Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1247 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1247 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a MUGNANO DI NAPOLI il 02/12/1985 NOME nato a NAPOLI il 20/08/1966
avverso la sentenza del 11/03/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità
dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, in esito a giudizio abbreviato, parzialmente riformando la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, emessa il 20 settembre 2023, ha confermato la responsabilità dei ricorrenti per il reato di tentata estorsione aggravata dall’uso del metodo mafioso, consistito nella richiesta di danaro ad un imprenditore per “mettersi a posto” in relazione allo svolgimento del suo lavoro.
Ricorrono per cassazione gli imputati, con distinti atti.
NOMECOGNOME
3.1. Con unico motivo di ricorso si duole della determinazione della pena e del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
COGNOME NOME.
4.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità.
La Corte di appello avrebbe travisato le prove, ritenendo che il ricorrente avesse accompagnato il coimputato COGNOME al bar dove era avvenuto l’incontro con la persona offesa, senza considerare la circostanza che la presenza al bar dell’imputato era stata puramente casuale ed egli aveva fatto ingresso nell’esercizio commerciale successivamente al Liccardo ed in modo autonomo.
Ciò avrebbe carattere decisivo e si sarebbe evidenziato attraverso la registrazione dell’incontro effettuata dalla vittima con il suo cellulare, come valutata dal consulente tecnico difensivo, di tenore diverso e più attendibile rispetto alle dichiarazioni della stessa persona offesa.
4.2. Con il secondo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello ritenuto il concorso del ricorrente nel reato commesso da NOMECOGNOME non risultando la consapevolezza del Fiengo delle intenzioni del coimputato, che aveva avviato per suo conto il disegno estorsivo in altre occasioni alle quali il ricorrente non aveva partecipato e che solo estemporaneamente aveva incontrato la persona offesa all’interno del bar ove si trovava il Fiengo, senza avere avuto il tempo di avvisare quest’ultimo.
Inoltre, la consulenza tecnica avrebbe smentito il dato secondo il quale l’imputato aveva chiuso la porta del bar per assicurare maggiore riservatezza all’incontro.
4.3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell’uso del metodo mafioso, del quale il ricorrente non avrebbe avuto alcuna consapevolezza.
La Corte non avrebbe adeguatamente valutato la circostanza che la frase minacciosa era stata rivolta alla vittima solo dal COGNOME e che il riferimento a compagini di criminalità organizzata era stato esternato solo nelle precedenti occasioni alle quali il ricorrente non aveva partecipato.
4.4. Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata in relazione al trattamento sanzionatorio ed, in particolare, quanto alla riduzione per il tentativo.
Inoltre, non si sarebbe dato conto dell’aumento di pena per entrambe le circostanze aggravanti ad effetto speciale.
4.5. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione dell’art. 114 cod.pen. tenuto conto del ruolo in concreto assunto dall’imputato.
4.6. Con il sesto motivo si censura il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché proposti per motivi non consentiti o, comunque, manifestamente infondati.
1. NOME.
Il ricorrente ha ottenuto la pena da luistesso concordata ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio, in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. ed, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edit ovvero diversa dalla quella prevista dalla legge (Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102).
Il ricorrente, nella specie, peraltro in forma del tutto generica, si limita a doler del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della eccessività della pena da lui stesso concordata e richiesta alla Corte di merito.
2. COGNOME NOME.
2.1. Quanto ai primi due motivi di ricorso, che ineriscono al giudizio di responsabilità, il ricorrente trascura di considerare che la prova decisiva della sua partecipazione all’estorsione non risiede nelle circostanze evidenziate in ricorso, ma nel fatto, non contraddetto dalla intercettazione, che la persona offesa,
GLYPH
ritenuta attendibile, aveva dichiarato che l’imputato aveva assistito attivamente, sebbene silente, alla conversazione tra la stessa vittima ed il COGNOME, ove quest’ultimo gli aveva ribadito la sua richiesta estorsiva con le frasi volte “a appurare l’importo dell’appalto che il denunciante si era aggiudicato e l’importo della tangente che egli avrebbe dovuto proporzionalmente corrispondere” (fg. 8 della sentenza impugnata).
Sicché, non solo il tenore della richiesta era tale da configurare il reato anche a prescindere dai precedenti avvicinamenti della vittima effettuati dal solo COGNOME, ma, secondo il ragionamento della Corte, di immediata logicità, la tipologia di argomento era tale da presupporre che il ricorrente non potesse trovarsi lì per caso ma fosse consapevole del motivo della conversazione ed avesse dato il suo appoggio al COGNOME attraverso la sua presenza.
Tali circostanze, queste sì decisive, avevano orientato la Corte a interpretare in senso accusatorio anche le fasi dell’arrivo degli imputati e la chiusura della porta del bar, smentendo, con argomentazioni di puro merito, le diverse argomentazioni difensive ancora ribadite in ricorso.
Tanto, peraltro, era stato il convincimento di questa Corte di legittimità in fase cautelare, con la sentenza che aveva rigettato il ricorso dell’imputato avverso il provvedimento che gli aveva applicato la misura degli arresti domiciliari, sulla base delle medesime circostanze di fatto esaminate dai giudici di merito trattandosi di rito abbreviato.
In quella sede (cfr. Sez. 2, n. 46100 del 15/09/2023, non massimata), si era anche affermato, dando risposta alla censura inerente alla sussistenza della responsabilità concorsuale del ricorrente, come la “difesa trascura di considerare che la linea portante dell’affermato concorso è stata rinvenuta nella scelta del prevenuto di affiancare il COGNOME durante la conversazione con il denunziante, imprenditore locale noto anche per i suoi trascorsi di amministratore comunale, nel corso della quale veniva quantificata la richiesta estorsiva, elemento logicamente incompatibile con l’assenza di consapevolezza delle ragioni dell’incontro dedotta dal difensore. 2.1 L’ordinanza impugnata, dunque, ha dato adeguata ragione delle valutazioni alla base dell’accoglimento dell’appello del p.m., rassegnando una motivazione scevra da illogicità in ordine alla consapevolezza del prevenuto circa l’illiceità della richiesta rivolta dal correo all p.o. e al significativo apporto causale prestato all’azione delittuosa. Siffatt valutazione è conforme ai principi più volte affermati dalla giurisprudenza di
legittimità secondo cui in tema di concorso di persone nel delitto di estorsione anche la semplice presenza sul luogo dell’esecuzione del reato può essere sufficiente ad integrare gli estremi della partecipazione criminosa quando, palesando chiara adesione alla condotta dell’autore del fatto, sia servita a fornirgli stimolo all’azione e un maggiore senso di sicurezza (Sez. 2, n. 50323 del 22/10/2013, Rv. 257979 – 01; n. 28895 del 4 13/07/2020, Rv. 279807 – 01). Deve “ritenersi che configuri la partecipazione morale e non la connivenza passiva la presenza del soggetto all’atto della richiesta estorsiva quando simile condotta sia obiettivamente e logicamente valutabile come adesione all’altrui azione criminosa, con il correlativo rafforzamento della volontà dell’esecutore materiale. Trattasi di un apprezzamento fattuale demandato al giudice del merito cautelare e non censurabile in questa sede ove sostenuto da congrua motivazione, restando preclusa la possibilità di una alternativa ricostruzione dell’episodio sollecitata dalla difesa”.
2.2. Quanto al terzo motivo di ricorso, la sentenza di questa Corte in fase cautelare, aveva, del pari, affermato, con condivisibile costrutto, che doveva ritenersi destituito di fondamento anche il motivo “che censura la ritenuta sussistenza dell’aggravante ex art. 416 bis.1 cod.pen., avendo il collegio cautelare (pag. 11) delibato le doglianze sul punto in aderenza al principio per cui la circostanza aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 416-bis.1, comma primo, cod. pen., in quanto riferita alle modalità di realizzazione dell’azione criminosa, ha natura oggettiva ed è valutabile a carico dei concorrenti, sempre che siano stati a conoscenza dell’impiego del metodo mafioso ovvero l’abbiano ignorato per colpa o per errore determinato da colpa (Sez. 4, n. 5136 del 02/02/2022, Rv. 282602 – 02).
E’ da aggiungere quanto affermato da Sez. 2, n. 47598 del 19/10/2016, COGNOME, Rv. 268284, secondo cui concorre nel delitto di tentata estorsione aggravata, ai sensi dell’art. 7 D.L. n. 152 del 1991, colui che, pur rimanendo sempre silente, accompagni altri incaricati di formulare la richiesta di “pizzo”, assista all espressa richiesta e si allontani con l’autore della stessa, poiché tale condotta svolge un contributo materiale e morale in relazione al rafforzamento dell’effetto intimidatorio della pretesa estorsiva ed alla rappresentazione dell’esistenza di un gruppo organizzato.
Nel caso in esame, la richiesta del COGNOME esternata alla presenza silente ma collaborativa del ricorrente ed a prescindere dalle precedenti occasioni di incontro
GLYPH
con la vittima, era palesemente una richiesta di “pizzo” o di cosiddetta “messa a posto”, circostanza idonea a renderla intrisa di metodo mafioso, facendo riferimento ad un pagamento per il controllo del territorio che solo le organizzazioni criminali di stampo mafioso sanno offrire, come bene ha messo in luce la sentenza impugnata.
Peraltro, non è senza rilievo l’osservazione della Corte di merito, avente pregnanza indiziaria di tipo logico, secondo la quale il ricorrente non risultava del tutto avulso dal contesto ambientale illecito nel quale la vicenda era avvenuta, avendo frequentazioni con soggetti gravitanti nel clan camorristico COGNOME egemone sul territorio di riferimento ove lavorava l’imprenditore vittima del reato (fg. 10 della sentenza impugnata).
2.3. I residuali motivi sono anch’essi manifestamente infondati.
La Corte di appello, in relazione alla gravità dei fatti, ha ritenuto congrua la pena inflitta dal primo giudice e determinata ben al di sotto della media edittale; ha negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche anche in virtù del precedente penale del ricorrente per alt(o reato contro il patrimonio ed ha negato anche che la condotta dell’imputato avesse offerto un contributo di minima importanza con valutazioni inerenti al merito del giudizio non viziate logicamente in quanto riferentesi alla fase specifica in cui si era inserita.
La motivazione offerta è conforme al diritto.
Nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125 comma 3, cod. pen., anche ove adoperi espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, COGNOME, Rv. 237402).
Ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime. (da ultimo, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2, n. 4790 del 16.1.1996, Romeo, rv. 204768).
Infine, la questione in ordine alla pena inflitta per le circostanze aggravan effetto speciale non aveva formato oggetto dell’atto di appello e non può trov ingresso in questa sede, non vertendosi in una ipotesi di pena illegale.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorr al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cass delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa degli stessi ricorren nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle sp processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso, il 07/11/2024.