è, di fatto, soffermato sul punt sollecitato dalla difesa offrendo l’indicazione di plurimi elementi fattuali dai qua desumere la ricostruzione della fattispecie concorsuale.
Risulta pienamente osservato, quindi, il principio di diritto per cui «in tema di concorso di persone nel reato, il contributo causale del concorrente può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa non solo in caso di concorso morale ma anche in caso di concorso materiale, fermo restando l’obbligo del giudice di merito di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in esser dagli altri concorrenti» (Sez. 4, Sentenza n. 1236 del 16/11/2017, dep. 2018, Raduano, Rv. 271755).
5. Con riferimento al terzo motivo, va premesso che, correttamente il Tribunale ha evidenziato che si procede per un reato per il quale sussiste la doppia presunzione (relativa) di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. per cui va applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
La presunzione è relativa, ma non risulta contrastata nel caso che ci occupa da alcun elemento introdotto nel procedimento da cui poter escludere l’attualità delle esigenze cautelari o la possibilità di salvaguardare le stesse con una misura meno afflittiva.
Alla luce della citata doppia presunzione, il Tribunale ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari suscettibili di essere salvaguardate con la sola custodia cautelare in carcere in ragione del concreto svolgimento dei fatti e del contesto associativo nel quale è maturato.
A tal fine ha valorizzato il vissuto criminale di COGNOME (sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale per quattro anni)e i suoi rapporti con esponenti di vertice dell’associazione mafiosa operante a Barcellona Pozzo di Gotto.
Da tali elementi, dalla descritta vicinanza dell’indagato all’ambiente malavitoso barcellonese riferita dai collaboratori COGNOME, COGNOME e COGNOME, oltre che dai precedenti penali («le risultanze del casellario giudiziale») è stata desunta la sussistenza delle esigenze cautelari.
Non solo, quindi, è stato fatto riferimento alla citata presunzione, ma sono stati indicati elementi positivi idonei a corroborare il riferimento all’esisten delle esigenze e alla possibilità della relativa salvaguardia solo tramite la misura cautelare della custodia in carcere.
Si tratta di elementi concreti, a fronte dei quali il ricorrente ha contrappost argomenti inidonei, allo stato, a far venir meno la citata presunzione.
In realtà, il ricorrente ha sollecitato la valutazione del tempo trascorso dalla commissione del fatto, unitamente all’assenza di precedenti penali e la propria complessiva personalità.
Nel caso di specie, correttamente, il Tribunale ha valutato condotte poste in essere tra il delitto per il quale si procede e l’attualità evidenziando, di fat come il tempo non sia stato affatto del tutto «silente» in quanto vi è stata l’applicazione della misura di prevenzionetla confisca dell’impresa dell’indagato («impresa mafiosa») la cui condotta ha rivelato contatti, rapporti e contiguità non irrilevanti con il contesto della criminalità organizzata.
Ciò correttamente, è stato ritenuto rilevante ai fini delle esigenze cautelari.
Solo genericamente e in termini privi di autosufficienza sono stati dedotti problemi di salute del ricorrente che ben potranno essere fatti valere ai sensi dell’art. 299 cod. proc. pen.
Da quanto esposto discende il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La condizione di detenzione del ricorrente impone l’effettuazione, a cura della Cancelleria, degli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter,
Il Consigliere e tensore
disp. att. cod. proc. pen. Così deciso in data 12/06/2024
Il Presidente