Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7459 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7459 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME nato a ISOLA DI CAPO RIZZUTO il 27/08/1971 COGNOME nato a ISOLA DI CAPO RIZZUTO il 14/09/1991
avverso la sentenza del 02/07/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto P.G. COGNOME il quale ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME del foro di CATANZARO, difensore di COGNOME e di COGNOME, insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
L’avvocato COGNOME del foro di ROMA, difensore di COGNOME e COGNOME insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME e COGNOME NOME, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, ricorrono per cassazione avverso la sentenza in data 2/07/2024 della Corte di appello di Catanzaro che, in parziale riforma di quella del Tribunale di Catanzaro, ha assolto gli imputati dal reato di cui al capo 10) per non aver commesso il fatto e, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis. 1 cod. pen., ha rideterminato la pena in ordine ai delitti di concorso in usura aggravata ed estorsione loro rispettivamente ascritti.
Le difese affidano il ricorso a diversi motivi che, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Ricorso di COGNOME NOME (capi 1, 6 e 7 della rubrica).
3.1. Vizio di motivazione e travisamento della prova in ordine all’affermazione di responsabilità in ordine all’usura di cui al capo 1) in danno di NOME
3.2. Vizio di motivazione e travisamento della prova in ordine all’affermazione di responsabilità in ordine all’usura e all’estorsione di cui rispettivamente ai capi 6) e 7) 1 in danno di COGNOME NOME.
3.3. Vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
3.4. Vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena.
Ricorso di COGNOME NOME (capi 6 e 7 della rubrica, usura ed estorsione ai danni di COGNOME NOME).
4.1. Vizio di motivazione e travisamento della prova in ordine all’affermazione di responsabilità.
4.2. Vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
4.3. Vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena, con particolare riguardo all’aumento operato per la continuazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi vanno rigettati essendo i motivi non fondati e/o manifestamente infondati.
Ai fini dello scrutinio dei motivi di entrambi i ricorsi – che presentano aspetti comuni in ordine all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi 6) e 7)
che riguardo al trattamento sanzionatorio – occorre partire dalla posizione del COGNOME NOME che risulta imputato, rispetto a COGNOME NOME, anche di un’altra ipotesi di usura che avrebbe commesso, sempre in concorso con COGNOME NOME (separatamente giudicato), ai danni di COGNOME NOME (capo 1, della rubrica).
Sul punto, va anzitutto affrontato il rilievo difensivo con cui si eccepisce l’inutilizzabilità della testimonianza del teste di p.g. COGNOME nella parte in cui, ai fini dell’identificazione dell’imputato quale interlocutore del COGNOME, aveva richiamato il contenuto di un’intercettazione di cui al progressivo n. 915 del RIT n. 272, trattandosi di dato probatorio che non sarebbe mai stato posto a diposizione della difesa in quanto non inserito nella relativa informativa.
Al riguardo, va anzitutto osservato che dall’esame dell’atto di appello e dei motivi aggiunti depositati in quella sede dalla difesa non risulta che l’eccezione fu specificamente dedotta. Né è allegato che eccezioni vennero formulate al Tribunale a seguito dell’esame del teste. La difesa, per come risulta anche dallo stesso riepilogo dei motivi (anche aggiunti) operato dalla sentenza impugnata contestò in appello la rilevanza probatoria delle intercettazioni ai fini dell’identificazione del ricorrente e del suo coinvolgimento nella vicenda usuraria.
Sebbene l’inutilizzabilità delle prove possa essere dedotta dalle parti anche per la prima volta nel giudizio di cassazione e rilevata d’ufficio anche dal giudice di legittimità ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., occorre però che la relativa eccezione sia esaustivamente allegata e non ridondi in accertamenti di fatto di esclusiva competenza del giudice del merito.
La difesa ha riprodotto nel motivo di ricorso (v. pag. 6 e 7 numerazione apposta dal Collegio non avendo proceduto la difesa a numerare le pagine) uno stralcio dell’esame del teste di p.g., da cui risulta che il contenuto dell’intercettazione non venne riportato nell’informativa, ma nulla depone nel senso di ritenere che le operazioni di intercettazione relative a quel RIT – a prescindere dal rilievo che alle relative conversazioni sia poi stato dato dal p.m. e dalla p.g. – non siano state legittimamente autorizzate e svolte, né tantomeno che le bobine e/o i relativi nastri contenti le registrazioni dei colloqui intercettati no siano stati depositati all’atto dell’esercizio dell’azione penale, così da compromettere alla difesa la possibilità di ascolto. La questione, pertanto, per come dedotta è priva di specificità e, richiedendo accertamenti di fatto, andava devoluta al giudice del merito.
In ogni caso – e di ciò dà atto la difesa nel ricorso – tale conversazione non risulta essere stata valorizzata dalla Corte territoriale a corredo degli elementi di
prova ritenuti decisivi per avvalorare l’esistenza di un rapporto tra il ricorrente ed il COGNOME NOME, da cui potesse ricavarsi che le somme da quest’ultimo prestate a tasso usurario alla p.o. (COGNOME NOME) fossero periodicamente destinate anche al COGNOME NOME.
Invero, dalla lettura della sentenza impugnata risulta richiamata altra conversazione avente contenuto analogo captata lo stesso giorno e di cui al progressivo n. 147 (vedi sul punto anche pag. 13 della sentenza di primo grado), con la conseguenza che il profilo di inutilizzabilità dedotto non assumere alcuna valenza decisiva ai fini del paventato vizio di motivazione relativo all’identificazione dell’imputato come interlocutore del Bianco, tema che resta, pertanto, affidato nell’ambito di quello più generale involgente il ricorrente a titolo di concorso con il Bianco nell’usura – alla disamina degli altri elementi di prova al riguardo declinati dalle sentenze di merito.
Tanto premesso, la circostanza che nel prestito usurario elargito dal Bianco al Paparazzo vi fosse coinvolto anche qualcun altro che, a sua volta, era destinatario delle somme che questi riscuoteva, è stato ricavato dalle dichiarazioni della stessa p.o., la quale proprio dal Bianco ha riferito di avere appreso che doveva portare le somme a certi soggetti gravitanti in ambienti malavitosi, “credo fossero di Isola di Capo Rizzuto”.
Il legame tra il COGNOME e personaggi di Isola Capo Rizzuto trova conferma nell’esito di un’intercettazione del 18 maggio 2020 riportata dalla sentenza di primo grado (v. pag. 6) in cui il primo, nel pieno svolgimento del rapporto usurario, non solo esortava il secondo al pagamento di quanto dovuto, ma gli rappresentava l’esigenza di doversi recare in Isola di Capo Rizzuto, per come poi accertato mediante attività tecnica che consentiva di appurare che in quel luogo il Bianco si era poi effettivamente portato.
Al coinvolgimento dell’imputato, il quale risulta essere nato e residente nel comune di Isola di Capo Rizzuto, il giudice del merito giunge attraverso il contenuto di altra intercettazione, contrassegnata da progressivo differente (il n. 143) rispetto a quello oggetto della censura di inutilizzabilità, effettuata proprio il 18 maggio 2020 e successiva alla conversazione sopra indicata, che dà conto di come il COGNOME, ivi giunto e lasciato il cellulare in macchina, si incontri con il ricorrente, la cui voce viene riconosciuta dal teste di p.g. che sovraintendeva all’attività tecnica anche in forza di altre intercettazioni che vedono sempre come interlocutore l’imputato (e che sono riportate nella sentenza di primo grado).
Posto che dalla prima conversazione – il cui contenuto è riportato nella sentenza impugnata (v. pag. 12) – la Corte di merito ha ricavato:
che l’oggetto del dialogo tra Bianco e COGNOME fossero le somme che il secondo doveva versare a titolo di interessi usurari e che, tuttavia, quel giorno non aveva, cosicché ha chiesto di consegnarle l’indomani;
che il Bianco in esordio della conversazione ha affermato di doversi recare a Isola di Capo Rizzuto e che, quando ha appreso che il Paparazzo non poteva consegnargli subito il denaro dovuto per gli interessi, ha ribadito che doveva andare ad Isola di Capo Rizzuto quella stessa mattina e che quindi si profilava l’eventualità di poter litigare con il soggetto che doveva raggiungere.
Ne consegue che non manifestamente illogico si rivela l’aver messo in diretta correlazione la trasferta del Bianco ad Isola di Capo Rizzuto, dove di lì a poco si sarebbe incontrato con il ricorrente, con il denaro dovuto dal Paparazzo per il prestito usurario.
Del resto, la lettura in termini accusatori del dato costituito dall’incontro del ricorrente col COGNOME si ricava anche dal coinvolgimento del ricorrente nell’ulteriore vicenda usuraria che lo vede concorrente con il padre NOME nell’usura e nell’estorsione ai danni di COGNOME NOME a seguito di un prestito sempre elargito dal COGNOME NOME. Benché si tratti di capi di imputazione differenti, la seconda vicenda dà indubbiamente conto di un legame col COGNOME che vada al di là delle alternative lecite pur prospettate dalla difesa, sfociando, anche, in quella comunanza di interessi dovuta all’erogazione di prestiti a tasso usurario.
Peraltro, a conferma che l’incontro avuto dal COGNOME col ricorrente vertesse sul debito usurario contratto dalla p.o. non depone soltanto la successione temporale degli venti per come ricostruita in sentenza, ma anche il dato indiziario costituito dal fatto che in quell’occasione il COGNOME avesse incontrato il ricorrente premunendosi di lasciare il telefono cellulare in macchina, comportamento che è stato logicamente letto quale misure precauzionale assunta a difesa del contenuto del dialogo, alla luce delle ulteriori captazioni nel corso delle quali – precisa il primo giudice – “essi giudicabili invitavano gli interlocutori a morigerare i termini delle loro conversazioni telefoniche, potendo, così, apprezzarsi detta inclinazione alla riservatezza, tipica della condivisione di affari delittuosi” (pag. 33).
A fronte di tali emergenze, le censure mosse con il ricorso non si rivelano decisive ai fini del paventato vizio di motivazione, ridondando in questioni di merito, alla luce dei principi affermati dalla Corte di legittimità in materia secondo cui:
ai fini dell’identificazione degli interlocutori coinvolti in conversazion intercettate, il giudice ben può utilizzare le dichiarazioni degli ufficiali e agenti d polizia giudiziaria che abbiano asserito di aver riconosciuto le voci di taluni
imputati, così come qualsiasi altra circostanza o elemento che suffraghi detto riconoscimento, incombendo sulla parte che lo contesti l’onere di allegare oggettivi elementi sintomatici di segno contrario (Sez. 6, n. n. 13085 del 03/10/2013, Rv. 259478);
– costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite. (Sez. 2, n. 35181 del 22/5/2013, Vecchio, Rv. 257784; Sez. 2, n. 50701 del 4/10/2016, COGNOME, Rv. 268389).
Peraltro, la circostanza che l’incontro avuto dal ricorrente con il COGNOME potesse essere ascritto ad altre causali si pone, alla luce della ricostruzione operata dalle sentenze del Tribunale e della Corte di appello, come alternativa di merito non scrutinabile in questa sede, stante la preclusione per il giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella che è stata compiuta nei sottostanti giudizi di merito. Se così non fosse, si domanderebbe a questa Corte il compimento di un’operazione ermeneutica estranea al giudizio di legittimità, come quella della reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, COGNOME, Rv. 244623). Al riguardo, infatti, va ribadito che la sentenza di merito non è tenuta a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 4, sent. n. 26600 del 13/05/2011, Rv. 250900; Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Rv. 254107; Sez. 2, n. 7173 del 12/11/2020, dep. 2021, non mass.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
E gli elementi di prova e di congiunzione valorizzati dalla Corte territoriale ai fini della conferma dell’affermazione di responsabilità non risultano scalfiti, per la loro decisività e diretta aderenza con i fatti oggetto dell’imputazione, dalle ulteriori censure, pure mosse con l’atto di appello, a proposito dell’assenza di interferenza dimostrativa che dovrebbe riconoscersi agli altri elementi pure citati dal primo giudice a corredo della vicenda illecita, in uno con l’intervenuta assoluzione degli imputati dal reato di esercizio abusivo dell’attività bancaria (si veda, tra gli altri pag. 13 con riferimento all’assenza di rilievo delle dichiarazioni rese dalla teste
COGNOME NOME.
3. Anche con riguardo ai delitti di usura ed estorsione ai danni di COGNOME NOME (capi 6 e 7) la sentenza impugnata si sottrae ai vizi di legittimità denunziati, in quanto la Corte di merito ha fatto riferimento a decisivi dati probatori che consentono di ricollegare i due imputati all’elargizione usuraria operata dal COGNOME NOMECOGNOME
In particolare, il coinvolgimento dei COGNOME è stato ricavato da alcune intercettazioni telefoniche – il cui contenuto è anche riportato nella sentenza impugnata e in quella di primo grado – alle quali essi prendono direttamente parte con i soggetti direttamente coinvolti nella vicenda illecita (il COGNOME NOME con la stessa p.o., il COGNOME NOME con il Bianco NOME) che è stato apprezzato alla luce sia della reiterata presenza di entrambi all’atto in cui il Bianco, mediante reiterate minacce, ha esatto gli interessi usurari dalla p.o., sia delle dichiarazioni di quest’ultima e della stessa moglie che ebbe a ricevere la “visita” del COGNOME, unitamente ad uno dei COGNOME (da individuarsi nel Salvatore in forza della successione cronologica dell’evento con le precedenti intercettazioni) con cui si richiedeva la presenza del marito.
La riconducibilità dei dialoghi e della presenza degli imputati tanto al paradigma dell’usura che dell’estorsione è supportato da motivazione non illogica, in quanto i dialoghi non solo hanno ad oggetto la corresponsione di una somma di denaro, ma – e tanto vale per il COGNOME – si legano al coimputato COGNOME il quale aveva materialmente elargito il prestito usurario e al comportamento, successivamente espresso e temporalmente conseguenziale, volto ad ottenere il pagamento del capitale e degli interessi usurari.
Del resto, l’alternativa di merito prospettata dalla difesa che riconduce ad una causale di diversa natura i rapporti tra la p.o. e i COGNOME, risulta smentita con congrua motivazione dalla sentenza impugnata laddove dà logico rilievo al fatto della presenza degli imputati – che a tale fine si sono anche spostati dal loro comune di residenza – nella ricerca della p.o. effettuata dal COGNOME e dalla loro presenza allorché quest’ultimo ha più volte esatto la somma pretesa.
A nulla vale, poi, che alla presenza non siano seguite dirette minacce da costoro profferite, in quanto – per come anche ammesso dalla p.o. e dalla stessa moglie che ha anche riferito come nell’occasione in cui il COGNOME si presentò con il NOME, quest’ultimo dopo avere appreso che il marito non era in casa, si arrabbiò ed alzò la voce – ai fini della configurabilità del concorso di persone nel delitto di estorsione la Corte di legittimità ha affermato che è sufficiente anche la semplice presenza, purché non meramente casuale, sul luogo della esecuzione del
reato, quando sia servita a fornire all’autore del fatto stimolo all’azione o maggior senso di sicurezza nel proprio agire, palesando chiara adesione alla condotta delittuosa. (Fattispecie in cui l’imputato, presente sul luogo dell’incontro fissato dall’estorsore con la persona offesa per la consegna del denaro, aveva intrattenuto il soggetto che aveva accompagnato la persona offesa all’appuntamento, Sez. 2, n. 28895 del 13/07/2020, COGNOME, Rv. 279807 – 01).
Del resto, per come anche sottolineato dal Tribunale, la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere esplicita, palese e determinata, può essere manifestata anche in maniera indiretta, ovvero implicita ed indeterminata, purché sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima ed alle condizioni ambientali in cui opera (Sez. 2, n. 11922 del 12/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254797 – 01).
A fronte a fronte di una motivazione esaustiva e immune da vizi logici, le censure mosse col ricorso finiscono per prospettata una valutazione delle prove diversa e più favorevole ai ricorrenti rispetto a quella accolta nella sentenza di primo grado e confermata dalla sentenza di appello. In sostanza, si ripropongono questioni di mero fatto che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità: tutto ciò preclude qualsiasi ulteriore esame da parte della Corte di legittimità (Sez. Un. n. 12 sent. del 31/5/2000, Rv. 216260; Sez. Un. n. 47289 del 24.9.2003, Rv. 226074).
Manifestamente infondato è il motivo dedotto con riguardo alle attenuanti generiche e alla determinazione della pena per COGNOME NOME e alla pena base per COGNOME NOME.
4.1. Il diniego della ricorrenza di elementi circostanziali di cui all’art. 62-bis cod. pen. è stato, infatti, fondato richiamandosi i precedenti penali di cui risultano gravati entrambi i ricorrenti sia la gravità dei fatti accertati, argomento, quest’ultimo, non affatto illogico se si considera che si è al cospetto della commissione di più reati (tre fattispecie delittuose per il COGNOME NOME e due per il COGNOME NOME).
In tema di attenuanti generiche va, infatti, ribadito che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione. (Nella specie, la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato; Sez. 1, n. 12787 del 05/12/1995,
Rv. 203146 – 01; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 – 01).
4.2. Anche la quantificazione della pena base per il delitto di usura aggravato si sottrae e al vizio di motivazione denunciato. La Corte territoriale, infatti, nel rideterminare la pena in conseguenza dell’assoluzione degli imputati dal reato di esercizio abusivo dell’attività finanziaria e dell’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis1. cod. pen., si è attestata, quanto all’usura, in prossimità dei limiti edittali (anni tre e mesi quattro di reclusione a fronte di un tetto massimo di dieci). Il riferimento, quale ulteriore elemento di disvalore – che logicamente si aggiunge, in quanto esposto successivamente a quelli evidenziati a proposito del diniego delle attenuanti generiche – al lungo arco temporale in cui si è protratto il debito usurario non sconta alcuna illogicità se si considera che i giudici di merito hanno ricondotto anche ad entrambi i Capicchiano la ricezione degli interessi usurari versati dalle persone offese.
È, invece, fondato, quanto al COGNOME NOME, il motivo con cui si lamenta il vizio di motivazione in ordine all’aumento operato per la continuazione. È, invece, manifestamente infondato per COGNOME NOME.
Dalla lettura della sentenza impugnata risulta, infatti, che l’aumento si fonda:
quanto al COGNOME NOME (ulteriore usura di cui al capo 6 e episodio estorsivo di cui al capo 7), sull’arco temporale in cui si è protratto il rapporto usurario con il COGNOME sia della gravità della minaccia effettuata cercando la vittima presso la sua abitazione, incutendo timore alla moglie;
quanto al COGNOME NOME (ove l’aumento concerne soltanto il delitto di estorsione di cui al capo 7), tenuto conto della gravità della minaccia effettuata cercando la vittima presso la sua abitazione, incutendo timore alla moglie.
Se i profili di disvalore consistenti tanto nell’arco di durata del rapporto usurario che della gravità della minaccia si attagliano alla posizione del COGNOME NOME, così sottraendosi al lamentato vizio di motivazione, altrettanto non può affermarsi con riguardo al COGNOME NOME, in quanto l’elemento indicato a corredo dell’unico aumento operato (in ordine al delitto di estorsione) non risulta affatto confacente con quanto accertato dalle sentenze di merito, posto che il comportamento minaccioso non fu tenuto dal ricorrente, in quanto coloro che cercarono la vittima presso l’abitazione della p.o., incutendo timore alla moglie vanno individuati nel Bianco e nel Capicchiano Salvatore (v. al riguardo anche pag. 37 e pag. 40 della sentenza di primo grado).
Deve, pertanto, essere sul punto annullata nei confronti di COGNOME la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio sul punto, dichiarandosi al contempo irrevocabile
6. In conclusione:
il ricorso di COGNOME NOME deve essere rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali;
il ricorso di COGNOME NOME va accolto limitatamente alla determinazione dell’aumento di pena operato per la continuazione, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio sul punto; il ricorso va, invece, rigettato nel resto, dichiarandosi irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla determinazione dell’aumento di pena operato per la continuazione con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Rigetta nel resto il ricorso e dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 23 gennaio 2025.