Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25979 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25979 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: IMPERIALI COGNOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOMENOME COGNOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il 03/10/1960
avverso la sentenza del 21/11/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato COGNOME in difesa di COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno in epigrafe che, decidendo sull’appello del pubblico ministero, ha riformato la sentenza assolutoria pronunciata dal Tribunale di Salerno il 27/9/2023, riconoscendo la penale responsabilità dell’odierno ricorrente in ordine al delitto dì tentata estorsione aggravata concorso e, con esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 I. n. 203/1991, lo ha condannato alla pena ritenuta di giustizia.
2. La sentenza di primo grado aveva riconosciuto come incontrovertibilmente provato che la famiglia COGNOME, dedita ad attività imprenditoriale dì coltivazione e commercializzazione di fiori in diverse sedi, allorquando aveva iniziato a svolgere tale attività anche nel Comune di Eboli, era rimasta vittima di estorsione da parte di ignoti, che una prima volta si erano avvicinati all stabilimento di coltivazione dei fiori dicendo a NOME COGNOME di riferire al padre NOME che “g amici di Eboli” lo aspettavano ad un determinato incrocio e, poi, avevano formulato la richiesta di pagamento del 2 o 3% dell’importo da loro investito nella realizzazione dell’azienda. I COGNOME si erano allora rivolti al COGNOME, persona che svolgeva in zona la loro stessa attività e ch spontaneamente in passato si era offerto di aiutarli qualora avessero avuto “problemi”: lo stesso, pertanto, aveva loro procurato un incontro con gli estorsorì al quale aveva partecipato anch’egli, ma all’esito di questo i COGNOME avevano ottenuto solo una riduzione a centomila euro dell’importo richiesto ed una rateizzazione dei pagamenti.
Dopo un secondo incontro con gli estorsori, però, due persone si erano presentate nuovamente in azienda consegnando a NOME COGNOME una bottiglia contenente benzina, invitando a berla “alla nostra salute”, ed i COGNOME si erano, allora, rivolti ad altra persona riten influente, NOME COGNOME che aveva procurato un ulteriore incontro, chiedendo in cambio l’assunzione di sua nuora, NOME COGNOME, di fatto solo formale in quanto questa non si era mai presentata al lavoro né era mai stata pagata.
La sentenza del Tribunale di Salerno – che aveva assolto anche la COGNOME dal reato contestatole di estorsione consumata per non aver commesso il fatto – aveva assolto il COGNOME dalla contestazione di aver concorso nel tentativo di estorsione posto in essere da ignoti ai danni dei COGNOME sul rilievo che il predetto non aveva chiesto né ricevuto nulla in cambio del suo intervento e che non poteva ritenersi raggiunta la prova che si fosse attivato per motivi diversi dalla mera solidarietà umana e soprattutto dal fine di evitare qualunque pregiudizio al Cuomo e che fosse, invece, animato dalla volontà di favorire anche solo indirettamente gli estortori.
Decidendo sull’appello proposto dal pubblico ministero, la Corte territoriale ha ribaltato la sentenza assolutoria di primo grado valorizzando – in estrema sintesi – questi elementi:
il COGNOME si era proposto spontaneamente per “risolvere problemi” ed i COGNOME, sapendo che aveva “un fratello che naviga comunque nella criminalità” sì rivolsero a lui pensando potesse
aiutarli;
il COGNOME aveva mostrato di sapere chi fossero gli estorsori, che allora nessuno conosceva e che egli, invece, conosceva “tramite il fratello e quindi avrebbe potuto mediare”;
il COGNOME aveva, quindi, organizzato l’incontro con gli estorsori, e “faceva capire che facevano capo al fratello”.
La Corte territoriale riteneva anche dimostrato che il COGNOME non avesse agito per mera solidarietà umana nei confronti dei COGNOME sulla base di diversi elementi: questi non avevano ottenuto alcun vantaggio dall’incontro organizzato dal ricorrente con sconosciuti, al di fuori d una mera dilazione nei pagamenti e, dopo l’ultimo incontro, nell’apprendere da NOME COGNOME che “non avrebbe pagato nulla perché non era in grado di farlo”, lo aveva anche rimproverato perché doveva evitare di “fare cose così grosse”, per poi disinteressarsi dei Cuomo, anche quando questi, pochi giorni dopo avevano subìto un incendio.
Il ricorso per cassazione è affidato ad un unico ed articolato motivo di impugnazione con il quale si deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla riten sussistenza della penale responsabilità del COGNOME a titolo di concorso nella tentata estorsione.
Il ricorrente contesta che dalla motivazione della sentenza impugnata possa riconoscersi un effettivo assecondamento dell’iter criminis, da parte del COGNOME. Invero, la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di Appello ad avviso del ricorrente omette di considerare adeguatamente che: – i COGNOME erano rivolti al COGNOME di loro iniziativa, dopo che questo si era posto disposizione per risolvere problemi con riferimento alla sua esperienza lavorativa nello stesso lavoro, svolto da anni, con banchi del mercato vicini; – non vi sarebbe evidenza che il COGNOME si sia posto al servizio degli estortori, mentre la sentenza di appello ignora del tutto il fatto c COGNOME si siano poi rivolti al COGNOME, nel frattempo deceduto.
In tal modo la sentenza impugnata, ad avviso del ricorrente, non avrebbe soddisfatto l’onere della motivazione rafforzata imposto al giudice di appello che intenda ribaltare la sentenza di primo grado, soprattutto se assolutoria, in quanto non si è confrontata con tutte le argomentazioni del primo giudice, giacché non avrebbe ricostruito in maniera certa: a) né il contributo causale effettivamente offerto dal COGNOME nell’esecuzione dell’iter criminis; b) né le modalità con cui avrebbe assunto il ruolo di indispensabile ponte tra persona offesa ed autori del fatto al fine di agevolare la condotta di questi ultimi.
Tra l’altro la sentenza di primo grado aveva evidenziato che i COGNOME si erano rivolti al COGNOME per amicizia ed al COGNOME perché influente e che il primo si era tirato indietro quando le persone offese si erano rivolte al secondo, né si comprende perché la sentenza abbia attribuito rilievo al fatto che i COGNOME non si erano rivolti al COGNOME quando avevano subìto furti di attrezzature, ma solo quando capirono di essere destinatari di richieste estorsive.
1. Il ricorso è inammissibile, in quanto prospetta argomentazioni che si discostano dai parametri dell’impugnazione di legittimità stabiliti dall’art. 606 cod. proc. pen. perc manifestamente infondati, anche quando non attengono esclusivamente al merito della decisione impugnata.
Contrariamente all’assunto del ricorrente, infatti, la Corte territoriale ha ampiamente soddisfatto l’onere della motivazione rafforzata riconosciuto dal costante insegnamento di questa Suprema Corte, secondo cui il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatori e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza e non può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (cfr., Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, COGNOME, Rv. 254638-01; Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Fu, Rv. 261327-01).
La Corte territoriale ha soddisfatto ampiamente tale onere, evidenziando una pluralità di elementi, non adeguatamente valorizzati dalla sentenza di primo grado, che inducevano ad escludere che l’intervento di intermediazione tra il COGNOME ed i COGNOME abbia avuto la sola finalità di perseguire l’interesse della vittima e sia stato dettato da motivi di solidarietà umana, così d poter escludere il concorso del predetto nel reato di estorsione tentata (Sez. 2, n. 37896 del 20/07/2017, COGNOME, Rv. 270723-01): ha evidenziato, infatti, come sia stato lo stesso COGNOME a proporsi spontaneamente ai COGNOME per “risolvere problemi”, qualora ne avessero avuto bisogno, tanto che le persone offese si erano rivolte a lui, pensando potesse aiutarli, sapendo che aveva “un fratello che naviga comunque nella criminalità”, quando, appena terminati i lavori per l’esecuzione delle opere per le quali avevano ricevuto un finanziamento, ed avviata la relativa attività di produzione floreale, compresero di essere rimasti vittime di richieste estorsive.
Soprattutto, la sentenza impugnata ha evidenziato come il COGNOME avesse mostrato di sapere chi fossero gli estorsori, indicandoli come “amici del fratello” (NOME COGNOME, che la sentenza ha evidenziato risultare “effettivamente pregiudicato per delitti di estrema gravità ed anche per quello di cui all’art. 416-bis cod. pen.”), confermando tale conclusione con l’organizzazione di un incontro con persone sino ad allora sconosciute e successivamente organizzando anche un secondo incontro con NOME COGNOME, all’esito infruttuoso del quale erano seguiti i rimproveri del COGNOME e, quindi, l’apparente disinteresse di questo per i COGNOME, anche quando questi, pochi giorni dopo, avevano subìto un incendio nel vivaio, elementi tutti ritenuti convergenti nell’indicare come il ricorrente abbia agito non già per solidarietà umana, bensì con la coscienza e volontà di contribuire, con il proprio comportamento, al raggiungimento dello scopo perseguito dagli estorsori.
A fronte di tale percorso argomentativo, del tutto privo di illogicità evidenti, il ricorren limita a prospettare una mera “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione che esula dai poteri della Corte di cassazione (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997,
COGNOME, Rv. 207944-01).
2. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma
ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deliberato in camera di consiglio, il
10
aprile 2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Imperiali
Il Presidente