Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33771 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33771 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME NOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMENOMENOMEXXX,
NOME
NOMENOMENOMENOMEX,
NOME
NOMENOMEXX, NOME
inoltre:
NOMEXXX (in proprio e in qualità di genitore esercente la potestà sui figli minori)
avverso la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Milano del 19/9/2024 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore della parte civile costituita, AVV_NOTAIO, il quale si Ł riportato alle conclusioni che ha depositato unitamente alla nota spesa;
uditi il difensore di NOMENOMEX, AVV_NOTAIO, che si Ł riportata ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento; il difensore di COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; il difensore di NOME, AVV_NOTAIO, che si Ł riportato ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 19.9.2024, la Corte d’Assise d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del g.u.p. del Tribunale di Milano del 27.2.2024 di condanna, all’esito di giudizio abbreviato, di NOMENOMEX,
NOMENOMEX e NOMECOGNOME alla pena di quattordici anni di reclusione ciascuno per il reato di omicidio di
NOME.
1.1 La Corte d’Assise d’Appello ha proceduto innanzitutto alla descrizione del fatto come ricostruito dal giudice di primo grado in base al materiale probatorio utilizzato per effetto della scelta del rito alternativo.
Il fatto – ovvero, l’omicidio di NOME, deceduto per le lesioni riportate a seguito di alcune coltellate infertegli da piø persone – Ł accaduto a Milano
il 29 maggio 2021 all’interno di un centro sportivo, dove si stava disputando un torneo di calcio fra squadre composte in massima parte da cittadini sudamericani.
Dopo l’intervento immediato delle forze dell’ordine sul luogo del fatto, venivano escussi numerosi testimoni presenti e acquisiti alcuni video amatoriali, in base a cui si operava la seguente ricostruzione dell’accaduto.
L’ a z i o n e cri m i n o s a prende avvio da una lite tra la vi t t i m a e NUMERO_CARTA per motivi che non sono stati incontrovertibilmente chiariti. In questo primo frangente, la vittima solleva una sedia nei confronti di NOME, che indietreggia verso il gruppo di tifosi suoi amici, e gliela lancia contro. Nel frattempo, NOMENOMEviene però circondato da numerosi soggetti armati di coltello, i quali si scagliano contro di lui e cercano di colpirlo, in alcuni casi riuscendoci.
Tra gli aggressori si nota innanzitutto NOMENOMEX, il quale colpisce la vittima alle spalle mentre Ł ancora intenta a lanciare la sedia. Dal video risulta che l’imputato va a segno nel tentativo di attingere piø volte la vittima, come risulta anche dalla consulenza medico legale che ha riscontrato due ferite dorsali. Peraltro, NOMENOMEX ha anche ammesso nel corso dell’udienza di primo grado con spontanee dichiarazioni di avere colpito due volte la vittima, sia pure senza l’intenzione di ucciderlo.
Subito dopo si nota un altro soggetto, ovvero NOMENOMEX, lanciarsi frontalmente contro la vittima con il braccio destro armato di coltello. Lo stesso imputato ha ammesso di aver fronteggiato la vittima con il coltello (che poi ha fatto ritrovare agli inquirenti) e di aver fatto il gesto di colpirlo, ma solo al fine di spaventarlo.
I n t e r v i e n e quindi nell’ a g g r e s s i o n e un t e r z o s o g g e t t o , ovvero NUMERO_CARTA, il quale si scaglia contro la vittima per sferrargli un colpo con arma da punta, che sembra andare a segno perchØ TARGA_VEICOLO, pur cercando di parare il colpo con una mano, barcolla e infine cade a terra.
I giudici di secondo grado danno anche atto che i tre soggetti riconosciuti potrebbero non essere stati gli unici aggressori, e ciò anche sulla base delle dichiarazioni dei testimoni, tra i quali NUMERO_CARTA, che riferiva di aver visto partecipare all’aggressione anche NOME due soggetti di cui non conosceva le generalità. Costoro erano schierati con gli NOME a circondare la vittima e ciascuno cercava di colpirla col coltello diretto
verso l’addome.
1.2 In diritto, la Corte d’Assise d’Appello riporta, altresì, le considerazioni del giudice di primo grado, il quale ritiene il concorso degli odierni imputati nel delitto di omicidio, sulla base della considerazione che le regole del concorso di persone non richiedono che tutti realizzino la condotta tipica prevista dalla fattispecie incriminatrice, essendo sufficiente che se ne agevoli la commissione.
La applicazione di dette regole ermeneutiche ha fatto dissentire il g.u.p. dalla richiesta difensiva di distinguere le singole condotte, ascrivendo l’evento mortale al solo autore ignoto del colpo esiziale. Il giudice di primo grado ha ritenuto che il fatto che gli odierni ricorrenti avessero realizzato ferite superficiali o minaccia a mano armata e che la ferita decisiva fosse stata inferta da altro soggetto non individuato non li mandasse esenti da responsabilità, perchØ essi, con la loro azione violenta, hanno posto la vittima nell’impossibilità di difendersi e, quindi, hanno agevolato la condotta del quarto esecutore materiale. Il contributo rilevante ai sensi dell’art. 110 cod. pen. Ł consistito nell’agevolazione dell’aggressione contro la vittima, in ragione della superiorità numerica degli aggressori e della concomitante condotta dei concorrenti di neutralizzazione della difesa altrui (concorso materiale) nonchØ del
rafforzamento del proposito criminoso dell’esecutore che si Ł sentito spalleggiato dalla concomitante azione degli NOME (concorso morale).
In questa situazione, il dolo dei singoli concorrenti ha ad oggetto, nella dimensione mono-soggettiva, la prevedibilità dell’evento letale e l’accettazione del rischio della sua causazione quantomeno nella forma del dolo eventuale e, nella dimensione pluri-soggettiva, la volontà di concorrere nel reato altrui, che può manifestarsi anche come intesa istantanea. Peraltro, il g.u.p. aggiunge che l’azione, nel caso di specie, si Ł sviluppata in maniera rapidissima, sicchØ l’aggressione da parte degli imputati Ł stata sostanzialmente contestuale e la vittima non ha potuto difendersene per la subitaneità.
Il g.u.p. evidenzia anche che gli imputati, lungi dal prendere le distanze dalla lite iniziale, si sono uniti tra loro, spalleggiandosi reciprocamente, sicchØ si Ł trattato di un’azione collettiva e le condotte dei singoli aggressori non possono essere valutate in maniera parcellizzata.
La dinamica testimonia l’elemento psicologico, essendosi verificata una violenta aggressione a mano armata da piø parti verso una persona disarmata, che disvela con certezza l’ animus necandi , quantomeno sotto il profilo del dolo eventuale.
Quanto alla qualificazione giuridica dei fatti, il g.u.p. ha escluso che, come richiesto dalle difese, fosse configurabile la rissa aggravata dall’evento morte, mancando innanzitutto il requisito delle fazioni di corrissanti, contrapposti tra loro con reciproco intento offensivo, giacchØ Ł emerso che tutti agissero nei confronti della vittima e che soltanto in un primo momento ci fosse uno scontro tra due soli soggetti, dopo il quale si Ł verificato invece un assalto a mano armata da parte di una pluralità dei soggetti nei confronti della vittima: di conseguenza, non Ł possibile individuare due gruppi opposti e animati da reciproca volontà lesiva. In ogni caso, il reato di rissa concorre comunque con il reato di omicidio a titolo di concorso ordinario o di concorso anomalo e non manderebbe esente da responsabilità per i reati piø gravi.
Per quello che riguarda, infine, il trattamento sanzionatorio, il giudice di primo grado ha ritenuto di non poter concedere le circostanze attenuanti generiche, valutando gli elementi positivi segnalati dalle difese – ovvero, la giovane età, l’incensuratezza e l’essersi costituiti in occasione del fermo – come recessivi a fronte della gravità del fatto di reato.
1.3 Ciò posto, la Corte d’Assise d’Appello prende in considerazione gli atti di appello degli imputati, ribadendo preliminarmente che la ricostruzione del fatto vada operata con approccio sinottico, tenendo presente che l’evento del reato Ł stato il portato di un’azione collettiva, compiuta in rapidissima sequenza e contestualmente.
Chiarisce anche che, nell’affrontare il profilo concorsuale, occorre confrontarsi con il principio di diritto secondo cui l’aggressione fisica collettiva, caratterizzata dalla reciproca consapevolezza della convergente condotta dei correi, comporta che ciascuno di essi risponda del complesso delle lesioni riportate alla vittima e, dunque, anche di quelle non causate in via diretta dall’azione materialmente posta in essere dal singolo.
Evidenzia, infine, che tutti e tre gli imputati fossero armati di coltello, del cui possesso non vi era giustificazione lecita, e che tutti e tre non si sono limitati alla illecita detenzione dell’arma, ma l’hanno estratta e ne hanno fatto uso, colpendo la vittima. Se così Ł, non rileva che nessuno dei tre abbia inferto la coltellata fatale, giacchØ la vittima, aggredita e soverchiata da piø persone, ha cercato di sottrarsi fino a che ha potuto, cosicchØ taluni colpi non sono risultati penetranti. In definitiva, tutti e tre sono stati partecipi con NOME di una aggressione consapevolmente armata ai danni di un solo soggetto disarmato.
1.4 Quanto all’atto di appello di COGNOME, i giudici di secondo grado evidenziano, in
primo luogo, che la prova del contributo concausale dell’imputato si desume sia dalla visione delle immagini dei video, da cui risulta che si scagli contro la vittima, sia dalle dichiarazioni dei testimoni (in particolare, NUMERO_CARTA e
COGNOME), che peraltro ne sottolineano la peculiare aggressività.
In secondo luogo, la Corte d’Assise d’Appello esclude che il fatto possa essere riqualificato nel reato di rissa aggravata dall’evento morte, la quale esige uno scontro fisico tra gruppi contrapposti di corrissanti. Nel caso di specie, v’Ł prova che il dissidio sia iniziato tra due soli contendenti e i testi hanno riferito che anche il gesto della vittima di afferrare la sedia era un gesto difensivo per allontanare l’avversario e i suoi amici che erano intervenuti in sua difesa. Peraltro, dal video risulta che NOMENOMEXtenga un contegno di sfida, togliendosi la maglietta e facendosi incontro alla vittima a torso nudo. Ne consegue che questa prima parte poteva risolversi in una contesa con i due contendenti che passavano a vie di fatto, ma non in una rissa dal tragico epilogo.
In terzo luogo, la Corte territoriale afferma l’insussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 41 cod. pen. invocata dalla difesa. Non può essere condivisa una lettura che, in contrasto con il dato della contestualità dell’aggressione di piø persone ad una sola vittima, vuole isolare come imprevedibile causa sopravvenuta la coltellata dell’ignoto correo. L’art. 41 cod. pen. richiede una causa sopravvenuta completamente atipica, autonoma ed eccezionale, tanto che l’evento si possa considerare assolutamente imprevedibile. Le Sezioni unite, con sentenza n. 38483 del 24/04/2024, COGNOME.G., NOME.COGNOME., COGNOME e NOME, Rv. 261115 – 01, hanno affermato il principio secondo cui la causa sopravvenuta interruttiva di cui all’art. 41, comma 2, cod. pen. può dirsi tale solo se riferita ad una circostanza idonea a introdurre un rischio del tutto nuovo o, comunque, radicalmente esorbitante rispetto a quello ingenerato dalla prima condotta. Non si tratta del caso che ricorre quando in una azione aggressiva di gruppo, subitanea e coordinata, uno degli agenti riesca ad assestare un fendente piø efficace di quelli dei compartecipi.
In quarto luogo, i giudici di secondo grado escludono che nel caso di specie ricorra il c.d. concorso anomalo, il quale sussiste solo quando il concorrente non abbia voluto l’evento ulteriore e piø grave nemmeno nella forma del dolo indiretto. Il concorso anomalo richiede la prevedibilità, che non va sovrapposta al concetto di previsione dell’evento o di una sua accettazione eventuale, che fonderebbero invece una responsabilità ex art. 110 cod. pen. La prevedibilità di una conseguenza Ł strettamente collegata alla forma di manifestazione del reato. Al cospetto di un’azione collettiva, si dilata l’onere di previsione a carico dell’aderente al progetto comune per le possibili varianti individuali di taluno dei concorrenti. Nel caso di specie, invece, gli elementi circostanziali concreti inducono ad affermare che i concorrenti si fossero direttamente rappresentati – e lo avessero accettato – l’evento piø grave come conseguenza dell’agire collettivo, così versandosi nell’ambito del concorso ex art. 110 cod. pen.
1.5 Quanto all’atto di appello di NOME, la Corte d’Assise d’Appello rigetta il motivo principale, attinente alla compartecipazione dell’imputato al fatto sotto il profilo materiale e psicologico del reato, sulla base delle seguenti considerazioni:
l’azione da lui compiuta fu di aggressione fisica, non di mera intimidazione, che peraltro, nel tafferuglio in cui si trovò la vittima, non avrebbe avuto alcun senso;
il suo gesto fu rivolto all’addome della vittima e, dunque, ad una parte vitale;
l’imputato non agì in difesa del suo amico contro una vittima ‘armata’ di sedia, in quanto NOME non si trovò mai in una posizione di pericolo e NOME invece intervenne armato di coltello insieme al gruppo dei suoi amici egualmente armati per dare manforte allo
il suo contributo fu agevolatore, ove considerato nel contesto di un’azione collettiva, in cui tutti compirono simultaneamente la medesima azione, nessuna delle quali definibile atipica.
1.6 Quanto all’atto di appello di NOME, la Corte d’Assise d’Appello, sulla questione posta della riqualificazione del fatto in rissa aggravata, ribadisce quello che aveva già considerato in relazione al motivo analogo proposto nell’interesse di COGNOME e aggiunge che nel caso di specie non si pone la questione della prevedibilità in concreto dell’evento da parte dell’imputato, in quanto NOME Ł stato uno degli autori dei colpi portati nei confronti della vittima; in ogni caso, non di una contesa fra fazioni si trattò, ma di un alterco tra due persone fisiche, che sfociò in un’aggressione collettiva a danno di una delle due inerme, nella quale NUMERO_CARTA pose lui stesso in essere la condotta materiale e agevolò l’evento.
Quanto, poi, all’elemento soggettivo dell’omicidio, i giudici di secondo grado osservano che l’autore ignoto del colpo mortale faceva parte del gruppo dei facinorosi assalitori cui apparteneva lo stesso NUMERO_CARTA e si inserì in un’azione collettiva connotata da rapidità esecutiva, sicchØ il giudice di primo grado, nell’optare per il dolo eventuale, ha valorizzato la furia collettiva nel senso piø favorevole agli imputati.
1.7 Infine, sul motivo comune agli appelli di tutti gli imputati relativo al trattamento sanzionatorio, la Corte d’Assise d’Appello conferma la valutazione del giudice di primo grado, che aveva negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche, ritenendo che gli elementi positivi ravvisabili fossero recessivi rispetto alla gravità del fatto.
Aggiunge, ad integrazione della motivazione di primo grado, che va considerato anche che tutti e tre gli imputati si resero responsabili del porto illegale di coltello in un luogo affollato, in pieno giorno e in un contesto ludico nel quale Ł prevedibile l’accendersi di passioni. Peraltro, anche se non Ł stato individuato con precisione il movente, la morte della vittima, giovane padre di famiglia, Ł stata comunque del tutto insensata.
Anche sotto il profilo del carattere del reo, si deve valutare negativamente la circostanza che gli imputati non abbiano esitato a scagliarsi con violenza contro la vittima, che poteva essere piø semplicemente neutralizzata e immobilizzata dal numero ben superiore di persone che accorsero in aiuto di NOME, il che Ł indice di personalità aduse a comporre i conflitti con l’uso della violenza fisica.
NØ Ł stato commendevole il comportamento processuale, addirittura biasimevole quello di COGNOME che ha suscitato inutili aspettative anche nelle persone danneggiate al solo scopo di ottenere benefici personali.
Avverso la predetta sentenza, hanno proposto ricorso gli imputati COGNOME, NOME
e NOMENOMEX.
NOMENOMEX ha articolato otto motivi di ricorso, che il difensore stesso tratta a gruppi di due, giacchØ deduce per ciascuno dei capi o punti del ricorso sia la violazione di legge che il vizio di motivazione.
2.1 Con il primo e il secondo motivo, deduce mancata assunzione di una prova decisiva e mancanza di motivazione sulla istanza di sospensione del processo per consentire l’interrogatorio di NOME.
In sede di appello, l’imputato ha reso dichiarazioni spontanee all’udienza del 19.9.2024, nelle quali ha indicato le generalità del soggetto descritto dal teste COGNOMEcome l’autore materiale dell’omicidio senza tuttavia identificarlo. Avendo l’imputato dichiarato di essere disponibile a integrare la dichiarazione spontanea con un interrogatorio davanti alla Procura,
il suo difensore formulava istanza di sospensione del processo di appello, per consentire l’interrogatorio in una sede nella quale si poteva procedere alle necessarie ricognizioni fotografiche e trattandosi comunque di un atto di indagine di tale complessità che non poteva essere svolto dinanzi alla Corte di Assise di Appello.
L’istanza non veniva nØ presa in considerazione nØ rigettata con un provvedimento formale e neppure nella sentenza vi Ł traccia della sua valutazione, essendosi limitata la Corte ad affermare che la sede per un’integrazione delle dichiarazioni spontanee era quella dell’esame nel corso del giudizio di appello.
Si tratta di una macroscopica omissione della valutazione di una richiesta la cui rilevanza era decisiva sia per la valutazione della posizione dell’imputato, sia per l’accertamento dei fatti. La Corte d’Assise d’Appello ha sostanzialmente stigmatizzato la richiesta, ritenendola strumentale e funzionale ad una strategia processuale di riduzione della responsabilità e, quindi, della pena e rilevando che le generalità indicate dal ricorrente fossero del tutto insufficienti a indicare il terzo.
2.2 Con il terzo e il quarto motivo, deduce erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione all’art. 41 cod. pen.
La motivazione con cui la sentenza impugnata ha rigettato la invocata applicazione del concorso causale anomalo, in primo luogo, confonde e sovrappone profili attinenti all’elemento soggettivo con quelli del nesso di causalità; in secondo luogo, rimarca la contestualità delle condotte degli imputati con quella dell’ignoto esecutore materiale, omettendo di considerare che ciò non esime dal valutare l’intrinseca diversità sotto il profilo oggettivo tra chi, come COGNOME, ha esibito un coltellino senza colpire o al piø indirizzandolo verso l’arto superiore e chi invece ha attinto parti vitali del corpo con un fendente mortale; in terzo luogo, disattende l’esito dell’autopsia e le risultanze del filmato, da cui risulta che la causa del decesso Ł riconducibile a un colpo frontale nella zona del torace che il teste COGNOMEattribuisce a un soggetto non identificato.
La sentenza, dunque, trasforma arbitrariamente la simultaneità delle condotte in compartecipazione e in concausa con una valutazione illogica e contrastante con le risultanze processuali. La posizione di NOME non può essere associata neppure a quella dei coimputati che, pur non individuabili come esecutori materiali, hanno assunto comunque condotte causalmente differenti dalla sua. La sentenza parla impropriamente di azione collettiva e addirittura arriva a porre in dubbio il proscioglimento in primo grado delle posizioni di NOME coimputati.
2.3 Con il quinto e il sesto motivo, deduce erronea applicazione della legge e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 43-575 e 116 cod. pen.
Con l’atto di appello, la difesa aveva contestato anche la sussistenza del dolo omicidiario, individuato dal giudice di primo grado nel dolo eventuale, e aveva richiesto, in via subordinata, che potesse configurarsi quantomeno un concorso c.d. anomalo ai sensi dell’art. 116 cod. pen.
In effetti, il ricorrente ha avuto un contegno aggressivo tale da escludere il dolo dell’omicidio: impugnava un coltellino, l’ha usato in chiave difensiva, non ha attinto parti vitali del corpo, non poteva prevedere il sopraggiungere dell’azione omicidiaria, rispetto alla quale non ha posto in essere atti di agevolazione.
Invece, la Corte d’Assise d’Appello non ha operato una valutazione individualizzata delle singole condotte, ma ha fatto ricorso a un giudizio collettivo, addossando al ricorrente condotte poste in essere da NOME.
Una vera e propria omessa motivazione si rinviene con riferimento alla richiesta di riconoscimento della responsabilità ai sensi dell’art. 116 cod. pen.
La sentenza impugnata non ha tenuto conto del comportamento del ricorrente dopo il ferimento mortale, in quanto COGNOME non ha assunto atteggiamenti di copertura verso l’accoltellatore come NOME coimputati, e ha insistito erroneamente sul dolo eventuale, che nella situazione data non Ł rappresentabile. Non motiva sulla responsabilità ex art. 116 cod. pen. nella forma del reato diverso voluto da taluno dei compartecipi, il quale presuppone precisamente che quest’ultimo agisca in concorso con il responsabile del reato piø grave con una condotta causalmente rilevante, ma ispirata da un elemento psicologico relativo a un reato diverso e meno grave.
2.4 Con il settimo e l’ottavo motivo, deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonchØ motivazione contraddittoria e manifestamente illogica in relazione agli artt. 62bis e 133 cod. pen.
La Corte d’Assise di Appello ha negato le circostanze attenuanti generiche al ricorrente, essenzialmente per aver ritenuto che costui abbia assunto un comportamento processuale biasimevole, quasi di dileggio nei confronti nelle persone danneggiate, suscitando aspettative con l’unico scopo di ottenere benefici personali e liquidando le sue dichiarazioni in appello come strumentali.
Viceversa, la sentenza non ha tenuto conto di tutti gli elementi positivi che erano stati indicati nell’atto d’appello: 1) il ricorrente Ł soggetto incensurato; 2) sempre presente al processo, Ł stato l’unico degli imputati a prendere la parola e ad ammettere la propria responsabilità, esprimendo rammarico nei confronti delle parti civili presenti; 3) prima dell’emissione di un provvedimento cautelare, si Ł spontaneamente costituito con il suo legale alle forze dell’ordine.
La Corte territoriale si Ł limitata, invece, a ritenere questi elementi recessivi a fronte della gravità del fatto, ciò che però non implica di per sØ solo il diniego delle circostanze attenuanti generiche, anche tenuto conto della condotta marginale di NOME nella causazione della morte della vittima e di una piø favorevole considerazione dell’elemento soggettivo, individuato nel dolo eventuale.
Il difensore di NOMENOMEX ha articolato due motivi di ricorso.
3.1 Con il primo motivo, deduce erronea applicazione della legge penale e mancanza della motivazione in relazione all’art. 40 cod. pen.
La Corte di Assise d’Appello non ha considerato che, in base all’esito dell’autopsia, il ricorrente non ha inflitto alcuna lesione alla vittima e questo distingue nettamente la sua posizione da quella dei coimputati.
Nella sentenza di secondo grado, Ł rimasta del tutto priva di analisi la mancanza della prova del nesso causale tra la condotta di NOME e la morte della persona offesa. La Corte di Assise d’Appello ha ritenuto che l’argomento difensivo, secondo cui l’azione dell’imputato non era definibile contributo agevolatore, andava considerato con riguardo alla circostanza che il fatto Ł stato caratterizzato da un agire contestuale e collettivo, avendo tutti gli imputati compiuto spontaneamente la medesima azione, per nessuno definibile atipica; di guisa che la circostanza che una sola coltellata abbia causato la morte non escluderebbe per le altre nØ il dolo di compartecipazione, nØ il contributo materiale concorsuale.
In questo modo, tuttavia, la i giudici di secondo grado non hanno fatto corretta applicazione dell’art. 40 cod. pen., in virtø del quale occorre provare in che modo l’azione dell’imputato abbia solo agevolato la morte della persona offesa.
In questa prospettiva, si doveva considerare che NOME non ha colpito fisicamente la
vittima e che, eliminando mentalmente il suo gesto, l’esito mortale non sarebbe stato evitato, in quanto le prime lesioni alle spalle della vittima sono state cagionate prima del suo intervento e quelle successive sono state portate da NOME soggetti mossi da una volontà che si Ł formata del tutto autonomamente rispetto alla sua, cosicchØ l’azione di NOME non ha in alcun modo influito sulla loro genesi.
2.2 Con il secondo motivo, deduce erronea applicazione della legge penale e mancanza della motivazione in relazione all’art. 110 cod. pen.
Non sussistono elementi di prova che consentano di ricostruire in maniera precisa l’effettivo apporto agevolatore del gesto compiuto da NOME rispetto all’azione dell’omicidio.
Non Ł stato identificato il soggetto che ha sferrato il colpo letale e anche dalle immagini si vede che tutti gli aggressori sono singolarmente rivolti verso la persona offesa senza reciproci cenni di intesa, incoraggiamento o istigazione. In ogni caso, nessuno degli imputati Ł identificabile in colui che ha inferto il colpo letale e, dunque, non si può valutare in che modo il contributo di NOME abbia agevolato l’azione omicidiaria.
Di conseguenza, la sentenza di secondo grado Ł del tutto priva di motivazione in ordine al contributo agevolatore del ricorrente. Inoltre, la Corte d’Assise d’Appello non si Ł confrontata con il motivo di appello che chiedeva di superare la motivazione del Tribunale del riesame, il quale aveva ritenuto il difetto di gravità indiziaria nei confronti di NOME, sostenendo che il suo apporto all’aggressione non aveva integrato un’azione di supporto ad azione altrui: il video riprende un’azione aggressiva da parte di almeno tre soggetti armati di coltelli, cui si deve attribuire la responsabilità della morte, mentre le condotte collaterali non sembrano avere avuto rilievo nella dinamica che ha portato alla morte della persona offesa.
Il difensore di NOMECOGNOME ha articolato due motivi di ricorso.
4.1 Con il primo motivo, deduce mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla configurazione del reato ex artt. 110, 575 cod. pen. anzichØ del reato di cui all’art. 588, comma 2, cod. pen.
Con l’atto di appello era stata chiesta la riqualificazione del fatto nel reato di rissa aggravata, non ravvisandosi la volontà omicidiaria in capo a NOMENOMEX, nemmeno a titolo di dolo eventuale. In particolare, si era osservato che la rissa sussiste in presenza di almeno tre corrissanti, con la conseguenza che una delle due fazioni può essere composta anche da un solo soggetto, e si era contestata la scansione temporale operata nella sentenza di primo grado, che aveva distinto un primo momento in cui la vittima aveva tentato di aggredire NOMEe uno successivo in cui la vittima era stata accerchiata e colpita: in realtà, si era sostenuto nell’atto di appello che NOMENOMEX aveva attinto NOMENOME mentre costui stava cercando di colpire il rivale con una sedia. Si era, ancora, segnalato con l’impugnazione che la morte della vittima non era stata causata dalle coltellate di NOMENOMEX, inferte con un’arma di ridotte dimensioni in zona non vitale, bensì dai colpi inferti frontalmente da un soggetto non identificato. Pertanto, la difesa aveva lamentato il difetto dell’elemento soggettivo dell’omicidio, in quanto l’imputato non poteva prevedere il successivo intervento di altro soggetto che infliggeva i colpi mortali.
La Corte di Assise d’Appello ha rigettato il motivo, osservando che la ricostruzione in fatto, secondo cui la vittima costituiva una fazione e aveva cercato di aggredire quelli della fazione opposta, fosse del tutto ipotetica e disancorata dai riscontri probatori, e che non vi era prova di una prima parte di contesa iniziata da due fazioni contrapposte, iniziata invece tra due contendenti, che si sarebbe risolta senza tragici epiloghi se non vi fosse stato l’intervento degli amici di uno di essi. Inoltre, quanto alla non prevedibilità da parte di
NOMENOMEX dell’esito omicidiario, la Corte territoriale osservava che il ricorrente era uno degli autori materiali e che dunque a lui non si applicava il principio secondo cui l’evento deve essere prevedibile in concreto, il quale vale solo per coloro che non hanno posto in essere la condotta materiale.
Questa motivazione – secondo il ricorso – Ł da ritenersi mancante e manifestamente illogica.
In primo luogo, infatti, la sentenza impugnata non motiva sulla sussistenza dell’elemento soggettivo dell’omicidio. La circostanza, mai negata, che NOMENOMEX abbia colpito la vittima non implica automaticamente che si fosse rappresentato l’evento morte della persona offesa, nØ che ne avesse accettato il rischio; non tiene conto, inoltre, che il ricorrente ha colpito la vittima quando costui stava sferrando una sedia contro il rivale, dopodichØ ha abbandonato l’azione e la persona offesa Ł stata colpita da un ulteriore soggetto. ¨ evidente, dunque, la volontà di cagionare lesioni, ma non anche di cagionare l’omicidio, sia pure nella forma del dolo eventuale.
¨ anche inconferente l’affermazione per cui l’autore del colpo mortale era soggetto conosciuto dai correi. Si tratta di un rilievo manifestamente illogico, in quanto non Ł provato che NUMERO_CARTA conoscesse l’omicida, se non altro perchØ costui non Ł stato identificato, e in quanto comunque ciò non aggiunge nulla in merito all’elemento soggettivo del ricorrente, che va sempre valutato al momento in cui Ł stata posta in essere la sua condotta e che non può essere desunto dal fatto che egli eventualmente conosceva il soggetto autore del colpo mortale.
4.2 Con il secondo motivo, deduce mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla configurazione del concorso nel reato di cui all’art. 575 cod. pen. ai sensi dell’art. 110 anzichØ dell’art. 116 cod. pen.
Con l’atto di appello, era stato chiesto anche, in via subordinata, il riconoscimento del concorso anomalo in luogo di quello ex art. 110 cod. pen.
La Corte d’Assise d’Appello ha rigettato la doglianza senza adeguata motivazione, e cioŁ osservando che il soggetto autore materiale del colpo mortale era ben conosciuto dal gruppo degli aggressori, che le zone non vitali del corpo sono solo gli estremi degli arti laddove invece la vittima era stata colpita al dorso e al torace e che la decisione dei giudici di primo grado sulla sussistenza del dolo alternativo era già stata oltremodo favorevole agli imputati.
Con riferimento a tale motivazione, il ricorso censura, in primo luogo, che l’eventuale conoscenza dell’omicida da parte di NOME (circostanza peraltro non provata) non muta la volontà del ricorrente. In secondo luogo, la generica affermazione dei giudici sulle zone vitali non dà conto del fatto che i colpi inferti da NOMEX non hanno cagionato la morte della persona offesa, di guisa che la sentenza di secondo grado attribuisce in modo non corretto lo stesso elemento doloso a tutti i correi, senza distinguere le posizioni in relazione ai singoli agiti. Quanto poi all’affermazione in punto di sussistenza del dolo, la Corte d’Assise d’Appello non svolge una concreta valutazione dell’elemento soggettivo dei singoli imputati, ciascuno dei quali ha posto in essere una condotta diversa.
La sentenza impugnata ha ritenuto in sostanza che non ricorresse il concorso anomalo, il quale richiede la prevedibilità dell’evento, laddove nel caso di specie l’evento Ł stato previsto ed Ł stato accettato il rischio che si verificasse. Ma in relazione alla posizione di NUMERO_CARTA la motivazione Ł mancante, perchØ la Corte d’Assise d’Appello dice dove si ravvisi la rappresentazione e l’accettazione dell’evento in capo al ricorrente, nØ spiega perchØ avrebbe dovuto rappresentarsi l’intervento successivo di un soggetto che
colpiva al petto la vittima. Questo argomento avrebbe richiesto di provare la consapevolezza in capo a NOMENOMEX che gli NOME ragazzi suoi amici fossero armati e che qualcuno di essi avrebbe poi colpito la vittima in punti vitali.
I giudici di secondo grado svolgono una serie di argomentazioni in modo comune agli imputati, affermando il principio di diritto secondo cui l’aggressione fisica collettiva, caratterizzata dalla reciproca consapevolezza della convergente condotta dei correi, comporta che ciascuno di essi risponda del complesso delle lesioni della vittima e non sono di quelle causate dalla propria azione. Ma l’affermazione di tale principio da parte della Corte d’Assise d’Appello manca della prova che NOMENOMEX avesse consapevolezza del successivo intervento letale.
In data 22.4.2025, il difensore di NOME ha trasmesso motivi nuovi con riferimento al secondo motivo del ricorso originario, attinente al concorso di persone.
Con l’atto di appello era stato dedotto che, in base alle risultanze del video, non v’era prova che NOME impugnasse un coltello e soprattutto che la sua condotta non era stata contestuale a quella degli NOME aggressori. La sua azione Ł stata una reazione a quella della vittima di scagliare la sedia all’indirizzo di NOME, ma dopo si Ł ritratto e si Ł limitato ad osservare la scena in disparte: dunque, non vi Ł prova che con la sua azione NOME abbia incoraggiato o supportato quella degli NOME aggressori in un reciproco consapevole sostegno morale, mentre dal punto di vista materiale la sua condotta non ha avuto rilievo nella dinamica omicidiaria.
A queste censure, la Corte di Assise d’Appello ha risposto con un travisamento delle prove, dando per acquisita la partecipazione di NOME all’azione collettiva, benchØ dal video risulti una ricostruzione diversa della sua condotta.
In data 22.4.2025, il difensore della parte civile costituita ha depositato conclusioni scritte e nota spese (con allegato decreto di ammissione a gratuito patrocinio).
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti nell’interesse degli imputati sono complessivamente infondati per le ragioni che di seguito si esporranno.
Deve premettersi che la maggior parte dei motivi di censura della sentenza impugnata sono comprensibilmente comuni ai tre ricorsi e, pertanto, saranno trattati unitariamente.
Ciò nondimeno, l’esame del collegio deve muovere dai primi due motivi del ricorso di COGNOME, i quali – proposti in via esclusiva dal solo ricorrente in questione – deducono una violazione che, sia pure prospettata come mancata assunzione di prova decisiva in difetto di motivazione, si atteggia in realtà come la denuncia di una inosservanza di norma processuale, che, ove, ritenuta eventualmente fondata, avrebbe carattere assorbente rispetto ai restanti motivi.
I primi due motivi del ricorso di COGNOME contengono entrambi doglianze in ordine alla mancata sospensione del processo d’appello e sono manifestamente infondati.
La ragione per la quale era stato chiesto il differimento dell’udienza – ovvero la opportunità di attendere che COGNOME fosse eventualmente interrogato dal pubblico ministero in relazione alle circostanze che aveva indicato davanti alla stessa Corte d’Assise d’Appello nel corso di dichiarazioni spontanee – non integrava alcuna delle cause di sospensione del dibattimento previste dal codice di rito.
Per un verso, infatti, la sospensione del processo Ł un mezzo eccezionale, cui il giudice deve fare ricorso solo quando la legge espressamente lo consenta e cioŁ quando la decisione dipende dalla risoluzione di una questione pregiudiziale costituzionale ovvero civile o amministrativa, ai sensi dell’art. 3 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 14972 del 24/3/2005,
P.m. in proc. La Delfa, Rv. 231326 – 01).
Per altro verso, la sospensione del dibattimento, in particolare, può avere luogo, secondo l’espresso disposto dell’art. 477, comma 2, cod. proc. pen., ‘soltanto per ragioni di assoluta necessità’.
Nel caso di specie, il ricorrente aveva sollecitato il rinvio del processo d’appello in attesa di richiedere di essere interrogato dal pubblico ministero e di sottoporre poi all’esame dei giudici di secondo grado l’esito dell’atto eventualmente espletato dall’organo dell’accusa.
Dunque, la difesa di NOME aveva chiesto non l’assunzione nel giudizio di secondo grado della nuova prova che aveva ad oggetto i fatti di cui all’imputazione, bensì una dilazione del processo perchØ quella prova fosse eventualmente assunta (con tempi e modi su cui la Corte d’Assise d’Appello non avrebbe avuto alcuna possibilità di intervenire) in altra sede e da altra autorità giudiziaria.
La richiesta, tuttavia, era da considerarsi irricevibile per almeno due ordini di ragioni.
La prima Ł che la giurisdizione penale Ł una giurisdizione tendenzialmente autosufficiente, nel senso che ha cognizione autonoma su tutte le questioni strumentali alla decisione finale. L’art. 2, comma 1, cod. proc. pen., infatti, stabilisce il dovere del giudice penale di risolvere ogni tipo di questione che si ponga come antecedente logico-giuridico della decisione di cui Ł investito.
Ove il giudice penale ritenga assolutamente necessaria l’assunzione di nuovi mezzi di prova, rientranti tra quelli tipicamente previsti dal codice di rito, sui fatti che si riferiscono direttamente all’imputazione, attiva i propri poteri di integrazione istruttoria, secondo le specifiche previsioni dettate dal legislatore sia per il dibattimento di primo grado che per quello di secondo grado.
Questo profilo si collega strettamente alla seconda ragione per cui la richiesta difensiva non poteva essere assecondata.
Nel giudizio abbreviato d’appello, non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e piø ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado: questo vuol dire che le parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile però dal giudice “ex officio” nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282585 – 01).
La celebrazione del processo nelle forme del rito abbreviato, se non impedisce al giudice d’appello di esercitare i poteri di integrazione probatoria, comporta tuttavia l’esclusione di un diritto dell’imputato a richiedere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249161 – 01).
L’integrazione probatoria nel secondo grado di giudizio deve pur sempre essere governata dal principio secondo cui la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, Ł un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorchØ il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820 – 01).
Ribadito che nel caso di specie non era stata affatto chiesta la rinnovazione dell’istruttoria ma la procrastinazione ad libitum del processo per consentire che l’integrazione fosse eventualmente svolta in altra sede sottratta al contraddittorio, resta, comunque, il fatto che dalla motivazione della sentenza impugnata risulta che, nel ragionamento della Corte d’Appello, la prova alla cui acquisizione era funzionale il rinvio richiesto non Ł stata considerata in concreto affatto decisiva, perchØ i giudici del merito
riconoscono da sØ che nessuno degli imputati ha inferto la coltellata mortale: identificare eventualmente l’accoltellatore finale non avrebbe modificato la situazione processuale degli odierni ricorrenti, perchØ il giudizio di colpevolezza e la conseguente applicazione della pena nei loro confronti aveva già tenuto conto, sin dal primo grado, di questa circostanza.
Del resto, questa Corte ha già affermato il principio secondo cui la responsabilità a titolo di concorso nel delitto di omicidio non postula l’individuazione dell’autore materiale della condotta tipica, purchØ risulti provata la partecipazione materiale e morale dei correi alla realizzazione del reato (Sez. 1, n. 37855 del 14/6/2024, COGNOME, Rv. 287069 – 01; cfr. anche Sez. 1, n. 12309 del 18/2/2020, COGNOME, Rv. 278628 – 01).
In realtà, NOME ambiva verosimilmente a fruire di una diminuzione di pena per la sua condotta susseguente al reato, ma allora avrebbe avuto l’onere di chiedere di essere sottoposto ad esame dalla stessa Corte d’Appello, la quale sarebbe stata poi nella condizione di attivare eventualmente i propri poteri di integrazione istruttoria ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen.
Di conseguenza, a maggior ragione in difetto di una espressa richiesta di assunzione della prova, deve fungere da riferimento il principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata assunzione in appello, a seguito di giudizio abbreviato non condizionato, di prove richieste dalla parte solo nel caso in cui si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o di manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 3, n. 3028 del 15/12/2023, dep. 2024, D., Rv. 285745 – 01).
Dalla sentenza impugnata si desume invece – per quanto già sopra osservato – la ininfluenza o, comunque, la non decisiva rilevanza della identificazione di uno dei concorrenti degli odierni ricorrenti.
Ciò costituisce, se non altro, motivo ulteriore – che si aggiunge alla rilevazione della assoluta irritualità della richiesta di rinvio disattesa dai giudici d’appello – per dichiarare l’inammissibilità dei primi due motivi del ricorso proposto nell’interesse di COGNOME.
Venendo ora ai motivi di ricorso comuni, deve essere preso in considerazione, innanzitutto, il profilo della responsabilità concorsuale dei ricorrenti, piø precisamente oggetto del quinto e del sesto motivo di ricorso di COGNOME, del secondo motivo di ricorso
di NOME e del primo motivo di ricorso di NOMENOMEX.
I ricorsi lamentano essenzialmente che, nonostante nessuno dei ricorrenti sia individuabile come l’autore della o delle coltellate mortali, la sentenza impugnata non abbia operato una valutazione individualizzante delle singole condotte, ma le abbia invece affasciate in un giudizio collettivo, così attribuendo a COGNOME, NOME e NOMENOMEX la responsabilità per condotte materialmente commesse da NOME.
Si tratta, evidentemente, di una critica mossa alla espressa impostazione dei giudici d’appello, i quali, a fronte di doglianze analoghe a quelle prospettate nei ricorsi per cassazione, hanno premesso che la ricostruzione del fatto dovesse essere operata ‘con approccio sinottico’, in quanto l’evento del reato ‘Ł il portato di un’azione collettiva’ e il profilo concorsuale deve confrontarsi con il principio secondo cui, in una aggressione fisica collettiva, ciascuno risponde del complesso delle lesioni riportate dalla vittima e non solo di quelle da lui stesso causate in via diretta.
3.1 L’esame delle doglianze in questione non può prescindere dalla premessa che le norme sul concorso di persone nel reato assolvono la funzione di rendere punibili anche
comportamenti che, pur non essendo da soli sufficienti a integrare una determinata fattispecie incriminatrice, ciò nondimeno hanno apportato un contributo, materiale o morale, alla realizzazione del fatto.
Questo vuol dire che, in tema di concorso di persone nel reato, ognuno Ł causa del fatto comune se la sua azione ha concretamente influenzato l’azione degli NOME, facilitandone la realizzazione.
3.1.1 In questa peculiare prospettiva, non v’Ł dubbio innanzitutto, quanto all’elemento materiale del reato nella vicenda in questione, che chi – come gli odierni ricorrenti partecipa ad un’aggressione collettiva e simultanea a mano armata nei confronti di una sola persona disarmata, impugnando a sua volta un coltello e addirittura colpendo la vittima sia pure in modo non mortale, quantomeno agevola l’azione di chi infligge poi il colpo mortale, perchØ contribuisce con la propria condotta a mettere la persona offesa in una condizione nella quale non può difendersi dall’attacco contestuale di piø soggetti e favorisce l’intervento letale di chi infine uccide.
In proposito, Ł stato già affermato (sia pure in tema di omicidio preterintenzionale, ma con argomentazioni che ben possono essere mutuate per l’omicidio volontario) che, quando le aggressioni siano multiple e contestuali nel tempo e nello spazio, configurandosi in concreto un “fatto collettivo unitario”, il contributo rilevante ai sensi dell’art. 110 cod. pen. può consistere sia nell’agevolazione dell’aggressione contro la vittima, in ragione della superiorità numerica e della concomitante condotta dei concorrenti di neutralizzazione delle difese altrui (concorso materiale), che nel rafforzamento del proposito criminoso dell’esecutore, che si senta spalleggiato ed incoraggiato dalla concomitante azione degli NOME (concorso morale) (Sez. 5, n. 4715 del 15/10/2019, dep. 2020, Corsi, Rv. 278202 – 01).
Di conseguenza, la motivazione della sentenza impugnata non Ł censurabile quando puntualizza che la valutazione del carattere agevolatore del singolo contributo concorsuale, anzichØ previa selezione del compendio probatorio in modo non coordinato, va operata con riguardo alla realizzazione del fatto tipico caratterizzato da un agire contestuale e collettivo, tutti avendo compiuto simultaneamente la medesima azione, per nessuno definibile atipica, con il che non può escludersi il contributo concorsuale per la comune realizzazione del fatto di chi non abbia concretamente cagionato la morte.
3.1.2 Quanto all’elemento soggettivo del reato concorsuale, la motivazione della sentenza impugnata, a fronte delle doglianze difensive tese ad accreditare la mancanza dell’ animus necandi nell’azione dei singoli ricorrenti, mossi piuttosto dalla necessità di rispondere all’aggressività della vittima, evidenzia efficacemente alcuni indubitabili aspetti dell’azione collettiva, sulla base dei quali afferma in modo congruo che gli imputati erano consapevoli di inserire la propria condotta individuale in una condotta illecita complessiva, posta in essere da tutti gli appartenenti al gruppo in aiuto di NOME, e vollero collaborare a rendere piø incisiva l’azione collettiva stessa unendovi coscientemente la propria azione violenta.
Molti degli appartenenti al gruppo erano armati ed estrassero contemporaneamente i coltelli per usarli insieme contro la vittima, segno evidente del fatto che non solo v’era un collegamento materiale tra tutti gli agenti, ma che ad esso si accompagnava anche la consapevole e volontaria direzione di un’azione collettiva verso il comune obiettivo di nuocere all’antagonista in una corale logica offensiva (che non richiedeva nemmeno un previo accordo esplicito).
In questo contesto di fondo, quindi, alcuni degli elementi obiettivi in cui si Ł poi estrinsecata l’azione – direzione e intensità dei colpi, parti del corpo colpite, accerchiamento
della vittima ad opera di piø persone – forniscono fondatamente la prova della sussistenza di un comportamento indifferentemente volto alla lesione di piø beni giuridici (vita o incolumità fisica).
La Corte d’Assise d’Appello adeguatamente valorizza la circostanza che l’aggressione fosse stata perpetrata ad opera di piø persone, le quali avevano agito, simultaneamente e con animo concorde, contro l’unico aggredito.
Si tratta della corretta applicazione del principio secondo cui ‘la prova del dolo omicidiario Ł prevalentemente affidata alle peculiarità estrinseche dell’azione criminosa, aventi valore sintomatico in base alle comuni regole di esperienza’, da individuarsi, oltre che in quei dati di fatto abitualmente richiamati a titolo esemplificativo dalle numerose sentenze di legittimità succedutesi sull’argomento (e dalle stesse due conformi sentenze di merito a carico degli odierni imputati), anche ‘in tutti quegli elementi che, secondo l’id quod plerumque accidit, abbiano un valore sintomatico’ (Sez. 1, n. 15023 del 14/2/2006, COGNOME e NOME, Rv. 234129).
Sotto questo profilo, non v’Ł dubbio che il dolo di un reato concorsuale possa atteggiarsi diversamente che nel reato monosoggettivo, nel senso che agire violentemente in gruppo contro una sola persona – in particolare, quando, come nel caso di specie, tutti i concorrenti pongano in essere l’atto tipico previsto dalla fattispecie, anzichØ un mero contributo atipico alla realizzazione del fatto – significa avere sin dall’inizio la consapevolezza e la volontà di saldare la propria azione lesiva con quella dei concorrenti e, dunque, avere la piø ampia possibilità di prevedere la maggiore potenzialità offensiva della condotta congiunta di violenza.
Di fatto, le condotte dei vari agenti, consapevoli di agire con NOME concorrenti e intenzionati a farlo in funzione dello scopo unitario di colpire la vittima, si integrano vicendevolmente in una condotta che diventa comune e che, inevitabilmente, dal punto di vista fattuale Ł la risultante, dotata di piø intensa idoneità offensiva, delle varie condotte individuali: sicchØ coloro che agiscono, si trovano certamente nella condizione quantomeno di rappresentarsi due eventi alternativi tra loro, come conseguenza della propria condotta unita a quella degli NOME, e di volerli indifferentemente entrambi, ove sŁguitino ciò nonostante a partecipare attivamente all’aggressione comune.
Pertanto, le censure relative alla responsabilità concorsuale nel reato di omicidio sono da considerarsi complessivamente infondate.
Quanto fin qui osservato in ordine al contributo concorsuale dei ricorrenti Ł suscettibile di orientare anche la valutazione dei motivi di ricorso – pure comuni almeno a COGNOME (terzo e quarto motivo) e NOME (primo motivo) – relativi alla asserita erronea applicazione degli artt. 40 e 41 cod. pen.
Le doglianze, infatti, attengono alla circostanza che tra le condotte concrete dei ricorrenti e la morte della persona offesa non sia ravvisabile un nesso causale, giacchØ, eliminata mentalmente la condotta materiale del singolo, l’esito letale dell’aggressione si sarebbe egualmente determinato.
Tuttavia, l’obiezione in questione reitera il vizio da cui era affetto anche il motivo riguardante il concorso ex art. 110 cod. pen.
Anche nella valutazione del rapporto di causalità, infatti, l’azione che funge da termine ex art. 40 cod. pen. non Ł la singola condotta individuale del concorrente, ma la condotta effettiva collettiva.
Nella misura in cui ogni agente si rappresenta e vuole l’evento, anche se solo come dolo alternativo, conta non quello che effettivamente realizza, ma il suo contributo, purchØ
rilevante, finalizzato all’evento dannoso.
In questo senso, le singole condotte valgono non già come cause singolarmente efficienti dell’evento, ma come momenti efficaci dell’azione collettiva.
In quanto collegate dalla comune volontà dell’evento concorsuale, le condotte dei concorrenti sono finalisticamente connesse e per ciò stesso rilevano, in quanto accomunate, al di là del rispettivo valore intrinseco.
Appropriatamente, pertanto, la sentenza impugnata ha richiamato il principio secondo cui l’aggressione fisica collettiva, caratterizzata dalla reciproca consapevolezza della convergente, ancorchØ non simultanea, condotta dei correi, comporta che ciascuno di essi risponde del complesso delle lesioni riportate dalla vittima e, dunque, anche di quelle non causate in via diretta dall’azione materialmente posta in essere dal singolo (Sez. 5, n. 35274 del 14/7/2022, Taietti, Rv. 283648 – 01).
Da tutto ciò discende, analogamente, anche la radicale inapplicabilità dell’art. 41 cod. pen. alle posizioni degli odierni ricorrenti, come già affermato in modo congruo dalla sentenza di secondo grado.
I ricorsi ne invocano l’applicabilità pur sempre per il tramite di una previa operazione di scorporo del colpo che ha causato la morte di NOME dal contesto dell’azione collettiva, così annettendovi la valenza di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento.
Ma le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità sono quelle che innescano un processo causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dalla condotta dell’agente, ovvero quelle che, pur inserite nel processo causale ricollegato a tale condotta, si connotino per l’assoluta anomalia ed eccezionalità, collocandosi al di fuori della normale, ragionevole probabilità. (Sez. 5, n. 7205 del 9/11/2022, dep. 2023, Licciardi, Rv. 284338 – 02; Sez. 4, n. 53541 del 26/10/2017, COGNOME, Rv. 271846 – 01).
L’interruzione del rapporto causale, pertanto, richiede quantomeno che la causa diretta, pur connessa fenomenicamente alla causa remota, sia a quest’ultima non piø riconducibile secondo un nesso di causalità prevedibile, e ciò per effetto di uno sviluppo anomalo del percorso causale, completamente atipico ed eccezionale (Sez. 2, n. 17804 del 18/3/2015, Vasile, Rv. 263581 – 01, anche in motivazione).
Nel caso di specie, la Corte d’Assise d’Appello ha fatto buon governo di tale principio, rilevando, sulla scorta di quanto precedentemente argomentato sulla responsabilità a titolo di concorso ex art. 110 cod. pen., che non fosse ravvisabile una circostanza idonea ad introdurre un rischio del tutto eccentrico e radicalmente esorbitante rispetto a quello ingenerato dalla condotta collettiva.
L’inflizione di una coltellata piø penetrante e risolutiva si Ł verificata, cioŁ, nel corso di un’azione aggressiva di gruppo simultanea e coordinata, sicchØ nessuno spazio residua per ritenere che chi se ne Ł reso responsabile abbia assunto un rischio radicalmente diverso e imprevedibile rispetto a quello degli NOME aggressori.
Anche i motivi attinenti al rapporto di causalità e al concorso di cause sopravvenite, pertanto, devono essere disattesi.
Corollario della ritenuta infondatezza delle censure fin qui passate in rassegna Ł, conseguentemente, la valutazione di infondatezza anche dell’ulteriore comune motivo di ricorso – specificamente articolato nel quinto e sesto motivo del ricorso di COGNOME e nel secondo motivo di ricorso di NOMENOMEX – della eventuale configurabilità, in via subordinata, del concorso c.d. anomalo previsto dall’art. 116 cod. pen.
La sussistenza del concorso nel reato diverso da quello voluto Ł inevitabilmente
alternativa al concorso ordinario di cui all’art. 110 cod. pen., in quanto particolare modo di atteggiarsi del fenomeno concorsuale.
Come piø volte ribadito anche dalla giurisprudenza di legittimità, la responsabilità del compartecipe ex art. 116 cod. pen. può essere configurata solo quando l’evento diverso non sia stato voluto neppure sotto il profilo del dolo indiretto (indeterminato, alternativo od eventuale) e, dunque, a condizione che non sia stato considerato come possibile conseguenza ulteriore o diversa della condotta criminosa concordata (Sez. 2, n. 48330 del 26/11/2015, Lia, Rv. 265479 – 01; Sez. 2, n. 49486 del 14/11/2014, Cancelli, Rv. 261003 01).
L’art. 116 cod. pen., dunque, si applica solo quando il concorrente non ha previsto che il diverso evento potesse verificarsi, pur potendosene rappresentare l’eventualità alla luce di tutte le circostanze del caso concreto. Sussiste, pertanto, la responsabilità a titolo di concorso anomalo qualora l’evento ulteriore, benchØ prevedibile, non sia stato dall’agente voluto neppure nella forma del dolo indiretto; ricorre, invece, l’ipotesi del concorso ex art. 110 cod. pen., ove l’agente abbia effettivamente previsto l’evento o comunque accettato il rischio del suo verificarsi (Sez. 1, n. 11595 del 15/12/2015, dep. 2016, P.g. in proc. Cinquepalmi e altro, Rv. 266647 – 01).
In modo del tutto conveniente, dunque, la sentenza impugnata ha escluso il concorso anomalo, muovendo dall’ovvia considerazione che il coefficiente doloso già esplorato a proposito della qualificazione del fatto di reato negasse ex se la possibilità di configurare, rispetto alla condotta dei ricorrenti, la fattispecie prevista dall’art. 116 cod. pen.
Si tratta di motivazione nient’affatto illogica, ma anzi ampiamente coerente, che richiama ragionevolmente le conclusioni già raggiunte in ordine al fatto che la condotta degli aggressori di NOMEXXX si connotasse per la rappresentazione diretta e l’accettazione dell’evento piø grave come conseguenza dell’agire collettivo.
Di conseguenza, ogni doglianza relativa alla eventuale configurabilità del concorso c.d. anomalo in luogo di quello ordinario Ł da ritenersi infondata.
A completamento del profilo riguardante la qualificazione giuridica del fatto, deve prendersi in considerazione la prospettazione, contenuta nel primo motivo di ricorso di NOMENOMEX, della sussumibilità del fatto ascrivibile ai ricorrenti entro la fattispecie di cui all’art. 588, comma secondo, cod. pen.
In disparte ogni questione circa la natura della fattispecie prevista da questa norma e circa il rapporto del reato di cui all’art. 588, comma secondo, cod. pen. con il concorso del corrissante nell’omicidio occorso nella rissa, deve preliminarmente rilevarsi che nel caso di specie – come correttamente ritenuto di giudici di appello – non Ł affatto configurabile la rissa.
Se Ł vero che ai fini della configurabilità della rissa Ł sufficiente la partecipazione di tre contendenti (Sez. 5, n. 12508 del 7/2/2014, P.m. in proc. Scognamiglio e NOME, Rv. 259999 01), Ł vero anche, però, che Ł necessaria, in tale evenienza, l’individuazione, nella contesa, di piø centri di aggressione reciprocamente confliggenti, ciascuno dei quali può essere composto anche da una sola persona (Sez. 5, n. 19962 del 30/1/2019, Sterrantino, Rv. 275631 – 01).
Il ricorso prospetta che nel caso di specie fosse possibile, in particolare, individuare due gruppi contrapposti, ma trascura di considerare che sarebbe occorso, perchØ rimanesse integrata una rissa, che sin dall’inizio i due gruppi – composti complessivamente da almeno tre persone – fossero venuti alle mani con l’intento di aggredirsi e ledersi reciprocamente.
Invece, nella vicenda in esame la lite Ł iniziata tra due sole persone fisiche, una delle
quali, a un certo punto della contesa bilaterale, Ł stata massicciamente spalleggiata da un gruppo di persone, che simultaneamente hanno preso ad aggredire l’altro iniziale contendente, il quale, a causa del numero dei fiancheggiatori subentrati e del fatto che impiegassero piø armi, altro non avrebbe potuto fare se non tentare di difendersi, recedendo da ogni velleità offensiva.
Di conseguenza, non ne Ł rimasto integrato il reato di rissa, il quale richiede la condotta di due gruppi contrapposti che agiscano con la vicendevole volontà di attentare all’altrui incolumità, presupposto che non Ł integrato qualora un gruppo di persone assalga NOME soggetti che fuggano dall’azione violenta posta in essere ai loro danni (Sez. 6, n. 12200 del 4/12/2019, dep. 2020, Pagano, Rv. 278728 – 01). AllorchØ, invece, un gruppo di persone assalga deliberatamente altre, e queste ultime si difendano, non Ł ravvisabile il delitto di rissa nØ a carico degli aggrediti, nØ a carico degli aggressori, i quali rispondono soltanto delle eventuali conseguenze della loro azione violenta in danno di coloro che si sono limitati a difendersi. (Sez. 1, n. 1476 dell’11/12/2007, dep. 2008, Arapaj, Rv. 238766 – 01).
Ne consegue, pertanto, che anche questo motivo merita di essere disatteso.
7. Rimangono, da ultimi, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso di COGNOME, entrambi attinenti al trattamento sanzionatorio e, in particolare, alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Si tratta, per vero, di motivi meramente reiterativi di richiesta già formulata nei giudizi di merito, su cui le conformi sentenze di condanna hanno già risposto con motivazione adeguata, vertente sia sulla gravità del reato (omicidio di un giovane uomo ad opera di piø persone che portavano coltelli disinvoltamente in luogo pubblico, non esitando a tenerli con sØ e addirittura ad usarli in un sito, frequentato da numerose persone, dove si stava tenendo una manifestazione ricreativa di tipo sportivo), sia sulla capacità a delinquere del condannato (quale desumibile dal fatto, comprovante una personalità violenta adusa a comporre i contrasti con violenza fisica collettiva).
Il ricorso avversa la decisione, riproponendo, in primo luogo, il dato della incensuratezza di COGNOME, che tuttavia, per l’espresso disposto di cui all’art. 62bis , comma terzo, cod. pen., non Ł da solo sufficiente per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
In secondo luogo, richiama il comportamento processuale del ricorrente, così mostrando di non confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, che , di contro, lo ha reputato addirittura biasimevole e, come tale, insuscettibile di comportare per l’imputato alcun vantaggio in termini sanzionatori.
Si tratta di una motivazione nient’affatto illogica o contraddittoria, come dedotto nel ricorso, sicchØ deve farsi applicazione del principio secondo cui, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione Ł insindacabile in sede di legittimità, purchØ sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269 – 01).
Nel caso di specie, i giudici hanno adeguatamente preso in esame gli elementi, tra quelli indicati dall’art. 133 cod. pen., ritenuti prevalenti ai fini dell’esclusione del beneficio previsto dall’art. 62bis cod. pen., in modo pienamente rispondente all’orientamento secondo cui finanche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02).
Ne consegue che l’unico elemento, di contro, astrattamente positivo ai fini della
concessione delle attenuanti in questione resta l’assenza di precedenti penali, sicchØ il loro diniego Ł del tutto giustificato (Sez. 4, n. 32872 dell’8/6/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01; Sez. 1, n. 39566 del 16/2/2017, COGNOME, Rv. 270986 – 01; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610 – 01).
Il settimo e l’ottavo motivo del ricorso di NOME, pertanto, sono manifestamente infondati, in quanto meramente reiterativi di questioni già articolate nell’atto di appello e risolte negativamente dai giudici di secondo grado, in difetto di elementi nuovi o diversi che siano idonei a confutare la precedente decisione.
Alla l u c e di quanto fin qui osservato, dunque, i ricorsi di
NOMENOMEX, NOMENOMEX e
NOMECOGNOME sono complessivamente infondati e, pertanto, devono essere rigettati, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
I ricorrenti, infine, devono essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello stato, NUMERO_CARTA, in proprio e nella q u a l i t à d i e s e r c e n t e l a p o t e s t à g e n i t o r i a l e s u i f i g l i mi n o r i
X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X
e
NOMENOMEXX, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Assise di Appello di Milano con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. n. 115 del 2002, disponendone il pagamento in favore dello Stato.
Si deve disporre, infine, che, in caso di diffusione del presente provvedimento, vengano omesse le generalità e gli NOME dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196/03, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOMEXXX, i n proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale sui figli minori
X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X
e
NOMENOMEXX, ammessa al patrocinio a spese dello stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Assise di Appello di Milano con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello stato.
Così Ł deciso, 12/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME
IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.