Concorso in Falsificazione di Documenti: Quando il Possesso Diventa Prova
Il concorso in falsificazione di documenti è un reato che solleva complesse questioni probatorie. Come si dimostra che chi possiede un documento falso ha anche partecipato alla sua creazione? Con la recente ordinanza n. 47192/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale, stabilendo che il semplice possesso di un documento d’identità con la propria foto ma con dati anagrafici falsi è di per sé una prova evidente della partecipazione al reato. Analizziamo questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Il caso ha origine dalla condanna di un individuo, confermata in secondo grado dalla Corte di Appello di Roma, per il delitto di falsità materiale commessa dal privato in certificati o autorizzazioni amministrative, come previsto dagli articoli 477 e 482 del codice penale. L’imputato ha presentato ricorso per cassazione, basando la sua difesa su un unico motivo: la contestazione della motivazione della sentenza d’appello riguardo la sua effettiva partecipazione (concorso) nella falsificazione del documento.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. La Corte ha confermato la condanna dell’imputato, obbligandolo al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. La decisione si fonda su un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato.
Concorso in Falsificazione: Le Motivazioni della Corte
La motivazione della Suprema Corte è chiara e si basa su un principio giuridico considerato ius receptum, ovvero un principio talmente radicato e accettato da essere considerato diritto consolidato. Secondo la Corte, non è necessario ricercare ulteriori prove per dimostrare il concorso in falsificazione quando un soggetto viene trovato in possesso di un documento d’identità che, pur riportando la sua fotografia, contiene generalità false.
Il Principio dello ‘Ius Receptum’
La Corte afferma che ‘è pacifico che il possesso di un documento d’identità recante la foto del possessore con false generalità rende evidente la partecipazione di quest’ultimo alla contraffazione del documento’. Questa logica si basa sulla presunzione che l’unica persona ad avere interesse e a fornire il materiale essenziale (la propria fotografia) per una simile falsificazione sia proprio colui che intende utilizzarla. Di conseguenza, il fatto stesso di possedere tale documento è una prova logica e diretta del coinvolgimento nella sua creazione. A supporto di questa tesi, viene citata una precedente sentenza (Cass. pen., Sez. V, n. 25659/2018) che aveva già stabilito questo principio.
L’Inammissibilità del Ricorso
Poiché l’unico motivo di ricorso si scontrava frontalmente con questo principio consolidato, la Corte lo ha giudicato ‘manifestamente infondato’. Non c’erano, quindi, i presupposti per un esame nel merito della questione. La decisione di inammissibilità comporta, come conseguenza di legge, la condanna del ricorrente alle spese e al pagamento di una sanzione pecuniaria.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
L’ordinanza in esame rafforza un importante criterio probatorio in materia di reati di falso documentale. Per chiunque venga trovato in possesso di un documento di identità con la propria foto e dati falsi, sarà estremamente difficile sostenere di essere estraneo alla sua falsificazione. La sentenza chiarisce che la responsabilità penale per il concorso in falsificazione può essere affermata sulla base di questo singolo elemento, considerato di per sé sufficiente a dimostrare un consapevole e attivo contributo al reato. Questa pronuncia serve da monito e semplifica l’onere della prova per l’accusa in casi analoghi.
Possedere un documento falso con la propria fotografia è sufficiente per essere condannati per concorso in falsificazione?
Sì, secondo l’ordinanza della Corte di Cassazione, il possesso di un documento d’identità che riporta la propria foto ma generalità false è considerato una prova evidente della partecipazione alla falsificazione stessa, in base a un principio giuridico consolidato (ius receptum).
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché l’unico motivo presentato, ovvero la contestazione della prova del suo concorso nel reato, è stato ritenuto manifestamente infondato. La sua argomentazione si scontrava direttamente con un principio di diritto già ampiamente accettato e consolidato nella giurisprudenza.
Cosa significa ‘ius receptum’ nel contesto di questa decisione?
‘Ius receptum’ è un’espressione latina che indica un principio legale così ben stabilito e accettato dalla giurisprudenza da non essere più messo in discussione. In questo caso, si riferisce alla regola secondo cui il possesso di un documento con la propria foto e dati falsi dimostra la partecipazione alla contraffazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 47192 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 47192 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME NOME COGNOME nato il 17/12/1977
avverso la sentenza del 17/05/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che l’imputato NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Roma che ne ha confermato la condanna per il delitto di cui agli artt. 482-477 cod. pen.;
Ritenuto che l’unico motivo di ricorso, che contesta la tenuta della motivazione in punto di concorso nella falsificazione, è manifestamente infondato, poiché secondo ius receptum è pacifico che il possesso di un documento d’identità recante la foto del possessore con false generalità rende evidente la partecipazione di quest’ultimo alla contraffazione del documento (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 25659 del 13/03/2018, Busa, Rv. 273303 – 01);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27/11/2024