Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23132 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23132 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1.NOME NOME nato a Polistena il 09/05/1980
2.COGNOME NOME nato a Gioia Tauro il 10/11/1975
3.COGNOME NOME nato a Cinquefrondi il 12/09/1989
4.NOME nato a Polistena il 21/11/1980
avverso la sentenza del 25/09/2024 della Corte di appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi;
udito l’avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per la parte civile NOME COGNOME che ha concluso per la conferma della sentenza impugnata;
uditi i difensori, avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per COGNOME Pietro FrancescoCOGNOME avv. NOME COGNOME NOME, avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 25/09/2024 la Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria del 17/05/2016, che aveva condannato COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME COGNOME per i reati loro
rispettivamente ascritti, rideterminava le pene loro inflitte, confermando nel resto la sentenza impugnata.
NOME COGNOME a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 56 e 629 cod. pen. Rileva che, nel caso di specie, non sarebbe configurabile il tentativo di estorsione, in quanto il conseguimento dell’ingiusto vantaggio patrimoniale, quale conseguenza dell’azione intimidatrice, era subordinato ad una serie di preliminari ed essenziali condizioni non dipendenti dalla vittima della coartazione, ma da fattori esterni, tra i quali le autonome determinazioni di terzi estranei, nemmeno identificati al momento della condotta minatoria, che avrebbero dovuto acquistare la struttura ricettiva, preventivamente acquistata da NOME COGNOME
2.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento alla illogicità e contraddittorietà del motivazione. Osserva che plurime sentenze passate in giudicato hanno stabilito l’intraneità di NOME COGNOME alla ‘ndrangheta almeno fino al 2009, per cui è inverosimile che fosse sottoposto ad estorsione da parte di altra ‘ndrina dello stesso mandamento tirrenico della provincia di Reggio Calabria.
NOME COGNOME a mezzo dei difensori, ha interposto ricorso per cassazione.
3.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione al reato di cui al capo B), per mancanza di motivazione, con riferimento al concorso del ricorrente nel tentativo di violenza privata. Osserva che la questione, pur essendo stata oggetto di censura in appello, non è stata trattata nella sentenza impugnata; che la stessa persona offesa limita la presenza del Madaffari alla prima parte dell’incontro del 15/07/2008, quando si disquisì solo dei profili squisitamente commerciali dell’acquisto della struttura alberghiera, atteso che la richiesta di restituzione del preliminare di acquisto fu effettuata in un secondo momento, quando il ricorrente non era presente; che anche le risultanze dell’attività di captazione depongono in tal senso, posto che il Virgiglio non menziona mai eventuali condotte minacciose poste in essere dal COGNOME.
3.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione al reato di cui al capo C) per mancanza di motivazione, con riferimento al concorso del ricorrente nel tentativo di estorsione. Rileva che, pur escludendo la presenza dell’imputato agli incontri
nei quali fu avanzata la richiesta estorsiva, la Corte territoriale ne delinea un apporto concorsuale, ancorando consapevolezza e ausilio estorsivi alla pregressa condotta di violenza privata; che, dunque, in difetto di risultanze probatorie in ordine al sorgere del proposito estorsivo, si è proceduto per congetture; che, dal contenuto delle intercettazioni, emerge la totale ignoranza del COGNOME in ordine agli sviluppi successivi all’incontro del 15/07/2008.
3.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento al mancato assorbimento della tentata violenza privata nel tentativo di estorsione ed alla mancata derubricazione della violenza privata aggravata nella più lieve ipotesi di minaccia grave, per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.
NOME COGNOME a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico articolato motivo, con cui deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione al reato di cui al capo B), per mancanza ed illogicità della motivazione, con riferimento al concorso del ricorrente nel tentativo di violenza privata. Osserva che l’unico elemento indiziario a carico del COGNOME è costituito da un messaggio di testo trasmesso allo Zito, con il quale il ricorrente gli chiedeva di contattare COGNOME per l’incontro che sarebbe poi avvenuto il 15/07/2008, incontro al quale è pacifico che il COGNOME non abbia partecipato; che la sentenza impugnata non spiega perché l’invio di quel singolo messaggio possa assurgere a contributo causale determinante, tale da far ritenere che senza di esso il fatto non si sarebbe verificato; che, invero, non viene spiegato perché lo COGNOME non avrebbe potuto contattare autonomamente il COGNOME, né perché il COGNOME dovesse esser consapevole delle finalità intimidatorie dell’incontro, non avendovi preso parte, né risultando provato un previo accordo; che, in assenza di ulteriori riscontri circa la consapevolezza delle finalità dell’incontro, l’invio del messaggio non può esser ritenuto sufficiente ad integrare quella partecipazione morale necessaria per configurare una responsabilità a titolo di concorso per la specifica ipotesi di reato contestata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
NOME COGNOME a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione.
5.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento alla valutazione dell’attendibilità di NOME COGNOME tenuto conto che l’affermazione di responsabilità del ricorrente si fonda sulle sue dichiarazioni. Evidenzia, innanzitutto, che la motivazione della sentenza impugnata risulta contraddittoria laddove, per un verso, afferma l’intraneità del COGNOME alla cosca COGNOME e, per altro verso, ritiene che sia stato vittima d
intimidazione ad opera della stessa organizzazione di cui era parte integrante; che, in ogni caso, omette di valutare la credibilità del dichiarante, condannato in via definitiva per associazione mafiosa e legato da vincoli di comparaggio con la famiglia COGNOME/COGNOME, con consolidati rapporti con il capo cosa NOME COGNOME che, inoltre, ha ritenuto credibile il Virgiglio nella parte in cui ha affermato che lo COGNOME ad averlo prelevato per condurlo all’incontro del 15/07/2008, pur in assenza di riscontri al suo narrato ed in presenza di elementi che lo smentiscono; che, invero, il coimputato NOME COGNOME nell’interrogatorio di garanzia, reso prima della collaborazione del COGNOME, ha precisato che fu lui stesso e non lo COGNOME – soggetto che conosceva solo di vista, incontrato per la prima volta in carcere – a prelevare il COGNOME per portarlo all’incontro del 15/07/2008; che la sentenza non spiega le ragioni per le quali non ha dato rilievo alle dichiarazioni del COGNOME, che esonerano da responsabilità lo COGNOME; che, dunque, il ruolo dell’odierno ricorrente, di tramite con la cosca COGNOME, è logicamente incompatibile con quanto dichiarato dal COGNOME; che, inoltre, la sentenza impugnata nemmeno considera le ragioni di astio del COGNOME nei confronti dello COGNOME, emerso dopo la lettura dell’ordinanza cautelare, da cui aveva appreso che quest’ultimo aveva proposto ai cinesi di abbandonare la collaborazione con la sua agenzia doganale; che, infine, le dichiarazioni del COGNOME risultano smentite anche dal contenuto delle intercettazioni.
5.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen. lamentando il travisamento della prova. Osserva che la condotta contestata al ricorrente si sarebbe concretizzata nell’aver prelevato in data 15/07/2008 il Virgiglio dalla propria abitazione ed averlo accompagnato nelle campagne gioiesi al cospetto di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, che lo avrebbero minacciato, al fine di fargli concludere l’affare secondo gli accordi originariamente assunti con NOME COGNOME che tale ricostruzione è radicalmente smentita dalle dichiarazioni del Calipa, che ha dichiarato di esser stato lui stesso a prelevare la persona offesa per portarla all’incontro e di conseguenza a fungere da tramite con la famiglia COGNOME che, dunque, risulta evidente il travisamento della prova, atteso che la Corte territoriale ha fondato la propria decisione su una prova inesistente, ignorandone una esistente ed ha dato alla stessa un significato incompatibile con quello reale, omettendo di rispondere alle censure difensive proposte con l’atto di appello.
5.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 7 legge n. 203 del 1991. Rileva che la Corte di appello ha confermato la sussistenza dell’aggravante mafiosa senza fornire una adeguata motivazione sul metodo, né sulla finalità agevolatrice,
basandosi solo sulle dichiarazioni del COGNOME, prive di riscontri; che la mera contestualità ambientale non rappresenta condizione sufficiente a configurare l’aggravante; che, nel caso di specie, l’aggravante si fonda sul dato per il quale l’operazione di acquisizione dell’hotel Villa Vecchia sarebbe stato attuato con la finalità di agevolare la cosca COGNOME; che, invece, detta acquisizione era affare personale del COGNOME e non della cosca, tenuto conto che l’operazione era stata condotta da NOME COGNOME e dal COGNOME nell’assoluto anonimato; che il coinvolgimento di più soggetti, successivamente alla morte del COGNOME, era stato determinato dalla circostanza che gli eredi tentavano di ottenere dal COGNOME la restituzione delle somme anticipate dal defunto NOME COGNOME; che, peraltro, nel caso di specie, manca anche la consapevolezza da parte dello COGNOME di agevolare la consorteria criminale.
5.4. Con il quarto motivo si duole della violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 62-bis, 81 e 133 cod. pen. Rappresenta che nella dosimetria della pena la Corte territoriale non ha tenuto conto del ruolo marginale svolto nella vicenda dal ricorrente, che avrebbe dovuto indurre al riconoscimento delle invocate circostanze attenuanti generiche, in relazione al cui diniego la motivazione è del tutto apparente, affidata a mere formule di stile; che la sentenza impugnata nemmeno spiega perché, tenuto conto che la condotta si è arrestata al tentativo, la pena non sia stata contenuta nel minimo edittale.
5.5. In data 06/05/2025 sono pervenuti motivi nuovi a firma dell’avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME
5.5.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 110 cod. pen. Evidenzia che emerge dalla sentenza impugnata come l’odierno ricorrente non abbia posto in essere la condotta tipica prevista dal reato, né abbia concorso moralmente nella realizzazione dello stesso; che, invero, la condotta tenuta dallo COGNOME si è esaurita, secondo la stessa Corte territoriale, nel riferire al Virgiglio che il nipote di NOME COGNOME voleva incontrarlo con urgenza e nell’averlo costretto a seguirlo fino al luogo dell’incontro; che, tuttavia, la consapevolezza dell’odierno ricorrente circa il carattere illecito del successivo incontro nel quale conduceva la persona offesa è tema che rimane, nella disamina offerta dalla stessa Corte territoriale, meramente presunto, non ancorandosi la stessa ad alcun positivo elemento di prova, di natura diretta od indiretta; che, invero, poiché l’azione tipica, nel caso in esame, veniva pacificamente posta in essere da altri soggetti, per ritenere sussistente il concorso nel delitto di violenza privata anche dello COGNOME, sarebbe stato imprescindibile accertare preliminarmente che il medesimo si fosse rappresentato l’intenzione altrui di commettere le condotte tipiche illecite.
5.5.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento alla valutazione della chiamata in correità. Osserva che la Corte di merito, pur riconoscendo come il COGNOME fosse soggetto intraneo alla cosca COGNOME e, dunque, portatore di un narrato al contempo auto ed etero-accusatorio, ha poi omesso di riscontrare il racconto dello stesso attraverso elementi esterni capaci di verificarne l’attendibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
1.1. Il primo motivo non è consentito, atteso che reitera le medesime doglianze avanzate con i motivi di appello, ritenute infondate con motivazione sintetica, ma esaustiva, dai giudici di secondo grado.
Ed invero, la sentenza impugnata ha evidenziato come il tentativo di estorsione sia consistito nel pretendere una consistente somma di denaro, pari a quattro milioni di euro, all’atto dell’acquisto della struttura alberghiera Villa INDIRIZZO, per la quale erano in corso delle trattative che vedevano il Virgiglio particolarmente attivo. Dunque, nessun dubbio che sia configurabile nel caso di specie il profitto ingiusto che gli associati avrebbero conseguito con corrispondente danno per la persona offesa.
Trattasi di motivazione congrua ed immune da profili di illogicità, che, dunque, non è censurabile in sede di legittimità.
1.2. Il secondo motivo non è consentito perché aspecifico, in quanto non si confronta con la complessiva trama motivazionale del provvedimento impugnato, che ha compiutamente ricostruito l’evoluzione del contesto nel quale si inserisce il tentativo di estorsione di cui al capo C). In particolare, la Corte territoriale ben evidenziato che, a seguito del decesso di NOME COGNOME approfittando del vuoto di potere determinatosi all’interno della cosca, il COGNOME stava cercando di procedere all’acquisto di COGNOME per conto proprio, così trasformando detta acquisizione da affare della ‘ndrina in precedenza portato avanti insieme a NOME COGNOME in affare suo personale; che, invero, il COGNOME, pur avendo appreso dell’omicidio del COGNOME il giorno in cui si sarebbe dovuto concludere il contratto preliminare di acquisto, aveva comunque proceduto alla stipula in proprio, cercando di riappropriarsi dell’affare che NOME COGNOME gli aveva sottratto.
Dunque, non si riscontrano le denunciate contraddizioni della motivazione, risultando la stessa il risultato di un corretto percorso logico argomentativo, con il quale il motivo di ricorso non si misura.
Come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia
generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (cfr., Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521 – 01; Sez. 3, n. 50750 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 268385 – 01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849 – 01; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945 – 01).
2. Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
2.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Osserva il Collegio che, in tema di motivazione della sentenza, è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del proprio convincimento, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata, essendo irrilevante il silenzio su una specifica deduzione prospettata dalla parte, ove essa sia disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, atteso che non è necessaria l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese, ma è sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione, senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Sez. 3, n. 3239 del 04/10/2022, dep. 2023, T., Rv. 284061 – 01).
Orbene, nel caso di specie, il concorso del COGNOME nel reato di cui al capo B), anche a voler ritenere che lo stesso non fu presente durante tutta la durata dell’incontro, trova conferma nella partecipazione del ricorrente alla cena tenutasi pochi giorni prima presso il ristorante Vecchia Vibo, nel corso della quale, alla presenza dei due nipoti del defunto NOME COGNOME fu decisa, insieme ad NOME COGNOME, la linea da seguire in relazione all’affare di Villa Vecchia.
2.2. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Invero, la sentenza impugnata motiva il concorso del COGNOME nel tentativo di estorsione di cui al capo C) valorizzando il suo pieno coinvolgimento nella vicenda sin dalle prime battute dell’affare relativo all’acquisto di Villa Vecchia, desunto dalla partecipazione alla cena del 11/07/2008 presso il ristorante Vecchia Vibo, di cui si è detto al punto che precede, dalla successiva partecipazione sia all’incontro del 15/07/2008, nel corso del quale aveva rinfacciato al Virgiglio di volerli fregare, che a quello del 16/07/2008, nel corso del quale veniva avanzata la richiesta estorsiva. Evidenzia, poi, come entrambi gli episodi criminosi rappresentino momenti esecutivi di un medesimo programma criminale finalizzato all’ottenimento dalla realizzazione dell’affare Villa Vecchia del maggior profitto possibile.
Trattasi di motivazione congrua e immune da vizi logici non censurabile nel
giudizio di cassazione.
2.3. Il terzo motivo è per un verso manifestamente infondato e per altro verso reiterativo – e, quindi, aspecifico – delle medesime doglianze poste ai giudici di appello, che sono state disattese con una motivazione che non presenta i vizi denunciati.
Sotto il primo profilo, va evidenziato che la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo in più occasioni di precisare che il reato di violenza privata non può ritenersi assorbito da quello di estorsione, qualora la minaccia proferita tenda a costringere la persona offesa ad un’ulteriore limitazione della sua libertà, tutelata appunto dal disposto dell’art. 610 cod. pen. (cfr., Sez. 2, n. 53267 del 22/09/2017, COGNOME, Rv. 271314 – 01; Sez. 2, n. 32358 del 11/07/2008, COGNOME, Rv. 240637 – 01).
Ciò è quanto avvenuto nel caso in esame, tenuto conto che nell’episodio del 15/07/2008 il ricorrente ed altri coimputati avevano tentato di costringere il COGNOME a restituire il contratto preliminare di vendita al promittente alienante mentre nel secondo gli imputati avevano chiesto il versamento di quattro milioni di euro all’esito della conclusione della vendita della struttura, della quale nelle more avevano deciso se ne occupasse nuovamente il COGNOME. In altri termini, in un primo momento la cosca aveva deciso di concludere l’affare con il COGNOME direttamente, mentre, in un momento successivo, aveva deciso di cedere il passo al Virgiglio, trovando più conveniente imporre una tangente di quattro milioni di euro all’esito della successiva vendita.
Sotto il secondo profilo, la Corte territoriale ha dato puntualmente conto delle ragioni per le quali ha ritenuto sussistente il tentativo di violenza privata i luogo della minaccia. Ed invero, dopo aver individuato il criterio distintivo tra i due reati nell’elemento intenzionale, ha ravvisato il quid pluris richiesto dal reato di cui all’art. 610 cod. pen. nell’azione di costrizione della persona offesa a fare, tollerare od omettere qualcosa, che nel caso di specie era quello di costringere il Virgiglio a restituire all’altro contraente il contratto preliminare di acquisto a s tempo stipulato.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile, per non essere consentito l’unico motivo cui è affidato.
Osserva, invero, il Collegio che la difesa non considera alcuni fondamentali elementi evidenziati nella sentenza impugnata che vanno letti unitamente al messaggio di testo inviato dal ricorrente a NOME COGNOME con il quale gli chiedeva di prelevare il Virgiglio per condurlo all’incontro del 15/07/2008, elementi che depongono in modo inequivoco per la consapevolezza in capo al Tripodi del carattere intimidatorio dell’incontro e delle finalità per cui era sta
programmato. In particolare, l’imputato in discorso aveva partecipato in data 11/07/2008 alla cena al ristorante Vecchia Vibo, unitamente al COGNOME ed ai due nipoti del defunto NOME COGNOME, che si era tenuta con NOME COGNOME il promittente alienante, che si era recato in Calabria proprio per avere una interlocuzione con gli esponenti della famiglia COGNOME per cercare di estromettere il COGNOME dall’affare Villa Vecchia. Dunque, l’incontro del 15/07/2008, finalizzato ad ottenere dal COGNOME la restituzione del preliminare di acquisto costituiva diretta conseguenza degli accordi presi alla cena del 11/07/2008. Non solo, ma anche perché il provvedimento impugnato dà atto che in data 19/07/2008, veniva captata una conversazione tra il COGNOME e NOME COGNOME dalla quale emergeva che l’intera operazione era stata sistemata come voleva la famiglia.
Orbene, con tali emergenze processuali il ricorso non si confronta, ignorandole del tutto, per cui sotto tale profilo risulta del tutto aspecifico.
La funzione tipica dell’impugnazione, invero, è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce; tale revisione critica si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità, debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale del ricorso in cassazione è, pertanto, il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento oggetto di impugnazione (per tutte, Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01). Ne consegue che, se il ricorso si limita, come nel caso di specie, a riprodurre sostanzialmente il motivo di appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso, posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento impugnato, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato.
4. Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
4.1. I primi due motivi del ricorso principale ed il secondo del ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME – che, per essere strettamente connessi in quanto hanno ad oggetto la responsabilità del ricorrente in ordine al reato di cui al capo C), possono essere trattati congiuntamente – sono inammissibili perché reiterano le medesime doglianze prospettate ai giudici di appello e da questi risolte con motivazione adeguata ed esente da qualsivoglia profilo di illogicità.
Invero, sui rapporti del COGNOME con la cosca dei COGNOME e sulla attendibilità delle sue dichiarazioni la Corte territoriale ha dato ampiamente conto. Sotto il primo profilo, ha spiegato che il punto di svolta nei rapporti tra il dichiarante e cosca COGNOME è rappresentato dalla morte di NOME COGNOME in seguito alla quale il COGNOME, che fino a quel momento stava portando avanti nell’interesse della
famiglia COGNOME l’acquisto di Villa Vecchia, decideva di mettersi in proprio, affrancandosi dal clan. Tale condotta aveva comportato che il COGNOME, da soggetto vicino alla ‘ndrina, ne diventasse l’obiettivo, essendosi ricollocato su una posizione antitetica a quella della cosca.
Sotto il secondo profilo, ha evidenziato che l’interesse del collaboratore a godere dei benefici premiali non inficia automaticamente la sua credibilità, che va, dunque, vagliata secondo le regole generali in materia dalla giurisprudenza: vaglio che ha consentito di apprezzare la precisione e la coerenza del narrato, oltre all’esistenza di plurimi riscontri esterni, anche di natura tecnica ( risultanze dell’attività di captazione) e che hanno confermato l’attività intimidatoria posta in essere ai danni del dichiarante.
Venendo più specificamente al ruolo attribuito allo COGNOME nel reato di cui al capo B), osserva il Collegio che, dal complessivo esame della sentenza impugnata, emerge come la ricostruzione effettuata dal COGNOME – secondo cui fu proprio l’odierno ricorrente a riferirgli il 15/07/2008 che il nipote di NOME COGNOME aveva urgenza di incontrarlo e, quindi, a condurlo nell’agrumeto dove si trovavano gli altri sodali, senza dargli nemmeno il tempo di cambiarsi di abito trovi un importante riscontro nel messaggio di testo di cui si è detto trattando la posizione del coimputato COGNOME con il quale quest’ultimo invitava lo COGNOME a prelevare il COGNOME per portarlo all’incontro organizzato in seguito alla cena dell’11/07/2008.
Con tale elemento, esterno alle dichiarazioni accusatorie, che smentisce la ricostruzione dell’occorso effettuata dal Calipa, la difesa non si misura, per cui sotto questo profilo le doglianze si appalesano aspecifiche.
4.2. Alla stessa sorte è condannato il primo motivo del ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME atteso che non considera l’intraneità dello COGNOME alla cosca COGNOME e l’ulteriore circostanza che fu ancora il ricorrente ad accompagnare il COGNOME al successivo incontro del 16/07/2008, elementi questi che hanno consentito alla Corte territoriale di poter affermare che non residuano dubbi in ordine alla consapevolezza in capo all’imputato del carattere illecito dell’incontro al quale conduceva la persona offesa.
4.3. Il terzo motivo non è consentito per essere aspecifico, in quanto non si confronta con l’ampia motivazione resa dalla Corte territoriale in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7 della legge n. 203 del 1991. Si osserva, in particolare, che entrambi i giudici di merito hanno bene evidenziato come, nel caso di specie, sussista la contestata circostanza aggravante in entrambe le sue declinazioni: con riferimento al metodo mafioso, sono stati valorizzati i) le modalità ed il luogo della “convocazione” (prelievo manu militari della persona offesa per condurla in un isolato agrumeto di fronte
agli esponenti della cosca), li) le eclatanti frasi intimidatorie (ti atterro vivo) profferite alla presenza di diversi associati tra i quali i diretti discendenti di NOME COGNOME, iii) il riferimento esplicito alla cosca COGNOME, con la precisazione che nonostante la morte del capoclan – continuava a “comandare” nel territorio di Gioia Tauro; con riferimento all’agevolazione dell’associazione, sono state messe in risalto la circostanza per cui non si spiegherebbe il coinvolgimento di un così nutrito numero di persone, fin dalle prime fasi organizzative, qualora si fosse trattato di una questione di carattere privato e il dato per cui l’incontro de 15/07/2008 era stato preceduto da plurimi conciliaboli tra diversi soggetti appartenenti alla ‘ndrina ed il promittente alienante al fine di assicurare l’affare al clan.
Orbene, come si è già accennato, è necessario che il ricorso si confronti puntualmente con le argomentazioni del provvedimento impugnato. Va, invero, precisato che la mancanza di specificità del motivo deve essere valutata e ritenuta non solo per la sua indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen, alla inammissibilità della impugnazione (cfr., Sez. 6, n. 23014 del 29/4/2021, B., Rv. 281521 – 01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710 – 01; Sez. 2, n. 45958 del 21/10/2022, Bocchino, non mass.).
4.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
È risalente l’orientamento di legittimità secondo il quale la motivazione cumulativa in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche a più coimputati non pecca di genericità, ove riferita alla gravità del fatto e della pericolosità dei soggetti, desunta, quest’ultima, dalla gravità del reato e dal quadro di ambiente (Sez. 3, n. 21690 del 20/02/2013, COGNOME, Rv. 255773 01; Sez 1, n. 3104 del 09/12/1983, dep. 1984, COGNOME, Rv. 163518 – 01; Sez. 2, n. 7734 del 23/03/1982, COGNOME, Rv. 154921 – 01; Sez. 2, n. 9400 del 22/05/1981, Naviglia, Rv. 150660 – 01). Ed invero, siffatta opzione argomentativa non è indice di genericità e superficialità valutativa, ma esprime in termini adeguati la riconosciuta assorbenza dei parametri dosimetrici tipizzati all’art. 133 cod. pen., sia con riguardo alle intrinseche connotazioni dei reati contestati, che alla capacità a delinquere degli autori e la recessività dei profili d meritevolezza prospettati dalle difese.
A tale principio si è puntualmente attenuta la Corte di merito, che, nel negare le circostanze attenuanti generiche a tutti i coimputati, ha fatto leva proprio sulla concreta gravità del fatto, desunta dalle modalità della condotta,
connotate da una elevata carica offensiva e dalla intensità del dolo, che è espressiva della concreta pericolosità manifestata.
Il carattere squisitamente di merito di siffatto apprezzamento, immune da vizi logici, ne esclude la sindacabilità in questa sede.
È poi pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che, ai fini del riconoscimento o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice di merito non è tenuto ad esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., reputati di preponderante rilevanza (tra molte, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 01, che ha specificato che al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente; nello stesso sostanziale senso, Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269 – 01; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME Rv. 265826 – 01).
Né, si noti, rileva il mero stato di incensuratezza, ostandovi la previsione di cui all’art. all’art. 62-bis, comma terzo, cod. pen. (introdotta dall’art. 1, lett. fbis, della legge n. 125 del 2008), per la quale l’assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere per ciò solo, posta a fondamento della applicazione delle attenuanti generiche, occorrendo ulteriori elementi di segno positivo, nella specie evidentemente ritenuti assenti dai giudici di appello.
All’inammissibilità dei ricorsi segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata.
Dall’esito del giudizio discende anche la condanna degli imputati in solido alla rifusione delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla parte civile, che si liquidano in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento de
spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati, in solido tra loro, alla rifusione delle
spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME COGNOME che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori
di legge.
Così deciso in Roma, il giorno 22 maggio 2025.