Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10931 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10931 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME, nato a Milano DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 10/03/2023 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME; sentito il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; sentito il difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN IFATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano, in esito a giudizio abbreviato, ha confermato la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Milano, emessa il 4 giugno 2021′ che aveva condannato il ricorrente alla pena di giustizia in relazione ai reati di usura e tentata estorsione di cui ai capi B e D della imputazione.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, deducendo:
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il reato di tentata estorsione di cui al capo D.
La Corte avrebbe ritenuto sussistente il concorso del ricorrente nella condotta illecita commessa dal coimputato separatamente giudicato NOME, non tenendo conto delle doglianze difensive, utilizzando il contenuto della conversazione del 26 giugno 2019 senza convincente interpretazioné e senza collegarlo ad altra precedente conversazione del 22 gennaio 2019 tra il ricorrente ed il coimputato, dimostrativa del fatto che NOME non sarebbe stato consapevole delle intenzioni illecite e minacciose del correo verso la vittima NOME NOME, consistenti nel volere ottenere la somma di 135.000 euro quale corrispettivo di due orologi ceduti al COGNOME dal valore di molto inferiore.
Tali intenzioni, comunque, l’imputato non avrebbe assecondato o rafforzato con la sua condotta, non avendo egli alcun interesse personale alla vicenda degli orologi, come dimostrato da altra conversazione pretermessa dalla Corte ed intercorsa tra la persona offesa ed il correo NOME (la n. 1095 del 22 novembre 2019);
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto di cui al capo D come tentativo di estorsione anziché come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, avendo avuto il ricorrente, tanto quanto il correo NOME, la convinzione di agire per la tutela di un credito legittimo di quest’ultimo verso la persona offesa, al punto che NOME si era rivolto ad un avvocato per agire contro la vittima.
Le minacce del NOME, inoltre, non sarebbero state sproporzionate rispetto alla natura della pretesa dell’agente e di esse – con riferimento a quelle rivolte dal COGNOME nei confronti dei familiari della persona offesa – il ricorrente non avrebbe avuto comunque alcuna contezza;
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il reato di usura di cui al capo B.
Il ricorrente censura l’interpretazione fornita dalla Corte del contenuto della conversazione del 19 febbraio 2019, a suo dire non rivelativa, se inserita in un più ampio contesto, del concorso dell’imputato con il correo NOME COGNOME nella
preventiva pianificazione dell’usura ai danni di COGNOME NOME, della quale il ricorrente avrebbe appreso a cose fatte attraverso il dialogo citato.
La persona offesa non avrebbe reso, del resto, alcuna dichiarazione accusatoria nei confronti del ricorrente e non vi sarebbe traccia di spartizioni di danaro tra i presunti correi, al contrario essendovi la prova che l’imputato aveva avuto con la vittima rapporti leciti di tipo lavorativo e che solo NOME avrebbe elargito per suo conto il prestito alla persona offesa, come dimostrato da altra conversazione che la Corte non avrebbe considerato (quella del 17 novembre 2018);
4) violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio. Non si comprenderebbe il calcolo operato in sentenza, comunque non giustificato nel suo ammontare finale, anche in relazione alla determinazione della pena pecuniaria base in euro 6.000,00 di multa superiore al massimo edittale e nella indicazione del reato più grave.
Il ricorrente si duole, altresì, del diniego dei doppi benefici di legge, che ha risentito dell’errato calcolo della pena oltre i limiti consentiti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, proposto per motivi nel complesso infondati, va rigettato.
Deve premettersi che l’imputato è stato condannato nei due gradi di merito con conforme decisione.
La doppia conformità della decisione di condanna dell’imputato ha decisivo rilievo con riguardo ai limiti della deducibilità in cassazione del vizio dil:ravisamento della prova lamentato dal ricorrente.
E’ pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, che tale vizio pùò essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (cosa non verificatasi nella specie), sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, COGNOME; Sez.4, n. 44765 del 22/10/2013, COGNOME).
Si deve, ancora ricordare, in relazione alla tipologia della prova inerente all’odierno processo, che, in materia di intercettazioni, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di
legittimità se motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337; Sez.6 n.11794 del 11/02/2013, COGNOME, Rv. 254439).
1.1. Fatta questa premessa, quanto al primo motivo, inerente al giudizio di responsabilità per il reato di tentata estorsione di cui al capo D, la sentenza impugnata ha ampiamente individuato il contributo causale del ricorrente alla condotta del coimputato NOME, consistente nel fatto che l’imputato, pienamente consapevole dei rapporti intercorrenti tra il correo e la persona offesa NOME in relazione alla vicenda della cessione di due orologi dal primo alla seconda, si era prestato ad aiutare il coimputato a rintracciare NOME che si nascondeva “cercando di orientare NOME nelle giuste direzioni”, sorreggendo ed alimentando il suo proposito criminoso che egli sapeva che sarebbe stato diretto, anche attraverso terzi, non solo nei confronti della vittima ma anche dei suoi familiari ed in particolare della moglie (fgg. 7-10 della sentenza impugnata, con il riferimento alla specifica esternazione del NOME allo NOME circa il fatto che avrebbe agito anche con l’ausilio di terzi “buttando i lacci in faccia alla moglie” della persona offesa).
Tali elementi sono stati tratti dalla Corte (e dal primo giudice) sulla base di una interpretazione dei significato di una conversazione tra NOME e NOME non manifestamente illogica ed il cui valore probatorio supera le obiezioni difensive e consente di ritenere infondato il primo mol:ivo di ricorso.
1.2. Anche il secondo motivo è infondato.
Alla luce delle medesima giurisprudenza citata in sentenza (Sez. U, n. 29541, del 16/07/2020, COGNOME, in motivazione, fgg. 22,23), il ricorrente – in ragione di quanto esplicitato con riguardo al primo motivo – aveva consapevolmente concorso a sostenere la condotta minacciosa esercitata dal correo NOME anche nei confronti dei familiari del presunto debitore, soggetti certamente estranei al rapporto obbligatorio che si assume esistente tra il coimputato e la vittima e nei confronti dei quali nessuna pretesa lecita sarebbe stata azionabile dal creditore davanti ad un giudice.
A ciò si aggiungano le corrette valutazioni della Corte di appello in ordine alla veemenza e sproporzione della minaccia rispetto al presunto diritto tutelabile proprio perché l’azione era stata indirizzata in maniera ripetuta nei confronti di diversi familiari della vittima – siccome idonea a giustificare la qualificazione giuridica del fatto in termini estorsivi, secondo il medesimo insegnamento di legittimità prima richiamato, che così statuisce nella parte testualmente richiamata dalla sentenza impugnata a fg. 9 e che è stato correttamente contestualizzato con argomenti di merito non rivedibili in questa sede.
Tanto supera ed assorbe ogni altra considerazione difensiva.
1.3. Anche il terzo motivo è infondato, dal momento che, cosi come per il reato di cui al capo D, la Corte di merito ha offerto una interpretazione non sindacabile in questa sede, perché non manifestamente illogica, di L na conversazione intercorsa tra il ricorrente ed il correo separatamente giudicato NOME COGNOME, nella quale l’imputato espressamente faceva riferimento al fatto di avere personalmente elargito alla vittima, per il tramite del coimputato, la somma di 10 mila euro (“gliene abbiamo già dati 10”), circostanza che lo rendeva partecipe fin dall’inizio del reato di usura e che non è stata ritenuta contraddetta dai rapporti che avevano contestualmente legato il ricorrente alla vittima, secondo l’interpretazione di merito fornita dalla Corte di appello a fg. 11 della sentenza impugnata, anche per mezzo della valorizzazione delle dichiarazioni della persona offesa e dell’ulteriore ed altrettanto illecito proposito di entrambi i correi di subentrare nell’attività economica del debitore attraverso l’elargizione di prestiti ad usura anche di importo maggiore; in tal modo, i giudici territoriali hanno, peraltro, dimostrato di aver valutato a fondo la linea difensiva reiterata in ricorso.
1.4. Quanto all’ultimo motivo, la Corte di appello, emendando l’errore materiale contenuto nella motivazione della sentenza di primo grado (con il riferimento al capo A che non è a giudizio), ha indicato quale reato più grave il tentativo di estorsione di cui al capo D, giustificando, altresì, la portata della sanzione con il richiamo alla gravità delle condotte, rivelativa della negativa personalità del ricorrente anche alla luce del comportamento processuale tenuto.
Pertanto, la determinazione della pena è fondata sulla valutazione di elementi non rivedibili in quanto propri del giudizio di merito.
E ciò è vero sia in relazione alla pena detentiva che in quella pecuniaria, tenuto conto della contestazione di usura.
Tale determinazione non consentiva l’applicazione dei benefici di legge.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 13.12.2023.