Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35412 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35412 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data Udienza: 30/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
COGNOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. sez. 1026/2025
NOME OCCHIPINTI
UP – 30/09/2025
NOME BELMONTE
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME COGNOME
– Relatore –
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SAN GIORGIO MORGETO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/12/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, COGNOME, che ha concluso, riportandosi alla requisitoria già depositata, per il rigetto;
udito l’avvocato, NOME COGNOME, che ha esposto i motivi di gravame ed insistito nell’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 5.12.2024, la Corte di Appello di Reggio Calabria, all’esito di trattazione orale, in parziale riforma della pronuncia emessa in primo grado nei confronti di COGNOME NOME, che l’aveva dichiarato colpevole dei reati di partecipazione ad associazione di stampo mafioso denominata ‘ndrangheta (capo 1) e di estorsione, pluriaggravato (capo 7), ha assolto il predetto dal reato di cui al capo 1 e ha rideterminato la pena in relazione al residuo reato di cui al capo 7 in anni sette di reclusione e di euro 6.000,00 di multa.
2.Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1.Col primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per contraddittorietà in merito all’accertamento della partecipazione del ricorrente al reato di estorsione fondato su argomenti logicamente non coerenti e su elementi di prova incerti ed equivoci. Indi si riporta quanto dedotto con l’atto di appello, con cui si era in particolare contestata la rilevanza, ai fini della configurazione di un concorso del COGNOME nell’estorsione ricondotta al mandante COGNOME NOME, della mera presenza neutra del ricorrente ad un incontro intervenuto in data 9.2.2020, presso il locale della persona offesa, COGNOME NOME, in cui era stato unicamente una persona sessantenne ad interloquire col COGNOME in ordine all’acquisto di prodotti commercializzati dalla RAGIONE_SOCIALE presenza erroneamente ritenuta dal giudice di primo grado indicativa del coinvolgimento del COGNOME in una più ampia vicenda di pretese portate avanti dal COGNOME, pretese che peraltro a ben vedere si risolvevano in richieste relative al banchetto per la prima comunione del figlio del COGNOME e alla promozione dell’acquisto di merce, se del caso praticando uno sconto, come si era limitato a prospettare, all’incontro del 9.2.2020, l’interlocutore rimasto non identificato che si era recato presso il COGNOME unicamente per promuovere l’acquisto di prodotti.
Si era quindi concluso, non senza avere evidenziato anche i passaggi contraddittori e illogici delle dichiarazioni rese nel tempo dalla persona offesa, per la insussistenza di un contributo materiale o morale, riferibile al COGNOME a quella che era stata comunque una normale trattativa commerciale.
Né si sarebbe potuto configurare il dolo specifico richiesto per la integrazione della fattispecie criminosa, mancando a monte la stessa consapevolezza da parte del COGNOME dell’eventuale condotta minacciosa posta in essere da altri in precedenza.
Ciò posto, il ricorrente lamenta che la Corte di appello non abbia valutato adeguatamente i rilievi difensivi con cui si era in buona sostanza evidenziata l’assenza di elementi soggettivi ed oggettivi in ordine alla effettiva partecipazione del COGNOME alla condotta criminosa oggetto d’imputazione. In particolare, non ha considerato la scarsità degli indizi, è incorsa in travisamenti della prova anche per omissione, e ha peraltro impostato il proprio ragionamento facendo leva su un fatto, quello di cui al capo 6, non ascritto al ricorrente e che non è stato neppure oggetto di accertamento nel presente giudizio. Né ha valutato l’eventuale sussistenza di ipotesi alternative.
Indi si riporta il verbale delle dichiarazioni rese dalla persona offessa il 14.2.20202 per evidenziare che la Corte di appello ha travisato la prova, avendo la stessa persona offesa specificato che in realtà all’incontro del 9.2.2020 l’attenzione si era concentrata sulla comunione del figlio di COGNOME e non su altro. L’oggetto dell’incontro non fu dunque l’imposizione della compravendita dei prodotti della The Quatrefoil.
Conclude il ricorrente che è dunque evidente come nel caso in esame non possa assolutamente ritenersi sussistente la fattispecie del diritto di estorsione almeno per quel frangente di condotta contestata al COGNOME, essendo d’altronde pacifico, secondo il costante orientamento della Corte di legittimità, che ai fini della configurabilità del concorso nel reato di estorsione è necessario che il contributo del concorrente sia causalmente rilevante e consapevolmente diretto alla realizzazione dell’evento tipico.
2.2.Col secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 110-629 cod. pen. e ai principi in tema di concorso di persone nel reato. In particolare, si lamenta che la Corte di appello ha omesso di specificare quale sarebbe stato l’apporto concreto dell’imputato alla realizzazione della condotta estorsiva, fondando la decisione su una presunzione di contiguità con ambienti criminali e non su elementi probatori certi e individualizzanti. Non vi è stata nessuna compromissione della libertà di autodeterminazione della persona offesa che infatti non acquistò nulla e autonomamente decise che se in seguito avesse avuto interesse l’avrebbe fatto sapere al suo interlocutore.
La sentenza avrebbe dovuto spiegare anche come la eventuale condotta minacciosa commessa anteriormente da soggetti differenti, non dal COGNOME nè dall’altro soggetto, abbia prodotto effetti sulla persona offesa.
Il nodo cruciale che avrebbe dovuto spiegare la sentenza resta comunque quello della consapevolezza che COGNOME avrebbe dovuto avere circa l’ipotesi estorsiva che si stava cercando di compiere, laddove sul punto nessun ulteriore elemento emerge né esso può trarsi dal mero comportamento neutro, silenzioso, assunto dal COGNOME nell’incontro del 9 Febbraio 2020 che si è risolto in una presenza meramente occasionale.
2.3.Col terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ravvisata aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 3, cod. pen. Il COGNOME è stato assolto dal reato ascritto al capo 1 ovvero dalla partecipazione all’associazione mafiosa, circostanza di cui la Corte di appello non ha tenuto minimamente conto, laddove il presupposto applicativo della circostanza aggravante in esame è che il soggetto sia intraneo al sodalizio mafioso e dunque postula la provenienza della violenza o della minaccia da persona appartenente ad
associazione mafiosa. Nel si può argomentare, come erroneamente fa la Corte di appello, la sussistenza dell’aggravante in argomento per il solo fatto che la difesa non avrebbe contestato l’appartenenza del mandante COGNOME all’associazione mafiosa. Circostanza che ha indotto la Corte di appello ad estendere al concorrente COGNOME l’aggravante della partecipazione all’associazione di tipo mafioso. Avrebbe dovuto, invece, la Corte di appello accertare se qualcuno dei coimputati fosse partecipe dell’associazione e non porre a carico della difesa tale dimostrazione.
2.4.Col quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ravvisata aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. Del tutto inadeguate è la motivazione resa dalla Corte di appello al riguardo laddove tale aggravante non può ritenersi integrata, come affermato anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, per il solo fatto che l’agente sia organico ad un’associazione criminale di stampo mafioso, ma richiede la dimostrazione che l’azione delittuosa sia stata compiuta con modalità tali da ingenerare un effettivo stato di intimidazione e soggezione nella vittima. La sentenza impugnata non ha verificato se la condotta contestata al COGNOME sia stata effettivamente caratterizzata da modalità intimidatorie tali da evocare il potere coercitivo dell’associazione mafiosa ma si è limitata a ritenere la sussistenza dell’aggravante sulla base della presunta appartenenza dell’imputato a un determinato contesto criminale senza accertare la concreta incidenza di tale circostanza sulla realizzazione del reato.
Con la memoria pervenuta in data 15.9.2025, la difesa ha formulato un ulteriore motivo di ricorso con cui deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine agli artt. 110, 629 c.p. e 192 e 533 c.p.p.
Innanzitutto, si ribadisce la doglianza già esposta col ricorso con cui si era lamentato il fatto che la Corte di appello avesse tenuto in considerazione la vicenda contestata al capo 6 dell’imputazione a soggetti diversi dal ricorrente, rispetto ai quali peraltro il giudizio di primo grado è ancora pendente.
Indi si reiterano aspetti già evidenziati in ricorso, lamentando che la Corte di appello sia incorsa in evidenti travisamenti, ritenendo che nell’occasione in cui fu presente il ricorrente fu posta in essere una richiesta estorsiva, e, in ogni caso, che il predetto prese parte alla condotta criminosa estorsiva per essere contiguo all’associazione mafiosa rispetto alla quale lo stesso è stato invece mandato assolto dalla stessa Corte di appello.
Del tutto travisate risultano le stesse dichiarazioni della persona offesa che ha riferito unicamente di una proposta di acquisto, che nell’occasione non fu accolta, senza che fu posta in essere alcuna minaccia o violenza.
Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi dell’art. 611 come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni – su richiesta, con l’intervento delle parti che hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso, che presenta tratti di inammissibilità, è, tuttavia, da ritenere, nel suo complesso, infondato.
1.1.I primi due motivi, e quello aggiunto che si aggancia alle deduzioni, con essi, già svolte, in ricorso – che possono essere trattati congiuntamente agitando analoghe questioni in fatto e in diritto involgenti il ruolo del ricorrente nell’ambito della vicenda oggetto d’imputazione, messa in discussione anche nella sua stessa valenza estorsiva – sono infondati, ai limiti dell’inammissibilità.
Essi sono, in parte, anche rivolti a chiedere una rivalutazione della piattaforma probatoria e una diversa decisione di merito quanto alla attribuzione di responsabilità dell’imputato per il concorso nel reato di estorsione aggravato, aspetti insindacabili in sede di legittimità in mancanza di evidenti vizi motivazionali che attengano alla manifesta illogicità dell’argomentare del provvedimento impugnato e di violazioni di legge sul punto ( ex multis , Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482 vedi anche Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794; Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, COGNOME, Rv. 226074; nonché Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 238215; Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, COGNOME, Rv. 235716; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, 0., Rv. 262965).
Peraltro, il primo motivo, che per sua stessa impostazione ripercorre le censure di appello, che si assumono non adeguatamente vagliate, riproduce quasi del tutto fedelmente la ragione difensiva già congruamente esaminata dal giudice di secondo grado.
Invero, la Corte di Appello di Reggio Calabria ha spiegato le ragioni sulla base delle quali ritiene sussistente una condotta di concorso dell’imputato nel reato di estorsione aggravata per il quale è stata confermata la condanna.
La realizzazione della condotta, lungi dall’integrare un comportamento meramente neutro ed incolpevole, ha, secondo la logica ricostruzione della Corte di appello – svolta, ripercorrendo i dati probatori già vagliati nella sentenza di primo grado, ma tenendo conto dell’intervenuta assoluzione dal reato associativo – ha
rappresentato, invece, un’azione di partecipazione al reato molto concreta, attuata attraverso il presentarsi personalmente, unitamente ad un’altra persona (poi identificata in COGNOME NOME), presso la vittima, COGNOME NOME, già oggetto di pretesa estorsiva da parte di COGNOME, personaggio ben noto nel contesto territoriale in cui agiva, e alla stessa vittima.
A questa, invero, secondo la ricostruzione della Corte di appello in parte qua contestata in ricorso sulla sola base del fatto che la vicenda in questione non sarebbe contestata anche al ricorrente e comunque non sarebbe stata ancora oggetto di accertamento giudiziale, laddove essa è riportata al solo fine di delineare i contorni in cui si inserisce l’estorsione oggetto di imputazione ed è comunque ricostruita sulla base delle dichiarazioni della persona offesa ritenuta pienamente attendibile – si era in precedenza presentato il COGNOME, in persona, nell’ambito di ben più articolato contesto di intimidazione instaurato ai danni della predetta, che traeva origine dall’interesse mafioso, manifestato dal COGNOME con impressionante protervia e termini perentori ed inequivoci, ad assicurare alla cosca la gestione (e i profitti) della struttura ricettizia ‘RAGIONE_SOCIALE‘, confiscata dal Tribunale di Reggio Calabria e di cui il COGNOME era imprenditore candidato alla gestione, offrendosi di garantire a raso la protezione criminale dell’organizzazione (‘in quella zona ci siamo noi e con noi stai tranquillo’). E quanto alla pretesa del versamento di una somma di denaro a cadenza periodica parimenti pretesa dal COGNOME dal COGNOME, questi rammentava l’espressione, parimenti eloquente, adoperata dal predetto a sostegno della richiesta riferendo che il COGNOME aveva detto che ‘a Cittanova tutti pagano la sua famiglia perché così funziona’.
In tale contesto, intriso di contegni e frasi altamente evocativi dello spessore criminale del COGNOME, si inserisce l’ulteriore pretesa del COGNOME che attraverso un altro contatto di COGNOME NOME con la persona offesa veicolava la ‘proposta’ di acquisto da parte della persona offesa dei prodotti da lui commercializzati.
Proposta che era poi specificata quanto a termini, oggetto e perentorietà dallo stesso COGNOME nell’ambito di un incontro avuto direttamente con la persona offesa, all’esito del quale la predetta si recava presso il AVV_NOTAIO per riferirgli l’accaduto, sottolineando come il COGNOME gli avesse posto la richiesta non in termini di mera proposta commerciale ma di dovere (gli alimenti li avrebbe dovuti prendere da lui, così come avrebbe dovuto assumere presso il resort due persone che gli interessavano personalmente).
L’acquisto era stato dunque imposto dal mafioso COGNOME, peraltro ad un prezzo che solo successivamente all’acquisto sarebbe stato svelato dal boss.
Dopo di che la persona offesa aveva ricevuto, da un numero a lei sconosciuto, risultato poi essere intestato a COGNOME NOME, moglie del COGNOME, un messaggio
inviato tramite l’applicativo whatsapp contenente un elenco in formato Excel dei prodotti commercializzati dalla società RAGIONE_SOCIALE, a cui non aveva risposto.
Ed è sempre nell’ambito di tale contesto complessivo, come poi manifestatosi specificamente anche in relazione alla vicenda oggetto d’imputazione ascritta anche al ricorrente, che si inserisce, appunto, l’episodio del 9 Febbraio 2020, che vide partecipi due uomini, uno dei quali immediatamente riconosciuto ed identificato dalla persona offesa in COGNOME NOME, che si recavano, per conto del COGNOME, presso il ristorante della persona offesa chiedendogli -ponendosi come interlocutore primario l’altro soggetto poi identificato nel COGNOME – cosa avesse deciso in merito alla proposta del boss di acquisto dei prodotti (visto che non aveva più risposto al messaggio e alla proposta di vendita dal medesimo proveniente).
La persona offesa aveva al riguardo precisato di avere subito intuito che si trattava di due persone vicine a COGNOME poiché l’argomento primario di quella discussione fu anche la preoccupazione per la data della prima comunione della figlia di NOME COGNOME (la persona offesa, a seguito del danneggiamento subito dall’autovettura dei presenti ai banchetti nel giorno della prima comunione di un altro figlio del COGNOME, aveva dovuto accondiscendere alla richiesta del COGNOME di festeggiare la comunione di un altro suo figlio presso il suo locale; ed ora pendeva l’ulteriore richiesta di festeggiare anche la prima comunione della figlia).
La Corte di appello osserva al riguardo che dalla descrizione del fatto non potesse che desumersi che i due soggetti si erano presentati alla vittima non già per perorare propri esclusivi interessi, ma perpetrando consapevolmente ed esplicitamente la pretesa estorsiva del COGNOME, mostrandosi come persone a lui vicine, interessate alle sue questioni anche personali e familiari.
Il ricorso mira a parcellizzare gli elementi probatori, nel tentativo di isolare la condotta degli autori dell’azione del 9.2.2020 rispetto al contesto in cui si inserisce, attraverso, innanzitutto, una preliminare operazione di svalutazione della cornice in cui è stato giustamente inquadrato il segmento criminoso ricondotto al COGNOME e al COGNOME.
E’, invero, sulla base dei plurimi elementi convergenti nel senso ricostruito nella sentenza impugnata, opportunamente collegati tra loro, che lo scopo della ‘visita’ in questione è stato logicamente individuato anche in quello di insistere nella richiesta estorsiva, già avanzata dal COGNOME, relativa all’acquisto degli alimenti dalla società a lui riconducibile, oggetto di specifica contestazione nel presente giudizio; e si è rispetto a tale scopo, giustamente ritenuto, ai fini che occupano, un mero corollario, rimasto fuori dal fuoco dell’imputazione, il versante relativo alla
prima comunione della figlia del COGNOME, che questi reclamava di festeggiare presso il locale della persona offesa, trattandosi di fatto che, di là della sua particolare pregnanza o meno nell’ambito della ‘contrattazione’ complessiva portata avanti dall’interlocutore COGNOME, spalleggiato dalla presenza del COGNOME, ai fini del presente giudizio vale piuttosto a colorare di ulteriori aspetti illeciti la vicenda e non già, come assume la difesa, a togliere rilevanza alla pretesa dell’acquisto degli alimenti (come se il perorare anche un’altra richiesta potesse togliere valore all’altra).
In definitiva, la vicenda complessiva è stata ricostruita nel senso che essa aveva visto come protagonisti delle pretese avanzate dal COGNOME, oltre che questi e il COGNOME, anche il COGNOME e il COGNOME, che con la loro condotta, secondo la puntuale ricostruzione vagliata e recepita anche dalla Corte di appello, contribuirono senz’altro a portare aventi il discoro illecito avviato dal COGNOME.
In definitiva la ricostruzione della Corte di appello si fonda su quanto emerge dalle puntuali dichiarazioni della persona offesa, non scevre da riscontri, passate in rassegna nella sentenza impugnata nei loro punti e passaggi rilevanti ai fini che occupano, che il ricorso ha inteso di reinterpretare in chiave difensiva-alternativa, pure a fronte dell’evidenza del motivo, rappresentato dai giudici di merito, della ‘visita’ fatta alla persona offesa dai due personaggi in questione, assumendo, per altro verso, irragionevolmente, che di quanto accaduto e stesse accadendo non fosse consapevole il COGNOME, che si sarebbe trovato per caso ad accompagnare il COGNOME. Al riguardo la difesa trascura di considerare che COGNOME si era presentato al suo interlocutore con un disegno ben preciso, l’unico che in maniera evidente giustificava la sua e l’altrui presenza in quel luogo al cospetto della persona offesa, al cui manifestarsi attraverso le parole adoperate dal COGNOME peraltro il COGNOME non mostrava disappunto di sorta né si dissociava da quanto stava accadendo dinanzi a lui, essendo piuttosto rimasto lì presente mentre la persona con cui si era presentato, esponeva rimostranze e pretese in nome del noto COGNOME.
D’altra parte, come ha già più volte avuto modo di affermare questa Corte, anche a Sezioni Unite, in tema di concorso di persone nel reato, il contributo causale del concorrente morale può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all’esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso) sicché il giudice di merito ha l’obbligo di motivare circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà (Sez. U, Sentenza n. 45276 del 30/10/2003, Rv. 226101 –
01); obbligo che, per tutto quanto sopra detto, deve ritenersi adempiuto nel caso di specie da parte della Corte di appello, a fronte peraltro di quanto già argomentato nella sentenza di primo grado e dei rilievi, definiti sotto certi aspetti generici nella sentenza impugnata, ad essa mossi con l’atto di appello.
Nel caso di specie, a differenza di quanto assume il ricorso, i giudici di merito hanno, in particolare, fornito una motivazione adeguata sulla prova dell’esistenza di una partecipazione del COGNOME all’estorsione, ritenendo, in buona sostanza, necessario, ma sufficiente, che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato (in tali termini, Sez. 5, Sentenza n. 43569 del 21/06/2019, Rv. 276990 – 01; Sez. 6, n. 1986 del 6/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268972; Sez. 6, n. 7621 del 30/10/2014, COGNOME, Rv. 262492; Sez. 4, n. 4383 del 10/12/2013, COGNOME, Rv. 258185; Sez. 6, n. 2297 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258244).
E la Corte di appello ha in particolare evidenziato che, in realtà, era stata proprio la presenza del COGNOME, come spiegato dalla persona offesa (posto che questa conosceva di vista già l’imputato ma non il COGNOME), ad incutere alla stessa grave preoccupazione il giorno in cui COGNOME si presentò da lei insieme alla persona anziana da lei non conosciuta, poi identificata nel COGNOME (così testualmente il COGNOME, secondo quanto si riporta nella sentenza impugnata, riferendosi al COGNOME: ‘… e che io preciso non conoscere, attribuii la sua presenza a quella della famiglia COGNOME proprio perché, come vi dicevo, sono nativo di questi posti e i fatti in giro si conoscono molto bene. Questa presenza mi ha recato maggiore preoccupazione perché di fatto il nemico l’ho percepito molto vicino essendo che COGNOME è proprio di San Giorgio Morgeto’.).
Sono, d’altronde, da escludere dall’area di punibilità soltanto quelle condotte effettivamente di contenuto del tutto passivo, rispetto alle quali si è registrata la sola mera presenza del soggetto senza che vi fosse alcuna prova di un suo atteggiamento partecipativo in qualunque momento realizzato, laddove nel caso di specie il comportamento del COGNOME non si è affatto esaurito in un atteggiamento passivo di mera presenza, essendosi egli recato volontariamente insieme al COGNOME presso la vittima di una pretesa estorsiva già in corso, della quale era evidentemente al corrente, non essendo diversamente ravvisabile una ragione neppure indicata specificamente dalla difesa -per cui egli avrebbe dovuto accompagnare il COGNOME presso una persona che lui nemmeno conosceva.
Non confortano, pertanto, la tesi difensiva neppure gli elementi differenziali tra la connivenza non punibile ed il concorso nel delitto, poiché la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo causale alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un consapevole contributo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente (da ultimo v. Sez. 4, n. 4055 del 12/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258186; Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015, COGNOME, Rv. 265167; Sez. 3, n. 34985 del 16/07/2015, COGNOME, Rv. 264454; più risalenti: Sez. 2, n. 3274 del 20/11/1973, dep. 1974, NOME, Rv. 126801; Sez. 1, n. 8193 del 06/07/1987, dep. 1988, COGNOME, Rv. 178884).
Si deve quindi concludere che fondatamente, nel caso in esame, la Corte d’Appello ha ritenuto che non si sia in presenza di un comportamento meramente inerte e passivo da parte del ricorrente, ma di una condotta che scientemente rafforza la commissione del reato, che infine giungeva a consumazione anche grazie all’intervento del COGNOME e del COGNOME, intervento anch’esso oggetto di immediata segnalazione alle forze dell’ordine in quanto recepito nella sua effettiva valenza illecita da parte della persona offesa, che già si era rivolta ad esse per riferire, di volta in volta, delle azioni criminose perpetrate ai suoi danni dal COGNOME anche tramite i suoi collaboratori, e che, ciò nonostante, alla fine cedeva alla pretesa estorsiva acquistando i prodotti alimentari del COGNOME. Ciò ad ulteriore dimostrazione della piena efficacia estorsiva esercitata dalle condotte poste in essere da tutti i protagonisti della vicenda.
1.2. Anche il terzo ed il quarto motivo, che ruotano intorno alle aggravanti di cui all’art. 416-bis.1 c.p. e all’art. 628 comma 3 n. 3 c.p. – contestate in ricorso sia sotto il profilo della minaccia proveniente da persona facente parte dell’associazione di cui all’art. 416-bsi c.p. che sotto quello del metodo mafioso – sono privi di pregio.
Ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3, cod. pen., non è necessario che l’appartenenza dell’agente a un’associazione di tipo mafioso sia accertata con sentenza definitiva, ma è sufficiente che l’accertamento sia avvenuto nel contesto del provvedimento di merito in cui si applica la citata aggravante (Sez. 2, Sentenza n. 48448 del 31/10/2023, Rv. 285587 – 01), laddove, come giustamente, rileva la Corte di merito, nel caso di specie, la difesa si era peraltro limitata a contestare l’appartenenza del COGNOME all’associazione non anche quella del COGNOME.
Indi la Corte di appello ha correttamente concluso sulla base del principio secondo cui in tema di estorsione, la circostanza aggravante della commissione del
fatto ad opera di un partecipe all’associazione di tipo mafioso non richiede che tutti gli agenti rivestano tale qualità e si estende anche ai concorrenti nel reato, trattandosi di circostanza che, ancorché soggettiva, attiene alla qualità personale del colpevole (Sez. 5, Sentenza n. 2910 del 04/12/2024, dep. 23/01/2025, Rv. 287482 – 04).
La difesa non può dunque dolersi nella presente sede del mancato accertamento in fatto dell’appartenenza del COGNOME all’associazione di stampo mafioso, peraltro non contestata nella sua esistenza.
Quanto, infine, al metodo mafioso adoperato, esso risulta insito nella descrizione delle condotte poste in essere e nella loro riferibilità al noto personaggio COGNOME, attesi i collegamenti ravvisati dai giudici di merito, sia in relazione alle condotte come dipanatesi, sia in relazione ai soggetti che le posero in essere adoperandosi per il conseguimento dello scopo comune perseguito, e alla fine conseguito, dell’acquisto dei generi alimentari dalla società riconducibile al COGNOME da parte della persona offesa; in particolare, non privo di significato è anche il collegamento ravvisato tra il COGNOME e lo stesso COGNOME che, sebbene non ritenuto partecipe dell’associazione del RAGIONE_SOCIALE, è stato, in buona sostanza, nella sentenza impugnata, comunque indicato come persona che nel comune di San Giorgio Morgeto era notoriamente a lui vicina.
Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30/09/2025.
Il Consigliere estensore COGNOME COGNOME
Il Presidente COGNOME