Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 42500 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 42500 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME n. Palazzolo dello Stella (Ud) 11.11.1946 avverso la sentenza n. 275/24 della Corte di appello di Trieste del 13/02/2024
letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette la memoria e le conclusioni scritte depositate per la parte civile NOME COGNOME dall’avv. NOME COGNOME con cui si chiede il rigetto del ricorso in quanto inammissibile e manifestamente infondato, per la conseguente conferma dell’impugnata sentenza e delle statuizioni civili in essa contenute, oltre alla
rifusione delle spese di costituzione di parte civile del presente grado di giudizio, tenuto conto che la parte civile è ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza di primo grado con cui NOME COGNOME è stato condannato alla pena complessiva di un anno di reclusione, condizionalmente sospesa, in ordine ai delitti di concorso in falsa testimonianza con NOME (artt. 110, 372 cod. pen., capo B) e di calunnia in danno della ex moglie NOME (art. 368 cod. pen., capo C) ritenuti avvinti dal vincolo della continuazione.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dello imputato deducendo otto motivi di ricorso di seguito riportati in forma sintetica.
Primo motivo. Violazione dell’art. 368 cod. pen. per insussistenza del reato di calunnia, erroneamente ed ingiustamente ascritto all’imputato, che non poteva essere consapevole dell’altrui innocenza e si è solo confuso quando è stato esaminato in dibattimento, al pari della testimone NOME COGNOME
Secondo motivo. Violazione degli artt. 52 e 368 cod. pen. per insussistenza del reato di calunnia, erroneamente ed ingiustamente ascritto al ricorrente, che intendeva soltanto difendersi da NOMECOGNOME che all’epoca aveva formulato nei suoi confronti accuse di notevole gravità.
Terzo motivo. Violazione degli artt. 110 e 372 cod. pen. per insussistenza del reato di falsa testimonianza, erroneamente ed ingiustamente ascritto al ricorrente in concorso con NOME COGNOME e mancata applicazione dell’art. 384 cod. pen.
Quarto motivo. Vizi congiunti di motivazione in relazione alla ritenuta configurabilità in capo al ricorrente del reato di falsa testimonianza, in concorso con NOMECOGNOME
Quinto motivo. Vizi congiunti di motivazione in relazione alla già dedotta circostanza secondo cui il Tribunale di Pordenone avrebbe fondato la propria decisione su un’altra sentenza (la n. 622/20 dello stesso Tribunale) neppure passata in giudicato anziché su prove oggettive e inconfutabili e mancanza di motivazione sul punto.
Sesto motivo. Vizi congiunti di motivazione in relazione alla ribadita configurabilità in capo al ricorrente del reato di calunnia.
Settimo motivo. Violazione di legge e in particolare delle norme che impongono la valutazione della sussistenza del dolo del fatto tipico monosoggettivo nonché del dolo di concorso riferito ad entrambi i delitti oggetto di condanna.
Ottavo motivo. Violazione di legge e in particolare dell’art. 131-bis cod. pen. la cui applicazione è Stata erroneamente esclusa dalla Corte di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato, esito questo determinato dal rigetto del terzo motivo di censura (v. infra), laddove tutti i restanti risultano intrinsecamente improponibili, manifestamente infondati o non tempestivamente dedotti con l’atto di appello e come tali inammissibili.
Vale, dunque, partire dall’esame della doglianza formulata con il terzo motivo di ricorso, l’unico, cioè, che sfugge alla valutazione di inammissibilità; nondimeno esso va rigettato per le considerazioni che seguono.
Il ricorrente si duole della ribadita affermazione di responsabilità in ordine al delitto di falsa testimonianza, formalmente commesso in udienza da NOME COGNOME ma che gli viene ascritto a titolo di concorso morale; si lamenta, altresì, della mancata fruizione della causa di giustificazione dell’art. 384 cod. pen.
Occorre effettivamente riconoscere che sebbene l’imputazione di cui al capo C sia formulata in maniera tutt’altro che piana e concisa, con essa si ascrive comunque all’imputato il ruolo di istigatore o di suggeritore della COGNOME a rendere la falsa dichiarazione che la mattina del 22 giugno 2017 egli (Fabbro) era sempre rimasto in compagnia della donna nella propria abitazione, mentre era emerso che, quantomeno dalle ore 10.17 alle ore 11.00, ne era uscito per recarsi alla Stazione dei Carabinieri di San NOME al Tagliamento al fine di sporgere denuncia nei confronti della ex moglie NOMECOGNOME
Ciò premesso non si ravvisa alcuna violazione di legge nella decisione della Corte di merito di confermare la pronuncia di primo grado sul capo in questione.
In termini astratti, invero, il concorso morale nel delitto di falsa testimonianza è pienamente configurabile secondo le regole generali di cui all’art. 110 cod. pen., l’assunto trovando anche riscontro in plurime pronunce di questa Corte di legittimità (Sez. 6, n. 34002 del 01/07/2015, Tornello, Rv. 264485 in tema di
non applicabilità della causa sopravvenuta di esclusione della punibilità di cui all’art. 376 cod. pen. al concorrente istigatore; Sez. 6, n. 25711 del 02/04/2003, COGNOME, Rv. 225478 in termini espliciti; Sez. 6, n. 13029 del 17/06/1986, COGNOME, Rv. 174350 in tema di non applicazione al concorrente degli effetti della ritrattazione ad opera del falso testimone).
In termini concreti, la Corte di appello ha fornito congrua, ancorché sintetica, motivazione delle ragioni – fondate sull’esistenza di un rapporto amicale o professionale (pag. 12 sent.) – per cui il ricorrente deve ritenersi il necessario ispiratore della falsa testimonianza resa dalla COGNOME, trattandosi di valutazioni tutt’altro che innplausibili, anche alla luce del fatto che la falsità della deposizion sul punto è risultata documentalmente provata per confronto con il verbale della Stazione dei Carabinieri che aveva raccolto la denuncia del ricorrente.
Le ulteriori censure del ricorrente sul punto attengono al merito della questione, per quanto declinate con riferimento alle figure dogmatiche del contributo causale nel reato e al dolo di partecipazione, mentre la pretesa applicabilità dell’art. 384 cod. pen. è solo evocata a pag. 12 del ricorso, sicché va dichiarata generica.
Tutti gli altri motivi di censura sono, invece e come anticipato, inammissibili.
3.1. Esaminandoli congiuntamente secondo le ragioni dell’inammissibilità, il primo, il terzo, il quarto ed il settimo motivo di censura risultano declinati in fatt e per motivi di merito, risultando come tali intrinsecamente improponibili.
L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione possiede, infatti, un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessinnone e al., Rv. 207944).
3.2. Il quinto ed il sesto motivo risultano manifestamente infondati.
Il quinto motivo sostiene che il Tribunale di Pordenone avrebbe affermato la responsabilità dell’imputato in ordine ai reati in addebito sulla base di una
distinta decisione (quella con cui la ex moglie NOME era stata assolta dal delitto di calunnia) oltre tutto non ancora divenuta irrevocabile.
La Corte di appello ha sul punto ricordato la reciproca autonomia del giudizio nel procedimento per il reato di calunnia rispetto a quello concernente il reato ascritto al calunniato, con citazione di pertinente giurisprudenza sul tema (pag. 10 sent.) cui il ricorrente oppone solo considerazioni di stretto merito.
Del pari manifestamente infondato è il motivo che deduce la sussistenza di pretesi vizi di motivazione nella parte in cui la sentenza ne ha ribadito la responsabilità per il delitto di calunnia, sulla scorta di argomenti pertinenti e congruamente esposti nella pag. 11 della motivazione.
3.3. Improponibile è, invece, l’ottavo motivo riguardante la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. in quanto non previamente dedotto in appello.
Già nell’affermare la rilevabilità d’ufficio del tema del fatto di speciale tenuità all’atto dell’introduzione del nuovo istituto, le Sezioni Unite di questa Corte di cassazione avevano in motivazione specificato che, quando, invece, non si discute dell’applicazione della sopravvenuta legge più favorevole, la inammissibilità del ricorso preclude la deducibilità e la rilevabilità d’ufficio del questione (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266593).
A regime normativo ormai consolidato resta il dato che quella di cui all’art. 131-bis cod. pen. è soprattutto una questione di fatto, implicante anche la valutazione della personalità dell’imputato attraverso eventuali suoi precedenti penali, per cui non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità se prima non devoluta al giudice di merito, come accaduto nel caso in esame (v. elenco motivi di appello riportati in sentenza, pag. 4-9 sent.).
Al rigetto dell’impugnazione segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile costituita, secondo le modalità indicate in dispositivo.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOMECOGNOME ammessa al
patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Cor appello di Trieste, con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82
d.P.R. n. 115 del 2002, disponendo pagamento in favore dello Stato.
Così deciso, 8 ottobre 2024