Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3348 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3348 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato a Napoli il 20/11/1993
avverso l ‘ordinanza emessa in data 07/11/2024 dal Tribunale di Napoli visti gli atti, l ‘ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME ; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso; lette le conclusioni de ll’ avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato il Tribunale del riesame di Napoli, pronunciandosi in sede di rinvio disposto dalla sentenza n. 38758 del 27 giugno
2024 della Seconda sezione della Corte di cassazione, ha confermato l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli in data 28 gennaio 2024.
Questa ordinanza ha applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME in quanto ritenuto gravemente indiziato del delitto di tentata estorsione aggravata ai sensi dell’art – 416bis .1 cod. pen. dalla finalità di agevolare un’associazione di tipo mafioso e dal ricorso al metodo mafioso, commesso ai danni di NOME COGNOME in data 19 aprile 2023.
Secondo l’ipotesi di accusa, NOME COGNOME unitamente a NOME COGNOME , NOME COGNOME e ad altre persone non identificate, avrebbe concorso nell’aggressione a scopo estorsivo perpetrata ai danni di NOME COGNOME titolare di un’impresa di ristrutturazioni; gli aggressori, evocando la loro appartenenza al clan camorristico COGNOME, con minacce e violenza (e, segnatamente, con reiterati calci e pugni al volto, al tronco e alle gambe), avrebbero posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere la vittima a consegnare loro la somma di 33.000 euro, pretesa in restituzione da NOME COGNOME e la somma di 3.500 euro, richiesta da NOME COGNOME quali compensi erogati dalle stesse a Siena per lavori di ristrutturazione solo parzialmente eseguiti; l’intento estorsivo , tuttavia, non sarebbe stato raggiunto a causa della proposizione della querela da parte della vittima.
L’avvocato NOME COGNOME difensore di COGNOME, ricorre avverso questa ordinanza e ne chiede l’annullamento, deducendo tre motivi.
2.1. Con il primo motivo il difensore censura la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla credibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla vittima NOME COGNOME
Il ricorrente rileva che la Corte di cassazione, con la sentenza n. 27802 del 2024, emessa sui ricorsi proposti in sede cautelare dai coindagati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ha definito Siena come un soggetto ambiguo, avanzando dubbi sulla sua attendibilità.
Il riconoscimento fotografico di NOME operato dalla persona offesa sarebbe stato , peraltro, gravemente viziato dall’inserimento della fotografia del ricorrente in un album di soggetti «legati alla criminalità organizzata», pur essendo il medesimo estraneo a tale ambito, incensurato e senza carichi pendenti.
Il ricorrente e la vittima, peraltro, vivrebbero nello stesso quartiere. Il COGNOME, inoltre, conoscerebbe solo NOME COGNOME nel novero degli autori del reato e non già perché quest’ultimo apparterebbe al clan COGNOME, ma in quanto entrambi erano stati compagni di scuola e vivono nel INDIRIZZO.
Ad avviso del difensore, inoltre, i c.d. giardinetti, ove sarebbe avvenuto il pestaggio, sono un luogo di ritrovo del quartiere e NOME, presente per caso sul
luogo, avrebbe assistito all’aggressione solo per curiosità.
2.2. Con il secondo motivo il difensore deduce la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento al concorso del ricorrente nel reato di tentata estorsione.
Il difensore eccepisce, infatti, che il Tribunale del riesame non ha delineato il ruolo del ricorrente nel corso dell’aggressione e non ha precisato il contributo causale dal medesimo offerto alla realizzazione concorsuale del reato.
Per quanto accertato dalle indagini, la vittima era stata convocata ai ‘giardinetti’ per rendere conto delle truffe commesse ai danni dei propri clienti e il ricorrente sarebbe stato meramente un astante, presente per caso sul luogo del delitto.
2.3. Con il terzo motivo il difensore eccepisce l’inosservanza degli artt. 292, comma 2, lett. c), 274 e 275 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari, in quanto NOME è incensurato e privo di carichi pendenti; i correi, peraltro, sarebbero stati tutti sottoposti alla misura coercitiva della custodia cautelare in carcere e, dunque, non vi sarebbe attualmente alcuna possibilità di contatto con gli stessi.
Il Tribunale, inoltre, applicando la misura coercitiva della custodia cautelare nei confronti del ricorrente, avrebbe operato un’indebita discriminazione per censo, in quanto ha disposto questa misura coercitiva solo in quanto, per ragioni economiche, NOME non sarebbe stato in grado di indicare un domicilio esterno al rione, ove potesse essere eseguita la misura degli arresti domiciliari.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 19 dicembre 2024, il Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto di rigettare il ricorso.
Con memoria depositata in data 8 gennaio 2025 l’avvocato NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto i motivi proposti, sono diversi da quelli consentiti dalla legge e, comunque, manifestamente infondati.
Con il primo motivo il difensore deduce la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla credibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla vittima NOME COGNOME e alle modalità di riconoscimento cui ha fatto ricorso la polizia giudiziaria.
Il motivo è inammissibile, in quanto, pur investendo formalmente la
motivazione, è volto a pervenire ad una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito.
Esula, tuttavia, dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, COGNOME, Rv. 207944).
Sono, infatti, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
I dubbi sulle dichiarazioni rese da NOME COGNOME espressi dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 27802/2024 della Seconda sezione penale, peraltro, riguardano la credibilità del denunciante con riferimento alle truffe perpetrate nel corso dei lavori di ristrutturazione edile, iniziati e non ultimati.
Diversa è, invece, la valutazione di credibilità di Siena riferita al racconto dell’aggressione subita, in data 19 aprile 2023, ad opera di più persone, tra cui l’attuale ricorrente, che dapprima lo hanno accerchiato e poi lo hanno malmenato , per costringerlo al versamento di 32.000,00 euro.
Il Tribunale del riesame di Napoli nell’ordinanza impugnata ha, peraltro, congruamente motivato in ordine alla credibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa sulla base della dettagliata ricostruzione dei fatti, alla certezza del riconoscimento del ricorrente operato dalla vittima, a ll’assenza di motivi di risentimento o astio verso un soggetto che la persona offesa nemmeno conosceva, a lle dichiarazioni rese dal ricorrente nel corso dell’interrogatorio , che non ha negato legami con taluni degli aggressori, aggiungendo di essere solito frequentare i luoghi in cui si consumò l’aggressione.
Secondo le Sezioni unite di questa Corte, peraltro, le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE , Rv. 253214 -01, in motivazione la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di
tali dichiarazioni con altri elementi).
L’aggressione subita dalla persona offesa è, peraltro, riscontrata dalle intercettazioni ambientali, svolte nei momenti antecedenti e concomitanti al l’aggressione posta in essere dagli imputati, dai messaggi telefonici scambiati, dopo l’aggressione, da COGNOME e COGNOME e dal l’ intercettazione telefonica della conversazione tra COGNOME e COGNOME dopo il pestaggio.
Con il secondo motivo il difensore censura la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento al concorso del ricorrente nel reato di tentata estorsione commesso dagli altri partecipi.
5. Il motivo è manifestamente infondato.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità del concorso di persone nel delitto di estorsione è sufficiente anche la semplice presenza, purché non meramente casuale, sul luogo della esecuzione del reato, quando sia servita a fornire all’autore del fatto stimolo all’azione o maggior senso di sicurezza nel proprio agire, palesando chiara adesione alla condotta delittuosa ( ex plurimis : Sez. 2, n. 28895 del 13/07/2020, COGNOME, Rv. 279807 -01, fattispecie in cui l’imputato, presente sul luogo dell’incontro fissato dall’estorsore con la persona offesa per la consegna del denaro, aveva intrattenuto il soggetto che aveva accompagnato la persona offesa all’appuntamento; Sez. 2, n. 50323 del 22/10/2013, COGNOME, Rv. 257979 -01; Sez. 1, n. 4805 del 11/03/1997, Perfetto, Rv. 207582 -01; Sez. 2, n. 40420 del 08/10/2008, Bash, Rv. 241871).
Il Tribunale del riesame di Napoli ha fatto corretta applicazione di questi principi.
L’ordinanza impugnata dà atto che il ricorrente , pur non avendo picchiato la vittima, non ha assunto un contegno puramente neutrale, come ritenuto nell’ originaria ordinanza del Tribunale del riesame, annullata dalla sentenza rescindente.
Il ricorrente, infatti, ha contribuito a rafforzare la condotta degli altri correi e a rendere più vulnerabile la posizione della persona offesa, accerchiandola («stringendolo in una morsa», pag. 7 dell’ordinanza impugnata) insieme ad altre persone, per impedirgli di fuggire e di sottrarsi al pestaggio.
Proprio in tale comportamento, il Tribunale ha correttamente individuato il contributo causale consapevolmente arrecato dal ricorrente alla realizzazione concorsuale del delitto contestato, sia sotto il profilo morale, in quanto il ricorrente ha rafforzato l’altrui proposito criminoso, che sotto il profilo materiale, in quanto NOME ha cooperato all’impedimento della fuga della vittima .
Corretta è, del resto, nei limiti delibatori propri della sede cautelare, la qualificazione della condotta accertata quale tentata estorsione, in quanto il Tribunale ha rilevato che l ‘azione intimidatoria e violenta posta in essere dagli indagati era rivolta non solo a far ottenere alle committenti le somme asseritamente dovuto da Siena, in ragione della mancata esecuzione dei lavori pattuiti, ma anche un profitto ingiusto, in quanto eccedente l’ammontare di tali crediti e, dunque, palesemente illecito.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e di estorsione si distinguono in relazione all ‘ elemento psicologico, poiché nel primo, l ‘ agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, nel secondo, invece, egli persegue il conseguimento di un profitto nella consapevolezza della sua ingiustizia; ne deriva che integra gli estremi del delitto di estorsione la condotta del terzo estraneo al rapporto obbligatorio, estrinsecantesi nell’evocazione dell ‘ appartenenza ad una organizzazione criminale volta a realizzare profitti mediante il recupero, con modalità criminose, di crediti altrui ( ex plurimis : Sez. 2, n. 46638 del 3/11/2015, Stradi, Rv. 265214 -01, in motivazione, la S.C. ha precisato che in tal modo l ‘ agente esercita una forza intimidatoria indice del fine di procurarsi un profitto ingiusto, esorbitante rispetto a quello di recupero di somme di denaro sulla base di un preteso diritto; conf. Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 02).
Con il terzo motivo il difensore eccepisce l’inosservanza degli artt. 292, comma 2, lett. c), 274 e 275 cod. proc. pen. e il vizio di manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione di sussistenza delle esigenze cautelari e dell’adeguatezza della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere .
7. Il motivo è inammissibile per aspecificità.
In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cessazione che deduca l’ assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito ( ex plurimis : Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01).
Il ricorrente propone, dunque, una diversa valutazione delle risultanze probatorie in materia di esigenze cautelari, senza confrontarsi con le ragioni esplicitate nell’ordinanza impugnata e dimostrarne l’illegittimità o la manifesta illogicità.
Il Tribunale del riesame, peraltro, ha fatta corretta applicazione del regime presuntivo posto dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e ha congruamente escluso l’insussistenza delle esigenze cautelari e dell’idoneità delle esigenze cautelari ad essere soddisfatte con misure diverse dalla custodia cautelare in carcere, in ragione della gravità della condotta accertata, commessa con inaudita violenza da soggetti riconosciuti come appartenenti ad una pericolosa associazione di tipo mafioso e dell ‘ indisponibil ità di un domicilio da parte dell’indagato , che possa impedire agevoli contatti con gli altri correi e che sia idoneo a recidere il legame ambientale e territoriale con la consorteria criminale nel cui ambito è maturata la vicenda in contestazione.
Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell ‘ art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2025.