Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1444 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1444 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di: COGNOME COGNOME nato a Napoli il 12.10.1992, contro l’ordinanza del Tribunale di Napoli del 5.9.2923;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
udito l’Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 5.9.2023 il Tribunale di Napoli ha respinto l’istanza di riesame che era stata proposta nell’interesse di NOME COGNOME contro il provvedimento del GIP che aveva applicato all’indagato la misura della custodia cautelare in carcere ravvisando, nei suoi confronti, gravi indizi di colpevolezza in relazione ai fatti di tentata estorsione, aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod pen. e di detenzione di arma da sparo anch’esso aggravato ai sensi dell’art. 416bis.1 cod. pen.; il Tribunale ha condiviso anche la valutazione relativa al ricorso di esigenze cautelari tali da non poter essere fronteggiate se non con la più grave tra le forme di cautela personale;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
2.1 violazione e falsa applicazione degli artt. 110, 56, 629 cod. pen. in riferimento agli artt. 273 e 292 cod. proc. pen.:
2.2 motivazione mancante e/o illogica con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui al capo 2):
rileva che il provvedimento impugnato ha ritenuto di poter desumere i gravi indizi di colpevolezza dalle sole dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME inidonee a tal fine per il fatto di cui al capo 2) della incolpazione provvisoria e che, tuttavia, i giudici della cautela hanno valutato facendo erronea applicazione dei principi in materia di concorso nel reatù e travisandone il contenuto; evidenzia come il provvedimento impugnato sia sorretto da una motivazione sostanzialmente apparente ed intrinsecamente illogica laddove ha ritenuto di superare la tesi difensiva secondo cui il ricorrente avrebbe agito nell’esclusivo interesse della persona offesa NOME COGNOME che, come pure riconosciuto, era stato egli per primo a contattare il COGNOME il quale ignorava del tutto la vicenda ma che, incongruamente, è stato giudicato concorrente materiale nella condotta dei suoi protagonisti; richiama, a tal proposito, le dichiarazioni dei due COGNOME sul fatto che il COGNOME si era assunto l’impegno di intercedere per ottenere una riduzione della pretesa estorsiva rispetto a quella originariamente formulata e che, peraltro, non aveva sortito alcun risultato positivo; segnala l’erroneità della affermazione secondo cui NOME COGNOME sarebbe stato convocato dal COGNOME nella casa di INDIRIZZO dove, invece, il predetto COGNOME si era recato alla ricerca di notizie e dove il COGNOME aveva mostrato la pistola “solo per potersene vantare” nonché l’avvenuto travisamento delle parole del COGNOME quanto al fatto che l’incontro sarebbe avvenuto nella abitazione del COGNOME che “COGNOME” avrebbe messo a disposizione poiché era stato lo stesso NOME COGNOME a precisare che “COGNOME non c’entra niente”;
3 violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 12 e 14 della legge 497 del 1974, in riferimento agli artt. 273 e 292 cd. proc. pen.:
2.4 motivazione mancante e/o illogica con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui al capo 4):
riporta la motivazione del provvedimento impugnato circa le ragioni per le quali si doveva necessariamente concludere nel senso che l’arma mostrata dal COGNOME a NOME COGNOME fosse una vera arma da sparo segnalando la assenza di un reale percorso argomentativo laddove i riferimenti al contesto estorsivo ed alla convocazione del COGNOME sono il frutto dei travisamenti già segnalati con riguardo alla vicenda estorsiva;
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per l’inammissibilità del ricorso: osserva, infatti, che le doglianze difensive si basano esclusivamente sulla rivalutazione di risultanze investigative, senza evidenziare alcuna manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e, in particolare, che i rilievi sv con il primo motivo sono focalizzati esclusivamente sulla ricostruzione dell’episodio del 20.5.2023, così realizzando una lettura parziale del provvedimento, laddove il percorso argomentativo sviluppato dal Tribunale del Riesame può essere apprezzato nella sua linearità, chiarezza e logicità valorizzando le circostanziate considerazioni contenute nella prima parte dell’ordinanza, la cui lettura permette di inquadrare il singolo episodio estorsivo contestato al ricorrente in un più ampio e significativo contesto criminale; segnala che considerazioni analoghe devono essere svolte in relazione al capo 4 (detenzione illegale di arma da sparo), rispetto al quale la gravità indiziaria è ricondotta a dati obiettivi e documentali riscontrat come si evince dalla lettura del passaggio contenuto a pagina 10 della impugnata ordinanza. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
Non è inutile ribadire quali siano i limiti alla sindacabilità, in questa sede dei provvedimenti adottati dal Tribunale del Riesame sulla libertà personale; è infatti consolidato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla
consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, alla Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio d legittimità, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario e della permanenza delle esigenze cautelari a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Il ricorso è perciò ammissibile soltanto se con esso venga denunciata la violazione di specifiche norme di legge, ovvero si deduca la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, e non si ci limiti a propone e sviluppare censure che attengono alla ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884).
La censura con cui si denunci il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in altri termini, consente al giudice di legittimità di vagliare la adeguatezza delle ragioni addotte rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie non potendo prendere in esame quei rilievi che, pur investendo formalmente la motivazione del provvedimento impugnato, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 3, Sentenza n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400).
Nel caso in esame, rileva il collegio che il Tribunale ha motivato, in ordine al concorso del COGNOME, in termini non sindacabili in questa sede perché immuni da profili di manifesta illogicità o di contraddittorietà oltre che corretti in punto diritto.
L’ordinanza cautelare era stata adottata in relazione a fatti di tentata estorsione aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., commessi tra il 13.3.2023 ed il 20.5.2023 (capo 2 della provvisoria incolpazione) e per la detenzione dell’arma comune da sparo (capo 4).
Il Tribunale si è ampiamente soffermato sulla “geografia” delle appartenenze degli indagati ai vari gruppi criminali come emerse nel più complesso
procedimento nell’ambito del quale il COGNOME è stato ricondotto nell’alveo del clan COGNOME/COGNOME, strettamente federato e legato al clan COGNOME ed il clan COGNOME.
Ha spiegato che i clan operativi in Barra e Ponticelli avevano iniziato ad agire sinergicamente, nell’ambito del più articolato processo di riorganizzazione della criminalità operante nella zona est di Napoli (cfr., pag. 2), e che la vicenda di cui al capo 2 dell’imputazione provvisoria ne era la migliore e più emblematica testimonianza.
L’episodio era stato denunciato da NOME COGNOME, gestore del ristorante RAGIONE_SOCIALE, sito in Volla, da cui erano partite le indagini corroborate anche con la acquisizione di intercettazioni eseguite in altro procedimento (n. 13835/2021 RGNR) in cui era stata monitorata per via telematica la utenza di tale NOME COGNOME.
Dalle emergenze investigative, di cui il Tribunale ha dato puntualmente e minuziosamente conto, era emersa l’esistenza di una iniziale richiesta estorsiva, riconducibile ad esponenti del clan COGNOME, avente ad oggetto la corresponsione della somma di 500 euro in occasione della Pasqua e che era stata reiteratamente sollecitata a NOME COGNOME oltre che al padre di costui, NOME COGNOME, la cui “resistenza” aveva portato alla formulazione della richiesta di cui al capo 2 della imputazione provvisoria che, secondo i giudici della cautela, testimonia la saldatura del clan COGNOME con il clan COGNOME, contrapposto a quello COGNOME/COGNOME/COGNOME.
Ed in effetti, secondo quanto si legge nella ordinanza, il giorno 14.4.2023 NOME COGNOME insieme ad altri due, si era recato da NOME COGNOME pretendendo la dazione della somma di 10.000 euro da consegnare “a Ponticelli” esplicitamente menzionando la famiglia COGNOME; qualche giorno dopo la richiesta era stata replicata da NOME COGNOMEgià autore della richiesta di 500 euro) dicendo che COGNOME “… era diventata una cosa sola con Ponticelli”; il COGNOME aveva nell’occasione accennato a NOME COGNOME, detto “COGNOME“, ed al gruppo COGNOME, “intraneo” a quello COGNOME; la richiesta estorsiva era stata quindi pochi giorni dopo reiterata da parte di NOME COGNOME , cognato di NOME COGNOME, alias “COGNOME“, che nell’occasione aveva accompagnato NOME COGNOME il quale aveva ribadito la richiesta aggiungendo che non vi era alcuna possibilità di praticare sconti.
NOME e NOME COGNOME (già condannato per appartenenza al clan NOME di Barra) sono stati giudicati attendibili: in particolare, il Tribunale, c motivazione congrua ed esaustiva, ha spiegato che NOME COGNOME aveva
inizialmente tentato di aiutare il figlio NOME a resistere alle pretese estorsive anche in nome del rispetto dovuto al suo passato criminale, avendo poi finito per allinearsi alla decisione del figlio di sporgere denuncia.
La vicenda, secondo il Tribunale, testimonia la collaborazione del clan COGNOME alla vicenda estorsiva di cui si discute e di cui aveva parlato il collaboratore NOME COGNOME riferendo del riavvicinamento del clan COGNOME – di cui era esponente il COGNOME – al clan COGNOME; il collaboratore, hanno fatto presente i giudici del riesame, era stato codetenuto con COGNOME a Larino dove costui gli aveva parlato del riavvicinamento del ricorrente al COGNOME e di una sorta di “fusione” tra i due clan (il clan COGNOME ed il clan COGNOME).
E’ in questo contesto, ha rilevato il Tribunale, che va inserita la figura di NOME COGNOME, identificato dagli investigatori come il reggente del clan COGNOME, articolazione COGNOME‘COGNOME, attivo in San Giovanni a Teduccio, cui NOME COGNOME, secondo quanto riferito, si era rivolto per chiedergli di intercedere con gli esponenti di Barra sapendo che era cugino di “COGNOME” (NOME COGNOME); il COGNOME aveva segnalato che, a quanto gli era sembrato, il COGNOME non sapeva nulla della vicenda ma Io aveva tuttavia assicurato che “se la sarebbe vista lui”; il successivo 16.4.2023, secondo il racconto del Festa, il COGNOME gli aveva detto, tuttavia, che l’unica cosa che poteva fare era tentare di ridurre la pretesa a 5.000 Euro assicurandolo, la sera stessa, che la richiesta era stata accettata e dandogli i quindici giorni che il Festa aveva chiesto per racimolare la somma.
Se non ché, sempre alla luce del racconto del COGNOME, come riportato nel provvedimento impugnato, il giorno 9.5.2023 erano tornati da lui NOME COGNOME (cognato di “COGNOME“) e NOME COGNOME i quali – di fronte alle sue proteste di aver concordato con COGNOME una somma di 5.000 euro – gli avevano fatto presente che “l’ambasciata non era arrivata a Ponticelli” insistendo perciò nell’intimare il pagamento di 10.000 euro entro il giorno successivo “altrimenti ti uccidiamo”; il giorno 20.5.2023 si era quindi presentato nel suo ristorante lo stesso NOME COGNOME convocandolo a Ponticelli subito dopo pranzo mentre lo stesso giorno il padre NOME era stato chiamato in INDIRIZZO per parlare della quesitone: nell’occasione, NOME COGNOME era atteso da NOME COGNOME (proprietario dell’appartamento), NOME COGNOME, NOME COGNOME ed altre due persone di San Giovanni A Teduccio che avevano minacciato di uccidere il figlio NOME; alla obiezione secondo cui il figlio NOME si era messo d’accordo con COGNOME, gli dissero però che “NOME in questa storia non c’entra nulla. Ci ha fatto la cortesia di mettere a disposizione la casa. NOME deve portare 10 mila sennò lo uccidiamo” (cfr., pag. 8).
Il Tribunale del Riesame ha richiamato le dichiarazioni di NOME COGNOME a proposito di COGNOME che aveva incontrato il giorno 17.4.2023 nello stesso appartamento in cui il giorno 20.5.2023 sarebbe stato convocato il padre NOME e che, dotato di telecamere, veniva utilizzato dal COGNOME per incontri e riunioni; i COGNOME, nell’occasione, aveva mostrato una Glock “come a volersene vantare”, alla presenza di NOME COGNOME, NOME COGNOME “ed altre cinque o sei persone che non conosco”.
Alla luce di questa ricostruzione, i giudici del riesame hanno concluso per la conferma della ipotesi accusatoria compendiate nella provvisoria imputazione ovvero nel concorso del COGNOME il quale avrebbe in realtà finito, con la propria condotta, per rafforzare la pressione estorsiva nei confronti di NOME COGNOME ha sostenuto che l’indagato non si era adoperato per liberare il COGNOME dalla richiesta limitandosi ad impegnarsi per limitarne la portata.
È vero, come deduce la difesa (e come, peraltro, il Tribunale ha dato conto a pag. 9) che era stato NOME COGNOME a contattare il COGNOME che aveva incontrato nell’appartamento di INDIRIZZO in un contesto, tuttavia, decisamente minaccioso, caratterizzato dalla presenza di più accoliti tra cui lo stesso COGNOME e l’ostentazione della pistola quand’anche, a suo dire, mostratagli dall’indagato “come a volersene vantare”.
È anche vero, come pure sottolineato nel ricorso, che NOME COGNOME aveva fatto presente a NOME COGNOME convocato egli stesso per la vicenda del figlio, che “NOME non c’entra niente”.
Il Tribunale ha infatti congruamente argomentato nel senso che, ciò non di meno, era stato lo stesso COGNOME a precisare che era stato proprio “COGNOME” a “mettere a disposizione la casa” dove NOME era stato convocato, evidenziando e rendendo in tal modo esplicito il coinvolgimento del ricorrente nella vicenda e, in particolare, la volontà del COGNOME di assecondare il clan COGNOME/COGNOME nella iniziativa assunta nei confronti della persona offesa, e manifestata nell’ottica della cooperazione tra i due gruppi di cui aveva parlato il collaboratore NOME COGNOME e di cui la vicenda in esame, come accennato in apertura, era la più diretta testimonianza.
In definitiva, il Tribunale, con argomentazione lineare sul piano logico ed immune da profili di travisamento, ha potuto concludere nel senso che “… l’intervento del COGNOME – quand’anche inizialmente richiesto dalla persona offesa nei fatti ha in concreto contribuito a rafforzare la pressione degli estorsori, non avendo egli affatto agito per motivi di solidarietà umana e nell’interesse esclusivo della vittima” essendosi il suo intervento dipanato all’interno del contesto di
riorganizzazione dei gruppi criminali che, come era emerso, aveva visto nascere una sempre più intensa collaborazione tra i due gruppi, nei cui contesto andava interpretata la condotta del ricorrente il quale, d’altra parte, non aveva mancato di mettere a disposizione un appartamento nella disponibilità dei COGNOME per la “convocazione” del Festa.
In tal modo, il provvedimento impugnato risulta del tutto coerente rispetto al principio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui, ai fini dell’integrazione del concorso di persone nel reato di estorsione, è sufficiente la coscienza e volontà di contribuire, con il proprio comportamento, al raggiungimento dello scopo perseguito da colui che esercita la pretesa illecita, cosicché anche l’intermediario, che si presti ad intervenire nelle trattative per il versamento della somma estorta, risponde del reato di concorso in estorsione, salvo che il suo intervento abbia avuto la sola finalità di perseguire l’interesse della vittima e sia stato dettato da motiv di solidarietà umana (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 37896 del 20/07/2017, COGNOME, Rv. 270723 – 01 che, in motivazione, aveva valorizzato l’assenza di pregressi rapporti di frequentazione o conoscenza tra le parti, tali da poter spiegare in termini ragionevoli la iniziativa dell’imputato di frapporsi come tramite tra gli autori del furto e la vittima, in tal modo, peraltro, finendo per rimaner coinvolto in una vicenda di indubbia rilevanza criminosa senza alcuna apparente motivazione; cfr., anche, Sez. 2, n. 6824 del 18/01/2017, COGNOME, Rv. 269117 – 01).
Quanto al secondo motivo, concernente la detenzione dell’arma da sparo, va rilevato come il Tribunale abbia in primo luogo congruamente sottolineato che la pistola Glock, ostentata dal COGNOME, era priva di tappo rosso; ha inoltre argomentato, con considerazioni del tutto lineari dal punto di vista logico e certamente idonee a fondare una diagnosi di gravità indiziaria, come fosse del tutto irragionevole ipotizzare che il COGNOME, referente del clan dei COGNOME, avesse potuto mostrare al COGNOME, che si era rivolto a lui per sollecitarne l’intervento confidando proprio nella sua “autorevolezza” criminale, ed alla presenza di diversi accoliti, una pistola giocattolo.
3. L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del Ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma j-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 7.12.2023