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Concorso in estorsione: la presenza silenziosa basta

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per tentata estorsione aggravata di un uomo che aveva assistito in silenzio alla richiesta di denaro fatta da un complice a un imprenditore. Secondo la Corte, la semplice presenza sul luogo del reato può integrare il concorso in estorsione quando, palesando adesione alla condotta, serve a rafforzare l’intimidazione sulla vittima e a dare sicurezza all’autore materiale. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che la partecipazione morale, anche silente, è sufficiente a configurare la complicità.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in Estorsione: Quando il Silenzio Diventa Complicità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1247 del 2025, affronta un tema cruciale del diritto penale: il concorso in estorsione. La pronuncia chiarisce come anche una presenza silenziosa sul luogo del delitto possa essere sufficiente per configurare una piena responsabilità penale, specialmente quando tale presenza contribuisce a rafforzare la minaccia nei confronti della vittima. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere i confini tra la mera connivenza non punibile e la partecipazione morale attiva in un reato.

I Fatti del Caso: La Richiesta Estorsiva e la Presenza Silente

La vicenda riguarda due individui condannati in appello per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. L’accusa si fondava sulla richiesta di denaro rivolta a un imprenditore per “mettersi a posto” in relazione alla sua attività lavorativa. Uno degli imputati aveva formulato esplicitamente la richiesta, mentre il secondo era rimasto presente durante tutta la conversazione, senza proferire parola.

L’imprenditore, vittima della richiesta, aveva percepito la presenza del secondo uomo come un rafforzamento della minaccia, un elemento che contribuiva a creare un clima di intimidazione.

L’Appello e i Motivi del Ricorso in Cassazione

Contro la sentenza di condanna, entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione. In particolare, l’imputato rimasto in silenzio ha contestato la sua responsabilità, sostenendo che la sua presenza nel locale fosse puramente casuale e che non fosse a conoscenza delle intenzioni criminali del complice. A suo dire, non vi era prova di un suo contributo materiale o morale al reato. Contestava inoltre la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso, affermando di non essere consapevole del contesto criminale in cui si inseriva la richiesta.

Il Concorso in Estorsione e la Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, confermando integralmente l’impianto accusatorio. La decisione si sofferma in modo approfondito sulla figura del concorso in estorsione e sul valore da attribuire alla presenza silente sul luogo del reato.

Le Motivazioni della Corte

I giudici hanno stabilito che, in tema di concorso di persone nel delitto di estorsione, anche la semplice presenza può integrare gli estremi della partecipazione criminosa. Ciò avviene quando tale condotta, oggettivamente valutata, palesa una chiara adesione all’azione dell’autore principale e serve a fornirgli stimolo e un maggiore senso di sicurezza, intimidendo al contempo la vittima.

Secondo la Corte, la presenza dell’imputato non era casuale ma funzionale al piano criminoso. Assistere in silenzio a una conversazione in cui si discute l’importo di una “tangente” su un appalto è un elemento “logicamente incompatibile con l’assenza di consapevolezza”. La sua presenza silenziosa, pertanto, non è stata interpretata come una mera connivenza passiva, ma come una partecipazione morale attiva che ha rafforzato la volontà dell’esecutore materiale.

Per quanto riguarda l’aggravante del metodo mafioso, la Cassazione ha ribadito la sua natura oggettiva. Essa si applica a tutti i concorrenti che erano a conoscenza, o che avrebbero dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza, dell’impiego di tale metodo. La richiesta di “pizzo” o di “messa a posto” è una formula che evoca intrinsecamente un controllo del territorio di stampo mafioso, rendendo l’aggravante applicabile anche a chi, pur silente, partecipa all’azione.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: nel concorso in estorsione, non è necessario compiere un’azione materiale per essere considerati responsabili. Una presenza che, nel contesto specifico, assume un’inequivocabile valenza intimidatoria e di supporto al complice è sufficiente per configurare una piena partecipazione al reato. La Corte sottolinea come la valutazione di tale contributo spetti al giudice di merito, il cui giudizio, se logicamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità.

Una persona che assiste in silenzio a una richiesta estorsiva può essere considerata complice?
Sì, secondo la sentenza, la semplice presenza sul luogo del reato può integrare il concorso di persone se palesa una chiara adesione alla condotta dell’autore, fornendogli stimolo e sicurezza e rafforzando l’intimidazione sulla vittima. Non è una connivenza passiva, ma una partecipazione morale.

L’aggravante del metodo mafioso si applica anche a chi non pronuncia direttamente minacce?
Sì. L’aggravante ha natura oggettiva e si applica a tutti i concorrenti che siano a conoscenza dell’impiego del metodo mafioso o che lo ignorino per colpa. La natura stessa della richiesta, come quella di “mettersi a posto”, è stata ritenuta sufficiente a rendere evidente il contesto mafioso a tutti i presenti.

È possibile impugnare in Cassazione una pena concordata in appello?
Generalmente no. Il ricorso in Cassazione contro una sentenza emessa a seguito di concordato in appello (art. 599-bis c.p.p.) è ammissibile solo per motivi specifici, come vizi nella formazione della volontà o un contenuto della sentenza difforme dall’accordo. Non è ammissibile per contestare l’eccessività della pena concordata o il mancato riconoscimento di attenuanti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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