Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12988 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12988 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1.COGNOME NOME, nato a Carpi il DATA_NASCITA
rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, di
fiducia
e da
2.COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO, di fiducia
avverso la sentenza in data 27/02/2023 della Corte di appello di Bologna, quinta sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che è stata avanzata rituale richiesta dalle parti di trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicemore 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112;
letta la memoria difensiva a firma AVV_NOTAIO contenente motivi nuovi nell’interesse di COGNOME NOME; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udita la discussione della difesa di parte civile COGNOME NOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto di dichiararsi inammissibili ovvero di rigettare i ricorsi proposti, con condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali;
udita la discussione della difesa dei ricorrenti, AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, quest’ultimo comparso anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che si sono riportati ai rispettivi motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 27/02/2023, la Corte di appello di Bologna, previa riqualificazione del fatto di cui al capo B) nel delitto di cui all’art. 2 d.lgs. 74/20 confermava le condanne pronunciate in primo grado dal Tribunale di Reggio Emilia in data 30/03/2022, nei confronti di NOME COGNOME (anni quattro di reclusione ed euro 700 di multa) per il delitto di cui agli artt. 81 cpv., 110, 629, primo e secondo comma, cod. pen. (capo A) e per il delitto di cui al capo B) d’imputazione (limitatamente alle condotte commesse dal 13/09/2011 al 03/12/2012) come riqualificato e nei confronti di NOME COGNOME (anni due, mesi due, giorni venti di reclusione ed euro 445 di multa) per il solo delitto di cui al capo A), con le pene accessorie e le misure di sicurezza come per legge e la condanna al risarcimento danni a favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio.
Avverso la predetta sentenza, nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, è stato proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Ricorso di NOME COGNOME.
Primo motivo: vizio di motivazione, in parte per apoditticità ed in parte per illogicità manifesta, in riferimento all’attività tecnica effettuata nel corso del indagini in relazione al capo A). La Corte territoriale, in termini del tutto assertivi a fronte di un atto di gravame che aveva posto censure specifiche con riferimento all’attività tecnica effettuata nel corso delle captazioni nonché a quella legata alla perquisizione compiuta dalla polizia giudiziaria il giorno dell’esecuzione del provvedimento cautelare a carico del COGNOME, stigmatizzando l’omessa
motivazione del primo giudice sulle critiche sollevate dal consulente della difesa (ing. COGNOME) nei confronti delle valutazioni e degli accertamenti effettuati da perito prof. COGNOME, si è limitata a riconoscere la piena condivisibilità delle affermazioni del perito e ad affermare che dette censure non intaccavano il compendio probatorio complessivo.
Secondo motivo: vizio di motivazione, in parte per apodtticità ed in parte per illogicità manifesta, in riferimento alla ricostruzione dei fatti offerta dalla par civile NOME COGNOME in relazione al capo B). La conferma della decisione di primo grado si fonda sulla sentenza di condanna a carico della persona offesa, costituita parte civile NOME COGNOME, reo confesso per il reato di cui all’art. 8 d.lgs. 74/2000, sentenza di condanna, ritenuta corroborata da elementi di riscontro, acquisita ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen.: il controllo che avrebbero dovuto fare, sia il primo che il secondo giudice – ma ciò non è avvenuto – era quello di verificare se gli elementi a riscontro godessero delle prerogative richieste per poter dar luogo alla prova logica.
Il ricorrente ha presentato motivi nuovi che sviluppano ulteriori e circoscritte censure in riferimento al primo motivo del ricorso principale con il quale si è dedotto il vizio motivazionale in ordine all’attività tecnica effettuata nel cors delle indagini preliminari.
4. Ricorso di NOME COGNOME.
Primo motivo: violazione di legge in relazione all’art. 629 cod. pen. per inesistenza dei presupposti applicativi. Manca, sotto il profilo oggettivo, sia l’ingiusto profitto che l’altrui danno. L’asserita persona offesa doveva al COGNOME la somma di euro 375.000 per prestiti dal medesimo ricevuti a vario titolo. Le azioni giudiziali di recupero del credito non sono mai iniziate perché sarebbero rimaste sicuramente improduttive di effetti e non perché le prestazioni correlate fossero illecite. In relazione al profilo soggettivo del reato (anch’esso inesistente), va evidenziato come, ai fini della punibilità, si renda necessario che l’agente si prefiguri ed abbia quale fine l’ingiustizia del profitto, cioè abbia la consapevolezza (nella specie, inesistente) di usare lo strumento della violenza, fisica o morale, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto che sia ingiusto, con necessaria estensione del dolo anche al profilo dell’ingiustizia del profitto. La fattispecie, a più, appare sussumibile sotto la figura dell’art. 393 cod. pen.
Secondo motivo: vizio di motivazione. Entrambi i giudici di merito hanno ritenuto sussistente l’ipotesi del concorso in estorsione a carico del COGNOME ai danni del COGNOME in relazione al fatto che questo, con il suo partecipare fisico all’incontro presso il Centro Commerciale La Meridiana e presso i locali della sua società RAGIONE_SOCIALE, in sole due occasioni, avrebbe rafforzato gli asseriti propositi
estorsivi posti in essere dal RAGIONE_SOCIALE. Detta ricostruzione dei fatti nasce da un’insanabile forzatura degli elementi processuali, piegati ed interpretati soggettivamente dai giudicanti al solo unico fine di costruire una motivazione apparentemente logica a giustificazione ed a supporto della pronuncia di condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono entrambi inammissibili.
2. Ricorso nell’interesse di COGNOME NOME.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione, in quanto la Corte territoriale, a dispetto delle censure difensive avanzate con l’atto di appello e rivolte, per lo più, a dimostrare l’irregolarità procedirnentale dell’attivi di raccolta delle captazioni telefoniche, si sarebbe limitata, con motivazione assertiva, a rigettare le doglianze, condividendo, nel complesso, il contenuto delle contrarie osservazioni peritali, ed, in ogni caso, ritenendole ininfluenti rispett all’ampia portata dei dati probatori a carico.
Preliminarmente, occorre rilevare come la doglianza formulata reiteri pedissequamente la medesima censura già dedotta in appello ed ivi disattesa (cfr., Sez. 4, n. 15497 del 22/02/2002, COGNOME, Rv. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, COGNOME, Rv. 256133) con motivazione congrua ed altamente persuasiva. Invero, con orientamento costante, questa Suprema Corte ha affermato, sul punto, che deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr., Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME Sami, Rv. 277710).
Invero, la Corte territoriale ha valorizzato come gli asseriti profili d irregolarità del compendio intercettivo siano stati sottoposti ad adeguata contrapposizione dialettica da parte del perito incaricato dal Tribunale, nonché ampiamente valutati nel corso del giudizio di primo grado con motivazione coerente, logica ed esaustiva.
Né la censura coglie nel segno in punto di illogicità della motivazione.
Per vero, la Corte d’appello ha valorizzato, sul punto, l’irrilevanza delle prospettate violazioni rispetto all’ampio quadro probatorio, rappresentato dai plurimi e convergenti elementi a carico, in tal modo sottoponendo a prudente giudizio di resistenza i profili di irregolarità dedotti dalla difesa.
Per altro verso, come sopra specificato, rispetto alle conformi valutazioni dei giudici di merito, la censura appare generica in difetto del compiuto specifico riferimento a concreti profili di interrelazione tra le dedotte violazioni procedural ed il complessivo giudizio di responsabilità formulato.
2.2. Il secondo motivo, con il quale si deduce vizio di motivazione con riferimento agli elementi di riscontro alla ricostruzione dei fatti offerta dal persona offesa, è indeducibile per genericità, in quanto non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza che, con percorso argomentativo insindacabile, ha dettagliatamente dato conto dei plurimi e convergenti elementi di riscontro nella valutazione dell’accertamento contenuto nella sentenza irrevocabile a carico del COGNOME, ex art. 238-bis cod. proc. pen. con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall’istruttoria dibattimenta con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico-giuridico, degli argomenti a sostegno della natura fittizia delle fatture emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE amministrata dal ricorrente.
Rispetto a tale quadro, la censura proposta si limita, nella sostanza, ad una sterile riproduzione testuale del contenuto dei rilievi difensivi già proposti con l’att di appello, non senza sollecitare una diversa ed inammissibile rilettura del dato probatorio, sconfinando nel merito.
Le conclusioni circa la responsabilità del ricorrente risultano, pertanto, adeguatamente giustificate dalla Corte territoriale attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede, non essendo il controllo di legittimità deputato all’apprezzamento diretto della valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e complessivamente plausibile.
Esula infatti dai poteri cognitivi della Suprema Corte quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (cfr., Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074).
3. Ricorso nell’interesse di COGNOME NOME.
3.1. Il primo motivo, con il quale il ricorrente deduce violazione di legge per insussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del reato di cui all’art. 629
cod. pen., è generico, poiché non articola alcun profilo di effettiva critica dell sentenza impugnata.
Invero, il ricorrente si è, per lo più, limitato a riprodurre le stesse question già devolute in appello e puntualmente esaminate e disattese, con motivazione del tutto coerente ed adeguata che non è stata in alcun modo sottoposta ad autonoma e argomentata confutazione.
La Corte territoriale, ancora una volta, con argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede, ha incensurabiimente motivato circa l’illiceità de profitto, valorizzando, al di là della regolarità dei pregressi rapporti commerciali tra il COGNOME ed il Barghiacchi, l’illiceità del fondamento causale della pretesa restitutoria, ancorata alla consegna di 200.000 euro per sorreggere la giustificazione di fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti, circostanza con la quale il ricorrente omette di confrontarsi.
3.2. Anche gli ulteriori profili di censura contenuti nel secondo motivo di ricorso e relativi alla insussistenza della prova di una condotta minacciosa a carico del COGNOME e dell’elemento soggettivo sono generici e versati in fatto, poiché diretti ad una non consentita rivalutazione degli elementi istruttori posti a sostegno della trama argomentativa della sentenza.
Le censure formulate, invero, non si confrontano con la motivazione, che ha dato conto, con percorso argomentativo esaustivo, lineare ed altamente persuasivo, dell’effettivo rafforzamento del timore incusso alla persona offesa a cagione della presenza costante del COGNOME a numerosi incontri finalizzati alla restituzione delle somme, come pure della conseguente incontestabile consapevolezza dell’ingiustizia del profitto avuto di mira.
La Corte territoriale ha, in tal modo, correttamente valorizzato, a fondamento del concorso del ricorrente nell’estorsione, la presenza del correo, insieme al RAGIONE_SOCIALE, all’appuntamento da quest’ultimo fissato con la persona offesa per la riscossione della somma estorta.
Così facendo, la Corte si è conformata al condivisibile insegnamento di legittimità in tema di concorso di persone nel reato, secondo il quale anche la semplice presenza, purché non meramente casuale, sul luogo della esecuzione del reato è sufficiente ad integrare gli estremi della partecipazione criminosa, quando sia servita a fornire all’autore del fatto stimolo all’azione o un maggiore senso di sicurezza nella propria condotta, palesando chiara adesione alla condotta delittuosa (cfr., Sez. 2, n. 40420 del 08/10/2008, NOME, Rv. 241871).
Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 615 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di
euro tremila, così quantificata in ragione dei profili di colpa emergenti dai ricorsi in favore della Cassa delle ammende. Condanna altresì gli imputati, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile COGNOME NOME che si liquidano in euro 3.686,00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma il 01/03/2024.