Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23581 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23581 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a GUIDONIA MONTECELIO il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 23/10/2023 della CORTE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso e condannarsi il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento dell’ammenda nella misura che si riterrà di giustizia; udito il difensore, avvocato COGNOME COGNOME, che si è riportato ai motivi di ricorso, insistendo per il loro accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23 ottobre 2023 la Corte di appello di Roma ha confermato la condanna emessa dal Tribunale di Tivoli nei confronti di COGNOME NOME per il delitto di furto aggravato dalla destrezza commesso, in concorso con COGNOME NOME, il 2/5/2014, in danno di COGNOME NOME, per essersi impossessati di un portafoglio con all’interno documenti personali e la somma di euro 230,00′-prelevandoli dal sedile di un bar – pub. È stata contestata al NOME ed è stata
ritenuta la recidiva reiterata.
Avverso la suddetta sentenza propone ricorso il COGNOME, con atto sottoscritto dal difensore ed articolato nei motivi qui di seguito sintetizzati a norma dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Col primo motivo di ricorso, la difesa del COGNOME lamenta la violazione di legge processuale con conseguente nullità della sentenza di primo grado e di quella d’appello, ai sensi degli articoli 178, comma 1, lettera c), e 179, comma 1, cod. proc. pen., in quanto l’imputato non aveva potuto essere presente all’udienza di discussione tenutasi dinanzi al Tribunale di Tivoli il 3/5/2019, perché legittimamente impedito, essendo sottoposto alla misura degli arresti domiciliari per altro procedimento (R.G.N.R. 1687/2019) fin dal 18/3/2019, senza che vi fosse stata la rinuncia a comparire o l’autorizzazione a recarsi coi propri mezzi in udienza o la disposizione della sua traduzione, con lesione del suo diritto di difesa. Si sostiene, ancora, che il difensore d’ufficio avesse chiesto tempestivamente il rinvio per il legittimo impedimento in questione, come si desumeva dal provvedimento di cumulo emesso dalla Procura della Repubblica ed allegato dal ricorrente, e come noto alla stessa Corte d’appello di Roma che, in altra vicenda giudiziaria, aveva attestato lo stato detentivo dello stesso ricorrente presso la sua abitazione.
2.2. Col secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione della legge processuale a pena di nullità, per erronea applicazione degli articoli 189 e 192 cod. proc. pen., con riferimento al giudizio di attendibilità dell’individuazione fotografica del COGNOME effettuato in fase predibattimentale dalla persona offesa, individuazione priva delle garanzie difensive e di ulteriori riscontri.
Si deduce, in particolare, che, ai sensi dell’articolo 6 della Cedu, le dette dichiarazioni pre-dibattimentali senza contraddittorio non avrebbero potuto fondare in modo esclusivo o significativo l’affermazione di responsabilità: avendo, nella specie, la Corte d’appello confermato la condanna solo in base al riconoscimento fotografico informale effettuato dalla persona offesa durante le indagini, divenuto irripetibile nel corso del dibattimento.
Ci si lamenta, ulteriormente, dell’omessa considerazione, da parte della Corte d’appello, dei rilievi circa le numerose incongruenze relative all’attività ricognitiva, essendo emersa chiaramente dall’istruttoria l’estraneità del ricorrente al delitto contestato. In particolare, dalle immagini del sistema di videosorveglianza acquisite si desumeva che fosse stato il coimputato del COGNOME a trovarsi più vicino al borsello della persona offesa, nessuna immagine essendovi che raffigurasse lo stesso ricorrente. Peraltro, “la corporatura dello lacocagni non passa(va) inosservata”, tanto che la persona offesa lo aveva riconosciuto senza
dubbio.
Erroneamente il giudice di prime cure aveva asserito che il COGNOME fosse il soggetto che nel video si trovava alle spalle della persona offesa e che lo stesso sarebbe uscito insieme allo COGNOME dal bar, subito dopo il furto: laddove, per contro, nel video si vedeva un uomo di spalle con un cappellino (dunque non riconoscibile). Per giunta, si afferma che la persona uscita dal bar con lo COGNOME fosse diversa, per corporatura, rispetto all’odierno ricorrente, e priva di cappellino e, comunque, non distinguibile dal viso.
Si sostiene che il maresciallo dei Carabinieri, COGNOME, avesse evidenziato di aver parlato col solo COGNOME, che aveva restituito 100,00 euro ed indicato dove fosse il borsello rubato, fornendo, così, “una informale confessione ed assunzione di responsabilità”.
La stessa persona offesa aveva dichiarato di aver visto le immagini in questione senza effettuare mai un formale riconoscimento del COGNOME.
Il riconoscimento informale effettuato in precedenza, si sostiene ancora, tenderebbe a sovrapporsi all’esperienza originaria realmente vissuta dal teste, con il concreto pericolo di venire confermato senza adeguato vaglio e generando errori.
2.3. Col terzo motivo di ricorso, ci si duole della violazione della legge penale, per esser stato ritenuto il fatto come aggravato dalla destrezza (in ragione delle modalità della condotta, attuata con azione repentina, approfittando della momentanea distrazione della persona offesa), atteso che, secondo Sez. U, Sentenza n. 34090 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 270088, tale circostanza aggravante avrebbe richiesto un comportamento dell’agente caratterizzato da particolare abilità, astuzia o avvedutezza, idoneo a sorprendere la vittima, attenuare o eludere la sua sorveglianza sul bene sottratto: sicché essa non sussisterebbe nell’ipotesi in cui il reo approfitti semplicemente dell’altrui disattenzione o incuria, come accaduto nel caso di specie.
2.4. Con un quarto ed ultimo motivo di censura, si contesta la sussistenza della recidiva reiterata, atteso che le pregresse condanne non avrebbero potuto spiegare alcuna efficacia al riguardo, essendo state emesse il 25/5/2005 e il 9/11/2005 a seguito di applicazione della pena su richiesta delle parti alle quali era conseguito l’effetto estintivo di cui all’articolo 445, comma 2, cod.proc.pen. (per la mancata commissione di altro delitto nel termine dei cinque anni successivi alla pronuncia).
Il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limitati termini qui di seguito illustrati.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
1.1. Come rammentato nello stesso ricorso, le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di precisare che: «La restrizione dell’imputato agli arresti domiciliari per altra causa, documentata o, comunque, comunicata al giudice procedente, in qualunque tempo, integra un impedimento legittimo a comparire che impone al medesimo giudice di rinviare ad una nuova udienza e disporne la traduzione» (Sez. U n. 7635 del 30/09/2021, dep. 2022, Costantino, Rv. 282806; conformi, tra le più recenti: Sez. 2, n. 13706 del 08/03/2024, Cestari, Sez. 2, n. 13956 del 07/03/2024, Mihalache, non massimate).
1.2. Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, dal verbale di udienza in questione non si evince alcuna comunicazione al giudice procedente dell’impedimento: sicché non si vede come lo stesso avrebbe potuto, nulla sapendo al riguardo, disporre quanto chiede il ricorrente.
È evidente, poi, che qualsiasi informazione che fosse nota ad altra autorità giudiziaria procedente non poteva, di certo, integrare la necessaria conoscenza da parte del giudice di prime cure affinché qualsivoglia provvedimento a tutela delle ragioni dell’imputato venisse preso.
2. Il secondo motivo è fondato.
2.1. È opportuno riportare i punti salienti delle sentenze di merito, al fine di stabilire come si sia arrivati ad affermare la responsabilità (anche) del COGNOME. Secondo il Tribunale: “La persona offesa COGNOME NOME ha dichiarato che intorno alle 11.30 del maggio 2014 si era recata nel pub insieme a sua madre e, dopo aver preso una consumazione ad un tavolino all’interno del locale, si era spostata con l’anziana di fronte ad una slot machine; quindi, le due donne erano rimaste per un paio d’ore a giocare, dando le spalle allo sgabello dove la COGNOME aveva lasciato il proprio borsello, contenente documenti, effetti personali e la somma di euro 230,00 in contanti. Alle 13.30 circa si era accorta che il borsello non era più al suo posto e aveva chiesto al gestore del locale se vi fosse un sistema di videosorveglianza; avendo ricevuto risposta positiva, aveva visionato nell’immediatezza il video, nel quale aveva avuto modo di vedere due avventori, dalla stessa precedentemente notati durante la sua permanenza nel locale, che sottraevano il borsello e si allontanavano rapidamente. I Carabinieri, chiamati subito dopo, riuscivano a recuperarlo e lo restituivano alla legittima proprietaria. Il teste COGNOME ha confermato che il 2 maggio 2014 la COGNOME si era
presentata presso la Stazione CC di Marcellina per denunciare il furto del portafogli, consumato poco prima presso un bar della zona, e aveva consegnato ai militari un dvd contenente le immagini del sistema di videosorveglianza del locale, asserendo che vi era riprodotta la scena del furto.
Effettivamente, visionando le immagini, i Carabinieri potevano apprezzare che la sottrazione del portafogli era opera di due individui, che venivano successivamente rintracciati in quanto conosciuti da persone del posto e identificati negli odierni imputati.
Il teste di p. g. ha inoltre riferito che grazie alle indicazioni fornite dagli ste imputati, era riuscito a recuperare il borsello provento di furto, che era stato gettato per strada, nonché parte del denaro.
Come si è anticipato, è stato acquisito agli atti del procedimento il video, nonché alcuni fotogrammi dallo stesso estrapolati e relativi ai momenti salienti dell’azione delittuosa.
Visionando il citato supporto, alle ore 13.10 è possibile vedere chiaramente un individuo di sesso maschile, identificato in COGNOME NOME, che passa attraverso una porta all’interno del locale e con un gesto fulmineo si impossessa di un oggetto lasciato sopra ad uno sgabello posizionato alle spalle della COGNOME, mentre un altro soggetto, identificato in COGNOME NOME staziona alle spalle delle due donne svolgendo evidentemente la funzione di “palo”; poco dopo si vedono i due che escono frettolosamente dal bar.
Ebbene, il complesso delle risultanze sin qui esaminate non lascia alcun dubbio in ordine al fatto che il COGNOME e lo COGNOME sono colpevoli del delitto di furto in concorso in danno della COGNOME, aggravato dalla circostanza dell’aver commesso il fatto con destrezza”.
La Corte d’appello (peraltro espressamente investita da censure analoghe a quelle proposte in questa sede) ha così motivato sulla responsabilità in concorso del COGNOME: “… la responsabilità di entrambi gli imputati è provata oltre ogni ragionevole dubbio, essendo stata la condotta dei medesimi ripresa dal circuito di videosorveglianza interno al bar. La circostanza che l’autore materiale sia COGNOME non consente di escludere il concorso ex art 110 cp del COGNOME, posto che egli dapprima si poneva alle spalle delle due donne onde consentire al correo di operare con mossa fulminea, quindi subito dopo la sottrazione si allontanava velocemente dal locale unitamente a COGNOME medesimo, evidentemente per condividere quanto sottratto. Del resto anche la p.o. ha riconosciuto entrambi come coloro che si erano posizionati vicino al posto ove aveva appoggiato il portafogli, restituitole solo dopo la denuncia presso i Carabinieri (cfr deposizioni rese all’udienza del 9.2.2018). A fronte di tali circostanze accertate in fatto, va dunque confermato il giudizio di responsabilità
per entrambi e, segnatamente, per COGNOME ex art 110 cp, a titolo di concorso pieno”.
2.2. Risulta evidente che il complesso motivazionale delle due sentenze di merito non sia affatto privo di carenze e contraddizioni.
Mentre il Tribunale pare inizialmente far riferimento ad una sottrazione posta in essere materialmente anche dal COGNOME (“aveva avuto modo di vedere due avventori … che sottraevano il borsello e si allontanavano rapidamente”; “visionando le immagini, i Carabinieri potevano apprezzare che la sottrazione del portafogli era opera di due individui”) e a dichiarazioni di natura auto accusatoria anche da parte del COGNOME laddove si assume che entrambi gli imputati avessero fatto ritrovare il borsello sottratto (“Il teste di p.g. ha inoltre riferito che grazie alle indicazioni fornite dagli stessi imputati, era riuscito a recuperare il borsello provento di furto”), poco dopo è lo stesso giudice di prime cure a modificare tale versione dei fatti, evidenziando come fosse stato solo lo COGNOME ad impossessarsi del borsello (“COGNOME NOME NOME con un gesto fulmineo si impossessa di un oggetto lasciato sopra ad uno sgabello posizionato alle spalle della COGNOME“) e come l’odierno ricorrente avesse avuto, al più, il ruolo di cosiddetto “palo” (“NOME NOME staziona alle spalle delle due donne svolgendo evidentemente la funzione di “palo”; poco dopo si vedono i due che escono frettolosamente dal bar”).
La Corte d’appello, d’altro canto, nel rispondere (solo parzialmente) alle censure poste dall’imputato, conferma il suo concorso nel furto, con un’affermazione che non tiene conto del principio di presunzione di non colpevolezza (laddove evidenzia che il fatto che il NOME non fosse l’autore materiale del furto non consentisse di escludere il suo concorso: senza tener conto che la condanna deve essere basata non su quello che non si può escludere, ma su quello che è provato oltre ogni ragionevole dubbio), attribuendogli il ruolo di “palo”, in quanto: “egli dapprima si poneva alle spalle delle due donne onde consentire al correo di operare con mossa fulminea”; “subito dopo la sottrazione si allontanava velocemente dal locale unitamente a COGNOME medesimo, evidentemente per condividere quanto sottratto”.
Orbene, la suddetta motivazione è palesemente carente, sotto il profilo logico, posto che, in definitiva, la Corte territoriale ancora il giudizio di colpevolezza del COGNOME sulla mera (e teoricamente anche del tutto casuale) sua presenza in loco, nonché sul fatto che lo stesso si sia allontanato contestualmente all’autore materiale del furto: circostanza, quest’ultima, solo sospetta e che potrebbe anche essere spiegata con la mera paura del COGNOME di essere accusato del furto (di cui ipoteticamente si sarebbe anche potuto accorgere, senza avervi preso parte).
Del tutto apodittica, ancora, è l’affermazione secondo cui il ricorrente si sarebbe
allontanato “evidentemente per condividere quanto sottratto”: laddove non è dato comprendere da quali elementi la Corte territoriale ricavi tale “evidenza”.
Insomma, non appare affatto chiaro, anche dalla congiunta lettura delle due pronunce di merito, il perché il COGNOME sia stato ritenuto concorrente nel delitto in questione, tanto più che, se davvero lo COGNOME agì “con mossa fulminea” (come affermano entrambi i giudici di merito e comunque la Corte d’appello da cui è tratto il corsivo che precede), ancor più sarebbe stato necessario corroborare in ben altro modo l’affermazione del concorso del COGNOME, al fine di far comprendere come una siffatta condotta materiale fosse stata oggetto di previo accordo da parte dei due imputati (ben potendo essere il frutto della repentina ed estemporanea volontà del solo COGNOME).
E, prima ancora, non è neppure comprensibile (posto che, nonostante le analoghe censure espressamente poste con l’appello, a cui la Corte territoriale ha del tutto omesso di dare risposta) come sia stato identificato nel soggetto alle spalle delle due donne l’odierno ricorrente e per quale ragione lo stesso fosse da individuare in colui che usciva assieme allo COGNOME, subito dopo il furto da questi materialmente perpetrato.
3. Anche il terzo motivo è fondato.
La Corte d’appello non ha fornito neppure adeguata motivazione circa gli elementi sulla cui base sarebbe stata ritenuta sussistente l’aggravante della destrezza.
Invero, è pacifico il principio secondo cui: «La circostanza aggravante della destrezza di cui all’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., richiede un comportamento dell’agente, posto in essere prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, caratterizzato da particolare abilità, astuzia o avvedutezza, idoneo a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza sul bene stesso; sicché non sussiste detta aggravante nell’ipotesi di furto commesso da chi si limiti ad approfittare di situazioni, dallo stesso non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore dalla cosa» (Sez. U, Sentenza n. 34090 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 270088; confronta, negli stessi termini, tra le tante, Sez. 5, Sentenza n. 2236 del 17/11/2022, dep. 2023, Rv. 284116, Sez. 5, Sentenza n. 16406 del 16/1/2024, COGNOME, non massimata).
Orbene, la sentenza gravata, facendo leva sulle concrete modalità del fatto, emergenti dalle immagini, parla di vicinanza al bene sottratto, da parte della vittima, e di una “particolare abilità idonea ad eludere la sorveglianza del detentore”: ovvero di circostanze che non chiariscono quali concrete “abilità, astuzia o avvedutezza”, tali da “attenuare o eludere la sorveglianza sul bene stesso”, sarebbero state poste in essere e per quale ragione non possa sostenersi
che il furto sia avvenuto semplicemente approfittando della distrazione della vittima: punto su cui pure il giudice del merito dovrà fornire adeguata motivazione.
Il quarto motivo, sulla determinazione della pena, resta assorbito, dovendo la sentenza impugnata essere annullata per la fondatezza dei motivi sopra indicati, con rinvio per nuovo esame su di essi ad altra sezione della Corte territoriale.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Così deciso il 7/5/2024.